L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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lunedì 27 ottobre 2025

LETTERA AGLI UTOPISTI ROSSI

ITALIANO - ENGLISH

Cari e care (e per conoscenza ad amici vari),
è arrivato il momento di cambiare l’epigrafe sotto la testata di Utopia Rossa. Non è cosa facile perché i tempi sono tutt’altro che favorevoli e la tentazione di lasciar perdere - cioè sciogliere UR, arrendersi e retrocedere all’impegno puramente individuale - è sempre presente e tentatore. Lo hanno dimostrato tutti quelli che ci hanno lasciato (in Italia e all’estero, soprattutto in America latina) nessuno dei quali lo ha fatto per aderire a qualcosa di collettivo, migliore o peggiore di UR. La creazione di blog o siti personali è spesso l’alternativa illusoria di stare ancora facendo qualcosa di utile per l’umanità: illusioni… virtuali.

Vado per punti.

1) Il mondo della ex sinistra è degenerato completamente, ovunque, trascinando con sé settori importanti del mondo cosiddetto «progressista». Paese per paese abbiamo visto svanire valori epocali considerati essenziali, almeno a partire dalla Prima internazionale e poi evolutisi con il tempo (come la democrazia), e abbiamo visto sorgere al loro posto obiettivi temporanei, nati magari da esigenze reali, ma trasformati rapidamente in mode, in manifestazioni della società dello spettacolo, spesso di massa. Chi ricorda più l’«Altermondialismo», «Occupy Wall Street», «Black Lives Matter», «Me Too», «Fridays for Future», «Gilets Jaunes», «Attac», «Tute bianche», «No Tav» e così via?

2) L’idea di poter arrivare a coordinare su scala mondiale queste mode, non solo è politicamente negativa, ma per fortuna è anche irrealizzabile. Insieme ad altre considerazioni, l’esperienza di questi movimenti-moda ci costringe a rinunciare a un nostro obiettivo «storico»: la costruzione di una Quinta internazionale che immaginavamo costruita sulla base di movimenti e non più di partiti. Degenerati i partiti, ormai appaiono degenerati anche i movimenti. È quindi la fine dell’ipotesi Quinta internazionale che io ho difeso dal 1983, quando presi atto del completamente del processo degenerativo della Quarta internazionale, vale a dire il migliore o il meno peggior partito che sia esistito dopo la Seconda guerra mondiale, quando ne erano parte personalità come Hugo Blanco, Ernest Mandel o Daniel Bensaïd. Forse avrei dovuto abbandonare l’idea della Quinta internazionale un po’ prima, ma meglio tardi che mai. 

3) Riflettendo su due movimenti che hanno assunto caratteristiche psicopatologiche analoghe (in Italia più che altrove) si è aperto in me un canale di riflessione, al quale forse dedicherò un lavoro organico, ma che ora devo anticipare, per salvare UR e consentirle di compiere un passo in avanti.
I due movimenti sono il maoismo europeo dei primi anni ’70 e l’attuale isteria antiebraica filo-Hamas. Anche questa passerà, ma lascerà una ferita incolmabile come la lasciò il maoismo. Ebbene, la caratteristica principale che hanno dimostrato di avere le due forme di psicodramma politico collettivo è l’anticapitalismo precapitalistico. Entrambi si sono affidati a ideologie precapitalistiche: il maoismo camuffato da marxismo-leninismo, e l’antiebraismo camuffato da antisionismo. Ma soprattutto entrambi hanno dimostrato di essere organicamente feroci avversari della democrazia, cioè del regime politico che è storicamente indispensabile per il funzionamento del capitalismo più avanzato (per non parlare del socialismo…). Democrazia e postdemocrazia continueranno, invece, ad essere indispensabili anche per la prospettiva rivoluzionaria di superamento del capitalismo (come aveva ben capito Rosa Luxemburg contro i bolscevichi). Gli slogan sull’abbattimento e non sul superamento del capitalismo sono puramente demagogici e sono sempre serviti a coprire posizioni precapitalistiche. Non hanno comunque nessuna possibilità storica di realizzarsi.

4) Continuando la riflessione, non mi è stato difficile associare entrambe queste due follie collettive ad altre manifestazioni di anticapitalismo precapitalistico: in primis allecologismo apocalittico che chiede al capitalismo di fare passi indietro invece che passi avanti per la soluzione di problemi climatici, ambientali ecc. che nessun regime precapitalistico potrà mai risolvere. (Greta Thunberg è stata un chiaro simbolo di come si può passare in breve tempo dall’ecologismo apocalittico precapitalistico all’antiebraismo, altrettanto precapitalistico.)
Ma anche al mondo dei cristiani progressisti e a volte agli stessi papi che hanno una lunga tradizione di anticapitalismo precapitalistico (Teologia della liberazione e alcune encicliche).

5) Ma all’origine delle principali ideologie precapitalistiche in circolazione nel mondo moderno vi è soprattutto la tradizione (leniniana e staliniana) del bolscevismo al potere. Al potere e non prima, quando Lenin ancora proponeva un governo operaio e contadino in un sistema sociale capitalistico. Il bolscevismo al potere bloccò lo sviluppo del capitalismo in Russia, distrusse la borghesia nazionale, vi sostituì il proprio potere di casta e varò un sistema economico non capitalistico, destinato a perire per tante ragioni, tra le quali non ultime le leggi economiche del mercato mondiale.
L’ideologia precapitalistica dei bolscevichi al potere fu trasmessa al movimento operaio internazionale, deformandone irrimediabilmente la crescita in ogni parte del mondo. Dei residui ancora sopravvivono nella forma degenere dell'hitlero-comunismo.

6) Insomma, si torna sempre a quel 20 dicembre 1917 quando, sulla scia di una grande Rivoluzione (l’unica vera che il mondo abbia conosciuto nel Novecento, da febbraio a novembre 1917) si fondò la Čeka, lo strumento con cui la casta in formazione distrusse la possibilità di portare la Russia a un sistema sociale che superasse il capitalismo. Unita al contemporaneo soffocamento dei comitati di fabbrica e dei soviet, la fondazione della polizia segreta per distruggere i partiti d’opposizione diede inizio all’Antirivoluzione russa, poi trasformatasi con Stalin in aperta Controrivoluzione. In quel mese di dicembre 1917 fu cambiata la storia dellumanità e iniziò il declino del movimento operaio internazionale.

7) Ormai si deve parlare di scomparsa del movimento operaio (come movimento politico e non sindacale): questo è un fattore fondamentale da prendere in considerazione per qualsiasi strategia che si proponga un superamento del capitalismo. È venuto a mancare politicamente il soggetto storico che si pensava potesse assumere la gestione della nuova società postcapitalistica. Forse ciò sarebbe stato possibile agli inizi del Novecento, o forse era unillusone anche allora, ma certamente oggi non c’è più spazio nemmeno per l’illusione. E non bisogna farsi ingannare da quelle situazioni (paesi arretrati, dittature, regimi ex stalinisti) in cui i lavoratori ancora devono lottare per ottenere un riconoscimento politico nella forma di partiti e a volte addirittura di sindacati indipendenti. Ma tutto ciò è ormai storia passata per i principali paesi a più alto sviluppo industriale e finanziario. Il movimento operaio non esiste più come soggetto politico. E nemmeno elettorale...

8) Il «fardello delluomo bianco» - detto anche cattiva coscienza del mondo capitalistico sviluppato - sta portando, presso le nuove generazioni, a un crescente rifiuto della cultura sorta dalla storia plurisecolare del capitalismo. Purtroppo non nel senso di un suo miglioramento e arricchimento, ma nel senso di una sua negazione o deformazione caricaturale. È il fenomeno dell’antioccidentalismo che ormai pervade i movimenti di contestazione più appariscenti e che, nelle forme più estreme, ha portato a inneggiare per movimenti terroristici e antiebraici. Il futuro vedrà comparire sempre più spesso tali correnti di rifiuto precapitalistico della cultura occidentale e le occasioni per fornire pretesti non mancheranno. Anche per colpa della stessa cultura del capitalismo che sta dimostrando una storica incapacità a superare se stessa in una forma che sia compatibile con le esigenze dell’umanità. La diffusione crescente della videodipendenza sta lì a dimostrarlo. 

9) Per queste ragioni - qui esposte sommariamente, ma che rimandano a decenni di elaborazione teorica e a più di cinquanta libri da parte di vari nostri compagni e compagne - non si può consentire che Utopia rossa appaia come qualcosa che fiancheggi l’anticapitalismo precapitalistico e l’antioccidentalismo. Il nostro richiamo alla tradizione delle precedenti ideologie anticapitalistiche può creare confusione. Occorre quindi togliere dal blog le 7 frasette di principio e cambiare l’epigrafe sotto la testata. Mi chiedo anche se sia bene mantenere i nomi della redazione italiana e di quella internazionale.

10) Per l’epigrafe ho provato a scrivere un testo sostitutivo, ma confesso che non è impresa facile. Ve lo sottopongo consapevole dei suoi difetti. Ma cos’altro si può dire in poche parole, che vada bene internazionalmente e non solo per l’Italia, e soprattutto possa consentire anche alle nuove generazioni non contaminate dall’anticapitalismo precapitalistico e dall’antioccidentalismo di avvicinarsi a Utopia rossa?

11) L’aggettivo «rossa» deve restare perché costituisce un collegamento con la storia gloriosa del movimento operaio che dobbiamo aver l’orgoglio di rivendicare, per lo meno dalla nascita della Prima internazionale fino al dicembre1917. Senza mai dimenticare che anche questa storia gloriosa del movimento operaio è un prodotto dell’Occidente e non certo di culture precapitalistiche o antioccidentalistiche. Non a caso tutto il mondo dell’anticapitalismo precapitalistico ignora o non si riconosce in questa tradizione che nel passato aveva visto anche emergere alcune delle migliori intelligenze in vari campi del sapere. Cosa che da tempo non accade più.

Roberto

L’associazione Utopia rossa si fonda sul principio secondo cui il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi si deve riflettere l’essenza del fine. Il suo programma politico è il superamento del capitalismo, per salvare la vita sulla Terra con la sua umanità In questo senso la sua utopia continua ad essere rossa e si contrappone  all’ulteriore diffusione di ideologie precapitalistiche - come la demagogia «comunista», l'ecologismo apocalittico, lo pseudofemminismo, il wokismo, l'integralismo religioso, il nazionalismo, varie specie di populismo e soprattutto l’antioccidentalismo in tutte le sue forme.

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 ENGLISH

LETTER TO THE RED UTOPIANS

Dear friends (and, for information, to various others),
the time has come to change the epigraph beneath Red Utopia's masthead. This is no easy task, because the times are anything but favorable, and the temptation to give up—to dissolve RU, to surrender, and to retreat into purely individual commitment—is ever-present and seductive. This has been proven by all those who have left us (in Italy and abroad, especially in Latin America), none of whom did so to join something collective, whether better or worse than UR. The creation of personal blogs or websites is often the illusory alternative that one is still doing something useful for humanity: virtual... illusions.

Let me proceed point by point.

1) The world of the former Left has completely degenerated, everywhere, dragging along with it significant sectors of the so-called “progressive” world. Country by country, we have witnessed the disappearance of epochal values once considered essential (like democracy)—at least since the First International and their later evolutions—and in their place we have seen the rise of temporary objectives, perhaps born from real needs, but rapidly transformed into fads, into manifestations of the society of spectacle, often of a mass kind. Who still remembers the «Alter-globalization», «Occupy Wall Street», «Black Lives Matter», «Me Too», «Fridays for Future», «Gilets Jaunes», «Attac», «Tute Bianche», «No Tav»and so on?

2) The idea of being able to coordinate these trends on a global scale is not only politically negative, but fortunately also unachievable. Along with other considerations, the experience of these fashion-like movements forces us to give up one of our “historical” goals: the construction of a Fifth International, which we had imagined built on the basis of movements rather than parties. Once the parties had degenerated, the movements themselves now also appear degenerate. It is therefore the end of the hypothesis of a Fifth International, which I have defended since 1983, when I acknowledged the completion of the degenerative process of the Fourth International — that is, the best or least bad party that existed after the Second World War, when figures such as Hugo Blanco, Ernest Mandel, or Daniel Bensaïd were part of it. Perhaps I should have abandoned the idea of the Fifth International a little earlier, but better late than never.

3) Reflecting on two movements that have taken on similar psychopathological features (in Italy more than elsewhere) has opened up a line of thought in me, to which I might one day dedicate a structured work, but which I must now anticipate, in order to save UR and enable it to take a step forward.
The two movements are European Maoism of the early 1970s and the current pro-Hamas anti-Jewish hysteria. This too will pass, but it will leave an unhealable wound, just as Maoism did. Well, the main characteristic that these two forms of collective political psychodrama have shown is precapitalist anti-capitalism. Both relied on precapitalist ideologies: Maoism disguised as Marxism-Leninism, and anti-Judaism disguised as anti-Zionism. But above all, both have shown themselves to be organically ferocious enemies of democracy—that is, of the political regime that is historically indispensable for the functioning of the most advanced capitalism (not to mention socialism...). Democracy and post-democracy will, instead, continue to be indispensable even for the revolutionary perspective of overcoming capitalism (as Rosa Luxemburg understood well, against the Bolsheviks). The slogans calling for the destruction rather than the overcoming of capitalism are purely demagogic and have always served to mask precapitalist positions. In any case, they have no historical possibility of realization.

4) Continuing this reflection, it was not difficult for me to associate both of these collective follies with other manifestations of precapitalist anti-capitalism—first and foremost, with apocalyptic environmentalism, which asks capitalism to take steps backward rather than forward in order to solve climatic and environmental problems that no precapitalist regime could ever resolve. (Greta Thunberg has been a clear symbol of how one can quickly move from precapitalist apocalyptic environmentalism to anti-Judaism, equally precapitalist.)
But also with the world of progressive Christians and sometimes even popes themselves, who have a long tradition of precapitalist anti-capitalism (Liberation theology and certain encyclicals).

5) At the origin of the main precapitalist ideologies circulating in the modern world lies above all the (Leninist and Stalinist) tradition of Bolshevism in power. In power, and not before—when Lenin was still proposing a workers’ and peasants’ government within a capitalist social system. Bolshevism in power blocked the development of capitalism in Russia, destroyed the national bourgeoisie, replaced it with its own caste power, and launched a non-capitalist economic system destined to perish for many reasons—not least among them the economic laws of the world market.
The precapitalist ideology of the Bolsheviks in power was transmitted to the international workers’ movement, irreparably deforming its growth everywhere in the world. Some remnants of it still survive today in the degenerate form of Hitlero-communism.

6) In short, everything goes back to that December 20, 1917, when, in the wake of a great Revolution (the only true one the world had known in the twentieth century, from February to November 1917), the Cheka was founded—the instrument through which the emerging ruling caste destroyed the possibility of leading Russia toward a social system that could transcend capitalism. Together with the simultaneous stifling of the factory committees and the soviets, the establishment of the secret police to crush opposition parties marked the beginning of the Russian Anti-Revolution, which later turned, under Stalin, into an outright Counter-Revolution. In that December of 1917, the course of human history was changed, and the decline of the international workers’ movement began.

7) By now, one must speak of the disappearance of the workers’ movement (as a political, not trade union, movement): this is a fundamental factor to be taken into account for any strategy that proposes to go beyond capitalism. The historical subject that was once thought capable of managing the new post-capitalist society has politically ceased to exist. Perhaps such a thing might have been possible at the beginning of the twentieth century—or perhaps it was already an illusion even then—but today there is not even room for the illusion anymore.
Nor should we be deceived by those situations (in backward countries, dictatorships, or former Stalinist regimes) where workers still have to struggle to obtain political recognition in the form of parties or even independent trade unions. All this now belongs to the past for the major countries with the highest levels of industrial and financial development. The workers’ movement no longer exists as a political subject. Nor even as an electoral one

8) The “white man’s burden”—also known as the guilty conscience of the developed capitalist world—is leading younger generations toward an increasing rejection of the culture that arose from the centuries-long history of capitalism. Unfortunately, not in the sense of improving or enriching it, but rather in the sense of denying or caricaturing it.
This is the phenomenon of anti-Westernism, which now pervades the most visible protest movements and, in its most extreme forms, has led to praise for terrorist and anti-Jewish movements. The future will increasingly see the emergence of such precapitalist rejections of Western culture—and the opportunities to provide pretexts for them will not be lacking. This is also the fault of capitalist culture itself, which has shown a historical incapacity to transcend itself into a form compatible with humanity’s needs. The growing spread of video addiction is clear evidence of this.

9) For these reasons—briefly outlined here, but referring to decades of theoretical work and to more than fifty books by various of our comrades—it is not acceptable for Red Utopia to appear as something that sides with precapitalist anti-capitalism and anti-Westernism. Our reference to the tradition of previous anti-capitalist ideologies can create confusion. Therefore, the seven short principle statements must be removed from the blog, and the epigraph beneath the masthead should be changed. I also wonder whether it is appropriate to retain the names of the Italian and international editorial teams.

10) I have attempted to write a replacement text for the epigraph, but I confess it is no easy task. I submit it to you aware of its shortcomings. But what else can be said in a few words that would work internationally, not just for Italy, and above all, allow new generations—untainted by precapitalist anti-capitalism and anti-Westernism—to approach Red Utopia?

11) The adjective “Red” must remain because it constitutes a link with the glorious history of the workers’ movement, a history of which we must be proud, at least from the birth of the First International up to December 1917. Without ever forgetting that even this glorious history of the workers’ movement is a product of the West, and certainly not of precapitalist or anti-Western cultures. Not coincidentally, the entire world of precapitalist anti-capitalism ignores or does not recognize this tradition, which in the past had also seen the emergence of some of the greatest intellects across various fields of knowledge—a phenomenon that no longer occurs today.

Roberto

The association Red Utopia is founded on the principle that the end does not justify the means, but the means must reflect the essence of the end. Its political program is the overcoming of capitalism, to save life on Earth along with its humanity. In this sense, its utopia continues to be red and opposes the further spread of precapitalist ideologies—such as “communist” demagogy, apocalyptic environmentalism, pseudo-feminism, wokism, various forms of populism, religious fundamentalism, nationalism and, above all, anti-Westernism in all of its forms.

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 ESPAÑOL

CARTA A LOS UTÓPICOS ROJOS

Queridos y queridas (y para información de varios amigos),
Ha llegado el momento de cambiar el epígrafe bajo el título de UR. No es fácil, porque los tiempos no son nada favorables, y la tentación de rendirse —es decir, de disolver UR, rendirse y refugiarse en un compromiso puramente individual— es omnipresente y tentadora. Así lo han demostrado todos aquellos que nos han dejado (en Italia y en el extranjero, especialmente en Latinoamérica), ninguno de los cuales lo hizo para unirse a algo colectivo, mejor o peor que UR. Crear blogs o sitios web personales es a menudo la alternativa ilusoria a seguir haciendo algo útil para la humanidad: ilusiones... virtuales.

Iré punto por punto.

1) El mundo de la antigua izquierda ha degenerado por completo, en todas partes, arrastrando consigo a importantes sectores del llamado mundo "progresista". País tras país, hemos visto desvanecerse los valores históricos considerados esenciales, al menos desde la Primera Internacional (como la democracia), y luego evolucionar con el tiempo. Hemos visto surgir objetivos temporales, quizás nacidos de necesidades reales, pero rápidamente transformados en modas pasajerasmanifestaciones de la sociedad del espectáculo, a menudo de masas. ¿Quién recuerda aún “Alterglobalización”, "Occupy Wall Street", "Black Lives Matter", "Me Too", "Fridays for Future", "Gilets Jaunes", "Attac", "Tute bianche", "No Tav", etc.?

2) La idea de poder coordinar estas modas a escala mundial no solo es políticamente negativa, sino que, por suerte, también es irrealizable. Junto con otras consideraciones, la experiencia de estos movimientos-moda nos obliga a renunciar a uno de nuestros objetivos «históricos»: la construcción de una Quinta Internacional, que imaginábamos edificada sobre la base de los movimientos y no de los partidos. Una vez degenerados los partidos, ahora los movimientos también parecen degenerados. Es, por tanto, el fin de la hipótesis de la Quinta Internacional, que he defendido desde 1983, cuando tomé conciencia de la degeneración ya completa de la Cuarta Internacional, es decir, del mejor o menos malo de los partidos que existieron después de la Segunda Guerra Mundial, cuando formaban parte de ella personalidades como Hugo Blanco, Ernest Mandel o Daniel Bensaïd. Quizás debería haber abandonado la idea de la Quinta Internacional un poco antes, pero más vale tarde que nunca.

3) Reflexionar sobre dos movimientos que han asumido características psicopatológicas similares (en Italia más que en otros lugares) me ha abierto un camino de reflexión. Quizás le dedique un estudio exhaustivo, pero ahora debo anticiparme para salvar a UR y permitirle avanzar.
Estos dos movimientos son el maoísmo europeo de principios de la década de 1970 y la actual histeria antijudía pro-Hamás. Esto también pasará, pero dejará una herida incurable, al igual que el maoísmo. Pues bien, la principal característica que han demostrado estas dos formas de psicodrama político colectivo es el anticapitalismo precapitalista. Ambas se basaron en ideologías precapitalistas: el maoísmo disfrazado de marxismo-leninismo y el antijudaísmo disfrazado de antisionismo. Pero, sobre todo, ambos han demostrado ser opositores inherentemente feroces de la democracia, es decir, del régimen político históricamente indispensable para el funcionamiento del capitalismo más avanzado (sin mencionar el socialismo...). Sin embargo, la democracia y la posdemocracia seguirán siendo indispensables incluso para la perspectiva revolucionaria de superar el capitalismo (como bien comprendió Rosa Luxemburg contra los bolcheviques). Las consignas sobre el derrocamiento, en lugar de la superación del capitalismo son puramente demagógicas y siempre han servido para encubrir posturas precapitalistas. En cualquier caso, no tienen posibilidad histórica de materializarse.

4) Continuando con mi reflexión, no me resultó difícil asociar estas dos locuras colectivas con otras manifestaciones del anticapitalismo precapitalista: en primer lugar, el ambientalismo apocalíptico que exige que el capitalismo retroceda en lugar de avanzar en la solución de problemas climáticos, ambientales y de otro tipo que ningún régimen precapitalista jamás podrá resolver. (Greta Thunberg fue un claro ejemplo de cómo se puede pasar rápidamente del ambientalismo apocalíptico precapitalista a un antijudaísmo igualmente precapitalista).
Pero también el mundo de los cristianos progresistas y, a veces, incluso los propios papas, que tienen una larga tradición de anticapitalismo precapitalista (teología de la liberación y varias encíclicas).

5) Pero en el origen de las principales ideologías precapitalistas que circulan en el mundo moderno se encuentra sobre todo la tradición (leninista y estalinista) del bolchevismo en el poder. En el poder, y no antes, cuando Lenin aún proponía un gobierno obrero y campesino en un sistema social capitalista. El bolchevismo en el poder detuvo el desarrollo del capitalismo en Rusia, destruyó a la burguesía nacional, la reemplazó con su propio poder de castas y estableció un sistema económico no capitalista, destinado a perecer por muchas razones, entre ellas las leyes económicas del mercado mundial.
La ideología precapitalista de los bolcheviques en el poder se transmitió al movimiento obrero internacional, distorsionando irreparablemente su crecimiento en todo el mundo. Aún sobreviven vestigios en la forma degenerada del hitlero-comunismo.

6) En resumen, todo vuelve a aquel 20 de diciembre de 1917, cuando, al calor de una gran Revolución (la única verdadera que el mundo conoció en el siglo XX, de febrero a noviembre de 1917), se fundó la Cheka, el instrumento con el que la casta en formación destruyó la posibilidad de llevar a Rusia hacia un sistema social que superara el capitalismo. Junto con la simultánea sofocación de los comités de fábrica y de los soviets, la creación de la policía secreta para eliminar a los partidos de oposición marcó el inicio de la Antirrevolución rusa, que más tarde se transformó, con Stalin, en una abierta Contrarrevolución. En aquel diciembre de 1917 se cambió la historia de la humanidad y comenzó el declive del movimiento obrero internacional.

7) Debemos hablar ahora de la desaparición del movimiento obrero (como movimiento político, no sindical): este es un factor fundamental a considerar en cualquier estrategia dirigida a superar el capitalismo. La entidad histórica que se creía capaz de gestionar la nueva sociedad poscapitalista ha desaparecido politicamente. Quizás esto hubiera sido posible a principios del siglo XX, o quizás era una ilusión incluso entonces, pero ciertamente hoy ya no hay lugar para la ilusión. Y no debemos dejarnos engañar por aquellas situaciones (países atrasados, dictaduras, antiguos regímenes estalinistas) en las que los trabajadores aún tienen que luchar por su reconocimiento político en forma de partidos y, a veces, incluso sindicatos independientes. Pero todo esto ya es historia para los principales países con los mayores niveles de desarrollo industrial y financiero. El movimiento obrero ya no existe como entidad política. Ni siquiera como entidad electoral…

8) La "carga del hombre blanco" —también conocida como la mala conciencia del mundo capitalista desarrollado— está provocando, entre las nuevas generaciones, un creciente rechazo a la cultura nacida de la historia centenaria del capitalismo. Desafortunadamente, no en el sentido de su mejora y enriquecimiento, sino más bien en el de su negación o deformación caricatural. Este es el fenómeno del antioccidentalismo que ahora impregna los movimientos de protesta más visibles y, en sus formas más extremas, ha dado lugar a llamamientos a movimientos terroristas y antijudíos. En el futuro, estas corrientes de rechazo precapitalista a la cultura occidental aparecerán cada vez con mayor frecuencia, y no faltarán las oportunidades para proporcionar pretextos. Esto también se debe a la propia cultura del capitalismo, que está demostrando una incapacidad histórica para trascenderse a sí misma de una manera compatible con las necesidades de la humanidad. La creciente propagación de la adicción a los videos es prueba de ello.

9) Por estas razones —expuestas sumariamente aquí, pero que se basan en décadas de desarrollo teórico y en más de cincuenta libros de varios de nuestros camaradas—, no se puede permitir que Utopía Roja aparezca como algo que se alinea con el anticapitalismo y el antioccidentalismo precapitalistas. Nuestra referencia a la tradición de ideologías anticapitalistas previas puede generar confusión. Por lo tanto, las siete breves frases de principio deben eliminarse del blog y el epígrafe del encabezado debe modificarse. También me pregunto si sería apropiado mantener los nombres de los equipos editoriales italiano e internacional.

10) Intenté escribir un texto que reemplazara el epígrafe, pero confieso que no es tarea fácil. Se lo presento, consciente de sus defectos. Pero ¿qué más se puede decir en pocas palabras que sea relevante a nivel internacional, no solo en Italia, y, sobre todo, que permita a las nuevas generaciones, no contaminadas por el anticapitalismo y el antioccidentalismo precapitalistas, acercarse a la Utopía Roja?

11) El adjetivo «roja» debe permanecer porque constituye un vínculo con la historia gloriosa del movimiento obrero, de la cual debemos tener el orgullo de reivindicarnos, al menos desde el nacimiento de la Primera Internacional hasta el diciembre de 1917. Sin olvidar nunca que esta historia gloriosa del movimiento obrero es también un producto de Occidente y no, ciertamente, de culturas precapitalistas o antioccidentalistas. No es casualidad que todo el mundo del anticapitalismo precapitalista ignore o no se reconozca en esta tradición, que en el pasado había visto surgir también a algunas de las mejores inteligencias en varios campos del saber. Algo que, desde hace tiempo, ya no sucede.

Roberto

La asociación Utopía Roja se basa en el principio de que el fin no justifica los medios, sino que estos deben reflejar la esencia del fin. Su programa político es la superación del capitalismo para salvar la vida en la Tierra con su humanidad. En este sentido, su utopía sigue siendo roja y se opone a la propagación de ideologías precapitalistas, como la demagogia "comunista", el ambientalismo apocalíptico, el pseudofeminismo, el wokismo, diversas formas de populismo, el fundamentalismo religioso, el nacionalismo y, sobre todo, el antioccidentalismo en todas sus formas.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.