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domenica 24 dicembre 2023

DISCUSSIONE SU ISRAELE (Parte 1ª di 3)

di C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Contro il sionismo, contro l'antisemitismo, per l'umanità*
di Claudio Albertani
BILINGUE: ITALIANO - ESPAÑOL
L'antisemitismo è il socialismo degli idioti
Auguste Bebel

Qualche giorno fa, durante una protesta davanti all'ambasciata israeliana di Città del Messico, qualcuno ha gridato degli slogan antisemiti. Era un provocatore ed è stato subito isolato. Tuttavia, la questione è delicata perché lo Stato sionista sta sfruttando l'innegabile recrudescenza dell'antisemitismo dopo l'invasione di Gaza per giustificare i propri crimini. Tale narrazione è legittimata da un fatto storico: gli ebrei sono stati vittime di uno dei più grandi massacri della storia, l'Olocausto (Shoah in ebraico), compiuto dai nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale. Ciò giustificherebbe il fatto che i sopravvissuti si siano rifugiati in Palestina, una regione che in teoria apparterrebbe loro per ragioni storiche e teologiche.
È qui che inizia il groviglio, perché il problema di Israele è duplice: non solo il suo attuale governo è impresentabile, ma anche la sua legittimità storica è discutibile. Secondo Netanyahu, i palestinesi sarebbero un gruppetto di persone senza storia che perseguitano gli ebrei proprio come facevano i nazisti. In queste condizioni, Israele non avrebbe altra scelta che difendersi, se necessario, con una forza spropositata. E naturalmente tutti noi che ci opponiamo saremmo antisemiti o, per essere più precisi, antiebraici.
Eppure, a quanto pare, tra gli antisionisti ci sono anche molti ebrei. Nella stessa Israele, la nuova scuola di storici ha smontato i miti fondanti del sionismo. Uno di questi è la cosiddetta diaspora, il presunto esilio degli ebrei dopo la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme (70 d.C.), quando sarebbero stati dispersi in tutto il Mediterraneo. In The Invention of the Jewish People (2008) e The Invention of the Land of Israel (2012), Shlomo Sand dell'Università di Tel Aviv dimostra che questa dispersione non è mai avvenuta e che i Romani non li hanno mai espulsi.
Sulla base dei documenti lo storico israeliano dimostra che le comunità ebraiche che esistevano ed esistono tuttora in molte parti del mondo sono il prodotto di diverse ondate di conversioni avvenute a partire dal IV secolo d.C. e non di flussi migratori  provenienti dalla Palestina. È vero che c'erano e ci sono ebrei sparsi per il mondo; è vero che sono stati vittime dell'antisemitismo, che è una terribile macchia nella storia dell'umanità, ma sostenere che il popolo ebraico abbia dei diritti ancestrali sulla Palestina è così assurdo come sostenere che i buddisti abbiano dei diritti ancestrali sulla terra di Siddharta Gautama.
D'altra parte, due archeologi, Israel Finkelstein, anch'egli dell'Università di Tel Aviv, e Neil Asher Silberman, belga, mettendo in discussione l'affidabilità della Bibbia, hanno dimostrato che essa è un affascinante racconto letterario, ma non è affatto una fonte storica credibile. Dopo decenni di scavi in Israele, Libano, Siria ed Egitto, i due scienziati hanno scoperto che non esistono prove dell'esistenza dei patriarchi, della fuga degli ebrei dall'Egitto o della conquista di Canaan. Ancor meno si può dimostrare che Davide e Salomone abbiano regnato su un vasto impero (The Bible Unearthed, 2003).
Quanto alla storia del sionismo, lo storico ebreo statunitense Lenni Brenner (Zionism and Fascism: Zionism in the Age of Dictators, 1983) ha dimostrato che, negli anni Venti e Trenta, i massimi dirigenti dell'Agenzia ebraica negoziarono persino con Hitler e Mussolini per raggiungere i loro obiettivi. Ed è sempre utile ricordare che i primi praticanti del terrorismo in Palestina erano membri di gruppi paramilitari ebraici, i precursori delle odierne Israel Defence Forces. Tuttavia è giusto riconoscere che solo una minoranza degli ebrei sparsi per il mondo era sionista. Brenner evoca l'esperienza dell'Unione Generale dei Lavoratori Ebrei della Lituania, Polonia e Russia, nota come Bund, che all'inizio del secolo scorso si opponeva all'emigrazione in Palestina e invitava a lottare contro l'antisemitismo e per il socialismo nei paesi di origine. In tempi più recenti, il Matzpen, un piccolo partito comunista antisionista e antistalinista, costituito da lavoratori palestinesi ed ebrei, ha combattuto contro l'occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
È mai esistito un sionismo di sinistra? È innegabile lo spirito umanista e utopico, ad esempio, di Martin Buber e di altri che aspiravano a creare un socialismo libertario in Palestina. Contro lo slogan sionista di “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, Buber pensava a una terra per due popoli e criticava la politica coloniale della leadership sionista. Nel 1947, alla vigilia della spartizione, sottolineò che la soluzione non era quella di costruire due Stati, bensì un'entità socio-politica binazionale comune. E aveva ragione.
Tuttavia le posizioni di Buber sono sempre state minoritarie, anche nella cosiddetta sinistra sionista. Fu sotto la guida del Mapai, il partito laburista, che nel 1948 fu proclamato lo Stato ebraico. Allora decine di migliaia di palestinesi furono massacrati, mentre tra i 700.000 e gli 800.000 furono costretti a scappare abbandonando le loro case. Questo è ciò che nel mondo arabo viene chiamato nabka, o catastrofe, come spiega molto bene il palestinese Edward Said in La questione palestinese, ma anche l'ebreo Ilán Pappé in La pulizia etnica della Palestina. Una pulizia etnica, sottolinea Pappé, che continua a tutt’oggi. Pochi giorni fa, Ahvi Dichter, membro del gabinetto di sicurezza del governo israeliano, ha dichiarato senza mezzi termini che lo Stato ebraico - lo stesso che ha negato la nabka per 75 anni - ha già lanciato la nabka 2023. Detto fatto: l'80% della popolazione di Gaza (2,26 milioni di abitanti) è stata costretta a fuggire dalle proprie case nella peggiore catastrofe umanitaria dal 1948.
Eppure, come ha scritto il giornalista Gideon Levy, è impossibile tenere in prigione 2 milioni di persone senza pagarne un prezzo crudele. Quella prigione va smantellata subito e, per quanto possa sembrare inverosimile, nel lungo periodo solo la riconciliazione tra ebrei e palestinesi auspicata dall'utopista Buber potrà cambiare il destino dei due popoli. Nel 2009, la CIA statunitense aveva previsto che Israele sarebbe crollato in circa 20 anni e ora il Pentagono afferma che lo Stato ebraico potrebbe subire una sconfitta strategica nella sua guerra contro Gaza. Il conto alla rovescia è iniziato.

* Relazione presentata all’incontro “Genocidio in Gaza”, nel campus Del Valle dell’Università Autonoma di Città del Messico (Uacm) il 6 dicembre scorso 

Traduzione di Clara Ferri

ESPAÑOL

DISCUSIÓN SOBRE ISRAEL (Parte 1ª de 3)
por C. Albertani, M. Nobile, R. Massari

Contra el sionismo, contra el antisemitismo, por la humanidad *
por Claudio Albertani

El antisemitismo es el socialismo de los idiotas
Auguste Bebel

Hace unos días, en una protesta ante la embajada de Israel, alguien lanzó consignas antisemitas. Era un provocador y fue aislado rápidamente. Sin embargo, el asunto es delicado porque el estado sionista aprovecha el innegable recrudecimiento del antisemitismo tras la invasión de Gaza para justificar sus crímenes. Dicha narrativa se legitima a partir de un hecho histórico: los judíos han sido víctimas de una de las masacres más grandes de la historia, el holocausto (shoah en hebreo), llevado a cabo por los nazis en el transcurso de la Segunda Guerra Mundial. Esto justificaría que los sobrevivientes se refugiasen en Palestina, región que, supuestamente, les pertenecía por razones históricas y teológicas. 
Aquí es donde comienza el enredo porque el problema de Israel es doble: no solamente es impresentable su gobierno actual, sino también es cuestionable su legitimidad histórica. Según Netanyahu, los palestinos serían un puñado de gente sin historia que persiguen a los judíos tal y como lo hicieron los nazis en su momento. En estas condiciones, Israel no tendría más remedio que defenderse, si es necesario haciendo uso de la fuerza desproporcionada. Y claro, todos los que nos oponemos seríamos antisemitas o, para ser más precisos, antijudíos. 
Resulta, sin embargo, que entre los antisionistas hay muchos judíos. En Israel mismo, la nueva escuela de historiadores ha desmontado los mitos fundacionales del sionismo. Uno es la llamada diáspora, el supuesto exilio de los judíos tras la destrucción del segundo templo en Jerusalén (70 d.C.) cuando, se habrían dispersados por el Mediterráneo. En La invención del pueblo judío (2008) y en La invención de la tierra de Israel (2012), Shlomo Sand, de la universidad de Tel-Aviv, muestra que dicha dispersión nunca ocurrió y que los romanos jamás los expulsaron. 
Documentos a la mano, el historiador israelí evidencia que las comunidades judías que existieron y siguen existiendo en muchas partes del mundo son el producto de  distintas oleadas de conversiones que se dieron a partir del Siglo IV de la era cristiana y no de flujos migratorios procedentes de Palestina. Claro que había y hay judíos dispersos por el mundo; claro que fueron víctimas del antisemitismo, lo cual es una terrible mancha en la historia de la humanidad, pero sostener que el pueblo judío tiene derechos ancestrales sobre Palestina es tan absurdo como alegar que los budistas los poseen sobre la tierra de Siddhartha Gautama. 
Por otra parte, dos arqueólogos, Israel Finkelstein, también de la universidad de Tel-Aviv y Neil Asher Silberman, de Bélgica, al interrogarse sobre la fiabilidad de la Biblia, han mostrado que es un fascinante relato literario, pero de ninguna manera una fuente histórica creíble. Tras décadas de excavaciones en Israel, Líbano, Siria y Egipto, los dos científicos han comprobado que no hay evidencias de la existencia de los patriarcas, tampoco de la fuga de los judíos de Egipto, ni de la conquista de Canaán. Menos aún se puede comprobar que David y Salomón reinaron sobre un extenso imperio (La Biblia desenterrada, 2003).
 En cuanto a la historia del sionismo, un historiador norteamericano de origen judío, Lenni Brenner (Sionismo y fascismo. El sionismo en la época de los dictadores, 1983), ha mostrado que, en las décadas de los veinte y treinta, los principales dirigentes de la Agencia Judía negociaron incluso con Hitler y Mussolini para lograr sus objetivos. Y siempre es útil recordar que los primeros practicantes del terrorismo en Palestina fueron los integrantes de los grupos paramilitares judíos, antecedentes de las actuales Fuerzas de Defensa de Israel. Sin embargo, justo es reconocer que, sólo una minoría de los judíos dispersos por el mundo eran sionistas. Brenner evoca la experiencia de la Unión General de Trabajadores Judíos de Lituania, Polonia y Rusia, conocida como Bund, que a principio del siglo pasado se oponía a la emigración hacia Palestina e incitaba a luchar contra el antisemitismo y por el socialismo en los países de origen. En tiempos más recientes, el Matzpen, un pequeño partido comunista antisionista y antiestalinista, integrado por trabajadores palestinos y judíos, luchó contra la ocupación de los territorios palestinos por parte de Israel. 
¿Hubo  alguna vez un sionismo de izquierda? Es innegable el espíritu humanista y utópico de, por ejemplo, Martin Buber y de otros que aspiraron a crear el socialismo libertario en Palestina. Contra el eslogan sionista de “una tierra sin pueblo para un pueblo sin tierra”, Buber pensaba en una tierra para dos pueblos y criticaba la política colonial de la dirigencia sionista. En 1947, en vísperas de la partición, señaló que la solución no era construir dos estados, sino una entidad sociopolítica binacional común. Tenía razón.
 Las de Buber, sin embargo, siempre han sido posiciones minoritarias, incluso en la llamada izquierda sionista. Fue bajo la conducción del Mapai, el partido laborista, que se proclamó el estado judío en 1948. Entonces, decenas de miles de palestinos fueron masacrados, mientras que entre 700,000 y 800,000 se vieron obligados a huir de sus hogares. Es lo que en el mundo árabe se conoce como nabka, o catástrofe, algo que explican muy bien el palestino Edward Said en La cuestión Palestina, pero también el judío Ilán Pappé en La limpieza étnica de Palestina. Una limpieza étnica, precisa Pappé, que se prolonga hasta la actualidad. Hace días, Ahvi Dichter, integrante del gabinete de seguridad del gobierno israelí, declaró sin tapujos que el Estado judío -el mismo que ha negado la nabka durante 75 años-  ya puso en marcha la nabka 2023. Tal cual: el 80 por ciento de la población de Gaza (2.26 millones de habitantes) ya tuvo que abandonar sus hogares en la peor catástrofe humanitaria desde 1948.
Y sin embargo, como ha escrito el periodista Gideon Levy, es imposible mantener en la cárcel a dos millones de personas sin pagar un precio cruel. Esa cárcel se tiene que desmantelar ahora mismo y aunque parezca inverosímil, a largo plazo sólo la reconciliación entre judíos y palestinos que preconizaba el “utopista” Buber puede cambiar el destino de los dos pueblos. En 2009, la CIA de Estados Unidos vaticinó que Israel se desmoronaría en unos 20 años y ahora el Pentágono señala que el Estado judío podría sufrir una derrota estratégica en su guerra contra Gaza. La cuenta regresiva ha comenzado. 

* Ponencia presentada en el encuentro Genocidio en Gaza, Plantel del Valle de la UACM, 6 de diciembre de 2023.


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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

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e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.