L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

ČESKÝDEUTSCHΕΛΛΗΝΙΚÁENGLISHESPAÑOLFRANÇAISPOLSKIPORTUGUÊSРУССКИЙ

sabato 1 marzo 2025

TRUMP, IL TRUSKISMO E LA SVOLTA FILOPUTINIANA

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH


Non si può che condividere l’indignazione che gran parte del mondo ha manifestato di fronte al comportamento ignobile che Trump e Vance hanno tenuto nei confronti di Zelensky, dell’uomo che sta rischiando anche la propria vita per difendere l’indipendenza del suo popolo e che ha avuto il coraggio di dire no stando nello studio Ovale. Per quel che può contare, nel mare di disumane azioni che si stanno compiendo ai danni dell’Ucraina, va detto che l’inquilino della Casa Bianca ha anche violato le più sacre regole dell’ospitalità. Ma tant’è…

Insomma, Trump non è solo un reazionario, ma è anche un demente che fa ribrezzo sul piano umano, personale, culturale, diplomatico ecc.

Sul piano politico, però, io rimango dell’idea che il peggior presidente degli Usa sia stato Lyndon Johnson che impedì di far luce sull’assassinio di Kennedy e lanciò l’escalation della guerra contro il Vietnam, contribuendo alla morte di circa 3 milioni di vietnamiti (tra militari e civili) e di varie decine di migliaia di statunitensi. Johnson non faceva ribrezzo sul piano umano, ma andrebbe annoverato tra i grandi criminali della storia moderna, accanto a Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot e purtroppo alcuni altri.

Trump non è ancora arrivato a tali livelli e forse si riuscirà a fermarlo in tempo. Più difficile sarà fermare il criminale Putin, che a me fa anche ribrezzo per quel suo sguardo gelido e fisso che fa pensare alla maschera sulla mummia di Lenin nel mausoleo della Piazza Rossa.


Riguardo alla Nato e all'Otsc

Io appartengo alla generazione che si sgolò per l’uscita dell’Italia dalla Nato e per il suo più generale scioglimento. Il Vietnam ci costringeva ad essere unilaterali rispetto a tale rivendicazione, ma dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia lo slogan cambiò (almeno per chi capiva qualcosa) e non avemmo più dubbi che occorresse sciogliere la Nato e allo stesso tempo il Patto di Varsavia.

Il quale Patto oggi ha un erede nell’Otsc (Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva), l’alleanza militare creata nel 1992 tra le nazioni ex sovietiche che nel 1991 avevano formato la Csi (Comunità degli Stati indipendenti). Lo definirei un «Patto di Varsavia» più piccolo, se non ci fosse la presenza di truppe nordcoreane che, combattendo in Ucraina, fanno uscire l’Otsc/Csi dal contesto geopolitico est-europeo o ex sovietico: paradossalmente lo internazionalizzano.

Tutto questo per dire che lo slogan per lo scioglimento della Nato (che mi vede favorevolissimo) si deve accompagnare a quello dello scioglimento dell’Otsc. Da solo non è concepibile, ma nemmeno è auspicabile: lasciare il terreno militare al dominio dell’imperialismo russo (con Bielorussia, Kazakistan ecc.) significa arrendersi prima di combattere.

La Nato dormicchiava prima dell’aggressione all’Ucraina. Putin l’ha fatta risorgere, rafforzare (adesioni di Svezia e Finlandia), agguerrire (Polonia e Stati Baltici) e anche unificare risvegliando un minimo il senso di appartenenza unitaria di alcune importanti postdemocrazie europee. La Gran Bretagna addirittura si sta rimangiando la Brexit… Questo per i menestrelli di poco cervello che inneggiano a una presunta vittoria putiniana...

Ora Trump sembra voler sciogliere la Nato. Dico «sembra» perché non sarà così facile: sono troppi gli interessi in gioco (anche per l’industria degli armamenti negli Usa e in altri paesi) e non sarà certo la follia di un individuo, foss’anche il plenipotenziario Presidente degli Usa, a imporre un tale scioglimento, ma nemmeno una sua lenta deriva. Questa sarebbe stata possibile prima dell’aggressione all’Ucraina, ma ora non più.


Il «disgelo» trumpiano

Comincio anche a pensare che difficilmente Trump arriverà alla fine del suo mandato. E comunque, se non interviene qualche malanno, qualche tisana notturna (stile vaticano) o qualche attentatore un po’ più preciso, gli sconvolgimenti degli assetti europei che provocheranno Trump e il suo giullare megasatellitare saranno tali da far decadere tutte le parole d’ordine di tipo tradizionale. Le biglie sono tutte in movimento e nessuno può prevedere dove andranno a colpire. Basti pensare alla possibilità che la Cina approfitti del «disgelo» trumpiano per invadere Taiwan. Non è detto che accada, ma se accadesse gli sviluppi internazionali sarebbero imprevedibili. Idem se il trumpismo consentisse alla teocrazia iraniana di giungere ad avere le armi nucleari.

Basti pensare che l’Ucraina sembra intenzionata a resistere. Sarà sconfitta e trasformata in una colonia russa? Non è così semplice e comunque la cosa avrebbe conseguenze devastanti. In primo luogo perché gli occupanti russi dovranno fare i conti con la resistenza di un popolo che ancora non ha perdonato loro il genocidio del 1931-33 e gli altri crimini dell’epoca staliniana, oltre a quelli più recenti.

In secondo luogo perché ci sono da considerare gli Stati più direttamente minacciati dall’aggressività russa: Polonia e Paesi Baltici. Una sconfitta degli ucraini e un arretramento della Nato li costringerà a incrementare il proprio armamento ancor più di quanto stiano già facendo. E l’esperienza storica dimostra (e l’Ucraina lo conferma) che quando un popolo lotta per la propria indipendenza è pronto a qualsiasi sacrificio. I polacchi poi, dopo la spartizone del loro Paese tra Hitler e Stalin..


L’esercito europeo

È l’unica alternativa allo scioglimento della Nato, anche se al momento sembra quasi impossibile la sua realizzazione (della quale io sono totalmente a favore, tanto per non usare eufemismi). Sulla stampa si leggono quotidianamente tutte le spiegazioni che rendono al momento irrealizzabile tale progetto, nonostante i passi avanti che stanno facendo le tre postdemocrazie più forti - Gran Bretagna, Francia e Germania - mentre il governo italiano ha già deciso di defilarsi e di mantenersi fedele a Trump. Vorrei sbagliarmi, ma così intepreto le recenti «furberie» della Meloni e del ministro Tajani. Dell’ostilità irriducibile di Salvini/Vannacci e 5Stelle a un tale progetto, neanche a parlarne. Un simile esercito farebbe necessariamente appello allo scudo nucleare che garantiscono inglesi e francesi, ma dovrebbe necessariamente tenere fuori la Turchia che al momento rappresenta l’ala più reazionaria della Nato, nonché uno dei regimi più reazionari esistenti al mondo. Ma temo che davanti al pericolo che l’Europa si armi per conto proprio, anche Trump farà marcia indietro e tenterà di mantenere in vita la Nato, o perlomeno il suo fantasma.

Legato al discorso dell’esercito europeo c’è la (mia) speranza che la vecchia Unione Europea si sciolga e si ricostituisca su nuove basi, senza l’Ungheria ovviamente, senza l’enorme attuale apparato burocratico e intenzionata a valorizzare al meglio il patrimonio di cultura mediterraneo-occidentale che dall’Europa si è irradiato al mondo, consentendogli i principali progressi sul piano scientifico, linguistico, artistico ed economico.


L’antitrumpismo e la (post)democrazia statunitense

Brutta storia l'antitrumpismo, come lo fu l’antiberlusconismo. Bastava dichiararsi antiberlusconiani per credere o far credere d’essere «di sinistra». Lo stesso accadrà ora con l’antitrumpismo: si sprecheranno gli articoli, i libri, gli spettacoli ecc. diretti contro Trump, creando l’illusione che i loro  autori siano ridiventati di sinistra.

Bisognerà però chiedere a questi stessi antitrumpiani dove stessero mentre l’Ucraina veniva bombardata e massacrata, con il silenzio se non la tacita approvazione della sinistra reazionaria, dei 5stelle, dei pacifinti, degli imperturbabili predicatori contro la guerra, coloro per i quali aggrediti e aggressori sono sullo stesso piano.


E infine la questione della democrazia statunitense. Io la considero una postdemocrazia (i libri di Michele Nobile docent) ma per semplicità non mi dilungo sul concetto di «post» e rinvio ai libri da me pubblicati come editore e agli articoli-saggio apparsi sul blog di Utopia Rossa.

Ebbene, si levano già voci di provenienza diversa a decretare la fine del «sogno americano», cioè della democrazia moderna apparentemente più stabile e meglio funzionante (lasciamo da parte i Paesi scandinavi, sempre per amore di semplicità). Trump è uno spettacolare simbolo dell’antidemocrazia, di megalomania demenziale, di aspirazione a una dittatura personale. Una minaccia dittatoriale che, con l’aiuto del menestrello megastellare, aspira ad essere totalitaria (cioè a impadronirsi delle menti degli individui e non solo delle loro risorse materiali). Tutto ciò è vero e rientra nelle intenzioni più o meno consce del «truskismo» (Trump+Musk).

Ma è vero anche che il sistema (post)democratico che ha consentito a Trump di vincere le elezioni, consente alla parte sconfitta (Partito democratico e altre correnti politiche minori) di continuare a lottare contro di lui: basti vedere cosa scrive in questi giorni la stampa orientata verso il Partito democratico (quella ancora libera di farlo). E non sappiamo al momento quali conseguenze avrà sullo stesso Partito repubblicano il repentino voltafaccia filoputiniano di Trump.

Insomma, non si può pensare che la democrazia produca sempre capi di Stato disposti a rispettare le regole della democrazia: sia Hitler che Mussolini andarono al potere formalmente vicendo le elezioni, ma nessuno direbbe oggi che la Germania e l’Italia siano ancora paesi dittatoriali. Benché in Germania un po’ di nostalgie nazistoidi stiano emergendo tra i sostenitori di Putin e ora di Trump in seno ad Alternative für Deutschland. Più in generale sono orientate verso il putinismo (e ora forse anche verso il trumpismo) quasi tutte le estreme destre europee, ispirate al più becero antiamericanismo fino a poco tempo fa.

Il sistema democratico degli Usa - quello che ha costretto a dimettersi un reazionario come Nixon e che assicura l’alternarsi di almeno due partiti (e non uno soltanto come in Russia e Cina) - può anche produrre il suo contrario (e con Trump ha dato il massimo in questo senso), ma allo stesso tempo genera gli anticorpi. Tra qualche mese o tra qualche anno (4 anni?) vedremo le conseguenze che sul popolo statunitense avrà avuto il passaggio di questa meteora reazionaria. Chi negli Usa si permette oggi di celebrare il Maccartismo? chi la persecuzione dei neri? chi la guerra nel Vietnam? alcune minoranze reazonarie lo fanno, ma appunto in quanto minoranze e perché il sistema democratico consente loro di farlo.

Quindi prima di precipitarsi a dire che la democrazia Usa si è tolta la maschera, comincerei col dire che casomai se l’è tolta la leadership del Partito repubblicano. E poi sarei più prudente, nell’attesa che gli anticorpi comincino a produrre i propri effetti. Una politica estera degli Usa filorussa… Ma si crede veramaente che il popolo degli Usa, il suo capitalismo, le sue forze armate accetteranno per molto tempo una tale masochistica opzione politica?


Pensiamo alla Russia...

In Russia tutto ciò non è possibile, purtroppo e per il momento. In primo luogo perché l’esperienza democratica la Russia deve ancora farla, per la prima volta nella sua storia. Poi c’è il sistema della selezione politica fondata sull’eliminazione fisica degli oppositori: non solo di quelli apertamente contrapposti, come Naval’nyj, ma anche degli oligarchi non coincidenti con i piani di Putin. In un elenco di cadaveri eccellenti che avevo fatto un anno fa comparivano una trentina di oligarchi o personalità eliminate fisicamente negli ultimi anni perché variamente ostili a Putin, alla guerra in Ucraina ecc. Da allora quell’elenco si è allungato e continuerà ad allungarsi per la natura stessa della dittatura putinaina fondata su un capitalismo imperialistico fondamentalmente oligarchico e mafioso.

Ecco, prima di dare per liquidata la (post)democrazia degli Usa, si pensi al regime di dittatura sanguinaria che Putin ha ricostituito e con il quale Trump, la maggioranza dei repubblicani, le estreme destre europee, gli hitlerocomunisti del mondo intero vorrebbero allearsi.

Concludo dicendo che quando si tocca il fondo del barile l’unica possibilità che rimane è di risalire… E ben presto si vedranno i primi sintomi di questa risalita.

Adelante!

1 marzo 2025


ENGLISH

mercoledì 26 febbraio 2025

I FALLITI NEGOZIATI RUSSO-UCRAINI

Lezioni per il futuro


di Michele Nobile 

 

Esistono diversi ragioni, anche interne agli Stati Uniti, per cui lo sciagurato tentativo di Donald Trump di svendere l’Ucraina alla Russia - i cui motivi e possibili conseguenze meritano una riflessione distinta - è destinato a fallire. Di queste ragioni quella decisiva è che l’aggressione di Putin non è mai stata e non è motivata dalla remota eventualità dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato o da una «minaccia esistenziale» dell’Ucraina alla Russia e ancora meno dal dovere di proteggere i «russi» - cioè gli ucraini russofoni - da un mai esistito tentativo di genocidio da parte di un fantasioso governo «nazista». Per Putin la posta in gioco è sempre stata ed è il controllo politico di tutta l’Ucraina, fallito nel 2004 e nel 2014 grazie alle più potenti mobilitazioni democratiche realizzatesi in Europa negli ultimi decenni; questa volontà di dominio dell’Ucraina è inseparabile dall’intento di costruire una sfera d’influenza eurasiatica della Russia e una identità nazional-imperiale grande-russa che consolidi il regime interno

Se il problema sottostante l’invasione fosse solo lo status neutrale dell’Ucraina la guerra sarebbe terminata entro la prima settimana di marzo, perché su questo Zelens’kyj e il suo governo erano disposti a cedere. Anzi, avevano già ceduto. Zelens’kyj dichiarò fin dal 25 febbraio 2022 che era disposto a mettere da parte l’aspirazione all’ingresso dell’Ucraina nella Nato (che era stata inserita nella Costituzione ma che rimaneva comunque un obiettivo remoto)1. Conseguentemente, lo status neutrale dell’Ucraina era il presupposto condiviso dei negoziati fra rappresentanti russi e ucraini e delle tre bozze di trattato che vennero discusse tra la fine di febbraio e metà aprile di quell’anno, pubblicate nel corso del 20242. Sono trascorsi tre anni ma chi ha la pazienza di leggere le bozze di trattato e le obiezioni e contro-obiezioni delle due parti può comprendere quanto ora un trattato di pace fra Russia e Ucraina sia ora più improbabile di prima e quanto siano illusorie le presunte aperture di Putin al negoziato. È proprio perché Trump mette in difficoltà l’Ucraina e gli alleati europei e confonde il quadro politico internazionale, puntando a una pace rapida - da farsi in 24 ore che sono diventate mesi -, che il dittatore russo ha ora tutto l’interesse a continuare la sua strisciante offensiva militare mentre tira per le lunghe il dialogo con gli Stati Uniti e fa mostra di disponibilità negoziale. 


Pseudorealisti e fintopacifisti pensano che questa guerra possa concludersi con una sorta di ragionevole transazione commerciale, qualcosa di relativamente semplice ma che fino ad ora è stato impedito da pretese eccessive, aspettative infondate, pressioni esterne. Da questo punto di vista sarebbe proprio Donald Trump, il Principe delle bullshit, l’energico e sagace mediatore, capace di imporre la luce della ragione ai contendenti. Non è così, e non solo per le deficienze personali del Presidente e per quel che appare una incompetenza negoziale veramente fuori dell’ordinario, tanto da resuscitare le voci su Trump assoldato dal Kgb nel 19873. Il problema è chiaro, storico e strutturale; rimase latente durante la devastante crisi sociale ed economica che negli anni Novanta travolse sia la Russia che l’Ucraina, ma risorse all’inizio del nuovo secolo, manifesto nelle pressioni sempre più forti esercitate dal regime di Putin sull’Ucraina, culminate nell’aggressione russa del 2014 e nel tentativo di conquista del 2022. Il problema è quello della piena sovranità dell’Ucraina e della sua indipendenza dalla Russia. Per Putin la vittoria non consiste solo nella neutralità e nella mutilazione territoriale dell’Ucraina ma nell’instaurare a Kyiv un governo subordinato a Mosca, debole e indifeso: è questo l’obiettivo che intende conseguire in qualsiasi trattativa diplomatica. Perfino il formale riconoscimento delle annessioni alla Russia del territorio ucraino e di cinque milioni di ucraini, un’estorsione a mano armata e col tradimento di un accordo fra banditi, per Putin non sarebbe altro che una pausa nel processo di destabilizzazione e soggiogamento dell’intera Ucraina. Pur tralasciando la storia imperiale zarista e stalinista, a provarlo ci sono il quarto di secolo di storia delle relazioni russo-ucraine sotto Putin, le invasioni del 2014 e 2022, dichiarazioni ideologiche e pseudo-storiche circa l’«artificialità» di uno Stato ucraino e della nazionalità ucraina, l’analisi dei negoziati russo-ucraini nel 2022. Nessuno può volere la pace più degli ucraini ma essi non possono non continuare a resistere, pena la perdita dell’indipendenza e della libertà, la russificazione forzata e la negazione di una nazionalità distinta da quella russa. 

Il fatto cruciale è che i problemi e le divergenze che esistevano allora sono diventati ancor più gravi nel corso dei tre anni di guerra e si presentano come irrisolvibili, a meno della sconfitta di uno dei belligeranti. L’alternativa è un armistizio che congeli la situazione al fronte. Meglio di niente si dirà, almeno si ferma la strage. Tuttavia questo non sarebbe la pace, men che mai una pace giusta. Sarebbe solo una nuova tappa del conflitto, caratterizzata dall’utilizzo da parte di Putin delle tattiche della «guerra ibrida», possibile preludio alla ripresa della guerra aperta. 

 

La bozza di trattato del sette marzo 2022

domenica 16 febbraio 2025

STATI UNITI, RUSSIA E UCRAINA DA BIDEN A TRUMP

di Michele Nobile


ITALIANO - ENGLISH


Dall’appeasement all’incoerenza, all’idiotismo negoziale


- 1. Zelens’kyj: «Sinceramente, hanno tutti paura»

- 2. Marzo 2014-febbraio 2022: l’appeasement verso la Russia

- 3. Biden, febbraio 2022: la non-strategia delle «devastanti» sanzioni economiche

- 4. L’escalation di Putin e l’alibi delle «linee rosse»

- 5. Stati Uniti e alleati europei: una strategia incoerente 

- 6. The art of the deal e l’Ucraina


1. Zelens’kyj: «Sinceramente, hanno tutti paura»

Nel pomeriggio del 25 febbraio 2022, quando non solo a Mosca e Pietrobur, ma anche nelle capitali europee e a Washington si riteneva imminente l’occupazione di Kyiv e i russi alimentavano la falsa voce della fuga di Zelens’kyj all’estero, il Presidente ucraino comparve davanti al Palazzo presidenziale, insieme al Primo ministro e ad altri alti esponenti politici, per dire semplicemente: my vsi tut, siamo tutti qui. Lo stesso giorno Zelens’kyj ribadì il concetto in un più lungo messaggio che informava il popolo ucraino della situazione: «Secondo le nostre informazioni, il nemico mi ha contrassegnato come obiettivo numero uno. La mia famiglia è l’obiettivo numero due. Vogliono distruggere politicamente l’Ucraina [Вони хочуть знищити Україну політично] distruggendo il Capo dello Stato» ma, continuava, sono qui, ho tenuto dozzine di telefonate internazionali, la mia famiglia e i miei bambini sono in Ucraina. E poi: 


«Oggi ho chiesto ai ventisette leader europei se l’Ucraina entrerà nella NATO. L’ho chiesto direttamente. Tutti hanno paura. Non rispondono. (...) ho sentito alcune cose. Innanzitutto ci sostengono. E sono grato a ogni Stato che aiuta concretamente l’Ucraina, non solo a parole. Ma c’è una seconda cosa: siamo lasciati soli nella difesa del nostro Stato. Chi è pronto a combattere con noi? Sinceramente non ne vedo nessuno. Chi è pronto a garantire all’Ucraina l’adesione alla NATO? Sinceramente, hanno tutti paura [Чесно, всі бояться]». 

Noi non abbiamo paura di niente. Non abbiamo paura di difendere il nostro Stato. Non abbiamo paura della Russia. Non abbiamo paura di parlare con la Russia. Non abbiamo paura di dire tutto sulle garanzie di sicurezza per il nostro Stato. Non abbiamo paura di parlare di status neutrale. Ora non siamo nella NATO. Ma la cosa principale è: quali garanzie di sicurezza avremo? E specificatamente, quali Paesi le daranno? Dobbiamo parlare di come porre fine a questa invasione. Dobbiamo parlare di un cessate il fuoco»1

Ho voluto fare questa citazione non tanto perché rende la drammaticità del momento ma perché, rileggendola a distanza di quasi tre anni, sono rimasto impressionato dal fatto che, dal primo giorno dell’invasione, Zelens’kyj poneva problemi che hanno attraversato tutta la durata della guerra e sono ora decisivi, perché molto influenzeranno tempi, modi e contenuti del possibile negoziato di cui si torna a parlare. 

Innanzitutto, fin dall’inizio un importantissimo obiettivo tattico del regime russo è stato eliminazione di Zelens’kyj, fisica o per delegittimazione politica. Non per caso, il punto è stato nuovamente ribadito con forza da Putin nel dicembre 2024, per via dell’aspettativa per lui positiva suscitata dall’elezione di Trump. Putin sostiene la menzogna che, secondo la Costituzione ucraina, la continuità della presidenza Zelens’kyj sia illegale e quindi pretende che un negoziato possa esserci solo dopo nuove elezioni presidenziali. È buffo che questa richiesta venga da qualcuno che è al potere da un buon quarto di secolo anche grazie a brogli elettorali e all’eliminazione dei concorrenti come Aleksej Naval’nyj, morto in carcere, molto probabilmente assassinato. La pretesa è di un’ipocrisia sconfinata anche perché viene da chi, avendo voluto l’annessione alla Russia del 18% del territorio ucraino e dei suoi abitanti - «piccoli russi» secondo l’ideologia imperiale russa - rende impossibile l’elezione di un nuovo Presidente ucraino che sia scelto dall’intero elettorato nazionale. Putin ha però ottime ragioni per volere l’eliminazione di Zelens’kyj: perché agli occhi dell’opinione pubblica mondiale ha benissimo incarnato l’identità nazionale e la volontà di resistenza dell’Ucraina, tanto che il suo modo di comunicare merita d’essere studiato; e poi perché può sperare che una campagna elettorale offra opportunità alla Russia di destabilizzare la politica interna ucraina. Anche più importante è che Putin intende ridurre al minimo la voce dell’Ucraina in un eventuale negoziato: dal suo punto di vista l’ideale è scavalcare del tutto Zelens’kyj per trattare il destino del Paese direttamente con Trump, così come ai tempi del colonialismo le grandi potenze trattavano la spartizione di territori e popoli, un bell’esempio di cosa possa significare multipolarità in versione russa. Per quanto il Presidente americano sia intenzionato a incontrare il collega ed amico russo, il tentativo di decidere alle spalle e sulla pelle degli ucraini difficilmente riuscirà. 

«Vogliono distruggere politicamente l’Ucraina»: cioè negarne l’indipendenza e, addirittura, l’identità come nazionalità distinta da quella russa. L’obiettivo di guerra del Presidente russo è sempre stato e rimane questo, rispetto al quale sono strumentali le altre sue rivendicazioni, come la neutralità e l’annessione dei territori che l’imperialismo russo definisce Nuova Russia. 

Al contrario di quanto pensano i creduloni (o gli ignoranti) e di quel che proclamano i fintopacifisti che gongolano ad ogni avanzata russa, Putin non ha mai inteso negoziare seriamente una pace che non equivalga alla resa politica dell’Ucraina. Il negoziato russo-ucraino del marzo-aprile 2022 non fallì perché un intervento «occidentale» avrebbe impedito di concludere un trattato su cui le parti concordavano. Chi si prende il disturbo di leggere le bozze di trattato di pace discusse dai rappresentanti russi ed ucraini - tre bozze, analizzate in un mio prossimo articolo - si renderà conto che ad essere in gioco non era affatto lo status neutrale dell’Ucraina, non solo perché il suo ingresso nella Nato era una mera aspirazione unilaterale, da molti anni respinta dalla Nato e di assai dubbia realizzazione in futuro. Zelens’kyj aveva dichiarato subito la disponibilità a rinunciare a quell’aspirazione - «non abbiamo paura di parlare di status neutrale» - e questo era il primo e non controverso punto di tutte le bozze di trattato. Se le trattative tra febbraio e metà aprile 2022 non portarono a nulla fu perché le pretese dei russi andavano ben oltre lo status neutrale e non-allineato dell’Ucraina su cui, ripeto, c’era accordo. I rappresentanti di Putin ponevano un insieme di condizioni politiche, militari e territoriali che, di fatto, avrebbero negato l’indipendenza politica e l’integrità territoriale dell’Ucraina. A Putin non interessava affatto né interessa ora un’Ucraina neutrale come l’Austria e la Svizzera, o come lo sono state la Finlandia e la Svezia. L’obiettivo dell’invasione era e rimane l’assimilazione totale dell’Ucraina nella sfera d’influenza russa e, in prospettiva, la sua forzata russificazione; in subordine, Putin punta ad annetterne quanto più possibile e a lasciarsi dietro un Paese devastato e debole, possibile preda di un’altra «operazione speciale». Che dopo tanti decenni di neutralità Finlandia e Svezia abbiano aderito alla Nato dovrebbe fare intendere come i Paesi vicini alla Federazione Russa percepiscano l’ampiezza e la pericolosità delle ambizioni imperiali del dittatore russo.  

Con l’annessione alla Federazione russa degli oblast ucraini di Donec’k e Luhans’k, Cherson e Zaporižžja, in aggiunta alla Crimea già invasa e annessa nel 2014, Putin si è volontariamente privato della carta più forte per contrattare con il governo ucraino una soluzione di compromesso al conflitto. In nessuna circostanza gli ucraini possono riconoscere l’annessione di quasi il 20% del loro territorio, con i relativi concittadini, alla Federazione Russa. Per cui, se i russi non si ritirano dai territori occupati è concepibile un armistizio di tipo coreano, ma non una pace duratura. Quanto alle presunte aperture di Putin al cessate il fuoco e al negoziato con il governo ucraino, queste sono una finzione parte della strategia bellica russa il cui scopo è semplicemente generare dubbi e confusione nella scena politica degli Stati che sostengono la resistenza ucraina2

In terzo luogo, ed è di questo che qui specialmente mi occupo, la frase pronunciata da Zelens’kyj riferita ai Paesi amici: «sinceramente, hanno tutti paura», non ha mai cessato d’essere vera e costituisce il più grave problema strategico per la condotta bellica dell’Ucraina e per i tempi e i contenuti di un trattato che ponga fine alla guerra. Di quella frase si sente l’eco a metà gennaio 2025, nell’intervista di Zelens’kyj a un giornale polacco in cui ha ringraziato Biden dell’aiuto dato ma ha anche dichiarato che «chiedevamo armi e sanzioni. Ma l’America disse che “prenderemo provvedimenti, solo se succede qualcosa”. Credo che questa sia stata una posizione debole»; e aggiunse che «non ho mai capito del tutto e non capirò mai» perché non siano stati forniti all’Ucraina più sistemi di difesa antiaerea Patriot, necessari per proteggere la popolazione.

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.