L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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lunedì 21 ottobre 2024

GLI ERRORI MORTALI DI YAHYA SINWAR E DI HAMAS

di Piero Bernocchi


ITALIANO - ENGLISH


Leon de Winter è uno scrittore olandese che, oltre ai suoi libri, svolge una presenza social-politica costante, con articoli pubblicati su vari giornali e riviste europee. A proposito di Sinwar ha scritto in un articolo su Neue Zurcher Zeitung, quotidiano svizzero con quasi tre secoli di storia: "Yahia Sinwar aveva trovato l'arma con cui sconfiggere gli ebrei e manipolare il mondo: la morte dei suoi stessi connazionali. Invita gli ebrei ad uccidere il suo popolo e gli israeliani non possono sottrarsi alla lotta contro Hamas. Sinwar sapeva come stremare gli ebrei, ricattarli e metterli gli uni contro gli altri". Effettivamente, il piano strategico di Sinwar, culminato nell'orrendo massacro del 7 ottobre, aveva una sua tragica grandezza strategica, che però, contrariamente alla lettura datagli da De Winter, è stata annullata da una catena di errori e di valutazioni, su possibilità non realizzatesi, commessi dal leader di Hamas e rivelatisi tragici e mortali per il popolo palestinese quanto per lo stesso Sinwar: catena di valutazioni erronee che qui proverò ad analizzare e commentare.

 

Il fallimento del tentativo di coinvolgere l’intero mondo islamico nell’attacco frontale a Israele

 

Sono in circolazione oramai da mesi attendibili documentazioni di varia e credibile provenienza che spiegano come il massacro del 7 ottobre fosse stato pianificato, magari con dettagli non identici, probabilmente da almeno un paio di anni e che fosse stato più di una volta rinviato, in attesa di scenari generali più favorevoli. C’è ampia concordia tra gli “addetti ai lavori” anche sui motivi, almeno due dominanti, che alla fine hanno fatto scegliere, a Sinwar e alla leadership interna a Gaza, la data del 7 ottobre. Tornerò più avanti sul secondo motivo, per soffermarmi qui su quello a mio avviso più rilevante e decisivo: e cioè l’assoluta necessità/obbligo di far naufragare l’ampliamento degli Accordi di Abramo (che avevano normalizzato i rapporti tra Israele, gli Emirati Arabi e il Bahrein) con l’inclusione dell’Arabia Saudita e forse pure del Qatar, e con la formazione di un assai influente blocco di paesi sunniti guidati dalla maggior potenza di tale mondo islamista, quella Arabia Saudita, grande e storica (fin dall’avvento degli ayatollah al potere a Teheran) avversaria dell’Iran sciita. Tra le intuizioni strategiche di Sinwar, quella di inserirsi come un cuneo che disgregasse il nascente schieramento favorevole alla normalizzazione dei rapporti con Israele e, nel contempo, saldasse definitivamente l’anomalia di un rapporto stretto, con conseguenti copiosi finanziamenti e sostegno bellico, tra un’organizzazione del radicalismo sunnita più estremo come Hamas e la roccaforte iraniana del mondo sciita (anomalia assoluta fino a qualche anno prima, laddove sunniti e sciiti si scannavano  quotidianamente in tutto il mondo islamico, con percentuali di vittime ben superiori a quelle dei conflitti con cristiani, “occidentali” ed ebrei), è stata forse la più notevole e, almeno potenzialmente, quella in grado di aprire nuovi e inattesi scenari ai monumentali e apparentemente folli piani di distruzione totale di Israele.

Per giungere però ad attivare un tale scenario, ci voleva un’azione così terrificante, sconvolgente e spietata, manifestantesi nelle forme più barbariche possibili, che fosse in grado di scatenare una risposta almeno altrettanto selvaggia, brutale e stragista da parte del governo Netanyahu, contando sulla colossale umiliazione imposta all’intero apparato bellico e militare israeliano ma pure sullo smacco planetario inflitto ad un capo di governo, ultra-ambizioso, senza scrupoli e senza remore, come Netanyahu che, pur di cancellare dalla scena l’ANP e Fatah, si era fatto ingannare da Sinwar,  favorendone per anni l’ascesa al potere a Gaza, con una posizione dominante su tutti i palestinesi. Ritengo, conseguentemente, che gli orrori del 7 ottobre non siano stati dovuti alla barbarie spontanea e alla epidermica orgia senza freni di voglia di vendetta da parte delle migliaia di armati palestinesi coinvolti, ma che fosse stata pianificata e voluta da Sinwar e i suoi (e per tale ragione documentata ed esibita platealmente con video, foto e registrazioni sonore quanto più raccapriccianti possibili) proprio per rendere irrealistica e di fatto impossibile una risposta solo “moderata” da parte del governo israeliano, provocato a tal punto da spingerlo a una risposta quanto più feroce, distruttiva e impopolare possibile. La scommessa di Sinwar, certo massimamente cinica e spietata, ma non pazzesca in linea di principio, e anzi potenzialmente foriera di successo, è stata appunto quella di spingere Netanyahu ad attaccare Gaza con una forza distruttiva smisurata e senza precedenti, che provocasse  il maggior numero di vittime possibili tra i civili (più volte Sinwar ha ammesso senza imbarazzo di essere disposto a sacrificare anche un numero spropositato di suoi concittadini/e non in armi pur di creare le condizioni per la sconfitta e la distruzione di Israele), in modo da suscitare da una parte la più diffusa indignazione mondiale  contro Israele (e in generale contro la presenza di uno Stato ebraico in Palestina, da liberare dal “fiume al mare”), e che dall’altra spingesse tutto il mondo islamico, sunnita o sciita, ad entrare in campo militarmente, contribuendo in maniera decisiva alla distruzione di Israele.

Malgrado la mia avversione politica, ideologica, culturale e morale all’islamismo da Guerra Santa e ai regimi dittatoriali come l’orrenda teocrazia iraniana e ad organizzazioni oscurantiste, reazionarie, ultra-misogine e omofobe come Hamas, Hezbollah, non posso negare che tale piano strategico aveva, almeno in potenza, quella che ho chiamato una tragica grandezza. E nella realtà di questo anno, tale piano il primo obiettivo lo aveva effettivamente raggiunto, cioè quello di suscitare una vastissima ondata di indignazione internazionale anche in ambienti fino a ieri insospettabili che, con grande rapidità, hanno accantonato gli orrori del 7 ottobre (che, anzi, hanno sovente salutato come un “riscatto” del popolo palestinese dopo decenni di sopraffazioni e umiliazioni, o come addirittura “l’inizio della Rivoluzione palestinese”), per reagire con una mobilitazione pressoché permanente contro il massacro in corso a Gaza, dove, indiscriminatamente, ai miliziani di Hamas uccisi dall’esercito israeliano si è accompagnato quasi ogni giorno un numero almeno altrettanto elevato di vittime civili, senza alcuna distinzioni tra uomini, donne, bambini.

Quello che però non è avvenuto, rivelandosi nei fatti il principale punto debole di tale  ambiziosissima strategia e il più grande errore di previsione di Sinwar e di chi ne ha condiviso la strategia, è stato il generale fallimento del tentativo di coinvolgere l’intero mondo islamico, sunita e sciita, nell’attacco frontale a Israele. A posteriori, Sinwar ha dimostrato una sorprendente misconoscenza della variegata e ambigua complessità di tale mondo (più avanti vedremo come analoghi e altrettanto esiziali  – per lui e per i palestinesi – errori di valutazione e previsione Sinwar li ha commessi anche nell’analisi della società israeliana e della psicologia dominante tra gi ebrei di Israele).

Sorprende, tanto per cominciare, che il leader indiscusso di Hamas abbia davvero creduto ai roboanti proclami bellici e agli appelli per la distruzione della “entità sionista” (come i dittatori teocratici iraniani amano definire Israele, per non doverne fare neanche il nome in segno di massimo disprezzo) di due affabulatori e incantatori di massa come Khamenei e Nasrallah. Meraviglia che una mente così attenta ad ogni sfumatura del pensiero della radicalità islamista abbia potuto davvero credere che il regime teocratico e Hezbollah avrebbero deciso di mettere a repentaglio il proprio potere e dominio nei rispettivi paesi sottomessi, l’Iran e il Libano, e persino la sopravvivenza dei propri regimi, per entrare in campo accanto ad Hamas nello scontro frontale con Israele, ben conoscendo la propria inferiorità sul piano militare, ma anche la fragilità del proprio dominio interno, di fronte a due società in maggioranza ostili, in aperta rivolta come nell’Iran dell’ultimo biennio o sottomessa ma non consenziente e collaborativa come quella libanese, incapace di impedire la progressiva dominazione della minoranza sciita sul paese ma fondamentalmente desiderosa di una sua possibile débacle bellica.

In verità, nei comportamenti di quasi tutti i paesi arabi e dell’Iran nei confronti della tragedia palestinese, c’è sempre stata una profonda strumentalità di fondo che Sinwar e i suoi avrebbero dovuto ben conoscere. Falliti i tentativi della Lega araba di sconfiggere militarmente Israele e di espellere la comunità ebraica dalla Palestina, la gran parte dei paesi arabi circostanti ha usato cinicamente il popolo palestinese e la sua lotta solo per creare le maggiori difficoltà possibili a Israele, per tenerla sotto costante pressione e per attivare la più diffusa solidarietà internazionale contro l’“entità sionista”. Solo che a questo cinico e strumentale disegno non si è mai accompagnata una reale solidarietà con il popolo palestinese, né in termini di significativi aiuti materiali né in quanto a dignitosa accoglienza ai profughi, almeno all’altezza dei proclami tonitruanti di circostanza. Figuriamoci se Hezbollah e la teocrazia iraniana potevano essere disposti a sfidare davvero, militarmente e in uno scontro aperto senza mediazioni, Israele, con la realistica possibilità di essere non solo travolti sul campo, ma anche di consentire alle diffuse opposizioni interne di saldare finalmente il conto alle insopportabili dominazioni ultra-decennali.

Ma Sinwar ha commesso un altro errore di valutazione, altrettanto inspiegabile per chi, in tanti anni, aveva avuto modo di studiare dettagliatamente, e verificare da vicino e con massima cognizione di causa, di contatti e di legami, i complessi e contorti, ambigui e mutevoli rapporti tra le varie statualità e comunità islamiche mediorientali. Il leader di Hamas parrebbe aver preso sul serio, e massimamente sopravvalutato, il profondo legame che era riuscito a stabilire  - fin da quando ancora era in galera in Israele e riusciva a corrompere le guardie carcerarie, così potendo colloquiare senza limiti non solo con i suoi “sottoposti” a Gaza, ma persino con il regime iraniano - fin dal 2011 con il regime degli ayatollah. Certo, l’anomalia di un’alleanza, così stretta, impegnativa e senza precedenti significativi, tra sunniti e sciiti, solitamente in guerra permanente tra loro da parecchi secoli, può aver contribuito a fuorviare le percezioni di Sinwar, al punto da fargli scambiare un accordo tattico (utilissimo per l’Iran per mettere in un angolo il progetto di una vasta parte del mondo sunnita di normalizzare i rapporti con Israele in nome dei comuni interessi economici) per una generale e permanente collaborazione strategica. Ma il grosso del mondo sunnita non ha mai digerito il rapporto quasi “intimo” tra la parte combattente del mondo sunnita palestinese con l’Iran, e ancor meno il grande potere acquisito da Hezbollah, altro portabandiera del minoritario mondo sciita e anch’esso grande alleato di Hamas: e quanto questa ostilità fosse viva, malgrado il sostegno comunemente sbandierato per i palestinesi durante i massacri a Gaza, si è potuto verificare apertamente con i festeggiamenti in tanti paesi arabi sunniti alla notizia dell’uccisione di Nasrallah: mentre, al contempo, non pare proprio che l’uccisione di Sinwar abbia suscitato in questi paesi grandi ondate di solidarietà e cordoglio.

 

Gli errori di valutazione di Sinwar sull’attuale popolo ebraico di Israele

sabato 19 ottobre 2024

ISRAEL: EL MUNDO A REVÉS

por Nathan Novick

(desde Chile)


ESPANOL - ITALIANO - ENGLISH


Muy estimados/as:

HAY UNA ENORME CONFUSIÓN EN ESTE MUNDO QUE LA PODEMOS PAGAR MUY CARA:

El mundo al revés: EL ÚNICO PAÍS, ISRAEL, QUE ESTÁ ACTUANDO EN DEFENDER A SUS CIUDADANOS DE VECINOS REAL Y EXPLÍCITAMENTE GENOCIDAS, terroristas que destruyen y asesinan, responsables del pogromo del 7 octubre 2023, reciben la indiferencia del denominado “mundo civilizado” y el ataque de Organizaciones que se autodenominan “defensoras de Derechos Humanos”; todos ellos se hacen de este modo cómplices de los crueles terroristas

Israel  y las FDI - que tratan de neutralizar a Hamás y a Hisbullá, incluyendo inteligencia y alta tecnología, procurando  generar  el mínimo de bajas inocentes en esta tragedia, a pesar de las dificultades que ello significa debido a  la accion de esos terroristas que atentan contra las poblaciones civiles de Gaza, Líbano e Israel -  EN LUGAR DE RECIBIR APOYO, SON CRITICADAS por organizaciones  ideológicas que se hacen cómplices de los terroristas y de sus acciones tratando de que queden impunes de los crímenes de lesa humanidad que cometen y han cometido. Es una vergüenza

 

LO QUE PASA EN GAZA Y LÍBANO ES UNA ENORME TRAGEDIA, AMPARADA AL IGUAL QUE LO QUE SUCEDE EN DARFUR, (SUDAN), POR UNA TERRIBLE CONFUSIÓN de parte de muchos que se supone que tendrían que tener muy claro de lo que nos estamos jugando como humanidad:

Nos jugamos una elección fundamental, una elección que puede significar la subsistencia misma de la humanidad:

1.- LA ELECCIÓN ENTRE PROCURAR UN MUNDO  MAS CIVILIZADO, (que busque sociedades en procesos de bienestar ciudadano, de respeto a la diversidad, de democracias activas, participativas, renovadas, de sociedades libres pero sin libertinajes, con Instituciones validadas que funcionen adecuadamente, con un  estado de derecho vigente y respetado), o

2.- FRENTE A QUIENES HAN ELEGIDO MILITAR EN ORGANIZACIONES TERRORISTAS, CRIMINALES globalizadas, actuando cruelmente  en todo el planeta con diversas motivaciones y por ahora con gran impunidad. A modo de simplificación, ese parece ser el futuro de nuestro planeta.

Esa es la realidad en este mundo. PIENSO QUE NO HAY QUE ESPERAR NADA DE LA ONU YA QUE ES UNA ORGANIZACIÓN FRACASADA, IDEOLOGIZADA Y POLARIZADA. Incluso de hecho están tomando riesgos con los “cascos azules” que no cumplieron su misión de tener desmilitarizada la zona sur del rio Litani en Líbano poniéndose ahora  en riesgo para tratar de impedir las acciones de las FDI  en su esfuerzo de neutralizar a Hisbullá!  Eso, en lugar de obedecer evacuar esa zona según solicitó las FDI a fin de que no tengan riesgos… ¡Es increíble!! Que manera de tergiversar la ONU una de sus funciones prioritarias fundacionales.

Los países del mundo supuestamente “civilizados” han de diagnosticar sin confusiones lo que actualmente se enfrenta y actuar en consecuencia: de manera urgente y según estrategias apropiadas.  Es tiempo de generar CON ALIANZAS DE PAISES. los medios para “neutralizar” la accion de los terroristas. Es urgente.

Pareciera que hoy por hoy, ISRAEL ES EL ÚNICO PAÍS DEL MUNDO QUE TIENE ESA CLARIDAD DE DIAGNÓSTICO Y ACCIÓN, SIMPLEMENTE PORQUE AL DEFENDERSE, ESTA DEFENDIENDO SU DERECHO A EXISTIR. Y ESTA VEZ HAN DICHO: “NO MAS CAMPOS DE EXTERMINIO: NO MAS CHIVOS EXPIATORIOS, CUALESQUIERA QUE SEAN LAS MOTIVACIONES DE LOS NUEVOS NAZIS Y LLÁMENSE COMO SE LLAMEN. NUNCA MAS”.

 Cordialmente

Nathan Novik



ITALIANO

mercoledì 16 ottobre 2024

IMMAGINARE TINA

di Laris Massari


ITALIANO - ENGLISH


Tina Modotti è stata una donna fuori dal comune, capace di abbracciare una vita in cui arte, politica e amore s’intrecciavano in un equilibrio instabile ma affascinante. Il suo percorso si snoda attraverso i continenti, e tra rivoluzioni e passioni, lasciandosi dietro un’eredità profonda quanto difficile da decifrare. Nata nel 1896 a Udine, in una famiglia di umili origini, fin dalla giovane età dimostra una curiosità irrequieta per il mondo oltre i confini del Friuli. La terra in cui cresce è multilingue, multiculturale, e ciò plasma in lei un’apertura mentale che la porterà ben presto a lasciare l’Italia per cercare la propria strada all’estero.

È negli Stati Uniti, a San Francisco, che Tina inizia a scolpire la propria identità. Lavorando come operaia, vive la durezza della vita degli immigrati, ed è proprio tale contesto che l’avvicina ai circoli culturali e artistici della città. Nonostante le difficoltà economiche, sono il suo fascino e il suo talento innato che la portano presto a calcare i palcoscenici teatrali, e ben presto si apre davanti a lei il mondo del cinema muto, all’epoca in pieno sviluppo. Hollywood l’accoglie con favore e Tina potrebbe facilmente costruirsi una carriera luminosa, per la sua bellezza mediterranea e la capacità di adattarsi ai ruoli del nascente cinema statunitense. Il suo volto, pervaso da un’intensa malinconia, emerge nel panorama hollywoodiano, incarnando il tipo di bellezza enigmatica e misteriosa che il cinema muto sapeva esaltare. Ma la sua personalità complessa emerge fin da allora, provocando in lei insoddisfazione verso la superficialità del mondo dello spettacolo. Il suo spirito ribelle e la sua sete di conoscenza la spingono a esplorare nuovi orizzonti, sul piano artistico e sul piano umano.

Il suo incontro con il fotografo Edward Weston (1886-1958) segna una svolta fondamentale. La fotografia diventa per lei non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche uno strumento per dare voce alle proprie convinzioni politiche e sociali. Weston è il suo maestro, il suo amante - era già sposata con «Robo», il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey (1890-1922) - senza che Tina rimanga mai nell’ombra: assorbe con intensità gli insegnamenti tecnici, sviluppando però un proprio stile fotografico, che riflette la sua visione profonda della vita e del mondo. L’intimità con Weston, pur intensa, non oscura la sua voglia d’indipendenza. È una donna che non teme di esporre la propria sensualità, né di rompere con le convenzioni dell’epoca. In un momento storico in cui la figura femminile era ancora strettamente legata a ruoli tradizionali, Tina sfida tali norme con audacia: lo fa nella vita privata così come nell’arte.

È in Messico, inizio degli anni ’20, che Tina trova la propria autentica dimensione. In una terra sconvolta dalle ferite ancora aperte della Rivoluzione, s’immerge totalmente nel fervore politico e sociale che pervade il Paese. La sua arte, fino a quel momento caratterizzata da una ricerca estetica di tipo formale, si trasforma in un potente strumento di lotta. Attraverso le sue fotografie Tina documenta la realtà delle classi più povere - operai, contadini e braccianti - diventando una testimone attiva di un cambiamento sociale in atto. Le sue immagini, intrise di umanità, sono al tempo stesso opere d’arte e manifesti politici, capaci di suscitare emozioni e riflessione.

Nel contesto messicano incontra Julio Antonio Mella (1903-1929), rivoluzionario cubano, con cui condivide una profonda passione amorosa, oltre al comune impegno politico. Mella rappresenta per Tina l’incarnazione dell’eroe rivoluzionario: giovane, carismatico, devoto alla causa socialista. La loro storia, breve e tragica, è un turbine in cui si fondono amore, passione e politica. La morte prematura di Mella, ucciso da mani sospette, lascia in lei una ferita che non si rimarginerà mai del tutto. Di lì in poi Tina s’immerge sempre più nel mondo della politica, avvicinandosi al movimento «comunista» d’obbedienza moscovita e diventando una figura di riferimento per il Soccorso rosso internazionale. 

Con la sua fede negli ideali rivoluzionari, Tina si ritrova a navigare nelle acque torbide del presunto comunismo staliniano, legata a personaggi ambigui e manovrata da forze più grandi di lei. La ex attrice ed ex fotografa cede al mito della Grande Madre sovietica, come tante altre tragiche figure animate originariamente da sincero spirito comunista. La relazione con Vittorio Vidali (1900-1983), altra figura enigmatica della sua vita, la trascina ancora più a fondo nel mondo del Comintern. Un uomo che lei forse un giorno scoprirà essere, con forti probabilità, uno dei complici nell’omicidio del suo amato Mella. La tragedia nella tragedia…

Parte per la Spagna, si unisce alla lotta contro il fascismo nella Guerra civile. Anche qui, fra le trincee e le macerie, l’ideale rivoluzionario sembra logorarsi sotto il peso del tradimento con cui le principali forze politiche repubblicane soffocano la Rivoluzione spagnola.

Con il tempo, tuttavia, Tina inizia a intuire e poi forse a comprendere le ombre del mondo stalinista cui si è legata. Nonostante la sua adesione sincera agli ideali comunisti, le brutalità e i compromessi che osserva dall’interno del sistema la turbano profondamente. L’illusione di una rivoluzione pura, in grado di cambiare radicalmente le sorti dell’umanità, inizia a sgretolarsi di fronte all’azione reale del movimento, del quale lei riesce finalmente a vedere anche gli aspetti criminali. Nonostante ciò, non cessa di lottare, e alcuni elementi della sua biografia dimostrano che negli ultimi anni di vita il suo impegno assume una forma più consapevole, critica, anche se non è dato sapere fino a che punto lo sia.

Il Patto Hitler-Stalin (agosto 1939) è il colpo finale. La donna che aveva dedicato la vita alla lotta per la libertà e per gli ideali di una società socialista, comincia a rendersi conto che il sistema in cui aveva creduto sta tradendo gli stessi ideali che le erano stati cari. Raro esempio nel mondo del comunismo staliniano (rarissimo tra i comunisti italiani, come mostra più avanti il testo di R. Massari), Tina non approva il Patto scellerato da cui ebbe inizio la Seconda guerra mondiale. È un atto di profonda coerenza morale, un rifiuto di piegarsi alla logica spietata della politica. E proprio qui, nel suo ultimo atto di ribellione, Tina ritrova se stessa. Intuisce la portata devastante di un’ideologia che sacrifica l’individuo in nome di un’astrazione: non più l’artista manipolata, non più la rivoluzionaria sacrificata sull’altare di una causa che si è trasformata in tirannia, bensì una donna che ha scelto di restare fedele alla propria umanità, sino alla fine.

In tale contesto essa si riscatta, recuperando la grandezza del suo essere artista e rivoluzionaria, ma anche donna capace di vedere oltre le illusioni politiche del proprio tempo. Forse anche per questo la sua morte improvvisa a 45 anni - in circostanze molto simili a quelle in cui morirà Victor Serge (1890-1947) nella stessa Città del Messico, pochi anni dopo di lei - ha lasciato molto più di un semplice sospetto sulle circostanze in cui avvenne. E cioè che i sicari staliniani si siano voluti liberare di una donna che sapeva troppo, una testimone scomoda soprattutto dei molti assassinî di antifranchisti compiuti nella Spagna repubblicana. 

Tina è stata, e rimane, un simbolo di coerenza, passione e lotta. È stata una fotografa talentuosa, una musa, una militante politica, una donna libera (anche sessualmente) in un’epoca che non perdonava tale libertà soprattutto alle donne. Non è stata indenne dalle colpe e miserie della sua epoca, e soprattutto del suo movimento di appartenenza: ha amato, ha sbagliato, è stata certamente complice più o meno consapevole dei crimini del Soccorso rosso internazionale, senza mai perdere la fede, però, nella possibilità di un mondo migliore. È stata disposta sino in fondo a confrontarsi con i propri limiti e le proprie contraddizioni: in queste imperfezioni risiede la sua grandezza.

Tina è una figura viva, che ci parla ancora della lotta per rimanere coerenti con se stessi, in un mondo che spesso ci chiede di essere altro. Oggi, guardando alla sua vita, non possiamo fare a meno di chiederci cosa significhi essere donne e uomini in una realtà in continuo cambiamento, una realtà che a volte ci tradisce, ma che ci offre sempre la possibilità di riscatto.


Cosa c’insegna, allora, la sua storia? Che vivere con integrità e coerenza gli ideali dai quali si è animati, non è mai facile, che la purezza ideale è fragile. Con la sua breve e tormentata esistenza - donna, artista e ribelle - Tina ha dimostrato che non c’è nulla di più rivoluzionario dell’essere sino in fondo, pienamente e ostinatamente, umani.

Che dire di Tina come artista? La si può valorizzare anche in un contesto contemporaneo? Oppure il suo lascito è inesorabilmente segnato dal tempo in cui visse e dai contesti politici in cui operò (fondamentalmente il Messico postrivoluzionario)?

Il concetto di arte va espandendosi. All’artista del nostro tempo non è necessariamente richiesto di mettere in atto un talento per ottenere il successo. La capacità espressiva si trasforma in un’interpretazione preconfezionata e veicolata per lo spettatore. Il messaggio dell’opera è divenuto fondamentale, più della sua forma espressiva, affinché essa possa definirsi «arte».

Ebbene, Tina non si considerava e non voleva che la si considerasse un’artista, né riteneva che la sua fotografia fosse arte, essendo fondamentalmente interessata al messaggio che le immagini ritratte dalle sue foto trasmettevano. Le sue opere grondano di messaggi ed è evidente che questo intento era prevalente per lei: era anche un suo limite, allo stesso tempo.

Eppure, ai miei occhi  - sicuramente condizionati dall’artificialità degli sviluppi che la fotografia odierna sta vivendo - il suo modo di raffigurare la realtà meriterebbe il titolo di «artistico», o perlomeno di pionieristico avvio di un percorso artistico (quello del realismo fotografico, antisala dell’iperrealismo). Nel non considerarsi un’artista lei stava forse eccedendo in modestia (dote rara per i tempi correnti), ma io sarei portato a pensare che in fondo non avesse ragione.

E questo perché Tina esercitava l’arte della fotografia, nel senso che sapeva replicare la realtà con grande maestria, utilizzando i procedimenti più avanzati della tecnica fotografica dell’epoca sua: una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, com’è spesso considerata. Basti osservare la differenza tra le sue fotografie e quelle di Edward Weston per capire che c’è modo e modo di catturare un momento del reale.

Quest’antologia rappresenta un omaggio a una figura complessa e affascinante, il cui nome è rimasto a lungo avvolto dal silenzio. A partire dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, ricerche pionieristiche di studiosi italiani - come Riccardo Toffoletti e Pino Cacucci - hanno contribuito alla sua riscoperta, ciascuno a suo modo: Toffoletti con la ricostruzione del suo itinerario fotografico, Cacucci con la ricostruzione della vita di Tina esposta con la sua prosa avvincente. È grazie a loro, e ad altri studiosi e artisti, che l’opera e la vita di Tina hanno trovato nuovo spazio nel panorama editoriale e culturale. Un fenomeno che ha portato alla realizzazione di numerose mostre in tutto il mondo.

In particolare, va segnalata la bella esposizione al Palazzo Roverella di Rovigo (sett. 2023-genn. 2024), curata da Riccardo Costantini (n. 1981). Ho avuto il piacere di visitarla ed è lì che è nata l’idea di questo libro. Davanti a quelle immagini ho provato un forte senso di coinvolgimento nel mondo ideale di Tina, trovandomi immerso in un percorso di forte valenza emotiva, che intreccia la sua arte, la sua lotta e il suo destino.

L’antologia qui presentata è costruita seguendo criteri vòlti a esplorare soprattutto l’epopea politica di Tina Modotti, vale a dire un aspetto centrale troppo spesso trascurato nelle analisi a lei dedicate. Sono stati inclusi materiali in gran parte sconosciuti, e la scelta degli autori ha mirato a dar voce a figure che, come Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli e Roberto Massari, condividono una prospettiva fortemente antistalinista, contribuendo a una riflessione più completa e critica della sua esperienza di vita. L’aver dato voce, poi, a vari eminenti studiosi non italiani, è stata una scelta mirata a contestualizzare la vicenda di Tina in un quadro internazionale. Una tale selezione mira a far emergere oltre all’artista e alla fotografa di talento, anche la donna che ha vissuto intensamente e in modo contraddittorio le grandi trasformazioni del suo tempo.

L’antologia, con i suoi contributi inediti e l’approfondimento della dimensione politica, vuole dunque essere un tributo alla scoperta o riscoperta di una donna straordinaria, il cui lascito ci parla sicuramente del passato, in gran misura del presente e, perché no?, fors’anche del nostro futuro…

(settembre 2024)



ENGLISH

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.