L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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venerdì 29 dicembre 2023

SU ISRAELE E PALESTINA CONTINUA LA DISCUSSIONE

(Parti 4-6 di 6)

di Piero Bernocchi (4ª) e Roberto Giuliani (5ª e 6ª)

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html  

link alla risposta di Nobile: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-2-di-3.html  

link alla risposta di Massari: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-3-di-3.html

 

di Piero Bernocchi

 

Negli ultimi giorni si è sviluppata una discussione molto interessante, serena e aperta, priva di asprezze o punte polemico-aggressive, sul conflitto israelo-palestinese (genesi, cause, stato attuale, possibili prospettive future), in connessione e con scambi di materiale tra alcune liste Cobas e il sito di Utopia Rossa. Iniziata con la pubblicazione sul sito di UR di un articolo di Claudio Albertani, che troverete di seguito e da me girato a varie liste Cobas, insieme ad un mio commento a carattere generale (che rimanda anche al mio scritto sull'argomento pubblicato qui nel mio sito  I palestinesi sottomessi a Israele ma anche ad Hamas e ANP. Come uscirne?) è proseguita da una parte con i contributi Cobas di Roberto Giuliani, Carlo Dami e Giovanni Bruno e dall'altra, sul sito di UR, con le risposte ad Albertani di Michele Nobile e Roberto Massari. 


Dopo l'invio dell'articolo di Albertani, ho dovuto aggiungere alcune precisazioni in seguito alla prima risposta di Giuliani, oltre a far circolare le risposte di Nobile e Massari su Utopia Rossa, della cui Redazione internazionale Albertani (che vive in Messico) fa parte: testi teorici che a volte condivido, altre no, ma di cui apprezzo in genere la rigorosità delle documentazioni e lo sforzo costante di elaborazione, scevro di retorica o sloganistica e luoghi comuni, oltre all'assenza di censure e di "dannazioni" a priori, inserendo l'intero carteggio in questo mio sito, perchè vedo l'insieme e la diversità delle posizioni come un buon contributo all'approfondimento del tema.

Da parte mia, aggiungo di non aver letto Storia del sionismo, e che dunque l'invio dello scritto di Albertani non implicava alcun mio consenso sul libro in questione, che, peraltro, mi dice Massari che ne è l'editore, essere stato nel frattempo rivisto e ripensato dall'autore. Nel merito dell'articolo di Albertani, non condivido la possibile sua negazione del diritto di Israele ad esistere: solo che non ritengo sia necessario o possibile dimostrare che la collocazione in Palestina dello Stato di Israele è legittima perchè in Palestina ci stavano 20 secoli fa gli ebrei e un loro Stato. Nuovi Stati sono stati creati artificialmente decine di volte negli ultimi due secoli, intere popolazioni sono state dislocate e trasferite anche di forza e hanno ricostruito etnie , tradizioni, religioni e storia altrove dai loro siti originari. E la "legittimità" di Israele, in particolare, deriva in realtà dalla volontà generalizzata "occidentale" (ma condivisa ampiamente da  un consesso come quello Onu che quasi mai si esprime con larghe maggioranze "trasversali" - ad approvarla ci fu anche l'Unione Sovietica- come per la creazione di tale Stato) di "risarcire" gli ebrei dallo sterminio nazista, in un posto storicamente caro alle loro tradizioni e ove si pensava potessero convivere con la popolazione stanziale. Insomma, non credo che sia quanto è successo 20 secoli a dare di per sè legittimità all'insediamento, ma che esso sia assai più motivato dalla Shoah e dalla decisione dell'Onu di accettare e avviare tale processo di insediamento "artificiale".

martedì 26 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 3ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Risposta ad Albertani

di Roberto Massari

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html

link alla risposta di Nobile: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-2-di-3.html

 

Caro Claudio, 

come ben sai, in tempi recenti e prima del tuo articolo, Utopia rossa aveva già pubblicato alcuni testi che parlavano apertamente di un solo Stato, multietnico, democratico, laico e se necessario anche federale. E mi fa piacere che citi favorevolmente analoghe posizioni da parte di israeliani o ebrei antisionisti, di sinistra o semplicemente democratici (peraltro posizione non nuove ma sempre esistite), così coincidenti con le nostre. Tu ricordi che anche Martin Buber aveva una posizione analoga o simile - uno Stato democratico binazionale - ma non mi risulta che abbia mai negato la legittimità d’esistenza dello Stato d’Israele, per quanto critico possa essere stato sulla risoluzione 181 dell'Onu.

Veniamo al tuo articolo, partendo dalla questione della legittimità di esistenza dello Stato d'Israele.

Questo Stato, sorto nel 1947-48, in senso giuridico ha un’esistenza più che legittima perché gliel’ha conferita il massimo organo sovranazionale esistente al mondo: le Nazioni Unite (belle o brutte che siano, e bella o brutta che sia stata quella decisione). Non fu un atto di occupazione militare o di conquista territoriale con la forza. E nemmeno un compromesso di potenze coloniali, come invece fu per Iraq, Siria e Giordania i cui confini vennero in gran parte decisi a tavolino (in primis dalla Gran Bretagna) tracciando delle linee sulla carta geografica. La nascita di Israele (risoluzione n. 181) fu votata il 24 novembre 1947 dalla maggioranza dei Paesi all’epoca membri dell'Onu: 33 a favore (compresa l’Urss, e questo è fondamentale che non lo si dimentichi, e non certo per mia simpatia verso un antisemita come Stalin), 13 contro (per lo più Stati arabi o mussulmani) e 10 si astennero. La risoluzione prevedeva anche la nascita di uno Stato palestinese e altre clausole che furono disattese (da Israele, ma non solo, Onu compresa).


La nascita di Israele non poteva essere formulata più chiaramente, vale a dire con un testo «giuridico-politico» di natura internazionale, approvato dalla grande maggioranza dei Paesi rappresentati all'Onu. Chi vuole contestare quella legittimità (se la parola legittimità ha un senso giuridico prima che politico) deve battersi quindi perché le Nazioni Unite rivedano quella decisione, e non tentare di annullarla col terrorismo, i missili sui civili e sulle città israeliane, i pogrom antiebraici (come quello del 7 ottobre). Tutte azioni che servono solo a peggiorare le condizioni di vita del popolo palestinese e non hanno alcuna speranza o diritto di annullare la decisione dell’Onu: una decisione ormai storica, visto che ha superato i tre quarti di secolo (siamo quasi a 77 anni da allora).

Non mi sembra che questa posizione (annullare la decisione dell’Onu: l’unica «legittima», per chi contesta quella legittimità), sia la posizione di Hamas. Ad Hamas non solo non frega niente del popolo palestinese di Gaza (che ha consegnato inerme alla rappresaglia israeliana dopo aver dichiarato guerra a Israele nel modo barbaro che sappiamo), ma dichiara ufficialmente che il suo scopo principale è distruggere Israele e uccidere gli ebrei che vi abitano. Dopo anni di missili sui civili, attentati e scavamento di tunnel militari sotterranei (tutto pagato con il denaro, anche UE, che avrebbe dovuto utilizzare per costruire scuole, ospedali e abitazioni per i palestinesi di Gaza), Hamas ha cominciato a farlo alla grande il 7 ottobre e vorrebbe continuare a farlo. Per questo ha scatenato la guerra asimmetrica cui stiamo assistendo in questi giorni, applaudita da gran parte del mondo mussulmano ma aiutata a combattere (più simbolicamente che altro) solo dagli houthi, gli sciti filoiraniani dello Yemen.

In realtà, il vero obiettivo realistico che Hamas si riproponeva massacrando gli ebrei dei kibbutzim - e che potrebbe anche raggiungere se non viene distrutta - era scalzare l’Autorità Nazionale Palestinese nelle zone A e B della Cisgiordania (la vecchia OLP di al Fatah), presentandosi al mondo islamico come la sola e unica rappresentante della lotta per distruggere Israele. Insisto che l’effetto propagandistico c’è stato e che se non viene distrutta, Hamas potrebbe raggiungere il suo vero scopo.

Anche per questo Michele, Antonella io e altri abbiamo scritto che Hamas è uno dei principali nemici del popolo palestinese (di Gaza e non solo) che va cancellato dalla faccia della terra in primo luogo nell’interesse degli stessi palestinesi di Gaza e della Cisgiordania e non solo per il suo feroce antisemitismo di matrice islamica.

 

lunedì 25 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 2ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

 

Risposta ad Albertani

di Michele Nobile

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html

 

Caro Claudio

Siamo d’accordo sul punto più importante: che la soluzione dei due Stati – uno ebraico, l’altro arabo-palestinese – non è affatto una soluzione ma qualcosa che riproduce il conflitto fra le due nazionalità, senza rendere giustizia ai palestinesi. En passant, sono a conoscenza della maggior parte degli studiosi che citi (e di qualcun altro), della ICAHD e della One Democratic State Campaign

È proprio considerato da questo punto di vista che il tuo articolo è contraddittorio. 

Tu contesti la validità delle pretese sioniste basate sulla storia antica. Non entro nel merito della storiografia antica perché, in realtà, è irrilevante. Quel che invece importa è la realtà del sionismo, un modernissimo movimento nazionalista prodotto dalla persecuzione degli ebrei, prima nel territorio dell’Impero russo e poi da parte del nazismo sterminatore in tutto il continente europeo. Il punto è che, in quanto movimento politico – laico e al suo interno perfino con correnti socialiste – il sionismo è profondamente contraddittorio: da una parte è movimento di un gruppo - etnico o religioso-culturale - atrocemente perseguitato; dall’altra movimento che rientra nella categoria del colonialismo, precisamente nella categoria delle colonie di popolamento. Da ciò il rapporto ambiguo con l’imperialismo britannico. Non poteva fare a meno dell’appoggio britannico, ma poi si risolse a combatterlo. E l’imperialismo britannico appoggiò l’attacco degli Stati arabi al momento della proclamazione dello Stato di Israele, la ragione per cui Stalin sostenne Israele, facendo in modo fosse rifornito d’armi dalla Cecoslovacchia. Ma questo ti è noto, lo ricordo giusto per completezza.

domenica 24 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 1ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Contro il sionismo, contro l'antisemitismo, per l'umanità*
di Claudio Albertani
BILINGUE: ITALIANO - ESPAÑOL
L'antisemitismo è il socialismo degli idioti
Auguste Bebel

Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all'ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l'innegabile recrudescenza dell'antisemitismo dopo l'invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l'Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Ciò giustificherebbe il fatto che i sopravvissuti si siano rifugiati in Palestina, una regione che in teoria apparterrebbe loro per ragioni storiche e teologiche.
È qui che inizia il groviglio, perché il problema di Israele è duplice: non solo il suo attuale governo è impresentabile, ma anche la sua legittimità storica è discutibile. Secondo Netanyahu, i palestinesi sarebbero un gruppetto di persone senza storia che perseguitano gli ebrei proprio come facevano i nazisti. In queste condizioni, Israele non avrebbe altra scelta che difendersi, se necessario, con una forza spropositata. E naturalmente tutti noi che ci opponiamo saremmo antisemiti o, per essere più precisi, antiebraici.
Eppure, a quanto pare, tra gli antisionisti ci sono anche molti ebrei. Nella stessa Israele, la nuova scuola di storici ha smontato i miti fondanti del sionismo. Uno di questi è la cosiddetta diaspora, il presunto esilio degli ebrei dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), quando sarebbero stati dispersi in tutto il Mediterraneo. In The Invention of the Jewish People (2008) e The Invention of the Land of Israel (2012), Shlomo Sand dell'Università di Tel Aviv dimostra che questa dispersione non è mai avvenuta e che i Romani non li hanno mai espulsi.
Sulla base dei documenti lo storico israeliano dimostra che le comunità ebraiche che esistevano ed esistono tuttora in molte parti del mondo sono il prodotto di diverse ondate di conversioni avvenute a partire dal IV secolo d.C. e non di flussi migratori  provenienti dalla Palestina. È vero che c'erano e ci sono ebrei sparsi per il mondo; è vero che sono stati vittime dell'antisemitismo, che è una terribile macchia nella storia dell'umanità, ma sostenere che il popolo ebraico abbia dei diritti ancestrali sulla Palestina è così assurdo come sostenere che i buddisti abbiano dei diritti ancestrali sulla terra di Siddharta Gautama.

venerdì 22 dicembre 2023

UN’ALTRA DONNA VITTIMA DELL’ISLAMISMO IRANIANO


di Roberto Massari, Antonella Marazzi, don Ferdinando Sudati


Carissimi/e,

oggi [21/12/23] fremo di ira e orrore a vedere cosa il regime iraniano sta facendo alle sue donne, impiccandole a decine.

Vorrei reagire, anche per stigmatizzare il rifiuto dei presunti «kompagni» di solidarizzare con le donne oppresse dall’islamismo (non dall’integralismo islamico, ma dall’islamismo tout court, che anche in Iran è un islamismo di regime). Ma sono così inferocito che rischio di dire degli sfondoni. Fatico però a tacere.

Possibile che anche su una questione così umana ci si trovi ad essere isolati rispetto alla sinistra reazionaria che nel suo viscerale antiamericanismo finisce col dare copertura politica anche a questi immensi crimini verso le donne? E un po’ anche verso gli uomini iraniani che a loro volta vengono impiccati a centinaia per ragioni spesso di puro libero arbitrio.

C’è poi la lugubre ironia che l’Iran ha assunto da poco la presidenza del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni unite (Unhrc). Gli è toccato per avvicendamento come prevede il regolamento. Ebbene, una logica minimamente «politica» avrebbe voluto che, avendo assunto questo incarico da poche settimane, sospendessero momentaneamente le esecuzioni, almeno quelle delle donne, almeno quella di ieri che grida vendetta al cospetto dell’umanità ancora umana: una madre di due figli, costretta a sposarsi a 11 anni e che ha reagito alle violenze del marito uccidendolo.

Ma appare chiaro che a loro dell’opinione internazionale non interessa nulla. Nel loro attuale Medioevo non esiste alcuna preoccupazione per l’opinione pubblica internazionale. Loro hanno Allah dalla loro parte…

Se qualcuno se la sente di scrivere un testo di denuncia, sarò lieto di associarmi. Io non me la sento.

Roberto

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Capisco l'orrore di Roberto e da donna dovrei trovare la forza e le capacità per scrivere io una lunga e argomentata protesta di fronte a queste manifestazioni di terribile disumanità, ma mi vengono meno sia la forza che le capacità.  Che si può dire di altro oltre ciò che si è scritto a più riprese sul nostro blog a proposito di questi crimini bestiali?

Francamente mi mancano le parole, i pensieri, le riflessioni appropriate e pacate. Sento salire al mio interno una furia irrazionale e tremenda contro questi regimi islamici immersi in una loro dimensione barbarica e arcaica fuori del tempo e tragica. Ho voglia di vomitare tutto il mio furore più aggressivo verso questi uomini, comunque appartenenti al genere umano, che si arrogano il diritto di torturare e uccidere in nome di un dio, che tra tutte le divinità inventate nel corso del tempo è certamente il più diabolico e vendicativo e anche il più idiota.

E il furore mi porta al desiderio di uccidere con le mie mani tutti costoro. Con una furia tremenda e irrazionale come la loro. E ciò non deve accadere perché si diventerebbe simili a loro. Ma debbo confessare che la mia disapprovazione, se non la mia furia, tocca anche le donne islamiche, quelle che non si ribellano, quelle che si coprono completamente divenendo dei fantasmi mortiferi e che giungono a convincersi che tutto ciò sia giusto e santo. Quelle che perpetuano nelle famiglie di fronte a figli e figlie la propria profonda subordinazione, come se fosse un motivo di vanto, e ne fanno oggetto di esempio ed educazione. Certo, conosciamo bene i meccanismi psicologici per cui le vittime divengono complici dei loro tortutatori in una società che da secoli si muove sulla base di questi canoni. Ma la mia furia rimane e finisce per avvolgere anche le donne che sempre sono vittime, ma spesso, inconsapevolmente, complici, appunto della società assassina. 

Tutti i governi degli stati borghesi cosiddetti democratici dovrebbero richiedere a gran voce la rimozione dell'Iran dalla presidenza del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, ma la ragione di Stato e l'opportunismo osceno politico impedisce tutto ciò. Se credessi in qualche ente superiore urlerei: che siano maledetti! E che sia sottolineata sempre e con forza l'idiozia politica della sinistra reazionaria che nella sua furia antiamericana non si ferma di fronte ai massacri dei civili palestinesi ed ebrei, né a quelli del popolo ucraino e delle donne che hanno avuto la sorte perversa di nascere in terre islamiche. Che sia maledetta anche lei di fronte agli occhi dell'umanità intera!

Antonella

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Anch’io, Roberto, ho provato indignazione (e umiliazione) alla notizia dell’impiccagione di quella giovane donna. Tanto più che è avvenuta dopo 10 anni di durissimo carcere e che potrebbe aver avuto tra i 28 e i 32 anni - il figlio maggiore ne ha 17 e il più piccolo 10 - ed essere stata data in sposa a un energumeno a non più di 11 anni (cfr. Francesca Paci, La Stampa del 21-12-2023). E non sapevo, come tu riferisci, che proprio all’Iran è toccata la presidenza del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite!

Siamo al fallimento delle istituzioni di più alto livello, oltre di singole personalità, e pure del senso comune.

Qualche giorno fa, a fine novembre, ti scrivevo della conversazione telefonica tra papa Francesco e il capo di Stato dell'Iran, Ebrahim Raisi, su richiesta di quest'ultimo, per una mediazione del papa per un cessate il fuoco a Gaza. E della mia aspettativa che il papa gli avesse risposto: “Lo farò, anzi, continuerò a farlo volentieri e ti ringrazio di avermelo chiesto, però tu cerca di portare il tuo Paese fuori dal Medioevo e, in particolare, fai cessare lo stupro, la tortura e l’assassinio di ragazze per motivi di velo portato un po’ di traverso - e lascia che pure non lo portino -, e la condanna a morte di giovani che fanno dimostrazioni, lecite in quasi tutti i Paesi del mondo, a favore di elementari diritti”. 

Non ho, però, letto o sentito notizia del genere; forse la diplomazia non lo consentiva, ma di che dannata diplomazia parliamo?  Oppure gliel’ha detto “in privato”, che sarebbe già qualcosa, ma non lo si può divulgare, e allora serve a poco!

Ci manca solo che, passo dopo passo, ma abbastanza velocemente, il Medioevo ritorni in Europa. Lo farà, e probabilmente lo "meritiamo", ma sento dispiacere per le future generazioni.

Ti saluto e oso inviare anche un augurio di pace in questo Natale che assomiglia così tanto a un Venerdì santo.

don Ferdinando


P.S. Ho letto ora il commento di Antonella, che mi trova del tutto d'accordo. Salvo scusare - ma lo fa anche lei - un po' di più la mancata iniziativa delle donne islamiche, sia per la loro educazione fin da piccole sia soprattutto perché quei regimi sono davvero spaventosi.



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

giovedì 7 dicembre 2023

SCAMBIO DI IDEE SUL NUCLEARE

di Roberto Massari e Michele Nobile

 

Una cosa d’altri tempi: A scrive una lettera a B. B risponde facendo notare gli errori di A. A si rende conto che B ha ragione e passa sulle sue posizioni. Ma decide anche di rendere pubblico lo scambio di idee, visto che contiene ben due autocritiche (in realtà una e mezza). Ve lo immaginate se facessero o facessimo tutti così? (r.m.) 

 

Caro Michele,

dopo la nostra chiacchierata telefonica riguardo all’incontro di Dubai, mi sono andato a documentare un po’ meglio sullo stato della produzione di energia elettrica da nucleare nel mondo.

Tale produzione cresce molto (ma non tanto come sarebbe necessario) e si amplia molto anche il numero dei paesi che in un modo o in un altro vi fanno ricorso. In https://it.wikipedia.org/wiki/Energia_nucleare_nel_mondo c’è una bella cartina a colori che chiarisce visivamente la situazione. A parte l’intera Africa e una fetta occidentale dell’America latina, quasi tutto il mondo sta usando o progettando di usare il nucleare. In nero sono invece raffigurate l’Italia, la Germania, l’Austria, la Danimarca e l’Irlanda che il nucleare lo hanno abbandonato per scelta politica e in qualche caso referendaria.

Inutile dire che prima o poi anche questi paesi dovranno tornare al nucleare per ovvie ragioni economiche, di concorrenza ecc. E nell’attesa che l’umanità trovi altre fonti non fossili produttrici di energia (a parte le rinnovabili già in uso), questa rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra.

Quindi contrariamente a posizioni del passato che ho condiviso con la ex estrema sinistra, io spero ormai da qualche tempo che la produzione nucleare cresca rapidamente, si estenga anche ai Paesi poveri, e ovviamente abbia caratteristiche sempre più sicure in modo che non si ripetano i tre disastri (quello degli Usa 1979, dell’Ucraina sovietica 1986 e del Giappone 2011). Per il futuro si parla di fusione invece che di fissione, ma purtroppo non ho la competenza scientifica per capire veramente di cosa si tratti, ma capisco abbastanza che gli impianti di nuova generazione offrono garanzie di sicurezza sempre maggiori.

A fronte della grande diffusione di centrali nucleari funzionanti da decenni nel mondo (Usa, Francia, Russia, Cina ecc.) direi che il bilancio del passato (quei tre soli disastri) è tutto sommato accettabile visto che le previsioni per il 2050 sono che circa 21 milioni di persone dovranno morire in conseguenza del cambio climatico. Quante esplosioni delle centrali nucleari previste a Dubai per il 2050 (dove si è parlato di triplicare la produzione) equivalgono in vittime a questi 21 milioni?

Domanda scema.

Ma se nessuna delle centinaia di centrali in funzione o previste dovesse subire disastri?

Domanda un po’ meno scema, anche perché si combina col mio inguaribile ottimismo nei confronti del progresso scientifico. E qui tu ed io possiamo risparmiarci tutte le fesserie scritte nel passato, non da noi ma da altri, sulla presunta scienza «borghese» distinta da quella «proletaria»: pazzie marxologiche che qualcuno non mancherà di ripetere. 

Il fatto che in misura crescente ci si libererà dalla dipendenza petrolifera - quindi dal ricatto di paesi megaproduttori come la Russia e alcuni Paesi arabi (Venezuela a parte perché politicamente non tocca l'Italia) - avrà delle forti conseguenze politiche, comprese quelle cui accennavi tu.

Ed è qui che la mia mente si è imbarcata in un altro tipo di ragionamento che mi fa piacere comunicare a te e, per ora, a pochissimi altri.

Ed ecco l’altro ragionamento.

Noi della ex estrema sinistra italiana le battaglie le abbiamo perse praticamente tutte. Ciò non ha mai avuto una grande importanza perché la società dello spettacolo esige solo che l’estrema sinistra conduca le battaglie, ma che le vinca o le perda le è indifferente. E del resto le carriere politiche degli esponenti della ex estrema sinistra si sono costruite tutte sulle battaglie condotte a perdere, e mai su delle vittorie. Qualcuno ci prova ancora.

Ma è vero che le abbiamo perse proprio tutte?

No. La nuova generazione contestatrice e antisistemica nacque proprio con una vittoria, la prima e l’ultima veramente sua: abolimmo nel 1968 la legge 2314 del ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui. Quella fu l’unica vittoria «nostra», fatta cioè dall’estrema sinistra (all’epoca non ancora corrotta e veramente di massa). I risultati di quella vittoria, però, non si videro mai e la scuola è diventata il mercimonio «aziendalistico» che sappiamo: simbolicamente vincemmo, ma materialmente perdemmo anche nel nostro mondo specifico, cioè la scuola e l’università.

In tempi più recenti abbiamo vinto il referendum sull’acqua (non da soli), ma la cosa non ha cambiato veramente nulla. La «vendita» privata dell’acqua continua ad essere quasi come prima. Ed io, forte di quel referendum vinto, dopo aver rifiutato di pagare la ditta Talete per ben 11 anni, alla fine mi sono dovuto arrendere quando mi hanno tagliato l’acqua, e ho dovuto pagare tutti gli arretrati (ma senza interessi e quindi un po’ ci ho anche guadagnato…)

La terza vittoria che mi viene in mente è quella del movimento contro la centrale nucleare di Montalto di Castro che è poi confluita nella vittoria al referendum del 1987 per la fine dell’energia nucleare in Italia.

Ebbene, delle tre «nostre» vittorie, questa è stata l’unica effettiva, reale. Di centrali nucleare non se ne sono più costruite e si sono spente quelle in funzione.

Perché solo questa vittoria è stata risparmiata dall’avversario? E poi, concretamente, chi era l’avversario?

Queste non sono domande sceme, perché prima o poi (spero prima che poi) in Italia si porrà nuovamente il bisogno di tornare al nucleare, come del resto fanno allegramente e da decenni nostri vicini importanti (come la Francia) e meno importanti (come la Slovenia; la Svizzera non ho capito bene come si stia muovendo). Sorgerà quindi un possente movimento di massa intenzionato a impedire che ciò accada, diretto da persone che sapranno benissimo di dover perdere, ma comunque faranno la loro carriera: gli Ermete Realacci e i Chicco Testa del futuro.

Probabilmente ci sarà una saldatura con gli eredi degli attuali sostenitori del traffico degli esseri umani, della distruzione di Israele e della sconfitta dell’Ucraina, oltre ai vari no Vax, no Tav, no Ponte, no Mose (a quando «no Tax»?), no a questo e no a quell’altro. Probabilmente perderanno, ma a me farebbe piacere sapere perché è stata rispettata la precedente vittoria.

Il no al nucleare ci ha rafforzati nella nostra dipendenza dalla Russia e dai Paesi arabi. C’era forse lo zampino di qualcuno di questi dietro quella vittoria? Me lo chiedo, consapevole di peccare di dietrologia e complottismo. Ma i conti non mi tornano.

La domanda non è scema perché c’è stato il grande precedente di Enrico Mattei, fondatore e capo dell’Eni, ucciso a ottobre 1962 proprio perché stava cercando di rendere l'Italia indipendente dal controllo petrolifero delle Sette Sorelle. Delle quali, all’epoca, la Russia non faceva parte.

Insomma, per strani meandri della mente, la mia riflessione sull’incontro di Dubai mi ha portato a ripensare sulla natura di questa vittoria contro il nucleare, la «nostra» unica vera vittoria (movimentista dapprima, referendaria poi) che la ex sinistra ha nel proprio paniere.

Quando questa decisione - che ormai considero retrograda e dannosa per l’ambiente - dovrà essere rivista, sorgeranno forze oscure intenzionate a difenderla, strumentalizzando i prevedibili movimenti locali. E avranno buon gioco perché sulle prime nessuna città italiana vorrà avere una centrale nucleare nelle proprie vicinanze, nell’ingenua convinzione che se esplodessero le centrali francesi o slovene (e nel futuro forse nuovamente svizzere) la loro città non sarebbe raggiunta dalla nube radioattiva.

Shalom

Roberto

 

* * *

 

Caro Roberto,

pensavo anch’io da tempo all’eventuale ricorso all’energia nucleare come misura per affrontare la crisi climatica globale in corso. Il motivo, giusto per indicare approssimativamente il tempo a disposizione, è che stando a una stima del 2022 ci restano solo nove anni e un ammontare massimo di emissioni di 380 miliardi di tonnellate di CO2 per avere un 50% di probabilità di evitare che il pianeta raggiunga la temperatura di 1,5°C. I tempi sono dunque strettissimi, ma sventuratamente esistono ottimi motivi per ritenere che saranno superati.

Quando giustamente protestavamo contro il nucleare civile - oltre che militare - e la costruzione di nuove centrali, non esisteva ancora la conoscenza scientifica del problema del riscaldamento globale. Anzi, ricordo che si parlava della possibilità del raffreddamento globale del pianeta. Il contesto è quindi completamente diverso da quello degli anni ’70; perfino ai tempi del referendum italiano che portò alla chiusura delle centrali, era il 1987, la questione non aveva ancora la rilevanza che avrebbe avuto di lì a pochi anni. Allora il problema era la sicurezza e il dramma di Čornobyl.

In questo nuovo contesto occorre considerare tutti i modi possibili per ridurre tutte le emissioni di gas serra causate dall’attività umana - in particolare di CO2 - e tra questi anche l’utilizzo della produzione d’energia elettrica in impianti nucleari. Insomma, il nucleare civile non si deve più considerare un tabù. Su questo concordiamo.

Tuttavia, io intendo l’utilizzo dell’energia nucleare come misura parziale e temporanea in vista di una ristrutturazione complessiva della società che sia ecologicamente compatibile. Qui la parola decisiva è «parziale», a cui potrei anche premettere un «assai». Questa è una posizione diversa da quella che hai espresso nella lettera, circa il fatto che l’energia nucleare «rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra». Non è così, questo entusiasmo è eccessivo; il nucleare è al più una delle opzioni da considerare insieme ad altre. Si può cambiare idea a fronte del fatto nuovo del riscaldamento globale, considerare l’opportunità del ricorso anche al nucleare, rompere un tabù – un tempo legittimo – ma è altro dal dire che la via principale sia il nucleare. 

Non dico questo per via dei problemi di sicurezza già noti, che pure non sono poca cosa: sicurezza degli impianti; rischio di proliferazione delle armi nucleari; rischio che impianti nucleari siano attaccati durante una guerra; rischio che terroristi si impossessino di materiale nucleare; difficilissimo problema dello smaltimento delle scorie nucleari in siti sicuri per centinaia di migliaia di anni.

Sorvolo su cambiamenti socio-economici e mi riferisco proprio alla questione specifica della riduzione delle emissioni di gas serra, a quanto il mezzo – nucleare - sia adeguato al fine, l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale.

Innanzitutto, bisogna dire che l’impiego del nucleare dovrebbe essere simultaneamente sostitutivo delle fonti d’energia fossile nel quadro della riduzione del consumo totale di energia. Il rischio, altrimenti, è che si avvalori la logica di chi vuole ridurre il consumo delle fonti fossili solo dopo il rilancio del nucleare.

In secondo luogo, occorre considerare i tempi di costruzione delle stesse centrali nucleari. Nelle condizioni tecnico-scientifiche e finanziarie migliori, che sono quelle dei Paesi a capitalismo avanzato e della Cina e della Russia, che hanno già esperienza e conoscenze nel settore, la costruzione di una centrale nucleare richiede minimo almeno cinque anni, più spesso sette-otto e anche più. Ciò senza contare tempi di progettazione e approvazione dei progetti. Considerando anche questi ultimi, l’eventuale effetto positivo dell’ampia diffusione della produzione d’elettricità mediante impianti nucleari deve collocarsi verso i vent’anni. Troppo. Dalla progettazione all’operatività, i tempi di grossi impianti solari o a vento sono fra i due e i cinque anni.

In terzo luogo, in quale rapporto si trovano ora le fonti di energia rinnovabili e la produzione nucleare? E in che misura dovrebbe aumentare la produzione di energia elettrica nucleare come alternativa alle fonti fossili? Nucleare ed energie rinnovabili sono in questo momento allo stesso livello: il 10% e qualcosa della produzione di elettricità. Una frazione maggiore va alla produzione idroelettrica e il resto - 60% ca. - a fonti fossili. In realtà non c’è una tendenza generale alla crescita della fonte nucleare: è in Cina che si trova almeno la metà delle nuove centrali costruite nell’ultimo ventennio. Dunque, difficile immaginare che il nucleare possa coprire in tempo utile una parte significativa di quel 60% e passa delle fonti fossili.

In quarto luogo, occorre considerare il costo relativo di produzione delle diverse fonti. Nel corso dei decenni, il costo delle rinnovabili è caduto tantissimo, il costo del nucleare è aumentato: per unità di produzione d’energia è almeno da tre a cinque volte quello delle fonti rinnovabili. Il nucleare è una opzione da Paesi industrializzati e ricchi, in grado di sovvenzionare la costruzione di centrali, certo non per quelli sottosviluppati.

In quinto luogo, il problema non è solo e forse neanche principalmente quello della trasformazione della produzione d’energia ma dell’utilizzo della stessa. Alla produzione di elettricità va circa un quarto delle fonti di energia primaria (delle fonti non ancora trasformate in energia elettrica), il resto va ai trasporti, usi industriali e domestici. È in questi ultimi campi che si potrebbe agire più rapidamente per ridurre il consumo totale di energia, che resta l’obiettivo fondamentale. Pensa ai trasporti pubblici, alla riduzione dei trasporti aerei (che scandalosamente possono costare meno del treno), ai pannelli solari per abitazioni, all’isolamento termico ecc.

In sesto luogo, mi risulta che le emissioni totali di CO2 dell’intera filiera di un impianto nucleare, dall’estrazione di uranio alla sistemazione del combustibile nucleare esaurito, siano di poco inferiori a quelle di una centrale a gas. Queste emissioni sono molto superiori a quelle risultanti da fonti rinnovabili. Inoltre, tutti gli impianti con combustibili fossili e a uranio producono calore (e vapore acqueo); quelli solari lo sottraggono.

In sintesi: volendo progettare la transizione a una società sostenibile il nucleare non deve essere escluso a priori, ma la sua utilità è da verificare in base a situazioni concrete, alle alternative disponibili, ai costi-opportunità. In nessun caso questo deve essere inteso come via principale o alternativa a fonti di energia rinnovabili, alla riduzione del trasporto su gomma e aereo, alla riduzione dei consumi energetici in tutti i modi possibili. Le rinnovabili possono conseguire effetti più rapidamente e a minor costo del nucleare, e senza gli altri problemi associati all’uranio e al plutonio, viceversa con effetti di riduzione delle esternalità negative. Non esiste una soluzione tecnica, ma una molteplicità di soluzioni in tanti campi.

Il che rimanda a cambiamenti nella produzione e nel consumo, uso del suolo e deforestazione che in definitiva sono l’obiettivo da conseguire.

 Michele


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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.