di R. ibn al-Masari
(10 febbraio 2025)
ITALIANO - ENGLISH - FRANÇAIS - ESPANOL
Sono un arabo palestinese, mussulmano «laico» (se così si può dire), nato nella capitale della Striscia di Gaza (Madīnat Ghazza) da una famiglia di piccoli commercianti, a sua volta discendente da nomadi beduini. Mi sono laureato in Scienze sociali all’Università di Tel Aviv e sono sposato con una biologa. In arabo, il mio nome masari vuol dire «denaro», ma io ne ho molto poco. Sono cittadino, quindi, di uno dei più piccoli Stati esistenti al mondo: uno staterello lungo circa 41 km (Los Angeles è lunga quasi il doppio), con una popolazione che a ottobre 2023 superava di poco i 2 milioni. Benché così piccolo, il mio Paese è tuttavia il prodotto geopolitico di una storia plurimillenaria di continue guerre e occupazioni.
Un po’ di storia
Cominciarono gli egizi verso la metà del secondo millennio e rimasero per alcuni secoli, finché arrivarono i filistei (da loro deriva il nome di noi palestinesi), seguìti dagli assiri, gli israeliti, due volte ancora gli egizi, i babilonesi, i persiani, i greci-macedoni, i seleucidi, i maccabei, gli asmonei, i romani, i bizantini, gli islamici, i crociati, gli ayyubidi (curdo-mussulmani), i mongoli, i mamelucchi, gli ottomani e i mandatari britannici (1920-1948). Alcune di queste occupazioni hanno fatto migliorare la vita del mio popolo; altre lo hanno impoverito e portato alla disperazione.
Alla fine del Mandato britannico, la Risoluzione 181 dell’Onu stabilì nel 1947 che anche Gaza avrebbe fatto parte del nuovo Stato palestinese: un secondo Stato che sarebbe dovuto nascere accanto a quello d’Israele. Israele accettò la proposta dei due Stati, ma i principali Stati arabi del Medio Oriente - Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq raccolti nella Lega araba(quindi senza l’Arabia Saudita e lo Yemen) - la respinsero e impedirono che nascesse lo Stato di Palestina. Questo perché esso avrebbe implicato il riconoscimento d’Israele e impedito le annessioni territoriali della regione palestinese che essi progettavano da tempo.
L’Egitto, in particolare, mirava a impadronirsi del territorio di Gaza, su basi puramente coloniali, senza alcuna giustificazione d’ordine geografico, storico o culturale... a meno che non si voglia richiamare la breve parentesi di occupazione tolemaica al tempo di Cleopatra VII, la celebre regina.
I 5 Stati arabi aggredirono il neonato Stato d’Israele nel 1948 - guerra subito condannata dall’Onu e, tra gli altri, dagli Usa e dall’Urss (che tramite la Cecoslovacchia aiutò militarmente Israele) - ma furono duramente sconfitti: fu la famigerata Nakba. E fu così che il mio Paese perse la grande occasione storica di diventare parte del nuovo Stato arabo-palestinese voluto dall’Onu. A nulla valse la nuova Risoluzione dell’Onu, la 194.
Nel 1949 Israele firmò armistizi separati con Egitto, Libano, Transgiordania (ormai Regno Hascemita di Giordania), Siria. E fu così che al mio Paese toccò in sorte d’essere occupato dall’Egitto.Ma nel 1967, al termine della Guerra dei sei giorni, il governo militare degli occupanti egiziani fu cacciato, solo per essere sostituito dall’occupazione israeliana, destinata a durare circa 27 anni.
Anche la prima occupazione israeliana ebbe termine e, nel 1994, il mio Paese finalmente divenne indipendente - per la prima volta nella sua storia plurimillenaria - grazie agli accordi di Oslo del 1993. Questi istituivano l’Autorità nazionale palestinese e stabilivano il ritiro degli occupanti israeliani dalla nostra terra. L’accordo fu rispettato con qualche difficoltà da ambo le parti, ma col tempo il ritiro degli israeliani divenne totale, cioè vennero smantellate anche le colonie abusive che erano state impiantate nel nostro territorio.
Purtroppo non fu fatto un referendum a favore dell’indipendenza e noi gazesi non fummo consultati sulla nascita del nostro nuovo Stato, ma era ovvio che saremmo stati tutti d’accordo su un tale meraviglioso evento storico. Finalmente liberi, autonomi e indipendenti: che emozione...
Un’indipendenza troppo breve
E invece l’autonomia - conquistata dopo più di tre millenni di sottomissione a occupanti stranierie e dopo tante tragedie - durò poco, anche se il primo governo della Gaza indipendente lo potemmo eleggere noi, nel 1996. Lo assegnammo al gruppo dirigente dell’Anp - vale a dire i rappresentanti della vecchia Organizzazione per la liberazione della Palestina (al Fatḥ) - raccolto intorno a Yasser Arafat (che, dopo la sua morte nel 2004, verrà sostituito da Abu Mazen).
Anche le elezioni presidenziali del 2005 furono vinte da al Fatḥ, che invece perse le successive elezioni politiche del 2006, a favore di un’organizzazione armata, nata nel 1987 come braccio operativo dei Fratelli mussulmani: Hamas. Questo gruppo sunnita e fondamentalista era avversario radicale dell’Olp, rifiutava la soluzione dei due Stati (quella che bene o male si era cominciato a mettere in pratica con l’indipendenza di Gaza, di alcune zone cisgiordane e di Gerusalemme est) e respingeva gli accordi di Oslo, che erano invece alla base della nostra conquistata indipendenza.
Nel suo Documento programmatico del 2017, al punto 20, si riproponeva l’idea della cacciata «dal fiume al mare» degli ebrei residenti in Israele, cioè il loro sterminio. Un proposito genocidache era già emerso con Amin al-Husseini, il gran Muftī di Gerusalemme, all’epoca in cui collaborava con le SS naziste e reclutava mussulmani per loro in Medio Oriente e in Bosnia. Le stesse idee, di «gettare a mare gli ebrei», erano state riprese poi da Ahmad al-Shukeiri, il primo presidente dell’Olp fino al 1967, quando fu sostituito da Arafat. Propositi disumani che la maggior parte, o perlomeno la parte migliore del mio popolo, respinge e che per fortuna non hanno alcuna possibilità di essere realizzati concretamente.
Nel 2007, dopo la vittoria elettorale di Hamas (dovuta soprattutto ai voti dei gazesi), il conflitto con l’Anp della Cisgiordania fu deciso dalle armi. Vi furono esecuzioni di militanti da entrambe le parti, ma non poteva che vincere Hamas, data la superiorità militare delle sue squadre addestrate al terrorismo e l’aiuto finanziario ricevuto dall’Iran.
La dittatura di Hamas
Hamas prese il controllo totale di Gaza e vi instaurò una dittatura islamica fondamentalista, impegnata soprattutto a organizzare la lotta contro Israele, intesa come sterminio degli ebrei israeliani.
Noi gazesi non avevamo avuto alcuna possibilità d’impedire lo scontro militare con l’Olp ed eravamo rimasti passivi di fronte a una guerra fratricida tra palestinesi. Né potevamo ancora immaginare quale immane tragedia stesse preparando per il nostro popolo la vittoria militare di Hamas.
Restammo passivi anche negli anni seguenti, mentre il nuovo governo del nostro piccolo Stato faceva uso delle sue ingenti risorse finanziarie (un bilancio di circa due miliardi dollari l’anno, provenienti dagli Stati arabi, dalla Ue, dagli organismi delle Nazioni Unite e soprattutto dall’Iran) per aumentare il proprio arsenale bellico, scavare i tunnel sotterranei e organizzare gli attentati e il lancio di missili contro Israele, invece di utilizzarli per migliorare la vita sociale dei gazesi. Molti osservatori hanno affermato che con quella massa di denaro si sarebbe potuto imprimere un grande sviluppo economico alla Striscia di Gaza e cambiare il destino del nostro popolo. Di questo grande crimine «economico» fu corresponsabile il governo di Netanyahu, che tramite il Qatar facilitò l’afflusso di denaro ad Hamas allo scopo di indebolire l’Anp cisgiordana e il regime di Abu Mazen.
Di questa follia, comunque, frutto di cecità politica, hanno parlato i giornali di tutto il mondo. E lo stesso governo d’Israele si è dovuto pentire amaramente: se bloccato in tempo, Hamas non avrebbe potuto compiere il pogrom antiebraico, con tutto ciò che ne è seguìto.
Il pogrom del 7 ottobre
Il 7 ottobre 2023 Hamas ha dichiarato guerra a Israele, uccidendo nel territorio israeliano in maniera atroce (con stupri, squartamenti e torture di ogni genere, incluso contro donne e bambini) circa 1.200 cittadini inermi e rapendo come ostaggi 254 civili.
L’immagine che è stata data al mondo esterno di noi mussulmani palestinesi, come barbari assassini, è orribile. Va però fatto sapere al mondo che a noi gazesi non appartenenti ad Hamas non è stata data la benché minima possibilità di intervenire o far sentire la nostra voce. La feroce iniziativa di Hamas non dev’essere attribuita all’intero popolo di Gaza: in una situazione democratica e non di dittatura militare forse l’avremmo impedita. Ma la speranza di una democrazia per il mondo palestinese - inclusa l’Anp cisgiordana - è ancora molto lontana dal realizzarsi.
Hamas ha dichiarato guerra a Israele, ben sapendo che era una guerra impossibile da vincere e che essa avrebbe provocato morte e distruzione nel nostro Paese. Era stato messo in bilancio che decine di migliaia di noi civili sarebbero morti, solo per poter conservare gli ostaggi. Tutto ciò senza avvisare noi gazesi, lasciati inermi davanti alla prevedibile rappresaglia israeliana. La quale è andata molto oltre le aspettative di Hamas (e forse dell’Iran suo burattinaio) e ha portato alla morte di decine di migliaia di gazesi, più della metà dei quali non appartenenti alle milizie fondamentaliste.
Per ostacolare la rappresaglia, Hamas ha usato cinicamente masse di civili di gazesi (anche donne e bambini) trasformando scuole, ospedali e altri centri di vita sociale in scudi umani contro i bombardamenti israeliani.
È ormai chiaro, però, che la decisione di sacrificare decine di migliaia di vite umane gazesi è stata presa da Hamas a nostra insaputa e non aveva niente a che vedere con gli interessi del nostro popolo. Lo scopo principale dell’azione, infatti, doveva essere, nell’immediato, d’interrompere la distensione tra Israele e l’Arabia Saudita; in prospettiva, di aiutare il progetto genocida antiebraico dell’Iran. Ma questo potrà realizzarsi solo il giorno in cui l’Iran disporrà delle armi nucleari e il regime dei mullah deciderà quasi certamente di autoimmolarsi pur di far scomparire Israele dalla faccia della Terra. Credo che nessuno dei gazesi militanti di Hamas si renda conto che il fanatismo dell’Iran porterà alla distruzione anche di Gaza, del mondo palestinese e forse scatenerà una guerra nucleare di più vaste dimensioni.
Netanyahu ha gravissime colpe per il massacro indiscriminato di civili gazesi, che non può essere giustificato dalla volontà di liberare gli ostaggi, a fronte del rifiuto di trattative da parte di Hamas - fin dall’inizio e lungo protratto - e soprattutto della passività degli organismi internazionali, ai quali va attribuita una grande responsatà per le stragi che hanno colpito il mio popolo. Resta il fatto, però, che Hamas non ha voluto deliberatamentebloccare i massacri del nostro popolo, facendo l’unica cosa che il governo israeliano chiedeva legittimamente: la liberazione degli ostaggi ancora vivi.
Di questa possibilità di fermare le stragi si è avuta la conferma indiscutibile con l’attuale tregua: è bastato promettere la liberazione di una trentina di ostaggi per ottenere la sospensione immediata delle operazioni militari. Se Hamas lo avesse fatto subito - o se addirittura non avesse preso ostaggi - oggi sarebbero ancora vivi decine di migliaia di palestinesi di Gaza, miei concittadini e confratelli mussulmani. Se volessi fare una graduatoria dei colpevoli per quanto è avvenuto a Gaza, metterei al primo posto Hamas/Iran, poi gli organismi internazionali (che in questa vicenda hanno perduto ogni residua credibilità) e infine il governo israeliano. Delle manifestazioni di sostegno ad Hamas e delle dichiarazioni antiebraiche in giro per il mondo (a partire dai campus statunitensi) non voglio nemmeno parlare.
La questione degli ostaggi
Tutto ciò mi porta a formulare un’ipotesi, forse cinica perché fondata sul computo delle vittime, in un contesto di totale inumanità: se Israele avesse deciso di sacrificare gli ostaggi - come aveva fatto in un lontano passato, quando rifiutava di trattare, come per es. alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 - si sarebbero risparmiate alcune migliaia di vite umane?
Probabilmente sì. È terribile ammetterlo, ma - dopo aver verificato che Hamas non intendeva cedere gli ostaggi e che il mondo intero, a partire dalle Nazioni Unite, non intendeva muoversi per liberarli - decine di migliaia di vite umane sarebbero state risparmiate se Israele avesse rinunciato a salvare gli ostaggi e bombardato a fondo, fino a distruggere completamente i tunnel dei terroristi estesi per centinaia di chilometri.
Delle migliaia di soldati israeliani uccisi o feriti, quanti si sarebbero salvati? e degli oltre 40.000 gazesi uccisi, quante migliaia sarebbero sopravvissute?
Il quesito orrendo, ma imposto dall’azione di Hamas, è il seguente: sarebbe stato giusto sacrificare i circa 200 ostaggi (metà dei quali è stata comunque fatta morire in condizioni disumane) ed evitare così la morte di alcune centinaia di soldati israeliani e di alcune decine di migliaia di miei connazionali? Il ragionamento è cinico, ma quando si tratta di salvare vite umane si deve avere il coraggio di esaminare tutte le ipotesi possibili, senza ipocrisie.
Il governo di Netanyahu, però, non ha voluto o non ha potuto esaminare alternative per la liberazione degli ostaggi, perché premuto dai fanatici religiosi dell’estrema destra israeliana e dai famigliari degli ostaggi che hanno cominciato a manifestare fin dal primo giorno, come è umanamente comprensibile. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e non richiede commenti.
Per il futuro sono molto preoccupato, sia perché noi gazesi continuiamo ad essere tiranneggiati da Hamas, sia perché il governo israeliano non dichiara ufficialmente che d’ora in avanti non accetterà più trattative per i sequestri di ostaggi. In assenza di una tale dichiarazione ufficiale, infatti, i sequestri riprenderanno su più ampia scala e diventeranno l’arma favorita dei tanti gruppi terroristici antiebraici. Ciò sarà favorito dal ritorno in attività di migliaia di militanti di Hamas e sarà alimentato dalla comprrensibile rabbia dei gazesi che hanno visto morire i loro famigliari e distruggere le loro abitazioni. Sembra incredibile, ma è interesse di noi gazesi che Israele dichiari di non accettare più di trattare sui rapimenti di ostaggi. Il prezzo che abbiamo pagato questa volta per l’azione di Hamas non dobbiamo più pagarlo.
Le macabre manifestazioni di gioia
A ogni liberazione di ostaggi viene organizzata da Hamas una manifestazione di giubilo popolare, con folle di individui festanti che inneggiano a questo vile e orrendo crimine. Ciò fa sì che l’immagine di noi gazesi, che viene fornita agli occhi del mondo, è quella di un popolo barbaro, disumano e ancora avvolto in ideologie feudali. Sembriamo peggio della plebe che nell’Antichità godeva alla vista dei martiri condotti in pasto alle belve,negli anfiteatri romani durante i circenses.
Senza contare che noi gazesi sembriamo gioire di un’impresa criminale che ha portato alla morte decine di migliaia di nostri connazionali. Non vedo rispetto per la memoria di coloro che sono morti sotto le bombe o durante gli esodi di massa. Invece di festeggiare dovremmo dichiararci in lutto a tempo indeterminato, coinvolgendo nel lutto tutto il mondo arabo palestinese. Questa sarebbe l’immagine umana di noi gazesi che dovremmo offrire al mondo e non quella di folle urlanti e feroci che si ammassano intorno a delle povere vittime, sopravvissute a oltre un anno di disumana prigionia.
È la regia di Hamas che organizza queste lugubri manifestazioni di giubilo, ma, ancora una volta, noi gazesi non abbiamo alcuna possibilità di impedirle. A protestare si verrebbe uccisi immediatamente. Da noi non è come in Israele dove, nonostante la guerra, si possono fare manifestazioni contro il governo anche tutti i giorni, e addirittura uno sciopero generale. Quando arriveremo anche noi arabi palestinesi a questo grado di maturità civile e democratica?
Per impedire questi orrendi crimini di Hamas, a noi abitanti di Gaza non è stata data alcuna possibilità di intervenire, sia per la totale assenza di democrazia nel nostro piccolo Stato, sia per reponsabilità degli organismi come Nazioni Unite, Croce Rossa, Amnesty International, Tribunale dell’Aia, Vaticano, Ong varie, e tutte quelle organizzazioni internazionali che non solo non hanno fatto nulla per costringere Hamas a liberaregli ostaggi, ma nemmeno hanno chiesto di poter incontrare i prigionieri rapitio, facendo appello al diritto umanitario. Chissà quante migliaia di gazesi sarebbero ancora vivi se tutti costoro (da António Guterres a papa Francesco) o solo alcuni di essi avessero fatto qualcosa per ottenere la liberazione degli ostaggi.
Quale futuro?
Ebbene, nonostante tutto ciò, si continua a non voler sentire la voce di noi gazesi riguardo al nostro futuro: se dobbiamo restare qui, in un paese distrutto e da ricostruire nei prossimi 15 anni (ma chissà quanti di più...), oppure cominciare altrove una nuova vita. È una scelta importante e quindi è un’altra ragione per la quale questa volta il nostro futuro dobbiamo deciderlo noi.
Se l’alternativa è tra 1) vivere in campi profughi, in un territorio devastato, inquinato dalle macerie, pieno di bombe inesplose, per giunta ancora tiranneggiati da Hamas e col pericolo di tornare ad essere massacrati ogni volta che vi saranno nuovi rapimenti di ostaggi; oppure 2) andare a vivere in un altro paese arabo, in villaggi civili, in case prefabbricate, con posti di lavoro e assistenza sociale assicurata, e senza più la dittatura del fondamentalismo islamico - ebbene, la scelta che noi gazesi dovremmo fare, e probabilmente faremmo, è quasi ovvia.
Ma, ripeto, questa dev’essere esclusivamente una scelta nostra, avendo chiare le alternative. Dovremmo poter discutere tra noi abitanti di Gaza, senza le minacce dei capi d Hamas (gli stessi che nei primi giorni tentarono di fermare l’esodo dei gazesi che fuggivano verso il sud, ordinando loro di restare a morire sotto le bombe) e senza condizionamenti da parte di osservatori esterni. Questi non hanno alcun titolo per intervenire nelle nostre vicende, ma non perdono l’occasione di dire qualcosa. E qui intendo riferirmi alla valanga di esclamazioni indignate con cui è stata accolta la proposta di Trump riguardo al trasferimento dei gazesi sopravvissuti in una parte del mondo più accogliente.
Trump è Trump ed è ovviamente libero di proporre ciò che vuole, anche se in genere non è attendibile e inoltre non traduce in pratica molte delle sue esternazioni. Ma è scandaloso il modo in cui è stata ridicolizzata la sua proposta per Gaza, per giunta deformandola a piacimento, senza affrontare una discussione seria al riguardo. Sembra incredibile, ma finora è stato l’unico leader politico ad essersi posto il problema concreto del nostro futuro, giusta o sbagliata che sia la soluzione proposta, realizzabile o irrealizzabile.
Che sarà di Gaza, se noi e la nuova generazione dovremo vivere in una terra devastata, ancora sotto la tirannia di Hamas (o comunque si chiamerà una qualche nuova sigla fondamentalista), in un regime di dittatura e di terrore? Agli indignati ciò non interessa: sono troppo innamorati della propria indignazione per potersi porre il problema concreto di cosa si può fare per far vivere finalmente in condizioni civili, democratiche e umanamente decenti i gazesi sopravvissuti.
Tutta l’indignazione che esplode ora, e che non vi è stata in precedenza per le stragi provocate a Gaza dall’azione di Hamas, appare come un’offesa ulteriore alla memoria delle decine di migliaia di vittime innocenti. Che tacciano una buona volta i benpensanti indignati - che nell’inferno della Gaza attuale non andrebbero a vivere nemmeno per un giorno - e lascino a noi gazesi il compito di esaminare collettivamente, con calma e lucidità, quale potrebbe essere il destino migliore per noi.
L’alibi dei «due Stati»
E che tacciano una volta per tutte i propagatori della «teoria dei due Stati». Questa è diventata ormai solo un alibi per salvarsi l’anima e non affrontare concretamente il futuro degli arabi palestinesi.
Nel 1947-48 ci fu l’ultima possibilità di creare un autentico Stato palestinese, ipoteticamente nella Transgiordania di allora. Israele disse di sì, la Lega araba disse di no e aggredì Israele. Da allora la teoria dei due Stati è diventata uno slogan vuoto, buono per mettersi a posto la coscienza, ma irrealistico: due Stati, entrambi confessionali e ostili tra loro, non porterebbero altro che a nuove guerre.
Guerre che saranno vinte sempre dagli israeliani, ma questa non è una buona ragione per alimentare il sorgere di nuovi conflitti in Medio Oriente. Soprattutto ora che tutti i principali Stati arabi hanno riconosciuto o si accingono a riconoscere Israele. Questa è una grande novità rispetto al 1948, al 1967, al 1973 ecc. L’unico bastione irriducibile, fautore del genocidio antiebraico, rimane l’Iran degli ayatollah. Di questo si deve tener conto, quando si parla del futuuro di Gaza. E forse si avvicina il giorno in cui vedremo finalmente una coalizione degli Stati arabi compreso Israele- divenuto nel frattempo Stato multietnico (formula più precisa che «multinazionale»), possibilmente laico e includente i palestinesi - impegnata a far crollare il regime teocratico dell’Iran. In ciò, la coalizione arabo-israeliana sarà aiutata dal fatto che la maggioranza del popolo iraniano è fortemente ostile a tale regime.
Ma la prova decisiva che dimostra l’ipocrisia di chi si nasconde dietro la teoria dei due Stati, sta nel fatto che nessuno ha il coraggio di dire concretamente dove dovrebbe sorgere un vero e proprio Stato palestinese, in quale luogo. E questo perché tale luogo non esiste, a meno che l’Arabia Saudita non acconsenta - come è improbabile - a cedere una parte del suo immenso e disabitato territorio. (Richiesta già fatta arrivare da Trump a Mohammad bin Salman, per i gazesi, e momentaneamente respinta al mittente.)
Tuttavia, se ancora si avevano dubbi sull’insensatezza della teoria dei due Stati, ciò che è avvenuto nello staterello di Gaza dovrebbe averli fugati del tutto: appena Israele si è ritirato completamente dal territorio gazese, un colpo di forza militare ne ha passato la guida ad Hamas. E il controllo di Gaza è servito ad Hamas per preparare l’aggressione militare, incurante dei prezzi che la popolazione avrebbe pagato, anzi includendo tali prezzi nella strategia politica. Una strategia disumana che ha finito col ritorcersi contro Hamas stesso che ha avuto perdite enormi (oltre 15.000 militanti morti) e non ha più il controllo totale del territorio. Può solo consolarsi di non essere ancora scomparso, come invece aveva promesso Netanyahu.
È facile profezia prevedere che Israele non accetterà mai più di ripetere l’errore fatto con Gaza. E per quanto paradossale ciò possa sembrare, i primi ad avvantaggiarsene saranno proprio i gazesi che in questi mesi di morte e distruzione avranno maledetto in cuor loro il giorno in cui Israele si è ritirato da Gaza e ha lasciato il campo libero ad Hamas: doveva essre l’inizio dell’indipendenza e invece si è trasformato nel massacro del nostro popolo e nelle distruzione del nostro Paese.
Conclusione provvisoria
Tutto ciò mi porta a ripetere e a concludere che d’ora in avanti dovremo fare di tutto per decidere noi gazesi il nostro destino. E questo ben sapendo che tenteranno di impedircelo le migliaia di ex prigionieri, militanti di Hamas, tornati in libertà e intenzionati ancora a uccidere ebrei (anche civili), palestinesi oppositori, gazesi informatori veri o presunti. Non si dimentichi, infatti, che la fucilazione in pubblico di alcuni «collaborazionisti» è stata la prima cosa fatta appena iniziata la tregua, per dare un segnale chiarissimo: Hamas continua ad avere il potere assoluto sui gazesi (anche se non più su Gaza) e verrà eliminato chiunque non obbedisca ciecamente.
In queste condizioni sarà ovviamente quasi impossibile per noi gazesi decidere del nostro futuro. Mentre l’assenza di canali di espressione democratica, anche minima, rischia di lasciare campo libero ai vari Trump, agli anti-Trump e più in generale agli indignati di professione (quelli, ripeto, innamorati soprattutto della propria indignazione).
Riuscirà il mio popolo a esprimersi finalmente in forma autonoma dopo circa tre millenni di sudditanza e oppressione?
Inshallah
روبرتو بن المساري
ENGLISH
MAY I SAY SOMETHING TOO, AS A CITIZEN OF GAZA?
by R. ibn al-Masari
(February 10, 2025)
I am a Palestinian Arab, a "secular" Muslim (if such a term can be used), born in the capital of the Gaza Strip (Madīnat Ghazza) to a family of small merchants, themselves descendants of Bedouin nomads. I graduated in Social Sciences from Tel Aviv University and am married to a biologist. In Arabic, my name Masari means "money," but I have very little of it. I am a citizen, therefore, of one of the smallest existing states in the world: a tiny state about 41 km long (Los Angeles is almost twice as long), with a population that, as of October 2023, slightly exceeded 2 million. Despite its small size, my country is nonetheless the geopolitical product of a millennia-old history of continuous wars and occupations.
A bit of history
The Egyptians were the first to come around the mid-second millennium BCE and stayed for several centuries until the Philistines arrived (from whom we Palestinians derive our name), followed by the Assyrians, the Israelites, the Egyptians again—twice—the Babylonians, the Persians, the Greek-Macedonians, the Seleucids, the Maccabees, the Hasmoneans, the Romans, the Byzantines, the Muslims, the Crusaders, the Ayyubids (Kurdish-Muslims), the Mongols, the Mamluks, the Ottomans, and the British Mandate administrators (1920–1948). Some of these occupations improved the lives of my people; others impoverished them and drove them to despair.
At the end of the British Mandate, UN Resolution 181 established in 1947 that Gaza would be part of the new Palestinian state: a second state that was supposed to be created alongside Israel. Israel accepted the two-state proposal, but the main Arab states of the Middle East—Egypt, Transjordan, Syria, Lebanon, and Iraq, united in the Arab League (excluding Saudi Arabia and Yemen)—rejected it and prevented the State of Palestine from coming into existence. This was because its creation would have implied recognition of Israel and would have obstructed the territorial annexations of the Palestinian region that these states had long planned.
Egypt, in particular, sought to take control of Gaza for purely colonial reasons, without any geographical, historical, or cultural justification—unless one considers the brief Ptolemaic occupation during the time of Cleopatra VII, the famous queen.
The five Arab states attacked the newly founded State of Israel in 1948—a war immediately condemned by the UN and, among others, by the US and the USSR (which, through Czechoslovakia, provided military aid to Israel)—but were soundly defeated. This was the notorius Nakba. And thus, my country lost its great historical opportunity to become part of the new Arab-Palestinian state envisioned by the UN. UN Resolution 194 was of no use.
In 1949, Israel signed separate armistices with Egypt, Lebanon, Transjordan (by then the Hashemite Kingdom of Jordan), and Syria. As a result, my country ended up being occupied by Egypt. But in 1967, at the end of the Six-Day War, the Egyptian military government was expelled, only to be replaced by Israeli occupation, which lasted about 27 years.
The first Israeli occupation also ended, and in 1994, my country finally became independent—for the first time in its millennia-old history—thanks to the Oslo Accords of 1993. These accords established the Palestinian National Authority (PNA) and mandated the withdrawal of Israeli occupiers from our land. The agreement was upheld with some difficulties on both sides, but over time, Israel’s withdrawal became total, with even the illegal settlements in our territory being dismantled.
Unfortunately, no referendum was held on independence, and we Gazans were not consulted about the birth of our new state, but it was obvious that we would all have agreed on such a wonderful historical event. Finally free, autonomous, and independent—what an emotion...
A short-lived independence
And yet, the autonomy—won after more than three millennia of submission to foreign occupiers and after so many tragedies—was short-lived, even though we were able to elect the first government of independent Gaza in 1996. We assigned it to the leadership group of the PNA—that is, representatives of the old Palestine Liberation Organization (al-Fatḥ)—led by Yasser Arafat (who, after his death in 2004, was replaced by Abu Mazen).
The 2005 presidential elections were also won by al-Fatḥ, but the 2006 legislative elections were lost to an armed organization that had emerged in 1987 as the operational wing of the Muslim Brotherhood: Hamas. This Sunni fundamentalist group was a radical opponent of the PLO, rejected the two-state solution (which had begun to take shape with Gaza’s independence, along with parts of the West Bank and East Jerusalem), and opposed the Oslo Accords, which had been the foundation of our hard-won independence.
In its 2017 Policy Document, point 20, Hamas reiterated its goal of expelling all Jews "from the river to the sea"—a call for their extermination. A genocidal intent that had already surfaced with Amin al-Husseini, the Grand Mufti of Jerusalem, when he collaborated with the Nazi SS and recruited Muslims for them in the Middle East and Bosnia. Similar calls to "throw the Jews into the sea" were later echoed by Ahmad al-Shukeiri, the first chairman of the PLO until 1967, when he was replaced by Arafat. These inhumane proposals are rejected by the majority—or at least the best part—of my people and fortunately have no real chance of being implemented.
In 2007, after Hamas’s electoral victory (largely thanks to Gazan votes), the conflict with the PNA in the West Bank was settled by force. Both sides carried out executions, but Hamas inevitably won, given its military superiority and the financial backing it received from Iran.
The Hamas dictatorship
Hamas took full control of Gaza and established a fundamentalist Islamic dictatorship, primarily focused on waging war against Israel—understood as the extermination of Israeli Jews.
We Gazans had no way to prevent the military clash with the PLO and remained passive in the face of a fratricidal war between Palestinians. Nor could we have imagined the immense tragedy that Hamas's military victory was preparing for our people.
We remained passive even in the following years, as our government used its massive financial resources (a budget of about $2 billion per year, from Arab states, the EU, UN agencies, and especially Iran) to expand its arsenal, dig underground tunnels, and launch missile attacks on Israel, instead of investing in social improvements for Gazans. Many observers have noted that with such an amount of money, Gaza could have undergone significant economic development and changed the fate of our people.
The Netanyahu government was jointly responsible for this great "economic" crime, which through Qatar facilitated the flow of money to Hamas in order to weaken the West Bank PNA and the Abu Mazen regime. This madness, however, the result of political blindness, has been talked about by newspapers all over the world. And the Israeli government itself had to repent bitterly: if blocked in time, Hamas could not have carried out the anti-Jewish pogrom, with all that followed.
The October 7 Pogrom
On October 7, 2023, Hamas declared war on Israel, brutally killing around 1,200 unarmed civilians and kidnapping 254 hostages.
The image of us Palestinian Muslims as barbaric murderers is horrifying. But the world must know that we Gazans who do not belong to Hamas had no way to intervene or make our voices heard.
Hamas' ferocious initiative must not be blamed on the entire people of Gaza: in a democratic situation and not a military dictatorship, perhaps we would have prevented it. But the hope of democracy for the Palestinian world - including the West Bank PA - is still far from being realized. Hamas declared war on Israel, knowing full well that it was an unwinnable war and that it would cause death and destruction in our country. It was budgeted that tens of thousands of us civilians would die, just to be able to keep the hostages. All this without warning us from Gaza, left helpless in the face of the predictable Israeli retaliation. Which went far beyond the expectations of Hamas (and perhaps of Iran its puppeteer) and led to the death of tens of thousands of Gazans, more than half of whom did not belong to fundamentalist militias.
To hinder the retaliation, Hamas cynically used masses of civilians from Gaza (including women and children) to turn schools, hospitals and other centers of social life into human shields against Israeli bombing.
It is now clear, however, that the decision to sacrifice tens of thousands of human lives in Gaza was taken by Hamas without our knowledge and had nothing to do with the interests of our people. The main purpose of the action, in fact, had to be, in the immediate future, to break the détente between Israel and Saudi Arabia; in perspective, to help Iran's genocidal anti-Jewish project. But this can only happen on the day when Iran has nuclear weapons and the mullahs' regime almost certainly decides to self-immolate in order to make Israel disappear from the face of the Earth. I don't think any of the militant Hamas militants in Gaza realize that Iran's fanaticism will also lead to the destruction of Gaza, the Palestinian world, and perhaps unleash a nuclear war on a larger scale.
Netanyahu is very guilty of the indiscriminate massacre of Gaza civilians, which cannot be justified by the desire to free the hostages, in the face of Hamas' refusal to negotiate - from the outset and protracted - and above all the passivity of international bodies, which must be held largely responsible for the massacres that have affected my people. The fact remains, however, that Hamas deliberately did not want to stop the massacres of our people, doing the only thing that the Israeli government legitimately demanded: the release of the hostages who are still alive.
This possibility of stopping the massacres has been indisputably confirmed with the current truce: it was enough to promise the release of about thirty hostages to obtain the immediate suspension of military operations. If Hamas had done so now – or even if it had not taken hostages – tens of thousands of Palestinians in Gaza, my fellow citizens and fellow Muslims, would still be alive today.
If I were to rank those responsible for what happened in Gaza, I would place Hamas/Iran first, then international organizations (which have lost all credibility in this crisis), and finally the Israeli government. As for the demonstrations supporting Hamas and the anti-Jewish rhetoric around the world (especially in U.S. campuses), I don’t even want to talk about them.
The hostage issue
All this leads me to formulate a hypothesis, perhaps cynical because it is based on the calculation of victims, in a context of total inhumanity: if Israel had decided to sacrifice the hostages—as it had done in the distant past when it refused to negotiate, such as at the Munich Olympics in 1972—would several thousand human lives have been spared?
Probably yes. It is terrible to admit it, but—after verifying that Hamas did not intend to release the hostages and that the entire world, starting with the United Nations, did not intend to act to free them—tens of thousands of human lives could have been saved if Israel had given up on rescuing the hostages and had bombed thoroughly, destroying the terrorist tunnels that extended for hundreds of kilometers.
Of the thousands of Israeli soldiers killed or wounded, how many would have been saved? And of the more than 40,000 Gazans killed, how many thousands would have survived?
The horrific question, imposed by Hamas’s actions, is as follows: would it have been right to sacrifice the approximately 200 hostages (half of whom were ultimately left to die in inhumane conditions) and thus avoid the death of hundreds of Israeli soldiers and tens of thousands of my fellow countrymen? The reasoning is cynical, but when it comes to saving human lives, one must have the courage to examine all possible hypotheses, without hypocrisy.
However, Netanyahu’s government either did not want or could not examine alternatives for the release of the hostages, as it was pressured by the religious fanatics of the Israeli far right and by the hostages' families, who began protesting from the very first day, which is entirely understandable. The result is evident to all and needs no comment.
For the future, I am very concerned, both because we Gazans continue to be tyrannized by Hamas and because the Israeli government has not officially declared that, from now on, it will no longer negotiate for the release of hostages. In the absence of such an official declaration, kidnappings will resume on a larger scale and will become the favored weapon of the many anti-Jewish terrorist groups. This will be facilitated by the return to action of thousands of Hamas militants and fueled by the understandable anger of Gazans who have seen their relatives die and their homes destroyed.
It seems incredible, but it is in our interest as Gazans for Israel to declare that it will no longer negotiate on hostage kidnappings. The price we paid this time for Hamas’s actions must never be paid again.
The macabre celebrations
With every hostage release, Hamas organizes a public celebration, with crowds of jubilant individuals cheering this vile and horrific crime. As a result, the image of us Gazans presented to the world is that of a barbaric, inhumane people still wrapped in feudal ideologies. We appear worse than the mob in ancient times that enjoyed watching martyrs being thrown to wild beasts in Roman amphitheaters during the circenses.
Not to mention that we Gazans seem to be celebrating a criminal act that led to the deaths of tens of thousands of our fellow countrymen. I see no respect for the memory of those who perished under the bombs or during mass exoduses. Instead of celebrating, we should declare ourselves in indefinite mourning, involving the entire Arab Palestinian world. This would be the humane image of us Gazans that we should present to the world, not that of wild and ferocious crowds gathering around poor victims who survived more than a year of inhumane captivity.
It is Hamas that orchestrates these grim celebrations, but once again, we Gazans have no way to prevent them. Protesting would mean being immediately killed. Here, it is not like in Israel, where, despite the war, people can demonstrate against the government every day and even stage a general strike. When will we Palestinian Arabs reach this level of civil and democratic maturity?
To prevent Hamas’s horrific crimes, we Gazans have been given no means of intervention, both due to the total absence of democracy in our small state and due to the responsibility of organizations like the United Nations, the Red Cross, Amnesty International, the Hague Tribunal, the Vatican, various NGOs, and all those international organizations that not only did nothing to force Hamas to release the hostages but did not even request to meet the kidnapped prisoners, appealing to humanitarian law. Who knows how many thousands of Gazans would still be alive if all these people (from António Guterres to Pope Francis) or even just some of them had done something to secure the hostages' release.
What future?
And yet, despite all this, the voice of us Gazans regarding our future continues to go unheard: should we remain here, in a destroyed country that will take at least 15 years to rebuild (if not more...), or should we start a new life elsewhere? This is an important decision, and for this reason, this time, our future must be decided by us.
If the alternative is between:
1) living in refugee camps, in a devastated, rubble-polluted territory full of unexploded bombs, still under Hamas's tyranny, and at risk of being massacred again every time new hostage abductions occur; or
2) moving to another Arab country, to civilized villages, in prefabricated homes, with jobs and social assistance assured, and without the dictatorship of Islamic fundamentalism—
then the choice we Gazans should and would probably make is almost obvious.
But, I repeat, this must be exclusively our choice, with clear alternatives in mind. We should be able to discuss among ourselves, the inhabitants of Gaza, without threats from Hamas leaders (the same ones who, in the first days, tried to stop the exodus of Gazans fleeing south, ordering them to stay and die under the bombs) and without interference from external observers. These have no right to intervene in our affairs but never miss a chance to say something. And here, I refer to the avalanche of outraged exclamations that greeted Trump's proposal regarding the relocation of surviving Gazans to a more hospitable part of the world.
Trump is Trump and is, of course, free to propose whatever he wants, even if he is generally unreliable and often fails to implement his statements. But the way his proposal for Gaza was ridiculed—deliberately distorted, without engaging in a serious discussion—is scandalous. It seems incredible, but so far, he has been the only political leader to have raised the concrete issue of our future, whether his solution is right or wrong, feasible or not.
What will become of Gaza, if we and the new generation have to live in a devastated land, still under the tyranny of Hamas (or whatever some new fundamentalist acronym will be called), in a regime of dictatorship and terror? The indignant are not interested in this: they are too in love with their own indignation to be able to ask themselves the concrete problem of what can be done to finally make the surviving Gaza residents live in civil, democratic and humanly decent conditions.
All the indignation that is now exploding, and which has not been there before for the massacres caused in Gaza by the action of Hamas, appears as a further offense to the memory of the tens of thousands of innocent victims. Let the indignant right-thinking people shut up once and for all - who would not go to live in the hell of today's Gaza even for a day - and leave it to us Gazesi to examine collectively, calmly and lucidly, what could be the best fate for us.
The "Two-State" alibi
And let those who continue to push the "two-state theory" be silent once and for all. This has become merely an alibi to soothe consciences without addressing the real future of Palestinian Arabs.
If there were ever a final opportunity to create a true Palestinian state, it was in 1947-48, hypothetically in what was then Transjordan. Israel said yes, the Arab League said no and attacked Israel. Since then, the two-state theory has become an empty slogan, good for easing consciences but unrealistic: two confessional and hostile states would only lead to new wars.
Wars that will always be won by the Israelis, but this is not a good reason to fuel the rise of new conflicts in the Middle East. Especially now that all the major Arab states have recognized or are about to recognize Israel. This is a great novelty compared to 1948, 1967, 1973 etc. The only irreducible bastion, a supporter of the anti-Jewish genocide, remains the Iran of the ayatollahs. This must be taken into account when talking about the future of Gaza. And perhaps the day is approaching when we will finally see a coalition of Arab states including Israel – which in the meantime has become a multi-ethnic state (a more precise formula than "multinational"), possibly secular and including the Palestinians – committed to bringing down the theocratic regime of Iran. In this, the Arab-Israeli coalition will be helped by the fact that the majority of the Iranian people are strongly hostile to this regime.
But the decisive proof that demonstrates the hypocrisy of those who hide behind the two-state theory lies in the fact that no one has the courage to say concretely where a real Palestinian state should be built, in which place. And this is because such a place does not exist, unless Saudi Arabia agrees - as is unlikely - to cede part of its immense and uninhabited territory. (A request already sent by Trump to Mohammad bin Salman, for the people of Gaza, and momentarily rejected at the sender.)
However, if there were still doubts about the senselessness of the two-state theory, what happened in the Gaza statelet should have dispelled them completely: as soon as Israel completely withdrew from Gaza territory, a military coup handed over its leadership to Hamas. And the control of Gaza served Hamas to prepare military aggression, regardless of the prices that the population would pay, indeed including those prices in the political strategy. An inhumane strategy that ended up backfiring on Hamas itself, which has suffered enormous losses (over 15,000 militants dead) and no longer has total control of the territory. He can only console himself that he has not yet disappeared, as Netanyahu had promised.
It is easy to predict that Israel will never again repeat the mistake made with Gaza. And however paradoxical it may seem, the first to benefit from this will be we Gazans, who, in these months of death and destruction, have cursed the day Israel withdrew from Gaza and left the field open for Hamas: what was supposed to be the beginning of independence instead turned into the massacre ofour people and the destruction of our country.
Provisional conclusion
All this leads me to repeat and conclude that, from now on, we Gazans must do everything possible to decide our own destiny.And this knowing full well that the thousands of former prisoners, Hamas militants, who have returned to freedom and still intend to kill Jews (including civilians), Palestinian opponents, real or alleged informants, will try to prevent us. It should not be forgotten, in fact, that the public shooting of some "collaborators" was the first thing done as soon as the truce began, to give a very clear signal: Hamas continues to have absolute power over the Gazans (although no longer over Gaza) and anyone who does not blindly obey will be eliminated.
In these conditions it will obviously be almost impossible for us people from Gaza to decide about our future. While the absence of channels of democratic expression, even minimal, risks leaving the field open to the various Trumps, anti-Trumps and more generally to the professional indignant (those, I repeat, in love above all with their own indignation).
Will my people finally be able to express themselves independently after nearly three millennia of subjugation and oppression?
Inshallah
روبرتو بن المساري
FRANÇAIS
PUIS-JE DIRE QUELQUE CHOSE MOI AUSSI, CITOYEN DE GAZA ?
par R. ibn al-Masari
(10 février 2025)
Je suis un Arabe palestinien, musulman « laïc » (si l'on peut dire ainsi), né dans la capitale de la bande de Gaza (Madīnat Ghazza) dans une famille de petits commerçants, elle-même descendante de nomades bédouins. J’ai obtenu une licence en sciences sociales à l’Université de Tel-Aviv et je suis marié à une biologiste. En arabe, mon nom Masari signifie « argent », mais j’en ai très peu. Je suis donc citoyen de l’un des plus petits États du monde : un minuscule territoire d’environ 41 km de long (Los Angeles est presque deux fois plus longue), avec une population qui, en octobre 2023, dépassait légèrement les 2 millions d’habitants. Bien que si petit, mon pays est néanmoins le produit géopolitique d’une histoire plurimillénaire de guerres incessantes et d’occupations successives.
Un peu d’histoire
Tout a commencé avec les Égyptiens vers le milieu du deuxième millénaire avant notre ère, et ils sont restés pendant plusieurs siècles, jusqu’à l’arrivée des Philistins (c’est d’eux que nous, Palestiniens, tirons notre nom), suivis par les Assyriens, les Israélites, les Égyptiens une deuxième fois, les Babyloniens, les Perses, les Grecs-Macédoniens, les Séleucides, les Maccabées, les Hasmonéens, les Romains, les Byzantins, les musulmans, les Croisés, les Ayyoubides (musulmans kurdes), les Mongols, les Mamelouks, les Ottomans et les Britanniques sous mandat (1920-1948). Certaines de ces occupations ont amélioré la vie de mon peuple ; d’autres l’ont appauvri et plongé dans le désespoir.
À la fin du mandat britannique, la résolution 181 de l’ONU, adoptée en 1947, stipulait que Gaza ferait partie du nouvel État palestinien : un deuxième État qui aurait dû voir le jour aux côtés d’Israël. Israël accepta la proposition des deux États, mais les principaux États arabes du Moyen-Orient — l’Égypte, la Transjordanie, la Syrie, le Liban et l’Irak, réunis dans la Ligue arabe (sans l’Arabie saoudite ni le Yémen) — la rejetèrent et empêchèrent la naissance de l’État de Palestine. Cela, car cette création impliquait la reconnaissance d’Israël et empêchait les annexions territoriales que ces pays projetaient de longue date dans la région palestinienne.
L’Égypte, en particulier, ambitionnait de s’emparer du territoire de Gaza pour des raisons purement coloniales, sans aucune justification d’ordre géographique, historique ou culturel... à moins de vouloir invoquer la brève période d’occupation lagide sous Cléopâtre VII, la célèbre reine.
Les cinq États arabes attaquèrent le tout jeune État d’Israël en 1948 — une guerre immédiatement condamnée par l’ONU et, entre autres, par les États-Unis et l’URSS (qui, via la Tchécoslovaquie, apporta une aide militaire à Israël) — mais ils furent sévèrement défaits : ce fut la tristement célèbre Nakba. C’est ainsi que mon pays perdit la grande opportunité historique de devenir partie intégrante du nouvel État arabo-palestinien voulu par l’ONU. La nouvelle résolution 194 de l’ONU ne changea rien.
En 1949, Israël signa des armistices séparés avec l’Égypte, le Liban, la Transjordanie (désormais Royaume hachémite de Jordanie) et la Syrie. Mon pays se retrouva alors sous occupation égyptienne. Mais en 1967, à l’issue de la Guerre des Six Jours, le gouvernement militaire égyptien fut chassé, seulement pour être remplacé par une occupation israélienne qui dura environ 27 ans.
Cette première occupation israélienne prit également fin et, en 1994, mon pays devint enfin indépendant — pour la première fois de son histoire plurimillénaire — grâce aux accords d’Oslo de 1993. Ceux-ci instauraient l’Autorité nationale palestinienne (ANP) et prévoyaient le retrait des forces israéliennes de notre territoire. L’accord fut respecté avec quelques difficultés par les deux parties, mais avec le temps, le retrait israélien devint total, y compris le démantèlement des colonies illégales implantées dans notre territoire.
Malheureusement, aucun référendum n’eut lieu pour valider cette indépendance, et nous, Gazaouis, ne fûmes pas consultés sur la naissance de notre nouvel État. Mais il était évident que nous aurions tous été d’accord sur un événement historique aussi merveilleux. Enfin libres, autonomes et indépendants : quelle émotion...
Une indépendance trop brève
Mais cette autonomie — conquise après plus de trois millénaires de soumission à des occupants étrangers et après tant de tragédies — fut de courte durée, bien que nous ayons pu élire notre premier gouvernement indépendant en 1996. Nous le confiâmes aux dirigeants de l’ANP, issus de l’ancienne Organisation de libération de la Palestine (al-Fatah), sous la direction de Yasser Arafat (qui, après sa mort en 2004, fut remplacé par Abu Mazen).
Les élections présidentielles de 2005 furent également remportées par al-Fatah, mais en 2006, les élections législatives furent gagnées par une organisation armée née en 1987 comme branche opérationnelle des Frères musulmans : le Hamas. Ce groupe sunnite fondamentaliste, adversaire radical de l’OLP, rejetait la solution des deux États (qui, d’une certaine manière, avait commencé à se concrétiser avec l’indépendance de Gaza, de certaines zones de Cisjordanie et de Jérusalem-Est) et refusait les accords d’Oslo, qui avaient pourtant permis notre indépendance.
Dans son document programmatique de 2017, au point 20, l'idée de l'expulsion « du fleuve à la mer » des Juifs résidant en Israël a été reproposée, c'est-à-dire leur extermination. Un dessein génocidaire qui avait déjà émergé avec Amin al-Husseini, le grand mufti de Jérusalem, à l'époque où il collaborait avec les SS nazis et recrutait des musulmans pour eux au Moyen-Orient et en Bosnie. Les mêmes idées, « jeter les Juifs par-dessus bord », ont ensuite été reprises par Ahmad al-Shukeiri, le premier président de l'OLP jusqu'en 1967, date à laquelle il a été remplacé par Arafat. Des intentions inhumaines que la majorité, ou du moins la meilleure partie de mon peuple, rejettent et qui n'ont heureusement aucune chance de se concrétiser.
En 2007, après la victoire électorale du Hamas (due principalement aux votes des Gazaouis), le conflit avec l’ANP de Cisjordanie se décida par les armes. Il y eut des exécutions de militants des deux côtés, mais la victoire du Hamas était inévitable, compte tenu de la supériorité militaire de ses milices entraînées au terrorisme et du soutien financier de l’Iran.
La dictature du Hamas
Le Hamas prit le contrôle total de Gaza et y instaura une dictature islamique fondamentaliste, consacrée essentiellement à la lutte contre Israël, entendue comme l’extermination des Juifs israéliens.
Nous, Gazaouis, n’avons eu aucune possibilité d’empêcher cet affrontement militaire avec l’OLP et sommes restés passifs face à cette guerre fratricide entre Palestiniens. Nous ne pouvions pas non plus imaginer l’immense tragédie que la victoire du Hamas préparait pour notre peuple.
Nous sommes restés passifs même dans les années qui ont suivi, alors que le nouveau gouvernement de notre petit État utilisait ses énormes ressources financières (un budget d'environ deux milliards de dollars par an, provenant des États arabes, de l'UE, des organes des Nations Unies et surtout de l'Iran) pour augmenter son arsenal de guerre, creuser des tunnels souterrains et organiser des attaques et des lancements de missiles contre Israël. au lieu de les utiliser pour améliorer la vie sociale de la population de Gaza. De nombreux observateurs ont déclaré qu'avec cette masse d'argent, un grand développement économique pourrait être donné à la bande de Gaza et changer le destin de notre peuple. Le gouvernement Netanyahu était coresponsable de ce grand crime « économique », qui, à travers le Qatar, a facilité le flux d'argent vers le Hamas afin d'affaiblir l'Autorité palestinienne de Cisjordanie et le régime d'Abou Mazen.
Cette folie, résultat de l'aveuglement politique, a été évoquée par les journaux du monde entier. Et le gouvernement israélien lui-même a dû se repentir amèrement : s'il avait été bloqué à temps, le Hamas n'aurait pas pu mener le pogrom anti-juif, avec tout ce qui s'en est suivi.
Le pogrom du 7 octobre
Le 7 octobre 2023, le Hamas déclara la guerre à Israël en assassinant de manière atroce environ 1 200 civils israéliens et en prenant 254 otages.
L'image qui a été donnée au monde extérieur de nous, les musulmans palestiniens, comme des meurtriers barbares est horrible. Cependant, il faut faire savoir au monde que nous, les non-membres du Hamas de Gaza, n'avons pas eu la moindre occasion d'intervenir ou de faire entendre notre voix. L'initiative féroce du Hamas ne doit pas être imputée à l'ensemble de la population de Gaza : dans une situation démocratique et non dans une dictature militaire, peut-être l'aurions-nous empêchée. Mais l'espoir d'une démocratie pour le monde palestinien – y compris l'Autorité palestinienne de Cisjordanie – est encore loin de se réaliser.
Le Hamas a déclaré la guerre à Israël, sachant très bien que c'était une guerre ingagnable et qu'elle causerait la mort et la destruction dans notre pays. Il avait été budgétisé que des dizaines de milliers d'entre nous, civils, mourrions, juste pour pouvoir garder les otages. Tout cela sans nous prévenir depuis Gaza, laissés sans défense face aux représailles israéliennes prévisibles. Ce qui est allé bien au-delà des attentes du Hamas (et peut-être de l'Iran son marionnettiste) et a conduit à la mort de dizaines de milliers de Gazaouis, dont plus de la moitié n'appartenaient pas à des milices fondamentalistes. Pour entraver les représailles, le Hamas a cyniquement utilisé des masses de civils de Gaza (y compris des femmes et des enfants) pour transformer les écoles, les hôpitaux et d'autres centres de la vie sociale en boucliers humains contre les bombardements israéliens.
Nous, Gazaouis non affiliés au Hamas, n’avons eu aucun moyen de nous exprimer ni d’empêcher cette action. Cette initiative sanguinaire ne doit pas être attribuée à l’ensemble du peuple de Gaza. Dans une situation démocratique, et non sous une dictature militaire, nous aurions peut-être pu l’empêcher.
Il est maintenant clair, cependant, que la décision de sacrifier des dizaines de milliers de vies humaines à Gaza a été prise par le Hamas à notre insu et n'avait rien à voir avec les intérêts de notre peuple. En fait, l'objectif principal de l'action devait être, dans un avenir immédiat, de briser la détente entre Israël et l'Arabie saoudite ; en perspective, pour aider le projet anti-juif génocidaire de l'Iran. Mais cela ne peut se produire que le jour où l'Iran aura des armes nucléaires et où le régime des mollahs décidera presque certainement de s'auto-immoler afin de faire disparaître Israël de la surface de la Terre. Je ne pense pas qu'aucun des militants du Hamas à Gaza se rende compte que le fanatisme de l'Iran conduira également à la destruction de Gaza, du monde palestinien, et peut-être déclenchera une guerre nucléaire à plus grande échelle.
Netanyahou est très coupable du massacre aveugle des civils de Gaza, qui ne peut être justifié par la volonté de libérer les otages, face au refus du Hamas de négocier - dès le départ et de longue date - et surtout à la passivité des organismes internationaux, qui doivent être tenus pour largement responsables des massacres qui ont touché mon peuple. Il n'en reste pas moins que le Hamas n'a délibérément pas voulu arrêter les massacres de notre peuple, faisant la seule chose que le gouvernement israélien exigeait légitimement : la libération des otages encor vivants.
Cette possibilité d'arrêter les massacres s'est incontestablement confirmée avec la trêve actuelle : il suffisait de promettre la libération d'une trentaine d'otages pour obtenir la suspension immédiate des opérations militaires. Si le Hamas l'avait fait aujourd'hui – ou même s'il n'avait pas pris d'otages – des dizaines de milliers de Palestiniens de Gaza, mes concitoyens et mes compatriotes musulmans, seraient encore en vie aujourd'hui. Si je voulais faire un classement des coupables de ce qui s'est passé à Gaza, je mettrais d'abord le Hamas/Iran, puis les organismes internationaux (qui ont perdu toute crédibilité résiduelle dans cette affaire) et enfin le gouvernement israélien. Je ne veux même pas parler des manifestations de soutien au Hamas et des déclarations anti-juives dans le monde (à commencer par les campus américains).
La question des otages
Tout cela me conduit à formuler une hypothèse, peut-être cynique parce qu’elle est fondée sur le calcul des victimes, dans un contexte de totale inhumanité : si Israël avait décidé de sacrifier les otages – comme il l’avait fait dans un passé lointain, lorsqu’il refusait de négocier, comme par exemple aux Jeux olympiques de Munich en 1972 – aurait-on épargné plusieurs milliers de vies humaines. ?
Probablement oui. Il est terrible de l’admettre, mais – après avoir constaté que le Hamas ne comptait pas libérer les otages et que le monde entier, à commencer par les Nations Unies, ne voulait pas intervenir pour les libérer – des dizaines de milliers de vies humaines auraient été épargnées si Israël avait renoncé à sauver les otages et bombardé en profondeur, jusqu’à détruire complètement les tunnels des terroristes, qui s’étendent sur des centaines de kilomètres.
Parmi les milliers de soldats israéliens tués ou blessés, combien auraient été épargnés ? Et parmi les plus de 40 000 Gazaouis tués, combien de milliers auraient survécu ?
La question est horrible, mais elle s’impose face à l’action du Hamas : aurait-il été juste de sacrifier les quelque 200 otages (dont la moitié ont de toute façon été laissés mourir dans des conditions inhumaines) afin d’éviter la mort de plusieurs centaines de soldats israéliens et de plusieurs dizaines de milliers de mes compatriotes ? Le raisonnement est cynique, mais lorsqu’il s’agit de sauver des vies humaines, il faut avoir le courage d’examiner toutes les hypothèses possibles, sans hypocrisie.
Le gouvernement de Netanyahu, cependant, n’a pas voulu ou n’a pas pu examiner d’autres alternatives pour la libération des otages, car il était sous la pression des fanatiques religieux de l’extrême droite israélienne et des familles des otages, qui ont commencé à manifester dès le premier jour, ce qui est humainement compréhensible. Le résultat est sous les yeux de tous et ne nécessite aucun commentaire.
Pour l’avenir, je suis très inquiet, d’une part parce que nous, Gazaouis, continuons d’être tyrannisés par le Hamas, d’autre part parce que le gouvernement israélien ne déclare pas officiellement qu’à partir de maintenant, il n’acceptera plus de négociations pour les enlèvements d’otages. En l’absence d’une telle déclaration officielle, en effet, les enlèvements reprendront à plus grande échelle et deviendront l’arme favorite des nombreux groupes terroristes antijuifs. Cela sera favorisé par le retour à l’action de milliers de militants du Hamas et alimenté par la colère compréhensible des Gazaouis qui ont vu mourir leurs proches et être détruites leurs habitations.
Cela peut sembler incroyable, mais il est dans l’intérêt de nous, Gazaouis, qu’Israël déclare ne plus accepter de négocier les enlèvements d’otages. Le prix que nous avons payé cette fois-ci pour l’action du Hamas, nous ne devons plus le payer.
Les macabres manifestations de joie
À chaque libération d’otages, le Hamas organise une manifestation de liesse populaire, avec des foules en fête qui glorifient ce crime vil et horrible. Cela fait que l’image que nous, Gazaouis, offrons au monde est celle d’un peuple barbare, inhumain et encore plongé dans des idéologies féodales. Nous paraissons pires que la plèbe de l’Antiquité qui se réjouissait à la vue des martyrs livrés aux bêtes féroces dans les amphithéâtres romains durant les jeux du cirque.
Sans compter que nous, Gazaouis, semblons nous réjouir d’un acte criminel qui a conduit à la mort de dizaines de milliers de nos compatriotes. Je ne vois aucun respect pour la mémoire de ceux qui sont morts sous les bombes ou lors des exodes de masse. Plutôt que de célébrer, nous devrions nous déclarer en deuil pour une durée indéterminée, impliquant dans ce deuil tout le monde arabe palestinien. C’est cette image humaine de nous, Gazaouis, que nous devrions offrir au monde, et non celle de foules hurlantes et féroces qui se rassemblent autour de pauvres victimes, survivantes à plus d’un an de captivité inhumaine.
C’est le Hamas qui orchestre ces lugubres manifestations de joie, mais, une fois de plus, nous, Gazaouis, n’avons aucun moyen de les empêcher. Protester signifierait être immédiatement exécuté. Chez nous, ce n’est pas comme en Israël où, malgré la guerre, il est possible de manifester contre le gouvernement tous les jours, voire de faire une grève générale. Quand atteindrons-nous, nous, Arabes palestiniens, ce degré de maturité civique et démocratique ?
Pour empêcher ces crimes horribles du Hamas, nous, les Gazaouis, n'avons pas eu la possibilité d'intervenir, à la fois en raison de l'absence totale de démocratie dans notre petit État, et en raison de la responsabilité d'organismes tels que les Nations Unies, la Croix-Rouge, Amnesty International, le Tribunal de La Haye, le Vatican, diverses ONG et toutes ces organisations internationales qui non seulement n'ont rien fait pour forcer le Hamas à libérer les otages. Mais ils n'ont pas non plus demandé à pouvoir rencontrer les prisonniers kidnappés, en invoquant le droit humanitaire. Qui sait combien de milliers de personnes de Gaza seraient encore en vie si toutes (d'António Guterres au pape François) ou seulement certaines d'entre elles avaient fait quelque chose pour obtenir la libération des otages.
Quel avenir ?
Malgré tout cela, on continue de refuser d’entendre la voix de nous, Gazaouis, sur notre avenir : devons-nous rester ici, dans un pays détruit et à reconstruire dans les 15 prochaines années (ou plus, qui sait...), ou bien commencer une nouvelle vie ailleurs ? C’est un choix important, et c’est pourquoi cette fois-ci, notre avenir, nous devons le décider nous-mêmes.
Si l’alternative est entre :
1) Vivre dans des camps de réfugiés, sur un territoire dévasté, pollué par les décombres, jonché de bombes non explosées, toujours tyrannisés par le Hamas et sous la menace d’être à nouveau massacrés chaque fois qu’il y aura de nouveaux enlèvements d’otages ;
2) Aller vivre dans un autre pays arabe, dans des villages civilisés, dans des maisons préfabriquées, avec des emplois et une assistance sociale assurée, et sans la dictature du fondamentalisme islamique ;
Eh bien, le choix que nous, Gazaouis, devrions faire, et probablement ferions, est presque évident.
Mais, encore une fois, ce choix doit être exclusivement le nôtre, avec une vision claire des alternatives.
Mais, je le répète, cela doit être exclusivement notre choix, en ayant des alternatives claires. Nous devrions être en mesure de discuter entre nous des Gazaouis, sans les menaces des dirigeants du Hamas (les mêmes qui, dans les premiers jours, ont essayé d'arrêter l'exode des Gazaouis fuyant vers le sud, en leur ordonnant de rester et de mourir sous les bombes) et sans conditionnement de la part d'observateurs extérieurs. Ils n'ont pas le droit d'intervenir dans nos affaires, mais ils ne manquent pas l'occasion de dire quelque chose. Et je veux dire ici l'avalanche d'exclamations indignées avec laquelle la proposition de Trump concernant le transfert des Gazaouis survivants vers une partie du monde plus accueillante a été accueillie
Trump est Trump et il est évidemment libre de proposer ce qu'il veut, même s'il n'est généralement pas fiable et ne traduit pas non plus beaucoup de ses déclarations dans la pratique. Mais il est scandaleux de voir comment sa proposition pour Gaza a été ridiculisée, et plus encore qu'elle ne l'a déformée à volonté, sans qu'il y ait eu une discussion sérieuse à ce sujet. Cela semble incroyable, mais jusqu'à présent, il a été le seul dirigeant politique à avoir posé le problème concret de notre avenir, à tort ou à raison, que la solution proposée soit, réalisable ou irréalisable.
Qu'adviendra-t-il de Gaza, si nous et la nouvelle génération devons vivre dans un pays dévasté, toujours sous la tyrannie du Hamas (ou quel que soit le nom qu'on donnera à un nouvel acronyme fondamentaliste), dans un régime de dictature et de terreur? Les indignés s'en moquent : ils sont trop amoureux de leur propre indignation pour pouvoir se poser le problème concret de ce qui peut être fait pour que les Gazaouis survivants vivent dans des conditions civiles, démocratiques et humainement décentes. Toute l'indignation qui est en train d'exploser, et qui n'a jamais existé auparavant pour les massacres causés à Gaza par l'action du Hamas, apparaît comme une offense supplémentaire à la mémoire des dizaines de milliers de victimes innocentes. Que les gens bien pensants indignés se taisent une fois pour toutes - qui n'iraient pas vivre dans l'enfer de Gaza d'aujourd'hui, même pour un jour - et laissons à nous, Gazesi, le soin d'examiner collectivement, calmement et lucidement, ce qui pourrait être le meilleur sort pour nous.
L’alibi des « deux États »
Que cessent une fois pour toutes les propagateurs de la « théorie des deux États ». Elle est devenue un simple alibi pour se donner bonne conscience et éviter d’affronter concrètement l’avenir des Arabes palestiniens.
En 1947-48, il y avait une dernière possibilité de créer un véritable État palestinien, hypothétiquement en Transjordanie. Israël a dit oui, la Ligue arabe a dit non et a agressé Israël. Depuis, la théorie des deux États est devenue un slogan vide, bon pour apaiser les consciences, mais irréaliste : deux États, tous deux confessionnels et hostiles, ne mèneraient qu’à de nouvelles guerres.
Des guerres qui seront toujours gagnées par les Israéliens, mais ce n'est pas une bonne raison pour alimenter la montée de nouveaux conflits au Moyen-Orient. Surtout maintenant que tous les grands États arabes ont reconnu ou sont sur le point de reconnaître Israël. C'est une grande nouveauté par rapport à 1948, 1967, 1973 etc. Le seul bastion irréductible, partisan du génocide anti-juif, reste l'Iran des ayatollahs. Il faut en tenir compte lorsque l'on parle de l'avenir de Gaza. Et peut-être le jour approche-t-il où nous verrons enfin une coalition d'États arabes, y compris Israël – qui est entre-temps devenu un État multiethnique (une formule plus précise que « multinationale »), peut-être laïc et incluant les Palestiniens – engagée à faire tomber le régime théocratique de l'Iran. En cela, la coalition israélo-arabe sera aidée par le fait que la majorité du peuple iranien est fortement hostile à ce régime.
Mais la preuve décisive qui démontre l'hypocrisie de ceux qui se cachent derrière la théorie des deux États réside dans le fait que personne n'a le courage de dire concrètement où un véritable État palestinien devrait être construit, à quel endroit. Et c'est parce qu'un tel lieu n'existe pas, à moins que l'Arabie saoudite n'accepte - ce qui est peu probable - de céder une partie de son immense territoire inhabité. (Une demande déjà envoyée par Trump à Mohammed ben Salmane, pour le peuple de Gaza, et momentanément rejetée par l'expéditeur.)
Cependant, s'il y avait encore des doutes sur l'absurdité de la théorie des deux États, ce qui s'est passé dans le mini-État de Gaza aurait dû les dissiper complètement : dès qu'Israël s'est complètement retiré du territoire de Gaza, un coup d'État militaire a remis sa direction au Hamas. Et le contrôle de Gaza a servi le Hamas à préparer une agression militaire, quels que soient les prix que la population paierait, en incluant même ces prix dans la stratégie politique. Une stratégie inhumaine qui s'est retournée contre le Hamas lui-même, qui a subi d'énormes pertes (plus de 15 000 militants tués) et n'a plus le contrôle total du territoire. Il ne peut que se consoler en se disant qu'il n'a pas encore disparu, comme Netanyahu l'avait promis.
Il est facile de prévoir qu’Israël ne répétera jamais l’erreur commise avec Gaza. Et aussi paradoxal que cela puisse paraître, les premiers à en bénéficier seront justement les Gazaouis, qui, en ces mois de mort et de destruction, auront maudit le jour où Israël s’est retiré de Gaza, laissant le champ libre au Hamas : cela devait être le début de l’indépendance, et cela s’est transformé en massacre de notre peuple et en destruction de notre pays.
Conclusion provisoire
Tout cela m'amène à répéter et à conclure qu'à partir de maintenant, nous devrons tout faire pour décider de notre destin. Et cela en sachant pertinemment que les milliers d'anciens prisonniers, militants du Hamas, qui ont retrouvé la liberté et comptent toujours tuer des Juifs (y compris des civils), des opposants palestiniens, des informateurs réels ou présumés, tenteront de nous en empêcher. Il ne faut pas oublier, en effet, que l'exécution publique de certains « collaborateurs » a été la première chose faite dès le début de la trêve, pour donner un signal très clair : le Hamas continue d'avoir un pouvoir absolu sur les Gazaouis (bien qu'il ne soit plus sur Gaza) et quiconque n'obéit pas aveuglément sera éliminé.
Dans ces conditions, il sera évidemment presque impossible pour nous, les Gazaouis, de décider de notre avenir. Tandis que l'absence de canaux d'expression démocratique, même minimes, risque de laisser le champ libre aux différents Trump, anti-Trump et plus généralement aux professionnels indignés (ceux, je le répète, amoureux avant tout de leur propre indignation).
Mon peuple pourra-t-il enfin s’exprimer de manière autonome après environ trois millénaires de soumission et d’oppression ?
Inshallah
روبرتو بن المساري
ESPANOL
¿PUEDO DECIR ALGO YO TAMBIÉN, CIUDADANO DE GAZA?
de R. ibn al-Masari
(10 de febrero de 2025)
Soy un árabe palestino, musulmán "laico" (si se puede decir así), nacido en la capital de la Franja de Gaza (Madīnat Ghazza) en el seno de una familia de pequeños comerciantes, descendiente a su vez de nómadas beduinos. Me licencié en Ciencias Sociales en la Universidad de Tel Aviv y estoy casado con una bióloga. En árabe, mi apellido Masari significa "dinero", pero yo tengo muy poco. Soy ciudadano, por lo tanto, de uno de los Estados más pequeños del mundo: un miniestado de unos 41 km de longitud (Los Ángeles mide casi el doble), con una población que en octubre de 2023 apenas superaba los 2 millones. A pesar de su reducido tamaño, mi país es el producto geopolítico de una historia milenaria de continuas guerras y ocupaciones.
Un poco de historia
Los egipcios fueron los primeros en llegar hacia la mitad del segundo milenio y permanecieron durante varios siglos, hasta que llegaron los filisteos (de ellos deriva nuestro nombre de palestinos), seguidos por los asirios, los israelitas, nuevamente los egipcios en dos ocasiones, los babilonios, los persas, los griegos-macedonios, los seléucidas, los macabeos, los asmoneos, los romanos, los bizantinos, los islámicos, los cruzados, los ayubíes (curdo-musulmanes), los mongoles, los mamelucos, los otomanos y los británicos bajo mandato (1920-1948). Algunas de estas ocupaciones mejoraron la vida de mi pueblo; otras lo empobrecieron y lo llevaron a la desesperación.
Al final del Mandato Británico, la Resolución 181 de la ONU estableció en 1947 que Gaza también formaría parte del nuevo Estado palestino: un segundo Estado que debía nacer junto a Israel. Israel aceptó la propuesta de los dos Estados, pero los principales países árabes de Oriente Medio –Egipto, Transjordania, Siria, Líbano e Irak, reunidos en la Liga Árabe (sin Arabia Saudita ni Yemen)– la rechazaron e impidieron el nacimiento del Estado de Palestina. Esto se debía a que implicaba el reconocimiento de Israel y obstaculizaba las anexiones territoriales de la región palestina que estos Estados habían estado planeando durante mucho tiempo.
Egipto, en particular, tenía la intención de apoderarse del territorio de Gaza con fines puramente coloniales, sin ninguna justificación de orden geográfico, histórico o cultural... a menos que se quiera recordar el breve período de ocupación ptolemaica en tiempos de Cleopatra VII, la famosa reina.
Los cinco Estados árabes atacaron al recién nacido Estado de Israel en 1948, una guerra que fue inmediatamente condenada por la ONU y, entre otros, por EE.UU. y la URSS (que ayudó militarmente a Israel a través de Checoslovaquia), pero fueron duramente derrotados: fue la tristemente célebre Nakba. Y así fue como mi país perdió la gran oportunidad histórica de convertirse en parte del nuevo Estado árabe-palestino deseado por la ONU. Ni siquiera la nueva Resolución 194 de la ONU sirvió de nada.
En 1949, Israel firmó armisticios separados con Egipto, Líbano, Transjordania (ahora Reino Hachemita de Jordania) y Siria. Y así fue como a mi país le tocó ser ocupado por Egipto. Pero en 1967, al final de la Guerra de los Seis Días, el gobierno militar de los ocupantes egipcios fue expulsado, solo para ser reemplazado por la ocupación israelí, que duraría aproximadamente 27 años.
También la primera ocupación israelí llegó a su fin y, en 1994, mi país finalmente se convirtió en independiente –por primera vez en su historia milenaria– gracias a los Acuerdos de Oslo de 1993. Estos establecían la Autoridad Nacional Palestina y el retiro de los ocupantes israelíes de nuestra tierra. El acuerdo fue cumplido con algunas dificultades por ambas partes, pero con el tiempo el retiro israelí fue total, es decir, se desmantelaron también los asentamientos ilegales establecidos en nuestro territorio.
Lamentablemente, no se realizó un referéndum sobre la independencia y los gazatíes no fuimos consultados sobre la creación de nuestro nuevo Estado, pero era evidente que todos habríamos estado de acuerdo con un acontecimiento histórico tan maravilloso. Finalmente libres, autónomos e independientes: qué emoción...
Una independencia demasiado breve
Sin embargo, la autonomía –conquistada tras más de tres milenios de sometimiento a ocupantes extranjeros y después de tantas tragedias– duró poco, aunque el primer gobierno de la Gaza independiente lo pudimos elegir nosotros en 1996. Se lo dimos al grupo dirigente de la ANP, es decir, a los representantes de la vieja Organización para la Liberación de Palestina (Al Fatḥ), reunidos en torno a Yasser Arafat (quien, tras su muerte en 2004, sería reemplazado por Abu Mazen).
Las elecciones presidenciales de 2005 también fueron ganadas por Al Fatḥ, pero perdió las elecciones legislativas de 2006 frente a una organización armada nacida en 1987 como el brazo operativo de los Hermanos Musulmanes: Hamás. Este grupo suní y fundamentalista era un enemigo radical de la OLP, rechazaba la solución de los dos Estados y se oponía a los Acuerdos de Oslo, que eran la base de nuestra independencia lograda.
En su Documento Programático de 2017, en el punto 20, Hamás reafirmaba la idea de expulsar "del río al mar" a los judíos residentes en Israel, es decir, su exterminio. Un propósito genocida que ya había sido promovido por Amin al-Husseini, el Gran Muftí de Jerusalén, en la época en que colaboraba con las SS nazis y reclutaba musulmanes para ellos en Medio Oriente y Bosnia.
Las mismas ideas, de "tirar a los judíos por la borda", fueron retomadas más tarde por Ahmad al-Shukeiri, el primer presidente de la OLP hasta 1967, cuando fue reemplazado por Arafat. Intenciones inhumanas que la mayoría, o al menos la mejor parte de mi pueblo, rechaza y que afortunadamente no tienen ninguna posibilidad de concretarse.
En 2007, tras la victoria electoral de Hamás, el conflicto con la ANP en Cisjordania se resolvió por las armas. Hubo ejecuciones de militantes de ambos lados, pero Hamás no podía sino imponerse, dado su poderío militar y la ayuda financiera de Irán.
La dictadura de Hamás
Hamás tomó el control total de Gaza e instauró una dictadura islámica fundamentalista, centrada en organizar la lucha contra Israel. Nosotros, los gazatíes, no tuvimos la posibilidad de evitar el enfrentamiento armado con la OLP ni de prever la tragedia que la victoria de Hamás preparaba para nuestro pueblo.
Permanecimos pasivos incluso en los años siguientes, mientras el nuevo gobierno de nuestro pequeño Estado se valía de sus enormes recursos financieros (un presupuesto de unos 2.000 millones de dólares al año, procedentes de los Estados árabes, de la UE, de los organismos de las Naciones Unidas y, sobre todo, de Irán) para aumentar su arsenal bélico, cavar túneles subterráneos y organizar ataques y lanzamientos de misiles contra Israel. en lugar de utilizarlos para mejorar la vida social de la población de Gaza. Muchos observadores dijeron que con esa masa de dinero se podría dar un gran desarrollo económico a la Franja de Gaza y cambiar el destino de nuestro pueblo. El gobierno de Netanyahu fue corresponsable de este gran crimen "económico", que a través de Qatar facilitó el flujo de dinero a Hamas con el fin de debilitar a la ANP de Cisjordania y al régimen de Abu Mazen.
Sin embargo, esta locura, fruto de la ceguera política, ha sido comentada por los periódicos de todo el mundo. Y el propio gobierno israelí tuvo que lamentar amargamente: si se le hubiera bloqueado a tiempo, Hamás no podría haber llevado a cabo el pogromo antijudío, con todo lo que vino después.
El pogromo del 7 de octubre
El 7 de octubre de 2023, Hamás declaró la guerra a Israel, matando en territorio israelí de manera atroz (con violaciones, descuartizamientos y torturas de todo tipo, incluso contra mujeres y niños) a unos 1.200 ciudadanos desarmados y secuestrando a 254 civiles como rehenes. La imagen que se ha dado al mundo exterior de nosotros, los musulmanes palestinos, como asesinos bárbaros es horrible. Sin embargo, hay que dar a conocer al mundo que a nosotros, los que no somos de Hamas, no hemos tenido la menor oportunidad de intervenir o de hacer oír nuestras voces. No hay que culpar de la feroz iniciativa de Hamás a todo el pueblo de Gaza: en una situación democrática y no en una dictadura militar, tal vez la habríamos impedido. Pero la esperanza de democracia para el mundo palestino -incluida la Autoridad Palestina de Cisjordania- está aún lejos de hacerse realidad.
Hamas declaró la guerra a Israel, a sabiendas de que era una guerra imposible de ganar y que causaría muerte y destrucción en nuestro país. Se presupuestó que decenas de miles de civiles moriríamos solo para poder mantener a los rehenes. Todo esto sin avisarnos desde Gaza, dejada indefensa ante las previsibles represalias israelíes. Lo que superó con creces las expectativas de Hamás (y tal vez de Irán, su titiritero) y provocó la muerte de decenas de miles de gazatíes, más de la mitad de los cuales no pertenecían a las milicias fundamentalistas. Para obstaculizar las represalias, Hamás utilizó cínicamente a masas de civiles de Gaza (incluyendo mujeres y niños) para convertir escuelas, hospitales y otros centros de la vida social en escudos humanos contra los bombardeos israelíes.
Sin embargo, ahora está claro que la decisión de sacrificar decenas de miles de vidas humanas en Gaza fue tomada por Hamas sin nuestro conocimiento y no tuvo nada que ver con los intereses de nuestro pueblo. El objetivo principal de la acción, de hecho, tenía que ser, en el futuro inmediato, romper la distensión entre Israel y Arabia Saudita; en perspectiva, para ayudar al proyecto genocida antijudío de Irán. Pero esto sólo puede suceder el día en que Irán tenga armas nucleares y el régimen de los mulás decida casi con toda seguridad autoinmolarse para hacer desaparecer a Israel de la faz de la Tierra. No creo que ninguno de los militantes de Hamas en Gaza se dé cuenta de que el fanatismo de Irán también conducirá a la destrucción de Gaza, el mundo palestino, y tal vez desencadene una guerra nuclear a mayor escala.
Netanyahu es muy culpable de la masacre indiscriminada de civiles de Gaza, que no puede justificarse por el deseo de liberar a los rehenes, frente a la negativa de Hamas a negociar -desde el principio y prolongadamente- y sobre todo la pasividad de los organismos internacionales, a los que hay que responsabilizar en gran medida de las masacres que han afectado a mi pueblo. Sin embargo, el hecho es que Hamas deliberadamente no quiso detener las masacres de nuestro pueblo, haciendo lo único que el gobierno israelí exigía legítimamente: la liberación de los rehenes que aún estaban vivos.
Esta posibilidad de detener las masacres ha sido confirmada indiscutiblemente con la tregua actual: bastaba con prometer la liberación de una treintena de rehenes para obtener la suspensión inmediata de las operaciones militares. Si Hamás lo hubiera hecho ahora, o incluso si no hubiera tomado rehenes, decenas de miles de palestinos en Gaza, mis conciudadanos y compatriotas musulmanes, seguirían vivos hoy. Si quisiera hacer una clasificación de los culpables de lo que sucedió en Gaza, pondría en primer lugar a Hamas/Irán, luego a los organismos internacionales (que han perdido cualquier credibilidad residual en este asunto) y finalmente al gobierno israelí. Ni siquiera quiero hablar de las manifestaciones de apoyo a Hamas y las declaraciones antijudías en todo el mundo (empezando por las universidades estadounidenses).
La cuestión de los rehenes
Todo esto me lleva a formular una hipótesis, quizás cínica porque se basa en el cálculo de víctimas, en un contexto de total inhumanidad: si Israel hubiera decidido sacrificar a los rehenes –como hizo en un pasado lejano, cuando se negó a negociar, por ejemplo, en los Juegos Olímpicos de Múnich en 1972–, ¿se habrían salvado algunos miles de vidas humanas?
Probablemente sí. Es terrible admitirlo, pero –tras verificar que Hamás no tenía intención de ceder a los rehenes y que el mundo entero, empezando por las Naciones Unidas, no tenía intención de actuar para liberarlos– decenas de miles de vidas humanas se habrían salvado si Israel hubiera renunciado a rescatar a los rehenes y hubiera bombardeado a fondo, hasta destruir completamente los túneles de los terroristas, que se extienden por cientos de kilómetros.
De los miles de soldados israelíes muertos o heridos, ¿cuántos se habrían salvado? Y de los más de 40.000 gazatíes asesinados, ¿cuántos miles habrían sobrevivido?
La pregunta es horrenda, pero impuesta por la acción de Hamás: ¿habría sido correcto sacrificar a los aproximadamente 200 rehenes (la mitad de los cuales, en cualquier caso, fueron asesinados en condiciones inhumanas) y evitar así la muerte de algunos cientos de soldados israelíes y de algunas decenas de miles de mis compatriotas? El razonamiento es cínico, pero cuando se trata de salvar vidas humanas hay que tener el valor de examinar todas las hipótesis posibles, sin hipocresías.
El gobierno de Netanyahu, sin embargo, no quiso o no pudo examinar alternativas para la liberación de los rehenes, presionado por los fanáticos religiosos de la extrema derecha israelí y por los familiares de los rehenes, que comenzaron a manifestarse desde el primer día, como es humanamente comprensible. El resultado está a la vista de todos y no requiere comentarios.
Para el futuro, estoy muy preocupado, tanto porque nosotros, los gazatíes, seguimos siendo tiranizados por Hamás, como porque el gobierno israelí no declara oficialmente que de ahora en adelante no aceptará más negociaciones por los secuestros de rehenes. En ausencia de tal declaración oficial, de hecho, los secuestros se reanudarán a mayor escala y se convertirán en el arma favorita de los numerosos grupos terroristas antijudíos. Esto se verá favorecido por el regreso a la actividad de miles de militantes de Hamás y será alimentado por la comprensible rabia de los gazatíes que han visto morir a sus familiares y destruir sus hogares. Parece increíble, pero es de nuestro interés como gazatíes que Israel declare que no aceptará más negociar sobre el secuestro de rehenes. El precio que hemos pagado esta vez por la acción de Hamás no debemos volver a pagarlo.
Las macabras manifestaciones de alegría
Con cada liberación de rehenes, Hamás organiza una manifestación de júbilo popular, con multitudes de personas celebrando y vitoreando este vil y horrendo crimen. Esto hace que la imagen de nosotros, los gazatíes, ante los ojos del mundo, sea la de un pueblo bárbaro, inhumano y todavía envuelto en ideologías feudales. Parecemos peores que la plebe de la Antigüedad que disfrutaba viendo a los mártires ser devorados por las fieras en los anfiteatros romanos durante los circenses.
Sin contar que nosotros, los gazatíes, parecemos regocijarnos por una empresa criminal que ha causado la muerte de decenas de miles de nuestros compatriotas. No veo respeto por la memoria de quienes murieron bajo las bombas o durante los éxodos masivos. En lugar de celebrar, deberíamos declararnos en luto indefinido, involucrando en el duelo a todo el mundo árabe palestino. Esta sería la imagen humana que deberíamos ofrecer al mundo y no la de multitudes furiosas y salvajes que se aglomeran en torno a pobres víctimas, sobrevivientes de más de un año de inhumano cautiverio.
Es la dirección de Hamás la que organiza estas lúgubres manifestaciones de júbilo, pero, una vez más, nosotros, los gazatíes, no tenemos ninguna posibilidad de impedirlas. Protestar significaría ser ejecutado de inmediato. Aquí no es como en Israel, donde, a pesar de la guerra, se pueden realizar manifestaciones contra el gobierno todos los días, e incluso una huelga general. ¿Cuándo alcanzaremos nosotros, los árabes palestinos, ese grado de madurez civil y democrática?
Para impedir estos horrendos crímenes de Hamás, a nosotros, los habitantes de Gaza, no se nos ha dado ninguna posibilidad de intervenir, tanto por la total ausencia de democracia en nuestro pequeño Estado, como por la responsabilidad de organismos como las Naciones Unidas, la Cruz Roja, Amnistía Internacional, el Tribunal de La Haya, el Vaticano, diversas ONG y todas aquellas organizaciones internacionales que no solo no hicieron nada para obligar a Hamás a liberar a los rehenes, sino que ni siquiera pidieron reunirse con los prisioneros secuestrados, apelando al derecho humanitario. ¿Cuántos miles de gazatíes estarían aún vivos si todos ellos (desde António Guterres hasta el papa Francisco) o solo algunos de ellos hubieran hecho algo para lograr la liberación de los rehenes?
¿Qué futuro?
Sin embargo, a pesar de todo esto, se sigue sin querer escuchar la voz de nosotros, los gazatíes, respecto a nuestro futuro: si debemos quedarnos aquí, en un país destruido y que tardará al menos 15 años en reconstruirse (pero quién sabe cuántos más...), o comenzar una nueva vida en otro lugar. Es una elección importante y, por lo tanto, es otra razón por la que esta vez nuestro futuro debemos decidirlo nosotros.
Si la alternativa es:
1) vivir en campos de refugiados, en un territorio devastado, contaminado por escombros, lleno de bombas sin detonar, además de seguir siendo tiranizados por Hamás y con el peligro de ser masacrados cada vez que haya nuevos secuestros de rehenes; o
2) vivir en otro país árabe, en aldeas civiles, en casas prefabricadas, con empleos y asistencia social asegurados, y sin la dictadura del fundamentalismo islámico;
entonces, la elección que nosotros, los gazatíes, deberíamos hacer, y probablemente haríamos, es casi obvia.
Pero, repito, esta debe ser exclusivamente nuestra elección, teniendo alternativas claras. Deberíamos poder discutir entre nosotros sobre los gazatíes, sin las amenazas de los líderes de Hamás (los mismos que en los primeros días intentaron detener el éxodo de gazatíes que huían hacia el sur, ordenándoles que se quedaran y murieran bajo las bombas) y sin condicionamientos de observadores externos. No tienen derecho a intervenir en nuestros asuntos, pero no pierden la oportunidad de decir algo. Y aquí me refiero a la avalancha de exclamaciones de indignación con la que se recibió la propuesta de Trump sobre el traslado de los gazatíes sobrevivientes a una parte del mundo más acogedora.
Trump es Trump y obviamente es libre de proponer lo que quiera, incluso si generalmente no es confiable y tampoco traduce muchas de sus declaraciones en la práctica. Pero es escandaloso cómo su propuesta para Gaza ha sido ridiculizada, además de distorsionarla a su antojo, sin tener una discusión seria al respecto. Parece increíble, pero hasta ahora ha sido el único líder político que ha planteado el problema concreto de nuestro futuro, con razón o sin ella, según la solución propuesta, alcanzable o irrealizable.
¿Qué será de Gaza si nosotros y la nueva generación tenemos que vivir en una tierra devastada, todavía bajo la tiranía de Hamas (o como se llame algún nuevo acrónimo fundamentalista), en un régimen de dictadura y terror? A los indignados no les importa esto: están demasiado enamorados de su propia indignación como para poder plantearse el problema concreto de qué se puede hacer para que los habitantes de Gaza supervivientes vivan finalmente en condiciones civiles, democráticas y humanamente decentes.
Toda la indignación que ahora está explotando, y que no ha habido antes por las masacres causadas en Gaza por la acción de Hamas, aparece como una ofensa más a la memoria de las decenas de miles de víctimas inocentes. Que se calle de una vez por todas la gente indignada y de derechas -que no se iría a vivir al infierno de la Gaza de hoy ni un día- y que nos deje a nosotros, los gazesíes, examinar colectivamente, con calma y lucidez, cuál podría ser el mejor destino para nosotros.
La coartada de los "dos Estados"
Que callen de una vez por todas los propagadores de la "teoría de los dos Estados". Se ha convertido en una coartada para evitar afrontar concretamente el futuro de los árabes palestinos.
En 1947-48 hubo la última oportunidad de crear un verdadero Estado palestino, hipotéticamente en Transjordania en ese momento. Israel dijo que sí, la Liga Árabe dijo que no y atacó a Israel. Desde entonces, la teoría de los dos Estados se ha convertido en un eslogan vacío, bueno para limpiar la conciencia, pero poco realista: dos Estados, ambos confesionales y hostiles entre sí, sólo conducirían a nuevas guerras.
Guerras que siempre serán ganadas por los israelíes, pero esta no es una buena razón para alimentar el surgimiento de nuevos conflictos en el Medio Oriente. Especialmente ahora que todos los principales Estados árabes han reconocido o están a punto de reconocer a Israel. Esta es una gran novedad en comparación con 1948, 1967, 1973, etc. El único bastión irreductible, partidario del genocidio antijudío, sigue siendo el Irán de los ayatolás. Esto hay que tenerlo en cuenta cuando se habla del futuro de Gaza. Y tal vez se acerque el día en que finalmente veamos una coalición de estados árabes, incluido Israel –que mientras tanto se ha convertido en un estado multiétnico (una fórmula más precisa que "multinacional"), posiblemente secular e incluyendo a los palestinos– comprometidos a derrocar el régimen teocrático de Irán. En esto, la coalición árabe-israelí se verá favorecida por el hecho de que la mayoría del pueblo iraní es fuertemente hostil a este régimen.
Pero la prueba decisiva que demuestra la hipocresía de quienes se esconden detrás de la teoría de los dos Estados reside en el hecho de que nadie tiene el coraje de decir concretamente dónde debería construirse un verdadero Estado palestino, en qué lugar. Y es que tal lugar no existe, a menos que Arabia Saudita acceda -como es poco probable- a ceder parte de su inmenso y deshabitado territorio. (Una solicitud ya enviada por Trump a Mohammad bin Salman, para el pueblo de Gaza, y momentáneamente rechazada por el remitente).
Sin embargo, si todavía quedaban dudas sobre la insensatez de la teoría de los dos Estados, lo que sucedió en el pequeño estado de Gaza debería haberlas disipado por completo: tan pronto como Israel se retiró completamente del territorio de Gaza, un golpe militar entregó su liderazgo a Hamas. Y el control de Gaza sirvió a Hamás para preparar la agresión militar, sin importar los precios que pagaría la población, de hecho, incluyendo esos precios en la estrategia política. Una estrategia inhumana que acabó siendo contraproducente para el propio Hamás, que ha sufrido enormes pérdidas (más de 15.000 militantes muertos) y ya no tiene el control total del territorio. Solo puede consolarse pensando que aún no ha desaparecido, como había prometido Netanyahu
Es fácil predecir que Israel nunca más aceptará que se repita el error que cometió con Gaza. Y por paradójico que parezca, el primero en salir beneficiado será el pueblo de Gaza que, en estos meses de muerte y destrucción, habrá maldecido en su corazón el día en que Israel se retiró de Gaza y dejó el campo libre a Hamas: se suponía que era el comienzo de la independencia y en cambio se convirtió en la masacre de nuestro pueblo y la destrucción de nuestro país.
Conclusión provisional
Todo esto me lleva a repetir y concluir que, de ahora en adelante, deberemos hacer todo lo posible para decidir nuestro destino
Y esto a sabiendas de que los miles de ex prisioneros, militantes de Hamás, que han vuelto a la libertad y que todavía tienen la intención de matar a judíos (incluidos civiles), opositores palestinos, informantes reales o supuestos, intentarán impedirlo. No hay que olvidar, de hecho, que el fusilamiento público de algunos "colaboracionistas" fue lo primero que se hizo nada más comenzar la tregua, para dar una señal muy clara: Hamás sigue teniendo el poder absoluto sobre los gazatíes (aunque ya no sobre Gaza) y todo el que no obedece ciegamente será eliminado. En estas condiciones, obviamente será casi imposible para nosotros, los habitantes de Gaza, decidir sobre nuestro futuro. Mientras que la ausencia de canales de expresión democrática, aunque sea mínimos, corre el riesgo de dejar el campo abierto a los diversos Trumps, anti-Trump y, en general, a los indignados profesionales (aquellos, repito, enamorados sobre todo de su propia indignación).
¿Logrará mi pueblo finalmente expresarse de forma autónoma después de casi tres milenios de sometimiento y opresión?
Inshallah
روبرتو بن المساري