L’associazione Utopia rossa considera suo fondamento politico il principio secondo cui il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi si deve riflettere l’essenza del fine. Non ha programmi politici, come del resto non ne aveva la Prima internazionale. Nonostante le più diverse provenienze ideologiche dei suoi sostenitori, essa ritiene che l’anticapitalismo dilagato dopo l’inizio dell’Antirivoluzione russa (dicembre 1917) sia stato motivato fondamentalmente da idee precapitalistiche, cioè retrograde, e non da progetti di civiltà in grado di superare il capitalismo sviluppando ulteriormente i suoi modelli di democrazia. Ciò spiega anche il prevalere, nella storia della cosiddetta «sinistra», di simpatie per i regimi dittatoriali di ogni specie e colore. Utopia rossa si batte contro l’ulteriore diffusione di ideologie precapitalistiche vecchie e nuove (in campo politico, culturale, ecologico, religioso ecc.), come parte della sua battaglia per il superamento del capitalismo, se si vuole salvare la vita sulla Terra con la sua umanità. In questo senso la sua utopia continua ad essere rossa.

The Red Utopia association considers its political foundation to be the principle that the end does not justify the means, but that the means must reflect the essence of the end. It has no political program, just as the First International did not. Despite the diverse ideological backgrounds of its supporters, it believes that the anti-capitalism that spread after the start of the Russian Anti-Revolution (December 1917) was fundamentally motivated by pre-capitalist – that is, retrograde – ideas, and not by civilizational projects capable of overcoming capitalism and of further developing its democratic models. This also explains the prevalence, throughout the history of the so-called «left», of sympathies for dictatorial regimes of all kinds and colors. Red Utopia fights against the further spread of old and new pre-capitalist ideologies (in the political, cultural, ecological, religious, and other fields) as part of its battle to overcome capitalism, if life on Earth, including its humanity, is to be saved. In this sense, its utopia remains red.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

domenica 7 dicembre 2025

IL LIBRO DI SHLOMO SAND

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH


Da qualche tempo ho finito di leggere il libro di Shlomo Sand (The invention of the Jewish people) e mi ripromettevo di scrivere una noticina. (Come farò anche per il libro sulla tratta arabo-musulmana.)

Intanto, va detto che ho avuto la conferma come scrissi a suo tempo che C.A., nel citare quel libro, non era andato oltre il titolo. Se poi lo abbia letto dopo le mie critiche, non mi riguarda.

E in realtà, quel titolo è ingannevole: sarebbe dovuto essere «L’invenzione della razza ebraica», perché il fuoco principale della polemica è rivolto contro la storiografia sionista che ha tentato di stabilire una continuità etnica (e addirittura genetica!) tra gli attuali abitanti d’Israele e l’antico popolo israelitico. Allo scopo - e questa è la parte utile e condivisibile del libro - Sand ricostruisce la vicenda delle tre principali etnie ebraiche esistite fuori della Palestina e successive alla sua Diaspora al termine della Guerra giudaica.

[Diaspora sulla quale Sand dice delle sciocchezze negando che essa sia avvenuta dopo la vittoria romana del 70 per il semplice fatto che essa esisteva anche prima. Che essa esistesse anche prima è risaputo e l’ho scritto a mia volta (in molti punti del mio libro su Gesù e i suoi «cugini»), foss’altro perché ne parla il Nuovo Testamento: Paolo (per es. Rm 13: 6-7, che in varie altre lettere fornisce anche i nomi delle principali città - anatoliche e greche - in cui risiedevano forti comunità ebraiche prima del 70); gli Atti degli apostoli, scritti prima del 63; l’Apocalisse - ma dopo il 70 - con le sue 7 Chiese (tutte anatoliche [Ap 1: 4 e 11]) . È però insopportabile il modo in cui Sand toglie credibilità all’opera storica di Flavio Giuseppe che invece - da contemporaneo partecipante - la Diaspora del dopo-70 la descrive, eccome. Per quanto approssimata sia la cifra di un milione di morti ad opera dei romani, basterebbe semplicemente la logica per stabilire che degli ebrei «non-morti», a molti non restò alternativa che scappare, sfuggendo alle stragi e alla schiavizzazione, andando per lo più a rimpinguare la preesistente Diaspora (anatolica, mediterranea, Roma inclusa).]

Ma per tornare alla parte positiva, le tre grandi etnie ebraiche che Sand descrive (sulla scia di un’enorme letteratura dedicata al tema) sono quella dei Berberi in Nordafrica, dei Khazari nel Caucaso e degli Himiariti nello Yemen. Per cui, il risultato finale di Sand - che se ne renda conto o no - è che non solo egli riconosce l’esistenza di un enorme e variegato popolo ebraico, ma che esso è sorto in periodi diversi e in varie e disparate parti del mondo. Lui dice che nel caso dei Khazari ciò è avvenuto solo per conversione degli abitanti, mentre io dico che i due processi - conversione e immigrazione - si sono per forza intrecciati, perché altrimenti non si vedrebbe chi abbia convertito chi. Da non sottovalutare, poi, come si sono intrecciate le storie delle comunità cacciate dal Nordafrica, quelle cacciate dalla Spagna, per non parlare delle mescolanze avvenute all’interno del mondo slavo, le storie di pogrom e così via.

Ma a differenza di Sand, io non dimentico che un ridotto nucleo «originario» è sempre esitito nella stessa Palestina, sopravvissuto anche all’avvento dell’Islam (nel sec. VII) che convertì forzosamente gran parte della popolazione ebraica ivi rimasta.

Sand ipotizza che quegli ebrei convertiti all’Islam siano i progenitori degli attuali arabi palestinesi. Francamente non vedrei argomenti contrari, anche se non saprei che dire al riguardo e lo stesso Sand non offre grandi pezze di appoggio.

Ma l’ipotesi è plausibile (al di là del nome dei palestinesi, trasformazione dell’arcaico «filistei») e sarebbe un argomento in più per consigliare agli attuali palestinesi cisgiordani e agli attuali palestinesi gazawi di entrare a far parte - come due minoranze nazionali distinte - di uno Stato federale israeliano (in cui tra l’altro già vivono in condizioni dignitose i palestinesi israeliani), invece di continuare a vivere in pessime condizioni economiche, scolastiche, sanitarie e sociali sotto dittature politiche i cui dirigenti si sono formati in Unione Sovietica (dall’egiziano.doc Arafat al galileo Abu Mazen) e non in Palestina.

Il popolo ebraico descritto da Sand ha una ricca storia millenaria; è vissuto in zone del mondo tra le più diverse (dal Maghreb al Caucaso al Don); ha nutrito al proprio interno lingue appartenenti a ceppi linguistici tra loro incompatibili (basti solo pensare alle origini germaniche-slavo-serbe dello yddish); ha sviluppato tradizioni di ogni genere (mescolando quelle proprie e quelle delle zone di esistenza); ma ha mantenuto un’unica fede religiosa, benché anche questa sia stata vissuta in modi diversi, ivi compresi atteggiamenti areligiosi ampiamente diffusi. Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni: il vero elemento «omogenizzatore, che ha invece caratterizzato l’insieme del popolo ebraico (in Asia, Africa, Europa e Russia), sono state le persecuzioni antiebraiche. Ma a questo quasi bimillenario elemento unificatore - che per giunta continua in forma aperta in Mediio Oriente e in forma strisciante anche in regimi democratici come l’Italia -  Sand purtroppo non dà l’importanza che merita.

Gli va riconosciuto, però, di aver scritto nella Prefazione: «Non nego il diritto dello Stato d’Israele a esistere» - che ha il suo valore per il fatto di esser detto da uno studioso appartenente all’area degli storici antisionisti dominata da quell'Ilan Pappé divenuto l’idolo di molti moderni adepti dell’antisemitismo/ antiebraismo intellettuale. Proprio per questo citai la dichiarazione di Sand in polemica con C.A. che negava tale diritto apertamente, ma varrebbe per tutti coloro che lo negano implicitamente, rifiutando a Israele il diritto di difendersi dalle aggressioni che ha subìto e continua a subire dal 1948 ad oggi. Fermo restando il diritto di dissentire su quali siano i modi migliori per Israele di difendersi e per portare la pace in tutta l’area mediorientale, escludendo l’Iran, finché lì dominerà il regime più sanguinario e reazionario esistente oggigiorno al mondo.

shalom

Roberto 


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ENGLISH

martedì 2 dicembre 2025

CHILE: UN GOLPE AL CORAZÓN

por Tito Alvarado


ESPAÑOL-ITALIANO-ENGLISH


La elección presidencial pasada en Chile (noviembre, 26, 2025) ha señalado unas cuantas certezas: ninguna encuesta, manipulación mediática o furor de campaña puede asegurar un resultado deseado ni puede señalar un rumbo fijo. La incertidumbre envuelve al devenir político. Pudiéramos quedar aquí, estaríamos faltando al rigor y a la verdad. De nada sirve que hablemos con un lenguaje oscuro y de rebuscados argumentos ni quedarnos en señalar el problema sin atrevernos a elucubrar una solución posible. Primero habría que preguntarse ¿Cómo hemos llegado a este callejón de aparente no salida? Desde que tengo capacidad de recordar, he constatado a cada paso la desigualdad social, la falta de oportunidades, el doble rasero para medir y otras múltiples expresiones de la ideología del poder. Hasta llegar a la culminación criminal de la dictadura y lo menos cruento, pero igual de desalmado, de los gobiernos de la concertación y dos periodos de un engendro publicitario con síndrome de camisa ancha. ¿Qué ha ocurrido en este largo periodo de dictadura criminal y dictadura por otros medios? La reducción cultural de Chile a una mera expresión de vacío existencial. Muchas empresas florecientes, que eran propiedad del estado, fueron traspasadas, a precio de huevo, a manos privadas; toda expresión de periodismo alternativo, fue ahogada desde los gobiernos de la concertación; para peor, si antes había atisbo de poder revolucionario, hoy muchas de esas expresiones han quedado en el limbo de volverse divagación diversa del pensamiento socialdemócrata y un miedo cerril a cualquier expresión de organización y poder popular; hubo un tiempo en que se fabricaban en Chile muchos artículos de consumo, hoy el poder industrial del país ha sido desmantelado, casi todo está en manos de capitales extranjeros. Nos hemos convertido en un país que vende servicios, materias primas, productos del campo y ni qué decir del sueldo de Chile. Si mirásemos cómo se producen los bienes materiales en nuestro reducido país, tendríamos unas cuantas respuestas que nos situarían en la cresta de la ola, somos un país sin identidad propia, con políticos sin propuestas de soluciones reales, con ciudadanos que han perdido su derecho fundamental: ser persona libre. Vivimos a los sobresaltos de la manipulación, mientras los dueños del poder siguen en su negocio.

Para el 14 de diciembre hay dos posibilidades con resultados diametralmente opuestos, pero, paradojalmente, sin cambio de fondo en beneficio de los olvidados, la política se ha vuelto un circo con incapacitados mentales sin propuestas serias y necesarias, se hace política para administrar el capitalismo, unos con avances timoratos en beneficio de ciertas mayorías y otros tendientes a ver nublado cuando resplandece el sol, son los amigos de aplastar cabezas. Desde hace mucho el miedo es el arma de uso común, miedo que nada tiene que ver con la realidad y oculta un miedo mayor. El cuco del comunismo, esgrimido cuando los comunistas no son ni la sombra de lo que fueron, la inseguridad, que encierra en el pequeño espacio de su casa a personas que debieran ser libres, la realidad demuestra que la inseguridad es un lucrativo negocio creado para ocultar problemas mayores como la corrupción, cuando estamos a las puertas de un fracaso aparece el miedo al pinochetismo por otros medios, este nos ha obligado muchas veces a elegir el mal menor. Nos hemos vuelto masas en disputa sin participación creadora, solo se nos convoca para votar y luego que cada cual se las arregle como pueda. ¿Dónde ha quedado la capacidad de organizarse en base a necesidades y perspectivas de solución?

Chile está, aparentemente en una disyuntiva, se elige un candidato o gana el otro (esto es más un juego de azar que trabajo en pro de las soluciones), cada comando se esmera en mostrar su opción como la mejor, ocultando la realidad: ninguno de los candidatos en disputa aportará soluciones de fondo. Lo que venga después será una divergencia, son proyectos opuestos en lo aparente, en lo profundo otro es el cantar. Los problemas del país, que son los problemas generados por la forma en que se establecen las relaciones humanas, si no se resuelven, se acumulan hasta un próximo estallido social. De todo lo que se dice en campaña, algunas frases suenan feroces, otras se visten de premoniciones, todos avivan un juego pasajero, después tendremos las lamentaciones. Nadie menciona el problema del agua, ni la recuperación de las riquezas básicas, y es que el problema fundamental, son los políticos con sus miras pequeñas y sus propuestas de poca monta. El país no requiere un fascista en el gobierno ni una socialdemócrata para administrar un sistema, que, en esencia, debe ser cambiado de raíz.

¿Qué hacer? es el dilema, solamente que este qué hacer no es una disyuntiva que señale un antes y un después. Lo cierto es que sí seguimos por la misma senda, poco, casi nada de cambio profundo habrá en el país. Hoy no se trata de fascismo para parar el comunismo ni comunismo para parar el fascismo, se trata de optar por la vida, priorizar lo que funciona, terminar con la corrupción, establecer puentes con el otro, priorizar las soluciones a nuestras necesidades, recuperar identidad, partir desde abajo para llegar a un sistema que permita la participación plena, creadora, de cada persona. Seamos actores de nuestro propio destino, tengamos una opinión informada, emitamos nuestro pensamiento, propongamos soluciones, juntemos nuestra fuerza con la de los demás. Optemos por la solución mayor, el pueblo ejerciendo el poder.

Hacia adelante no hay caminos abiertos, debemos construirlos con nuestro propio accionar.


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ITALIANO

sabato 29 novembre 2025

Les éditions Syllepse se sont associées pour la série sur l’agression de la Russie poutinienne contre l’Ukraine aux éditions Page 2 (Lausanne), M Éditeur (Montréal), Spartacus (Paris) et Massari Editore (Italie), aux revues New Politics (New York), Les Utopiques (Paris) et ContreTemps (Paris), aux sites À l’encontre (Lausanne) et Europe solidaire sans frontières, ainsi qu’aux blogs Entre les lignes entre les mots (Paris),  Centre Tricontinental (Louvain-la-Neuve), Utopia Rossa/Red Utopia et au Réseau syndical international de solidarité et de luttes.

BRIGADES ÉDITORIALES DE SOLIDARITÉ

À l’encontre: https://alencontre.org/ Centre Tricontinental: www.cetri.be/ ContreTemps: lesdossiers-contretemps.org/ Éditions Page 2: https://alencontre.org/ M Éditeur: https://m-editeur.info/  Éditions Spartacus: www.editions-spartacus.fr/ Éditions Syllepse: www.syllepse.net/ Massari Editore, www.massarieditore.it

Entre les lignes, entre les mots: https://entre- leslignesentrelesmots.blog/ Europe solidaire sans frontières: www.europe-solidaire.org/ Les Utopiques: lesutopiques.org/ New Politics: newpol.org/ Réseau syndical international de solidarité et de luttes: laboursolidarity.org/ Utopia Rossa/Red Utopia: www.utopiarossa.blogspot.com/


L’UCRAINA DI FRONTE A UNA SCELTA INSOSTENIBILE

di Oleksandr Kyselov

(Attivista di Sotsialnyi Rukh. Ucraino, originario di Donetsk)

ITALIANO - FRANÇAIS


Sfiniti da oltre tre anni di attacchi russi, gli ucraini sono sempre più disposti ad accettare compromessi politici ingiusti e pesanti concessioni territoriali per porre fine alla guerra. Eppure, è tutt'altro che certo che questa difficile scelta porterà effettivamente a una pace duratura. Mentre dilagano le speculazioni su un altro piano di pace mediato da Trump per l'Ucraina, gran parte del dibattito attuale sembra un déjà vu. Sentiamo le stesse denunce di "interessi particolari" nel conflitto, condanne di guerrafondai e richieste di "colloqui urgenti". In Ucraina, non abbiamo solo sentito queste argomentazioni. Le abbiamo formulate noi stessi.

Nell'estate del 2014, in seguito all'annessione della Crimea da parte della Russia e con la guerra nel Donbass già in corso, attivisti ucraini, russi e bielorussi pubblicarono una dichiarazione "Nuova Zimmerwald" in cui criticavano l'ascesa dello sciovinismo e della xenofobia nei loro paesi. Hanno chiesto un ampio movimento contro la guerra, un cessate il fuoco immediato e il disarmo reciproco. Il neonato movimento ucraino Sotsialnyi Rukh ha fatto eco a questo spirito nel 2015, sostenendo negoziati diretti con il coinvolgimento di sindacalisti e difensori dei diritti umani di entrambe le parti, nonché lo scioglimento delle agenzie di sicurezza. Si è trattato di un autentico tentativo di pace internazionalista, fallito.

Niente di tutto ciò ha impedito l'aggressione russa nel 2022. Eppure, con l'eccezione di una coraggiosa minoranza, la sinistra russa si è nuovamente rifugiata nella retorica pacifista, attribuendo la colpa della guerra a entrambe le parti e puntando il dito contro la NATO, Boris Johnson e il "regime oligarchico neonazista di Kiev". Gli ucraini, sotto i bombardamenti, non hanno potuto permettersi questo lusso. Hanno resistito alle forze di occupazione e troppi hanno già perso la vita.

A livello internazionale, quando la sinistra non si limita a dichiarazioni concise e stereotipate, oscilla ampiamente tra un'istintiva repulsione per l'ingiustizia e una disperata richiesta di pace. Ma entrambe possono servire da guida per l'azione?

Il prezzo della giustizia


Molti denunciano qualsiasi compromesso con il Cremlino come un vero e proprio tradimento, creando un precedente premiando l'aggressione. In termini assoluti, hanno ragione. Eppure la giustizia ha sempre un prezzo: se non per gli attivisti che la chiedono, allora per qualcun altro.


Le risorse dell'Ucraina sono al limite delle loro possibilità. La spesa per la difesa nel 2025 ha raggiunto i 70 miliardi di dollari, superando le entrate fiscali nazionali. Il deficit di bilancio si aggira intorno ai 40 miliardi di dollari e la continuità degli aiuti esteri non è garantita. I costi di ricostruzione sono già saliti a oltre mezzo trilione di dollari. Il debito pubblico ammonta a 186 miliardi di dollari e continua a crescere. Quasi due terzi degli ucraini prevedono che la guerra durerà più di un anno, e gli esperti condividono questa opinione. Il presidente Volodymyr Zelensky sottolinea che il suo Paese avrà bisogno di tutto il supporto possibile per combattere l'esercito russo per altri due o tre anni. Allo stesso tempo, le forze armate ucraine sono sottoposte a grave pressione non solo per la mancanza di armi e munizioni, ma anche per la diminuzione del personale. Dal 2022 sono stati registrati oltre 310.000 casi di diserzione e assenza senza permesso, di cui più della metà nel 2025. Molti soldati che hanno lasciato l'esercito lamentano esaurimento, mancanza di preparazione psicologica all'estrema intensità del combattimento, interminabili missioni e comandanti corrotti che li trattano come pedine usa e getta. Alcuni sono pronti a tornare non appena le condizioni miglioreranno, ma solo una piccola parte lo ha fatto nell'ambito del programma di amnistia. Più della metà degli uomini ucraini si dichiara pronta a combattere, ma 1,5 milioni di loro non hanno ancora aggiornato i propri registri militari. Dopo l'inizio del reclutamento nel 2024, solo 8.500 persone si sono offerte volontarie entro un anno. Persino l'offerta di un bonus di 24.000 dollari alla firma per contratti di un anno non è riuscita ad attrarre molti giovani. Una volta allentate le restrizioni di viaggio per i giovani dai 18 ai 22 anni, quasi 100.000 uomini hanno attraversato il confine nei primi due mesi, molti dei quali sono partiti definitivamente.


La triste realtà è che la resistenza ucraina si basa sulla "busificazione", la pratica di sequestrare con la forza uomini per strada o sul posto di lavoro e arruolarli nell'esercito. Il difensore civico ha riconosciuto che questi abusi sono ormai sistemici. Ciononostante, la Corte Suprema ucraina ha stabilito che la mobilitazione rimane legalmente irreversibile, anche quando condotta illegalmente. Nel frattempo, i social media sono sempre più pieni di resoconti di violenti scontri con ufficiali di leva.


L'opinione pubblica riflette questa stanchezza e i recenti scandali di corruzione che coinvolgono i più stretti collaboratori del presidente non fanno che aggravare la situazione. I sondaggi mostrano che il 69% degli ucraini è ora a favore di una fine negoziata della guerra e quasi tre quarti sono disposti ad accettare il congelamento della linea del fronte, anche se non alle condizioni della Russia. Gli ucraini continuano a insistere sulle garanzie di sicurezza, che per loro includono la fornitura di armi e l'integrazione nell'UE.


Il sogno di "combattere fino alla vittoria", a prescindere da tutto, ignora questi limiti. A meno che il "sostegno incrollabile" dell'Occidente non includa la volontà di aprire un secondo fronte, cosa dovremmo aspettarci? La logica della disperazione porta ad abbassare l'età di leva, estendere il servizio militare alle donne, espellere i rifugiati ucraini aventi diritto dall'estero per riempire le trincee e quindi istituire truppe di blocco ed esecuzioni sul campo per prevenire le diserzioni.


L'illusione pacifista

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.