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domenica 21 gennaio 2024

LENIN: FONDATORE DELLA ČEKA E PRIMO RESPONSABILE DELL’ANTIRIVOLUZIONE RUSSA (II parte)

di Roberto Massari


TRILINGUE: ITALIANO - ENGLISH - ESPAÑOL


Era il dicembre 1917…

La Čeka fu fondata il 7(20) dicembre 1917, meno di sei settimane dopo la conquista del potere da parte del soviet di Pietrogrado, avvenuta il 25 ottobre (7 novembre per il calendario gregoriano che la Russia adotterà a fine gennaio 1918). Era passato quindi solo un breve periodo da quel grande rivolgimento politico e sociale, eppure il gruppo dirigente bolscevico, con Lenin in prima fila, già pensava a come avocare unicamente a sé, con uno strumento classico di morte e segretezza, il potere politico conquistato dal proprio partito.

Ma di che partito si trattava a dicembre 1917?

Un partito di quadri, senza dubbi. E un partito di  combattimento, anche se ancora al di sotto su tale piano degli standard del principale partito concorrente (i socialisti-rivoluzionari). Nel complesso, marxista «di sinistra», con molto dogmatismo (stile Seconda internazionale), attenuato o arricchito dalle interpretazioni che del marxismo davano le sue principali teste pensanti (alcuni dei migliori intellettuali russi). Era però anche in balìa delle oscillazioni ideologico-filosofiche di Lenin (ormai giunto in privato e segretamente all’hegelismo, come si verrà a sapere non prima del 1929), ma senza che ciò si ripercuotesse sensibilmente sulle scelte immediate. Fondato su un forte senso di autodisciplina, rigidamente gerarchico e tutt’altro che democratico, il partito era ciononostante dotato di una vivace dialettica interna che a tratti si sarebbe potuta definire addirittura effervescente. 

Nel quindicennio di vita del Partito, le divergenze su questioni tattiche non erano di certo mancate, a cominciare dalla baraonda fondativa nel 1903. Ma il più delle volte esse si erano manifestate apertamente, salvo essere poi risolte con manovre, compromessi e qualche espulsione. Le divergenze si erano viste soprattutto dopo l’esperienza fallimentare del bolscevismo nel 1905 (Prima rivoluzione russa e primo Soviet della storia), nella questione del rapporto con i menscevichi, per gli espropri delle banche nel Caucaso e così via.

Ma il principale scontro politico si era avuto tra Lenin e Aleksandr Bogdanov (pseud. di Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij [1873-1928]). Fu mascherato da Lenin con divergenze d’ordine filosofico, mentre esse riguardarono importanti questioni tattiche, come la partecipazione o boicottaggio delle varie Dume, la concezione dell’organizzazione partitica, le scuole di partito. A un certo punto del conflitto con Bogdanov, Lenin (che per la prima e ultima volta in vita sua non era stato eletto alla direzione e nemmeno al Cc del Posdr unitario, dopo il V Congresso del 1907) si trovò in minoranza, a fronte dei bolscevichi «bogdanoviani», e attaccato da sinistra. Fu l’unica volta in cui rischiò veramente di perdere l’egemonia sul partito. Ma seppe reagire e, stabilita un’abile e momentanea alleanza con la principale componente menscevica, riuscì a far privare gradualmente Bogdanov dei suoi incarichi, fino a farlo espellere (1909) dalla corrente bolscevica e nel 1911 dal Cc del Posdr unitario. Il bolscevismo perdeva la sua più brillante mente filosofica, non scevra di componenti utopiche, ma Lenin poteva riprendere il pieno controllo del proprio Partito - la cosa che a lui premeva soprattutto.

Ebbene, nonostante la durezza dello scontro e il rischio corso da Lenin di perdere la direzione, Bogdanov poté godere in seguito di una sorta di statuto da «simpatizzante», i suoi testi continuarono a circolare nel Partito bolscevico, e nel 1917 si diede anche ascolto ad alcune sue critiche su come far fronte agli eventi.

Perché questa digressione su Bogdanov?

Perché essa mostra, meglio di tanta filologia sui testi, il grado di relativa tolleranza o di relativa libertà nell’espressione delle divergenze che era esistito nel Partito bolscevico, in un momento per altro difficile della sua vita. Il lettore provi a proiettare lo stesso scontro nel 1918 o, peggio ancora, negli anni subito successivi e vedrà che esso non è lontanamente immaginabile.

Si potrebbe citare la battaglia di minoranza arcinota che Lenin condusse con le Tesi di aprile, dopo il suo ritorno in Russia e l’invio di alcune importanti lettere («da lontano»). Lì la divergenza riguardò nientemeno se puntare alla conquista del potere statale oppure praticare una linea di compromesso (come stava avvenendo).

Né si può dimenticare il modo tutto sommato indolore con cui furono «perdonati» Zinov’ev e Kamenev per essersi non solo opposti (con altri membri del Cc) alla prospettiva immediata dell’insurrezione, ma anche per averla divulgata. E altrettanto noto (anche perché ne abbiamo i verbali) è il dibattito infuocato con tre posizioni diverse su Brest-Litovsk. Lì la divergenza riguardava una questione veramente di vita o di morte: il proseguimento o no della guerra contro gli Imperi centrali.

Insomma, il gruppo dirigente che a dicembre 1917 decise di creare uno strumento repressivo come la Čeka, aveva alle spalle una storia di relativa tolleranza (insisto sul «relativa»), e anche di abitudine a discutere e risolvere le questioni dopo un dibattito più o meno acceso.

Lo dimostra in maniera inequivocabile la presenza di varie correnti ufficialmente riconosciute all’interno del Partito bolscevico. È quindi di enorme importanza sottolineare che in quello stesso Partito che a dicembre 1917 si stava dotando di una polizia segreta con precisi intenti di repressione ed esecuzioni degli oppositori interni ai soviet, coesistevano molteplici anime.

Le principali correnti differenziate rispetto al bolscevismo di Lenin - prima, durante e per qualche tempo dopo l’Ottobre - furono i decemisti di Timofej Vladimirovič Sapronov [1887-1937]; l’Opposizione operaia (Rabočaja oppositsija) di Aleksandr Gavrilovič Šljapnikov [1884-1937] e Aleksandra Michajlovna Kollontaj [1872-1952]; il gruppo operaio detto di Mjasnikov [Gavriil Il’ič (1889-1945)]; la piattaforma dei Comunisti di sinistra di Nikolaj Osinskij (Valerian Valerianovič Obolenskij [1887-1938]); oltre al duo Zinov’ev-Kamenev, oltre a Trotsky (che era un caso veramente a sé, tutto da solo, ma già con suoi seguaci) e oltre al nutrito gruppo di autorevoli quadri e intellettuali «ribelli» provenienti dal gruppo Mežrajonka (interdistrettuale/interrionale), a sua volta un crogiuolo di storie e richiami ideologici tra i più diversi. Basti pensare che di lì provenivano Trotsky e Anatolij Vasil’evič Lunačarskij (1875-1933), il futuro celebre commissario (ministro) dell’istruzione che insieme con Bogdanov e altri - tra i quali Maksim Gor’kij (1868-1936) - aveva dato vita e collaborato al nuovo Vperëd nel 1909-11 e nel 1915-17.

Che dire? Frequento la letteratura sul bolscevismo e la Rivoluzione russa da quasi sessant’anni, da quel natale del 1965 quando mia sorella Rossana, già militante della Quarta internazionale, regalò a un diciannovenne digiuno di letture sul tema, l’Autobiografia di Trotsky. Fu un fulmine a ciel sereno e da allora credo di aver letto oltre un migliaio di testi sull’argomento, tra libri, articoli e documenti vari, senza contare i libri e gli articoli che ho scritto (sempre su questi temi). Ebbene, nonostante questo corposo retroterra, non riesco ancor oggi a far quadrare i conti, o diciamo un conto in particolare, perché per il resto il quadro storico-teorico è sostanzialmente costituito. Tenterò di spiegarmi.

È fondamentale partire dal fatto che l’involuzione (poi degenerazione) della Rivoluzione russa non iniziò sotto i colpi della controrivoluzione zarista, o dell’aggressione bianca, o per sollevamenti popolari ostili al nuovo governo. E nemmeno per scissioni o lotte intestine nel gruppo dirigente. Di tutto ciò non vi era nemmeno il sentore a dicembre 1917, a parte vecchie divergenze con Nikolaj Ivanovič Bucharin (1888-1938) e poco più. E anche il più acuto dei veggenti, pur presagendo la possibilità di tali eventi - benché senza esperienze precedenti cui fare riferimento, a parte quella del giacobinismo - non avrebbe potuto stabilirli con certezza. Meno che mai rispetto alle condizioni in cui la nuova Russia si presentava a dicembre 1917 con - ancora non per molto - masse contadine a favore, i soviet in espansione e i cdf organizzatori dei livelli più avanzati di coscienza operaia.

L’involuzione del bolscevismo leniniano (ciò che io da tempo ho deciso di denominare antirivoluzione per descriverla nella sua dinamica storica e differenziarla dalla controrivoluzione) non iniziò quindi sotto la pressione di spinte ostili o contrarie provenienti dall’esterno dei soviet - come afferma senza fondamento la vulgata storiografica corrente quando anticipa a dicembre 1917 eventi storici che invece si verificheranno a seconda dei casi uno, due, tre o quattro anni dopo.

Lenin e compagni non assunsero l’orientamento repressivo e dittatoriale perché costretti dalla dinamica degli eventi: la loro fu una scelta deliberata, soggettiva e priva di costrizioni materiali immediate. Forse più avanti tali costrizioni sarebbero intervenute, forse ci sarebbe stato ugualmente bisogno di dar vita a una sorta di rete militare interna, difensiva o aggressiva che fosse.

Non lo sapremo mai, però, perché a dicembre 1917 comparve sulla scena uno spietato strumento antirivoluzionario che non solo non rispondeva ai più urgenti problemi della rivoluzione, ma ne creava di nuovi, imprevisti e imprevedibili, di natura cruenta e di segno totalmente avverso al grande movimento di democrazia diretta che aveva consentito ai soviet di prendere il potere.

La creazione di una polizia segreta - con cui liquidare gli oppositori del nuovo regime, già rigidamente identificato col gruppo dirigente bolscevico - trasferiva lo scontro per l’egemonia politica all’interno del fronte rivoluzionario: la precedente linea di demarcazione tra chi era dalla parte dei soviet e chi contro (la linea della rivoluzione iniziata a febbraio-marzo 1917) si spostava ora e per sempre, a separare chi si riconosceva nel governo monopartitico da coloro che vi si opponevano per le più diverse ragioni. Per colpire o ridurre all’impotenza questi ultimi, Lenin e i dirigenti bolscevichi diedero vita alla Čeka, senza farsi contagiare minimamente dalla positività del contesto esterno, fatto di comprensibile euforia popolare, aspirazioni unitarie, mobilitazioni di base ecc.

A dicembre 1917 ancora non erano nate le armate Bianche controrivoluzionarie; i soviet erano attivi e in crescita; gli operai d’avanguardia speravano di svolgere un ruolo trainante nella nuova economia, illusi sulle possibilità di controllo operaio tramite i loro cdf; i soldati rientravano dal fronte convinti di poter tradurre in pratica nelle loro comunità contadine le promesse di riforma agraria (con socializzazione o no) fatte quasi concordemente da s-r, anarchici e bolscevichi. E invece, impermeabili e refrattari a tutto ciò, Lenin e compagni decisero di creare la polizia segreta, forse temendo che gli altri facessero lo stesso, precedendoli: scelta precipitosa, in cui probabilmente giocò il ricordo dell’esperienza giacobina col triste epilogo delle esecuzioni «reciproche».

Se confrontata con l’entusiasmo popolare delle prime settimane dopo l’Ottobre, la scelta di creare la Čeka col preciso compito di liquidare gli oppositori (per il momento esterni al partito, agli interni toccherà in seguito) non può che apparire disumana. Evidenzio il termine perché lo si colga in tutto il suo significato (anche ideologico e morale), senza far caso ai presunti «marxisti» (marxologi) che ridacchieranno metaforicamente a sentir evocare la propria natura, umana per l’appunto.

La creazione della Čeka non la impose la situazione di dicembre 1917; non la prepararono testi teorici (a parte Trotsky che nel 1904 aveva invece espresso il timore che si arrivasse a qualcosa di simile); non fu discussa in istanze di «movimento» (come si direbbe oggigiorno) e nemmeno nel Partito. Fu un parto esclusivo della mente di Lenin, col consenso di personalità come Trotsky, Kollontaj, Šljapnikov, oltre ovviamente a Stalin...

Qui però si riapre l’interrogativo da cui ero partito. Si ferma la spiegazione d’ordine storico-materialistico e si affacciano ipotesi d’ordine psicologico (che in ultima analisi sarebbero materialistiche anch’esse). A dicembre 1917 cosa stava passando nelle teste di quel gruppo di ardimentosi - alcuni ottimi intellettuali - che aveva appena finito di demolire uno degli Imperi più vecchi al mondo, riscuotendo per tale impresa il sostegno dei lavoratori di fabbrica e delle campagne, di soldati, di masse contadine, di parte dell’intellighenzia e soprattutto, non lo si dimentichi, delle nazionalità schiacciate per secoli dall’oppressione granderussa dello zarismo?

Cosa passò nella testa di Lenin? di Trotsky? di Kollontaj? (per la testa di Stalin si può immaginare...)

Ancor oggi non sono in grado di rispondere e forse non si arriverà mai a una risposta.

Si provi a leggere e rileggere i molti testi che Lenin scrisse in quei giorni. Non vi si troverà una spiegazione plausibile, nemmeno fra le righe. Lo stesso dicasi per alcuni suoi stretti collaboratori che su quella strada rovinosa lo seguirono senza esitazioni. Fidavano in lui? È comprensibile. Ma perché non fidavano più nelle forze sociali (gli operai d’avanguardia in primo luogo) che li avevano portati al potere?

Domande senza risposta, non solo per quanto riguarda la mia riflessione, ma l’insieme della letteratura storiografica dedicata alla Rivoluzione russa. I principali studiosi, per quanto e fin dove mi risulta, non hanno mai risolto il quesito. In realtà hanno cercato in genere di non affrontarlo - e mi scuso se al momento mi sta sfuggendo qualche nobile eccezione. In genere si sono limitati a descrivere l’evento, per parlarne male o bene, evitando però di spiegarne le possibili vere ragioni.

    

ENGLISH


LENIN: FOUNDER OF THE ČEKA AND FIRST SUPERINTENDENT OF THE RUSSIAN ANTIREVOLUTION (Part II)


by Roberto Massari


It was December 1917…

The Čeka was founded on Dec. 7(20), 1917, less than six weeks after the Petrograd Soviet seized power on Oct. 25 (Nov. 7 for the Gregorian calendar that Russia would adopt in late January 1918). Thus only a short period had passed since that great political and social upheaval, yet the Bolshevik leadership group, with Lenin in the forefront, was already thinking about how to avow solely to itself, by a classic instrument of death and secrecy, the political power won by its party.

But what party was it in December 1917?

A party of cadres, no doubt. And a fighting party, though on that level still below the standards of the main competing party (the socialist-revolutionaries). On the whole, «left-wing» Marxist, with much dogmatism (Second International-style), attenuated or enriched by the interpretations of Marxism given by its main thinking heads (some of the best Russian intellectuals). It was, however, also at the mercy of Lenin's ideological-philosophical oscillations (by then having privately and secretly come to Hegelism, as would come to be known no earlier than 1929), but without any noticeable effect on its immediate choices. Founded on a strong sense of self-discipline, rigidly hierarchical and far from democratic, the party was nonetheless endowed with a lively internal dialectic that at times could even be described as effervescent...

In the 15-year life of the Party, disagreements over tactical issues had certainly not been lacking, beginning with the founding shambles in 1903. But in most cases they had manifested themselves openly, except to be resolved by maneuvering, compromise, and occasional expulsions. Disagreements had been seen especially after the failed experience of Bolshevism in 1905 (First Russian Revolution and first Soviet of history), in the question of the relationship with the Mensheviks, over the expropriations of banks in the Caucasus, and so on.

But the main political clash had occurred between Lenin and Aleksandr Bogdanov (pseud. of Aleksandr Aleksandrovič Malinovsky [1873-1928]). It was disguised by Lenin as differences of a philosophical order, whereas they concerned important tactical issues, such as participation in or boycott of the various Dumas, conceptions of party organization, and party schools. At a certain point in the conflict with Bogdanov, Lenin (who for the first and last time in his life had not been elected to the leadership or even to the Central Commitee of the unitary Posdr, after the Fifth Congress of 1907) found himself in the minority, facing the «Bogdanovian» Bolsheviks, and attacked from the left. It was the only time when he really risked losing his hegemony over the party. But he was able to fight back and, after establishing a skillful and momentary alliance with the main Menshevik component, he succeeded in having Bogdanov gradually deprived of his positions, until he was expelled (1909) from the Bolshevik current and in 1911 from the Central Committee of the unitary Posdr. Bolshevism lost its most brilliant philosophical mind, not without utopian components, but Lenin was able to regain full control of his Party - the thing he was most concerned about.

Well, despite the harshness of the confrontation and the risk Lenin ran of losing the leadership, Bogdanov was later able to enjoy a kind of «sympathizer» status, his texts continued to circulate in the Bolshevik Party, and in 1917 some of his criticisms of how to cope with events were even heeded.

Why this digression on Bogdanov?

Because it shows, better than much philology on texts, the degree of relative tolerance or relative freedom in the expression of divergences that had existed in the Bolshevik Party, at an otherwise difficult time in its life. The reader may try and figure out what the same clash in 1918 or, even worse, in the years immediately following: he will see that it is not remotely imaginable.

One could cite the well-known minority battle Lenin waged with the April Theses, after he returned to Russia and sent some important letters («from afar»). There the disagreement was about nothing less than whether to aim for the conquest of state power or to practice a line of compromise (as it was happening).

Nor can one forget the all-too-harmless manner in which Zinov'ev and Kamenev were «forgiven» for not only opposing (with other Cc members) the immediate prospect of insurrection, but also for publicizing it. And equally well known (also because we have the minutes) is the heated debate with three different positions on Brest-Litovsk. There the disagreement concerned a truly life-or-death issue: whether or not to continue the war against the Central Empires.

In short, the ruling group that in December 1917 decided to create such a repressive instrument as the Čeka had a history of relative tolerance (I insist on the «relative») behind it, and also a habit of discussing and settling issues after more or less heated debate.

This is unequivocally demonstrated by the presence of various officially recognized currents within the Bolshevik Party. It is therefore of immense importance to point out that in that same Party, which in December 1917 was equipping itself with a secret police with precise intentions of repression and executions of opponents within the soviets, multiple souls coexisted.

The main currents that differed from Lenin's Bolshevism - before, during, and for some time after October- were the Decemists of Timofey Vladimirovič Sapronov [1887-1937]; the Workers' Opposition (Rabočaja oppositsija) of Aleksandr Gavrilovič Šljapnikov [1884-1937] and Aleksandra Michajlovna Kollontaj [1872-1952]; the workers' group known as of Mjasnikov's [Gavriil Il'ič (1889-1945)]; Nikolai Osinsky's (Valerian Valerianovič Obolensky [1887-1938]) Platform of the Left-wing Communists; as well as the Zinov'ev-Kamenev duo, in addition to Trotsky (a case really on its own, all by itself, but already with followers of its own) and in addition to the large group of influential «rebel» cadres and intellectuals from the Mežrajonka (interdistrict/interrational) group, itself a melting pot of the most diverse histories and ideological references. Suffice it to say that from there came Trotsky and Anatoly Vasily Vasil'evič Lunačarsky (1875-1933), the future famous commissar (minister) of education who together with Bogdanov and others - including Maksim Gor'kij (1868-1936) - had started and collaborated on the new Vperëd in 1909-11 and 1915-17.

What should I say? I have been frequenting the literature on Bolshevism and the Russian Revolution for almost sixty years, ever since that Christmas of 1965 when my sister Rossana, already a militant member of the Fourth International, presented  a nineteen-year-old - with no reading on the subject - with Trotsky's Autobiography. It was a bolt out of the blue, and since then I think I have read more than a thousand texts on the subject, including books, articles and various documents, not counting the books and articles I have written (always on these topics). Well, in spite of this substantial background, I still cannot make the accounts add up, or let's say an account in particular, because otherwise the historical-theoretical framework is basically made up. I will attempt to explain.

It is crucial to start from the fact that the involution (later degeneration) of the Russian Revolution did not begin under the blows of tsarist counterrevolution, or White aggression, or by popular uprisings hostile to the new government. Nor by splits or infighting in the leadership group. Of all this there was not even an inkling in December 1917, apart from old disagreements with Nikolai Ivanovič Bucharin (1888-1938) and little more. And even the sharpest of seers, while foreshadowing the possibility of such events - though with no previous experience to refer to other than that of Jacobinism - could not have established them with certainty. Least of all with respect to the conditions in which the new Russia presented itself in December 1917 with - still not for long - continuous masses in favor, the expanding soviets and the Factory committees organizing the more advanced levels of workers' consciousness.

The involution of Leninist Bolshevism (what I have long since decided to call anti-revolution to describe it in its historical dynamic and differentiate it from counterrevolution) thus did not begin under the presence of hostile or contrary pushes from outside the soviets - as the current historiographical vulgate asserts without foundation when it anticipates in December 1917 historical events that would instead occur one, two, three or four years later, as the case may be.

Lenin and comrades did not assume the repressive and dictatorial orientation because they were forced to by the dynamics of events: theirs was a deliberate, subjective choice devoid of immediate material constraints. Perhaps later such constraints would have intervened, perhaps there would have been an equal need to give rise to some sort of internal military network, whether defensive or aggressive.

We will never know, however, because in December 1917 a ruthless anti-revolutionary tool appeared on the scene that not only did not respond to the most urgent problems of the revolution, but created new ones, unforeseen and unpredictable, bloody in nature and totally adverse to the great movement of direct democracy that had enabled the soviets to seize power.

The creation of a secret police - with which to eliminate opponents of the new regime, already rigidly identified with the Bolshevik leadership group - transferred the clash for political hegemony within the revolutionary front: the previous dividing line between those on the side of the soviets and those against (the line of the revolution that began in February-March 1917) now and forever shifted to separate those who recognized themselves in one-party rule from those who opposed it for the most diverse reasons. In order to strike or reduce the latter to impotence, Lenin and the Bolshevik leadership gave birth to the Čeka, without being affected in the slightest by the positivity of the external context, made up of understandable popular euphoria, unitary aspirations, grassroots mobilizations, etc.

By December 1917, the counter-revolutionary White armies had not yet been born; the soviets were active and growing; the vanguard workers hoped to play a leading role in the new economy, deluded about the possibilities of workers' control through their factory commiottees; the soldiers returned from the front convinced that they could translate into practice in their peasant communities the promises of agrarian reform (with socialization or not) made almost concordantly by s-r, anarchists and Bolsheviks. And instead, impermeant and refractory to all this, Lenin and comrades decided to create the secret police, perhaps fearing that others would do the same, preceding them: a hasty choice, in which the memory of the Jacobin experience with the sad epilogue of «mutual» executions probably played a role.

When compared with the popular enthusiasm of the first weeks after October, the decision to create the Čeka with the specific task of liquidating opponents (for the time being external to the party, the internal ones will come later) cannot but appear inhuman. I highlight the term so that it may be grasped in all its meaning (including the ideological and moral ones), without paying any attention to the supposed «Marxists» (Marxologists) who will giggle metaphorically at hearing it evoke their own nature, human in fact.

The creation of the Čeka was not imposed by the situation in December 1917; no theoretical texts prepared it (apart from Trotsky, who in 1904 had instead expressed the fear that it would come to something similar); it was not discussed in instances of the «movement» (as we would say nowadays) or even in the Party. It was an exclusive birth of Lenin's mind, with the consent of such personalities as Trotsky, Kollontai, Šljapnikov, as well as, of course, Stalin...

Here, however, the question from which I had started reopens. Esplanations of historical-materialistic order do stop and arise hypotheses of psychological order (which would ultimately be materialistic as well).

What was going in December 1917 through the heads of that group of bold people - some of them excellent intellectuals - who had just finished demolishing one of the oldest Empires in the world, garnering for such an undertaking the support of factory and rural workers, soldiers, peasant masses, part of the intelligentsia and above all, let it not be forgotten, the nationalities crushed for centuries by the Granderussian oppression of Czarism?

What went through Lenin's head? Trotsky's? Kollontai's? (as for Stalin's head, one can imagine...)

To this day I am still unable to answer and may never come to an answer.

Try reading and rereading the many texts Lenin wrote in those days. No plausible explanation will be found there, even between the lines. The same is true of some of his close associates who on that ruinous road followed him without hesitation. Did they trust him? That is understandable. But why did they no longer trust the social forces (the vanguard workers in the first place) that had brought them to power?

Unanswered questions, not only as far as my reflection is concerned, but also in the whole historiographic literature devoted to the Russian Revolution. Leading scholars, as far as I am aware, have never solved the question. In fact, they have generally tried not to address it - and I apologize if some noble exception is escaping me at the moment. They have generally limited themselves to describing the event, to talking bad or good about it, but avoiding explaining the possible true reasons for it.


ESPAÑOL


LENIN: FUNDADOR DE LA ČEKA Y PRIMER RESPONSABLE DE LA ANTIREVOLUCIÓN RUSA (Parte II)


por Roberto Massari


Era diciembre de 1917…

La Čeka se fundó el 7(20) de diciembre de 1917, menos de seis semanas después de que el Soviet de Petrogrado tomara el poder el 25 de octubre (7 de noviembre para el calendario gregoriano que Rusia adoptaría a finales de enero de 1918). Había transcurrido, pues, poco tiempo desde aquella gran convulsión política y social y, sin embargo, la dirección bolchevique, con Lenin al frente, ya estaba pensando en cómo tomar para sí el poder político conquistado por su partido, con un instrumento clásico de muerte y secretismo.

Pero, ¿qué partido era en diciembre de 1917?

Un partido de cuadros, sin duda. Y un partido de combate, aunque todavía por debajo del nivel del principal partido competidor (los socialistas-revolucionarios) en ese plano. En conjunto, marxista «de izquierdas», con mucho dogmatismo (al estilo de la II Internacional), atemperado o enriquecido por las interpretaciones del marxismo dadas por sus principales cabezas pensantes (algunos de los mejores intelectuales rusos). Sin embargo, también estaba a merced de las oscilaciones ideológico-filosóficas de Lenin (que por entonces se había pasado al hegelismo en privado y en secreto, como sabríamos no antes de 1929), pero sin que ello tuviera efectos notables en sus opciones inmediatas. Fundado sobre un fuerte sentido de la autodisciplina, rígidamente jerarquizado y lejos de ser democrático, el partido estaba dotado, sin embargo, de una viva dialéctica interna que a veces podía incluso calificarse de efervescente.

En los quince años de vida del partido no faltaron, desde luego, los desacuerdos sobre cuestiones tácticas, empezando por el desbarajuste fundacional de 1903. Pero las más de las veces se habían manifestado abiertamente, sólo para resolverse mediante maniobras, compromisos y alguna que otra expulsión. Los desacuerdos se manifestaron sobre todo después de la experiencia fallida del bolchevismo en 1905 (Primera Revolución Rusa y primer Soviet de la historia), en la cuestión de la relación con los mencheviques, la expropiación de bancos en el Cáucaso, etcétera.

Pero el principal enfrentamiento político fue entre Lenin y Aleksandr Bogdánov (seud. Aleksandr Aleksándrovič Malinovski [1873-1928]). Lenin lo disfrazó de diferencias filosóficas, mientras que se referían a importantes cuestiones tácticas, como la participación o el boicot a las diversas Duma, la concepción de la organización del partido y las escuelas del partido. En cierto momento del conflicto con Bogdánov, Lenin (que por primera y última vez en su vida no había sido elegido para la dirección ni siquiera para el Comitado central del Posdr unido tras el V Congreso de 1907) se vio superado en número por los bolcheviques «bogdanovistas» y atacado por la izquierda. Fue la única vez que realmente corrió el riesgo de perder la hegemonía sobre el partido. Pero supo reaccionar y, formando una hábil y momentánea alianza con el principal componente menchevique, consiguió privar gradualmente a Bogdánov de sus posiciones hasta que fue expulsado (1909) de la corriente bolchevique y en 1911 del Comitado central del Posdr unido.

El bolchevismo estaba perdiendo a su mente filosófica más brillante, no exenta de componentes utópicos, pero Lenin pudo recuperar el control total de su Partido, lo que más le preocupaba.

Pues bien, a pesar de la dureza del enfrentamiento y del riesgo de Lenin de perder el liderazgo, Bogdánov pudo disfrutar más tarde de una especie de estatus de «simpatizante», sus textos siguieron circulando en el Partido Bolchevique y en 1917 también se escucharon algunas de sus críticas sobre cómo afrontar los acontecimientos.

¿Por qué esta digresión sobre Bogdánov?

Porque muestra, mejor que tanta filología sobre textos, el grado de relativa tolerancia o relativa libertad en la expresión de las diferencias que existía en el Partido Bolchevique, en un momento por otra parte difícil de su vida. Intente el lector proyectar el mismo enfrentamiento en 1918 o, peor aún, en los años inmediatamente posteriores y verá que no es ni remotamente imaginable.

Se podría citar la ultraconocida batalla minoritaria que Lenin libró con las Tesis de Abril tras su regreso a Rusia y el envío de algunas cartas importantes («desde lejos»). Allí el desacuerdo era nada menos que sobre si aspirar a la conquista del poder estatal o practicar una línea de compromiso (como estaba ocurriendo). Tampoco podemos olvidar la forma bastante indolente en que Zinov'ev y Kamenev fueron «perdonados» no sólo por oponerse (con otros miembros del CC) a la perspectiva inmediata de la insurrección, sino también por popularizarla.

Igualmente conocido (también porque disponemos de las actas) es el acalorado debate con tres posturas diferentes sobre Brest-Litovsk. Allí, el desacuerdo era realmente una cuestión de vida o muerte: continuar o no la guerra contra los Imperios Centrales.

En resumen, el grupo dirigente que decidió en diciembre de 1917 crear un instrumento tan represivo como la Čeka tenía un historial de relativa tolerancia (subrayo lo de «relativa»), y también la costumbre de discutir y resolver las cuestiones tras un debate más o menos acalorado.

Así lo demuestra inequívocamente la presencia de diversas corrientes oficialmente reconocidas en el seno del Partido Bolchevique. Es por tanto de enorme importancia subrayar que en ese mismo Partido que en diciembre de 1917 se dotaba de una policía secreta con intenciones precisas de represión y ejecuciones de opositores en el seno de los soviets, coexistían múltiples almas.

Las principales corrientes diferenciadas del bolsismo de Lenin -antes, durante y durante algún tiempo después de Octubre- fueron los decemistas de Timofey Vladimirovič Sapronov [1887-1937]; la Oposición Obrera (Rabočaja oppositsija) de Aleksandr Gavrilovič Šljapnikov [1884-1937] y Aleksandra Michajlovna Kollontaj [1872-1952]; el grupo obrero conocido como grupo de Mjasnikov [Gavriil Il'ič (1889-1945)]; la plataforma de los comunistas de izquierda de Nikolai Osinsky (Valerian Valerianovič Obolensky [1887-1938]); así como el dúo Zinov'ev-Kamenev, además de Trotsky (verdaderamente un caso en sí mismo, él solo, pero ya con seguidores) y además del nutrido grupo de influyentes cuadros e intelectuales «rebeldes» del grupo Mežrajonka (interdistrital/interzonal), en sí mismo un crisol de las más diversas historias y referencias ideológicas. Baste decir que de allí salieron Trotsky y Anatolij Vasil'evič Lunačarskij (1875-1933), el futuro y famoso comisario (ministro) de Educación que, junto con Bogdánov y otros -entre ellos Maksim Gor'kij (1868-1936)- había creado y colaborado en el nuevo Vperëd en 1909-11 y 1915-17.

¿Qué puedo decir? Llevo casi sesenta años siguiendo la literatura sobre el bolchevismo y la revolución rusa, desde aquella Navidad de 1965 en que mi hermana Rossana, ya militante de la IV Internacional, regaló la Autobiografía de Trotsky a un joven de diecinueve años que no tenía ninguna lectura sobre el tema. Fue un trueno y desde entonces creo haber leído más de mil textos sobre el tema, entre libros, artículos y documentos varios, por no hablar de los libros y artículos que he escrito (siempre sobre estos temas). Pues bien, a pesar de este importante bagaje, sigo sin poder conciliar los relatos, o digamos un relato en particular, porque por lo demás el marco histórico-teórico está sustancialmente constituido. Intentaré explicarme.

Es fundamental partir del hecho de que la involución (más tarde degeneración) de la Revolución Rusa no comenzó bajo los golpes de la contrarrevolución zarista, ni de la agresión blanca, ni a través de levantamientos populares hostiles al nuevo gobierno.

Tampoco por escisiones o luchas intestinas en el grupo dirigente. Ni siquiera había un indicio de ello en diciembre de 1917, aparte de viejas desavenencias con Nikolai Ivanovič Bucharin (1888-1938) y poco más. E incluso el más agudo de los videntes, aunque previendo la posibilidad de tales acontecimientos -aunque sin experiencia previa a la que referirse, aparte del jacobinismo- no habría podido establecerlos con certeza. Y menos aún respecto a las condiciones en que se presentaba la nueva Rusia en diciembre de 1917 con - no por mucho tiempo - las masas con- tinuamente a favor, los soviets en expansión y las comités de fábrica organizadoras de los niveles más avanzados de conciencia obrera.

La involución del bolchevismo de Lenin (lo que desde hace tiempo he decidido llamar la antirrevolución para describirla en su dinámica histórica y diferenciarla de la contrarrevolución) no comenzó, por tanto, bajo la presión de presiones hostiles u opositoras desde fuera de los soviets - como afirma infundadamente la vulgata historiográfica actual cuando anticipa en diciembre de 1917 acontecimientos históricos que ocurrirán uno, dos, tres o cuatro años después, según el caso.

Lenin y sus camaradas no adoptaron la orientación represiva y dictatorial porque se vieran obligados a ello por la dinámica de los acontecimientos: la suya fue una elección deliberada, subjetiva, sin limitaciones materiales inmediatas. Tal vez más tarde hubieran intervenido tales limitaciones, tal vez hubiera habido la misma necesidad de crear algún tipo de red militar interna, ya fuera defensiva o agresiva.

Nunca lo sabremos, sin embargo, porque en diciembre de 1917 apareció en escena un despiadado instrumento antirrevolucionario que no sólo no dio respuesta a los problemas más urgentes de la revolución, sino que creó otros nuevos, imprevistos e imprevisibles, de carácter sangriento y totalmente opuestos al gran movimiento de democracia directa que había permitido a los soviets tomar el poder.

La creación de una policía secreta - con la que liquidar a los opositores al nuevo régimen, ya rígidamente identificados con el grupo dirigente bolchevique - trasladó la lucha por la hegemonía política al interior del frente revolucionario: la anterior línea divisoria entre los que estaban del lado de los soviets y los que estaban en contra (la línea de la revolución iniciada en febrero-marzo de 1917) se desplazó ahora y para siempre para separar a los que se reconocían en el gobierno de partido único de los que se oponían a él por las razones más diversas. Para golpear o reducir a la impotencia a estos últimos, Lenin y la dirección bolchevique crearon la Čeka, sin dejarse influir lo más mínimo por el positivo contexto externo de comprensible euforia popular, aspiraciones unitarias, movilizaciones populares, etc.

En diciembre de 1917, aún no habían surgido los ejércitos Blancos contrarrevolucionarios; los soviets estaban activos y crecían; los obreros de la vanguardia esperaban desempeñar un papel dirigente en la nueva economía, ilusionados con las posibilidades de control obrero a través de sus comités de fábrica; los soldados regresaban del frente convencidos de que podrían aplicar en sus comunidades campesinas las promesas de reforma agraria (con o sin socialización) hechas casi de común acuerdo por s-r, anarquistas y bolcheviques. En cambio, impermeables y refractarios a todo esto, Lenin y sus camaradas decidieron crear la policía secreta, tal vez temiendo que los demás hicieran lo mismo antes que ellos: una decisión precipitada, en la que probablemente influyó el recuerdo de la experiencia jacobina con el triste epílogo de las ejecuciones «recíprocas».

En comparación con el entusiasmo popular de las primeras semanas después de Octubre, la decisión de crear la Čeka con la tarea específica de liquidar a los opositores (por el momento de fuera del partido, con opositores internos que vendrán después) no puede sino parecer inhumana. Subrayo el término para que pueda entenderse en todo su significado (incluido su significado ideológico y moral), sin prestar atención a los supuestos «marxistas» (marxólogos) que se reirán metafóricamente al oír evocar su propia naturaleza humana.

La creación de la Čeka no fue impuesta por la situación en diciembre de 1917; no se prepararon textos teóricos al respecto (aparte de Trotsky, que en 1904 había expresado el temor de que se produjera algo parecido); no se discutió en los órganos del «movimiento» (como diríamos hoy en día) y ni siquiera en el Partido. Fue un producto exclusivo de la mente de Lenin, con el consentimiento de personalidades como Trotsky, Kollontai, Šljapnikov y, por supuesto, Stalin...


Pero aquí, entretanto, se reabre la cuestión de la que había partido. La explicación histórico-materialista se detiene y surgen hipótesis psicológicas (que en última instancia también serían materialistas).

En diciembre 1917, ¿qué pasaba por la cabeza de aquel grupo de hombres audaces -algunos de ellos excelentes intelectuales- que acababan de terminar de demoler uno de los Imperios más antiguos del mundo, ganándose el apoyo de los obreros de las fábricas y del campo, de los soldados, de las masas campesinas, de una parte de la intelectualidad y, sobre todo, no lo olvidemos, de las nacionalidades aplastadas durante siglos por la opresión granderusa del zarismo?

¿Qué se le pasó por la cabeza a Lenin, a Trotsky, a Kollontai? (por la de Stalin cabe imaginar...).

Aún hoy sigo siendo incapaz de responder y quizás nunca se encuentre una respuesta.

Intente leer y releer los numerosos textos que Lenin escribió en aquellos días. No encontrará en ellos una explicación plausible, ni siquiera entre líneas. Lo mismo puede decirse de algunos de sus estrechos colaboradores que le siguieron por ese camino ruinoso sin vacilar. ¿Confiaban en él? Es comprensible. Pero ¿por qué dejaron de confiar en las fuerzas sociales (los trabajadores de vanguardia en primer lugar) que les habían llevado al poder?

Preguntas sin respuesta, no sólo en lo que respecta a mi propia reflexión, sino a toda la literatura dedicada a la Revolución Rusa. Que yo sepa, los principales estudiosos nunca han resuelto esta cuestión. De hecho, por lo general han intentado no abordarla - y pido disculpas si en este momento se me escapa alguna noble excepción. Por lo general, se han limitado a describir el acontecimiento, a hablar mal o bien de él, pero evitando explicar sus posibles verdaderas razones.



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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.