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mercoledì 11 dicembre 2024

Annotazioni storiche in merito alla questione del Rojava - parte I

Dal ritiro delle forze governative alla promulgazione della Carta del Contratto Sociale


di Andrea Vento


I curdi del Rojava, il Kurdistan occidentale, da quando è stato disegnata la carta politica del Medio Oriente dalle potenze coloniali vincitrici della I Guerra mondiale, Regno Unito e Francia, senza concedere il diritto ad uno proprio stato alle popolazioni curde (carta 1), hanno sempre corso il rischio di scomparire, insieme ai connazionali degli altri stati limitrofi (Turchia, Iraq e Iran), soprattutto come soggettività etnica a causa delle politiche negazioniste, repressive e assimilazioniste di cui sono stati oggetto da un secolo a questa parte.

Carta 1: la definizione dei confini politici della penisola anatolica in base al Trattato di Losanna del 24 luglio 1923 che sancirono la nascita della Turchia moderna a discapito del promesso stato curdo e non solo (nota 1)


Nello specifico, la situazione dei curdi del Rojava ha registrato un profondo cambiamento a seguito della guerra civile siriana iniziata nel corso del 2011 e successivamente evolutasi in conflitto internazionalizzato. E' opportuno specificare che nel 2012, nel corso della guerra civile siriana, le forze governative siriane si sono ritirate dalle tre zone, confinanti con la Turchia, abitate dai curdi, lasciando il controllo militare alle Unità di autoprotezione del popolo (YPG), appositamente costituite l'anno precedente (2011) a scopo difensivo. L'Esercito Arabo Siriano, in difficoltà si è quindi ritirato a difesa della capitale e delle zone del Nord-ovest a maggioranza alawita (carta 2), una setta minoritaria dello sciismo che esprime il governo di Damasco compresa la dinastia degli  el-Assad, abbandonando al loro destino i territori curdi(2). 

Carta 2: composizione etnica e religiose della Siria e del Libano agli inizi della guerra civile


I curdi sono stati costretti ad organizzarsi, oltre che militarmente, anche politicamente e amministrativamente, istituendo nel  luglio del 2012, il Comitato Supremo curdo (Dbk) come organo di autogoverno della propria area. Istituzione composta in egual numero da membri del Partito dell'Unione Democratica (Pyd), principale partito curdo siriano legato al Pkk turco, il Partito de Lavoratori del Kurdistan d'ispirazione marxista, e del Consiglio Nazionale Curdo (Knc), politicamente vicino al Kurdistan iracheno(3).

Tuttavia, il Pyd dopo aver rotto con il Knc, nel novembre del 2013,  ha annunciato un governo ad interim nelle tre aree curde territorialmente non contigue, da ovest verso est, i cantoni di Afrin, Kobane e Jazira (Qamislo), dichiarando la piena autonomia e proposto un processo costituente denominato: Carta del Contratto sociale. I tre i cantoni sono stati (carta 3), quindi, dotati di assemblee popolari e di forze di autodifesa: le YPG (formazioni miste) e le YPJ (composte solo da donne). 

Carta 3: i 3 cantoni curdi del Rojava ad inizio 2014


Il modello politico-sociale del Confederalismo democratico

La Carta del Contratto Sociale, promulgata il 20 gennaio 2014, è divenuta la costituzione più democratica che la popolazione di questa regione abbia mai conosciuto. L'organizzazione politica e sociale del Rojava può essere considerata un modello di Confederalismo democratico del Medio Oriente nel quale ogni comunità, a prescindere dalle caratteristiche etniche e religiose, ha il diritto all'autodeterminazione e all'autogoverno. 

Un modello basato, appunto, sulla filosofia del "Confederalismo democratico" elaborata da Abdullah Öcalan(4) leader del Pkk che implica autosufficienza, localismo e pluralismo etnico fra «kurdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni», come riporta il preambolo dell'innovativa Carta della Rojava. Un testo che tratta di libertà, giustizia, dignità,  democrazia, uguaglianza e  «ricerca di un equilibrio ecologico». 

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan turco (Pkk), con cui il PYD è in stretti rapporti, ha così descritto il Confederalismo democratico nel proprio manifesto fondativo: «Il Confederalismo democratico del Kurdistan non è un sistema di Stato, è il sistema democratico di un popolo senza Stato ... Prende il potere dal popolo e lo adotta per raggiungere l'autosufficienza in ogni campo compresa l'economia». 

Un modello economico basato sul municipalismo e sull'ecologia sociale che riprende l'elaborazione teorica del filosofo socialista libertario Murray Bookchin e che non contempla il processo di accumulazione capitalistica.

Il Confederalismo democratico è un paradigma sociale non statuale che si basa sulla partecipazione dal basso, i cui processi decisionali avvengono all’interno delle stesse comunità. E' un progetto anti nazionalista che, basandosi sulla convivenza pacifica fra elementi diversi, rigetta l'assolutismo etnico e il fondamentalismo religioso, peraltro in fase di espansione nell'intero Medio Oriente e non solo.

Altro cardine fondamentale è costituito dalla parità di genere che è concretamente rappresentata non solo dalle guerrigliere delle Ypj (immagine 1), ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituzione di autogoverno, che, pur tra contraddizioni e in condizioni estremamente difficili,  esprime un reale principio di cooperazione, tra liberi e uguali, in una regione particolarmente frammentata dal punto di vista etnico e religioso.

Immagine 1: le guerrigliere delle Ypj, combattono armate di soli Kalashnikov


Andrea Vento 

7 dicembre 2024

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati


Note:

 1.Il Trattato di Losanna ribaltò l'assetto territoriale previsto dal precedente Trattato di Sevres (1920), collaterale al Trattato di Versailles per la ridefinizione degli assetti mediorientali dopo la sconfitta dell'Impero Turco-ottomano, e che prevedeva la nascita di uno stato curdo nel sud-est della penisola anatolica, una Armenia più estesa di quella attuale,  l'assegnazione alla Grecia dei territori abitati dalla popolazione ellenica nella parte occidentale della penisola anatolica e il controllo internazionale sulla parte di territorio afferente agli stetti del Bosforo e dei Dardanelli.

2. Nell’estate 2012, sedici mesi dopo lo scoppio delle rivolte in Siria, il governo di Baššār al-Asad, sotto scacco ad Aleppo, ritirò l’esercito dalle aree a maggioranza curda del Nord e del Nord-Est del paese. 

Fonte: "I Curdi in Siria: il Rojava" https://storiaestorie.altervista.org/blog/i-curdi-in-siria-il-rojava/

3. https://www.cesi-italia.org/en/articles/crisi-siriana-e-prospettive-curde-la-partita-di-barzani

4. Il libro "Il Confederalismo democratico" di  Abdullah Öcalan è scaricabile al seguente link:

https://ocalanbooks.com/downloads/it-confederalismo-democratico.pdf



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 9 dicembre 2024

E SE CI FACESSIMO FOLGORARE TUTTI SULLA VIA DI DAMASCO?

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH - FRANÇAIS


Avevo scritto più volte che il popolo ucraino e il popolo israeliano stanno combattendo per tutti noi, che questi due popoli così diversi per culture e tradizioni storiche al momento rappresentano la trincea più avanzata della lotta contro le antidemocrazie, cioè contro le grandi dittature ex staliniste (Russia, Cina, Nordcorea) alleate temporaneamente alla più feroce delle dittature islamiche (Iran), con i loro satelliti minori. Tra questi includevo anche la Siria del criminale e macellaio Assad, sanguinario dittatore rimasto al potere solo grazie all’aiuto della Russia e dell’Iran. Dei suoi crimini, non lo si dimentichi, sono stati moralmente complici tutti coloro che si collocano dalla parte della Russia, dell’Iran e delle dittature loro alleate.

Non mi riferisco solo ai vari gruppi dell’estrema destra fascistoide e nazistoide europea - tutti schierati con Putin e con Khamenei - ma anche agli utili idioti filoputiniani e antisemiti «di sinistra» che li osannano con manifestazioni celebrative di Hamas e del pogrom del 7 Ottobre: un rigurgito di antisemitismo che non si vedeva dai tempi dell’Olocausto, negli Usa, in Francia, in Italia ecc.

Ebbene, non immaginavo che avrei avuto una conferma positiva della mia affermazione nel giro di così breve tempo. E questo perché non avevo riflettuto sull’effetto che la sconfitta di Hezbollah libanese da parte di Israele avrebbe avuto per i movimenti di opposizione siriani. Anche il mondo è stato preso di sorpresa, ma ora non c’è analista serio che non stia spiegando che la vittoria così rapida di HTS (Hayat Tahrir al-Sham, Organizzazione per la liberazione del Levante) è stata resa possibile dalla sconfitta di Hezbollah. Non solo dello Hezbollah libanese (braccio armato dell’Iran), ma anche delle sue truppe presenti in Siria a difesa del regime di Hassad. E questo mentre la Russia continua a esssere impegnata nell’aggressione all’Ucraina e non in condizioni quindi di intervenire direttamente in Siria. La vittoria di HTS si deve in parte, quindi, anche alla resistenza eroica del popolo ucraino.

Intervenendo al di là del confine siriano e interrompendo la via di comunicazione tra le milizie di Hezbollah in Siria e quelle in Libano, Israele ha reso possibile la vittoria di HTS. Su questo non possono esservi dubbi.

Speriamo che Abu Mohammad al-Jolani sia grato a Israele per questo successo e d’ora in avanti faccia del suo meglio per pacificare i rapporti tra la Siria e Israele (prima che i servizi russi lo uccidano, come sicuramente stanno programmando di fare. Non si dimentichi che il delitto politico è l’arte in cui gli eredi del Kgb sono rimasti imbattibili).


Se la sconfitta di Hezbollah e quella di di Hamas hanno rappresentato dei primi gravi colpi per il regime degli Ayatollah, la caduta del regime filosciita di Hassad segna il tramonto definitivo per il progetto imperialistico della dittatura iraniana. Non solo questa dovrà rinunciare al suo progetto di dominare il Medio oriente, ma probabilmente dovrà assistere impotente al riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele che era riuscita a interrompere con il pogrom del 7 ottobre e che ora potrebbe rimettersi in moto. E qualcosa forse comincia a capire anche il regime del Qatar che finora ha dato il suo contributo a tenere in vita il regime terrorista di Hamas.

Quale che sia lo sviluppo del nuovo governo siriano (che comunque non potrà che essere migliore di quello di Hassad), la coraggiosa resistenza del popolo israeliano - aggredito da 7 direzioni diverse, che ora sono scese a 5 - comincia a raccogliere i frutti del suo sacrificio.

Chi ama veramente la pace (e quindi escludo i pacifinti, gli ecofinti, gli antisemiti, gli hitlerocomunisti, i nemici vari della democrazia: insomma la sinistra reazionaria) dovrebbe solo rallegrarsi della caduta di Hassad, di questa nuova sconfitta dell’imperialismo russo e iraniano, e di questo nuovo punto a favore dell’umanità.


Avanti quindi sulla strada di Damasco, sperando che questa volta vada meglio di come andò l’ultima volta, circa duemila anni fa...

(9 dicembre 2024)       


ENGLISH

venerdì 6 dicembre 2024

SULL’ARTICOLO DI LILIANA SEGRE

di Laris Massari

ITALIANO - ENGLISH - ESPANOL

Lettera a un amico, mio coetaneo, critico dell’articolo di Liliana Segre «Perché non si può parlare di genocidio a Gaza, ma di crimini di guerra e contro l’umanità» (Corriere della sera, 29 novembre 2024)

Caro A., tu pensi davvero che il governo israeliano abbia nelle sue intenzioni di distruggere in toto o in parte il gruppo nazionale, etnico o religioso degli arabi palestinesi? Eppure degli arabi palestinesi vivono da sempre anche in Israele e non sono perseguitati: anzi, sono anche rappresentati democraticamente nel Parlamento, nella Knesset. E del resto la stampa di tiutto il mondo ha riconosciuto che la popolazione di Gaza è potuta crescere anche grazie all’aiuto di Israele e di Netanyahu.
Al contrario non si può negare che genocide sono le intenzioni di Hamas, Hezbollah, Houti e ayatollah iraniani, semplicemente perché lo hanno più volte dichiarato e manifestato. E se tutti costoro rifiutano l’ipotesi di due Stati è proprio perché il loro programma è di distruggere Israele e gettare a mare tutti gli ebrei che vi abitano. Più genocida di così…
Come non accorgersi che la responsabilità delle morti civili, dei danni alla popolazione (di Gaza e libanese) ricade anche (se non in primis) sulle spalle di chi ha cominciato in modo scellerato questo conflitto? Mi riferisco in particolare al progrom del 7 ottobre e ai lanci di missili di Hezbollah a partire dall’8 ottobre, il tutto in pieno accordo con l’Iran. Infine, pensi che Israele non abbia il diritto di difendersi mentre è coinvolto in attacchi da ben sette fronti diversi: Hamas, Hezbollah, Houti, Cisgiordania, Iran, Iraq e Siria? Tutti grandi lanciatori di droni e missili sulle città israeliane. Missili che fanno poca  notizia, ma solo perché Israele riesce a intercettarne la maggior parte. Il fatto che la popolazione civile d’Israele sia regolarmente silurata dai vicini dovrebbe generare indignazione, ma così non accade. Basterebbero queste considerazioni per porti dei dubbi se sia giusto intentare un processo per genocidio a danno di Israele, invece che all’Iran e ai suoi gruppi terroristici. 
Qui non si parla di quali siano i cavilli della legge sul genocidio che meglio si adattano all’azione israeliana - servizio riservato a Israele ma non alla Russia di Putin o ad altri - ma per quali casi sia stato effettivamente utilizzato prima d’ora il termine genocidio. E «la non dipendenza da una guerra in corso degli altri casi» come fa notare la Segre, è importante.
Basterebbe fare l’esempio eclatante dell’invasione russa dell’Ucraina - la cui esistenza come nazione è da Putin costantemente negata - per la quale non ho visto nessuna ondata pubblica di condanna in termini di genocidio. Come mai l’azione della Russia (con tanto di deportazioni di bambini, stragi, torture, distruzione delle fonti di energia elettrica ecc.) non viene accusata di genocidio da nessuno degli organismi internazionali, così solerti contro Israele? Intendo riferirmi a Nazioni unite, Tribunale dell’Aia, Amnesty international, Croce rossa, Ong varie…
Di fatto non lo fanno a ragion veduta, perché anche per i crimini della Russia in Ucraina e altrove - come per Israele a Gaza - sarebbe giuridicamente inesatto parlare di genocidio anziché di crimini di guerra e contro l’umanità. Eppure se proprio volessimo condannare qualcuno per genocidio, è dalla Russia che dovremmo cominciare - che tra l’altro degli autentici genocidi li ha compiuti nel suo passato contro gli ucraini (il terribile Holodomor) e i tatari di Crimea - tanto più che lì non si dovrebbero avere dubbi su chi sia l’aggressore e l’aggredito.  Ma c’è anche chi sarebbe pronto a dire che la Russia non ha invaso, che si sta difendendo… Tanto è sempre colpa degli Usa e dell’Occidente. 
Non vedi che c’è una volontà di fondo - sin dall’inizio del conflitto - di far passare le ex vittime in nuovi carnefici?
Forse non lo vedi perché l’azione conformista dei social è troppo forte, perché «condannare il genocidio israeliano» (ma a volte leggi «ebraico») è diventato un trend diffusissimo in Rete. E le immagini - quasi sempre vere purtroppo - che si vedono quotidianamente su questi canali di pseudoinformazione non permettono di dividere le due cose a livello emotivo: di provare empatia per le vittime e le sofferenze eccessive, ma allo stesso tempo di avere una visione generale e complessiva di ciò che sta accadendo. Finendo col discriminare ancora una volta il popolo ebraico, attribuendo le responsabilità a una sola parte e perdendo di vista quale possa veramente essere una strada per la pacificazione.
Ma anche solo le modalità in cui si è svolto il progrom del 7 ottobre, non ti fanno avere un’idea della ferocia e della barbarie follemente genocida che ha spinto Hamas, avendo alle spalle l'Iran? Certo, le immagini di quel pogrom sono meno «di moda» sui social rispetto all’azione vendicativa di Netanyahu. Ma ciò non può far dimenticare che le stragi degli abitanti di Gaza erano proprio ciò che Hamas voleva quando ha deciso di dichiarare guerra a Israele. E Hamas continua a volere quelle stragi, perché gli sarebbe bastato liberare gli ostaggi per salvare migliaia di vite umane di suoi concittadini. E invece no: li vuole vedere morti, rifiutando di liberare gli ostaggi. Ostaggi, che come ben sai, non ricevono alcun aiuto umanitario da parte di Amnesty, Croce rossa, Ong varie. Particolarmente vergognoso è il comportamento di Amnesty che invece di emettere condanne politiche dovrebbe fare di tutto per entrare in contatto con gli ostaggi. Non ne ha incontrato nemmeno uno!
Finché i gruppi terroristici intorno a Israele saranno così fanaticamente agguerriti, il governo israeliano cosa dovrebbe fare?
Sarebbe forse giusto che Israele cessasse il fuoco, consentendo ad Hamas di riorganizzarsi, per poi subire altre aggressioni come il pogrom del 7 ottobre? 
E come dovrebbe comportarsi con l’Iran, che a sua volta ha preso l’iniziativa di lanciare centinaia di missili contro le città israeliane?
E con i gruppi terroristici che minacciano di sterminare gli ebrei di Israele?
Contro chi minaccia la pace, lo stato di benessere, quindi la democrazia e i diritti, noi occidentali (e baluardi della democrazia in Medio oriente come Israele) che cosa dovremmo fare?
È assurdo che si metta in dubbio la legittimità di atti autodifensivi, non parliamo neanche di guerre preventive o deterrenza (orrore! scandalo!). Eppure durante la Seconda guerra mondiale, come ricorda Liliana Segre, il bombardamento di Dresda e le atomiche sul Giappone hanno contribuito a porre fine alla guerra. Valeva il prezzo di tutte quelle vittime innocenti? Da tempo ci diciamo che no e a ragione. Ma mai nessuno ha chiamato «genocidio» quegli atti di guerra che pure provocarono molte più vittime che non a Gaza. Del resto, quante vittime avrebbe invece causato il proseguimento di quella guerra mondiale così distruttiva, iniziata per scelta deliberata della Germania nazista e dell’Urss stalinista inizialmente alleati?
Sono domande razionali, scomode, fastidiose perché contrastano con l’etica e la morale che noi (sottolineo noi) europei occidentali et similia abbiamo sviluppato in anni e anni di pace e sviluppo del benessere - un benessere che non abbiamo tenuto solo per noi - seguiti ai conflitti mondiali. Trovo invece orrendo vedere nel mondo così tante manifestazioni di solidarietà per azioni di stampo medioevale da parte di gruppi e regimi altrettanto medioevali nelle loro convinzioni ideologiche. 
Io non ho la risposta esatta a tutte queste domande, ma me le pongo, e il solo fatto di pormele mi fa rimanere in allerta. Nel testo la Segre parla anche dei motivi per cui una parola così pesante come «genocidio» andrebbe evitata, visto che essa richiama alla memoria in primo luogo lo sterminio sistematico di 6 milioni di ebrei (oltre a zingari, omosessuali ecc.). Ci hai riflettuto? Perché in certi ambienti (per esempio nelle università sconvolte al momento da ondate di mobilitazioni antisraeliane, ma non antiputiniane) non si affronta invece il tema del perché l’antisemitismo è tornato a crescere nel mondo? Eppure l’antisemitismo (antiebraismo) è così evidente in tanti comportamenti che andrebbero condannati come tali e che invece furoreggiano sui social. Dovresti renderti conto che è in atto un sovvertimento di valori molto pericoloso, destinato a segnare anche il nostro futuro, di noi, la nuova generazione.
Se sono critico del governo israeliano? Sì, senza dubbio. Sostenere che Hamas e soci stiano facendo una cosa giusta, una resistenza o un atto eroico? Giammai (so che in fondo non lo pensi neanche tu).
Ma il quesito di fondo rimane: dopo il 7 ottobre, quando fu chiaro che Hamas andava eliminato, quale era il modo giusto, meno disumano e pacifico di riuscire a farlo? Nonostante le sue stragi, neanche Netanyahu c’è riuscito. E gli ostaggi sono ancora prigionieri. Quindi il problema rimane aperto.
È giusto che tu sappia che queste sono domande che io mi pongo a partire almeno dal 7 ottobre e che considero imprescindibili per un'analisi dei nostri tempi.

Laris

P.S. Ti allego una poesia molto famosa di Martin Niemöller, nella sua versione originaria

Quando i nazisti presero i comunisti,
io non dissi nulla
perché non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici,
io non dissi nulla
perché non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla
perché non ero sindacalista.
Poi presero gli ebrei,
e io non dissi nulla
perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.

ENGLISH

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.