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lunedì 24 agosto 2015

COMITATI DI FABBRICA E SOVIET NELLA RIVOLUZIONE RUSSA, di Roberto Massari

Riunione del soviet di Pietrogrado, 1917
1. La nascita dei comitati di fabbrica

John Reed assistette entuasiasta agli inizi della rivoluzione russa del 1917. Morì nel 1920, in tempo per intuire qualcosa del processo degenerativo in corso, ma senza immaginare quale mostruosità politica stesse prendendo forma storica nella fase declinante di quella grande rivoluzione. Con la sua celebre cronaca egli è entrato a far parte, a sua volta, di quella vicenda; il suo nome ha assunto una rinomanza quasi leggendaria nella tradizione del «giornalismo rivoluzionario» e, grazie al giudizio favorevole che ne diede Lenin, il suo libro ha continuato a circolare nel movimento operaio internazionale anche durante i decenni bui dello stalinismo.
Ebbene, dal momento che la scarsa documentazione sul ruolo e l'importanza dei comitati di fabbrica1 [cdf] è tutta successiva agli eventi del biennio 1917-18 - e quindi inevitabilmente intrisa di deformazioni, sia per l'entusiasmo delle correnti a favore, sia per la malafede di chi contribuì a liquidare quella grande esperienza di democrazia operaia - la testimonianza di John Reed può avere un valore emblematico per iniziare la nostra riflessione.
Nel primo capitolo di Dieci giorni che sconvolsero il mondo, parlando delle premesse della rivoluzione d'Ottobre, quando - per usare le sue suggestive parole - «la grande Russia partoriva, nel dolore, un mondo nuovo», Reed tratteggia i caratteri e gli strumenti delle forze sociali in movimento: i soviet, le cooperative, i sindacati, gli zemstvo, i congressi delle nazionalità, i contadini, i partiti politici, i giornali finalmente senza bavaglio, le case editrici libere, i camerieri che rifiutavano le mance ecc.: tutto ciò mentre
«dal fronte continuavano la loro lotta contro gli ufficiali e nei comitati imparavano ad autogovernarsi. Nelle fabbriche quelle incomparabili organizzazioni russe, che sono i consigli di fabbrica, acquistavano esperienza e forza e prendevano coscienza della propria missione storica di lotta contro l'antico ordine di cose»2.
Spesso confusi con i soviet o con gli organismi sindacali, i cdf avevano invece avuto una dinamica propria, non sempre realmente distinguibile con nettezza da quella dei soviet, soprattutto nella fase più avanzata della rivoluzione. Vediamo qualcuna di queste differenze.
Si può cominciare dalla data di nascita. Il primo soviet della storia era nato a Pietroburgo, nel corso della rivoluzione del 1905, spontaneamente e come sostituto di organismi di rappresentanza politica che la repressione zarista non aveva mai permesso. Nel soviet erano poi confluite le istanze economiche dei lavoratori, esigenze di democrazia ecc., ma la sua natura era stata essenzialmente politica, così come politica era stata la sua direzione (Trotsky come presidente, il partito menscevico ampiamente presente, i bolscevichi e altre formazioni presenti a loro volta, anche se in netta minoranza). La storia di quel primo «parlamento» popolare3 affondava nel fermento antizarista (vivace sin dalla fine del secolo precedente), nella svolta verso le fabbriche di una parte del vecchio terrorismo narodniko, nei vari tentativi compiuti per costruire organismi di rappresentanza più o meno ufficiali sui luoghi di lavoro.
Nel 1905 non si era visto nascere un vero e proprio movimento di autorganizzazione nelle fabbriche e l'esperienza era stata del resto troppo breve per poter consentire ai soviet centrali di ramificarsi nei luoghi di lavoro. Ma qualcosa vi era stato e Trotsky (uno dei pochi intellettuali rivoluzionari ad aver avuto una precedente esperienza di agitazione nel mondo del lavoro), in sede di bilancio storico-politico di quell'esperienza, indicherà anche la necessità di muoversi, in futuro, sul terreno dei consigli di fabbrica. Si veda il brano seguente:
«Non с'è dubbio che il prossimo, il nuovo assalto della rivoluzione porterà dappertutto alla formazione di consigli operai. Il consiglio operaio generale russo, formato da tutta l'assemblea degli operai dell'Impero, assumerà la direzione delle organizzazioni locali elette dal proletariato sulla base del programma seguente:
Cooperazione rivoluzionaria con l'esercito, i contadini e gli strati plebei della borghesia urbana. Abolizione dell'assolutismo. Distruzione della sua organizzazione materiale: in parte trasformazione, in parte scioglimento dell'esercito, annientamento dell'apparato burocratico-poliziesco. Giornata lavorativa di otto ore. Armamento della popolazione e in primo luogo del proletariato. Trasformazione delle autorità locali in organi dell'autogoverno urbano. Formazione di consigli di deputati dei contadini quali organi locali della rivoluzione agraria. Organizzazione di elezioni per l'Assemblea costituente e della campagna elettorale sulla base di un determinato programma operaio»4.
Una previsione non difficile per Trotsky che, sulla funzione politica della rappresentanza diretta e sulla dinamica della radicalizzazione degli operai di fabbrica, aveva scritto una specie di piccolo trattato sociologico. Lo aveva incluso nella parte centrale della sua celebre e spietata antileniniana: I nostri compiti politici (1904).
Meno facile, invece, l'accettazione di quella prospettiva per le varie correnti della sinistra russa che erano caratterizzate, nel loro insieme, da una globale sottovalutazione del ruolo degli operai di fabbrica nella futura rivoluzione.
Nel 1917 i ruoli si capovolgono. I soviet non nascono più «spontaneamente», come nella rivoluzione del 1905, ma fanno già parte della prospettiva politica di alcune formazioni della sinistra e - all'indomani della rivoluzione di Febbraio - iniziano ben presto a funzionare come autentici «parlamentini» delle forze antizariste. Avranno un ruolo determinante come organismi di contropotere popolare solo nelle settimane che precedono e seguono l'Ottobre, cominciando poi ben presto a perdere la loro caratteristica fondamentale di luoghi di libero scontro/confronto tra tendenze politiche.
Tra il 1919 e il 1921 (Kronštadt) questo diritto conquistato nella lotta verrà loro strappato con la riduzione graduale delle forze politiche autorizzate a confrontarsi al loro interno: via i cadetti, via i menscevichi, via i socialrivoluzionari, via gli anarchici, via i socialrivoluzionari di sinistra, via l'Opposizione operaia e le altre correnti minori del Partito bolscevico, resterà in pratica solo quest'ultimo e per giunta nella sua unica corrente di maggioranza (lenino-trotskiana prima, bucharino-staliniana poi). Nel giro di pochi anni seguirà la violenta controrivoluzione staliniana che li svuoterà di ogni contenuto alternativo e di ogni carattere democratico - in pratica della loro funzione storica - fino allo sterminio fisico dei quadri più rappresentativi e più irriducibili: un altro aspetto della guerra civile «poliziesca» che la burocrazia staliniana dovette condurre per distruggere ogni residuo eversivo della rivoluzione d'Ottobre.
Torniamo ora ai comitati di fabbrica. Con embrionali antecedenti storici, ma senza una loro precisa manifestazione politica nella Russia zarista - e non godendo, per tutta una prima fase, di particolare attenzione da parte di alcuna corrente politica (più favorevole, ma anche incerto, e da verificare meglio, l'atteggiamento dei socialrivoluzionari) - i cdf nascono invece spontaneamente, sulla scia del movimento democratico di massa del febbraio 1917. Crescono su precise motivazioni economiche e si trasformano politicamente nel corso del grande movimento rivendicativo che doveva sboccare nella generalizzazione dei soviet e nella conquista del potere.
Per descrivere il processo della loro nascita si può lasciare la parola ad Anna Michajlovna Pankratova, universalmente riconosciuta come la storiografa del movimento dei cdf e la fonte più preziosa di informazioni5.
«Dopo la vittoria di febbraio il proletariato non poteva più tornare alle condizioni economiche e giuridiche precedenti. Il suo malcontento per la situazione economica si manifestò innanzitutto nella lotta per l'aumento dei salari. […] Inoltre l'arbitrio, dopo la vittoria, sembrava troppo ingiusto allа classe operaia, la quale chiedeva un cambiamento immediato e radicale nelle relazioni tra capitale e lavoro. […] Un'ondata di scioperi dilagò dopo la caduta dell'assolutismo.
In ogni fabbrica od officina, di colpo, senza attendere l'accordo ai vertici, furono presentate rivendicazioni riguardanti i salari, la riduzione della giornata lavorativa ecc. I conflitti economici si aggravavano ogni giorno di più e si complicavano in un'atmosfera di lotta.
Tutto ciò fu un potente stimolo a una gestione autonoma quasi totale delle masse (operaie, contadine, militari) le quali si affrettavano a creare le loro organizzazioni riformulando, alla vigilia di una nuova esistenza, le loro antiche rivendicazioni. Nello stesso periodo apparvero nelle fabbriche i primi organi di combattimento del proletariato, portavoce del suo spirito combattivo e delle sue rivendicazioni rivoluzionarie: i comitati di fabbrica»6.
I cdf ottengono un primo riconoscimento ufficiale il 5 marzo 1917, da parte del soviet di Pietrogrado, e nella stessa città - palazzo di Tauride - tengono la loro Prima conferenza nazionale il 30 maggio, con la partecipazione di circa cinquecento deputati provenienti per lo più da consigli formati in aziende dell'industria metallurgica. Da notare che nella precedente «Conferenza esplorativa» dei cdf dell'industria bellica (2 aprile), tra le varie funzioni del cdf si era stabilito il diritto dei delegati operai di esaminare i bilanci e la documentazione dell'azienda, onde poter intervenire «nell'organizzazione interna della fabbrica». Nella conferenza preparatoria di Char'kov (29 maggio) alcuni delegati erano invece arrivati a proporre addirittura che i cdf si assumessero la direzione delle aziende7.
L'atmosfera di radicalizzazione che stava vivendo il mondo del lavoro, nei mesi che segnarono il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese del Febbraio a quella socialista dell'Ottobre, si rifletté negli interventi di molti delegati alla conferenza di Pietrogrado, riportati da Pankratova. Si parlò già apertamente di «controllo operaio», di superamento delle funzioni sindacali, di assunzione in prima persona dei compiti di gestione produttiva. La risoluzione finale mediò tra le varie posizioni, non espresse con altrettanta chiarezza il principio dell'autogestione, ma stabilì due principi ugualmente importanti: l'organizzazione sovraziendale di tutti i cdf delle fabbriche di una determinata zona e l'elezione democratica dei delegati (affiancata al principio della direzione collegiale).
I mesi successivi videro assorbita la ricchezza di problematiche dei cdf nell'agitazione (soprattutto bolscevica) per il «controllo operaio». Slogan controverso, dietro il quale si sviluppavano tesi e aspettative diverse: dalla rivendicazione puramente democratica di far luce sulla gestione aziendale, alla richiesta di esproprio dei proprietari più compromessi col vecchio regime zarista. Nel nostro lavoro già citato, abbiamo ricostruito tutte le trasformazioni che quello slogan subì nella pubblicistica leniniana, dalla genericità iniziale fino alle formulazioni più radicali in termini di socializzazione, passando attraverso le varie accezioni strumentali, delle quali in parte si dirà avanti parlando delle posizioni bolsceviche.
Le ambiguità che caratterizzavano la parola d'ordine del «controllo operaio» si ritrovano nelle conferenze regionali e provinciali dei cdf che si svolsero nei mesi successivi. Nella regione di Mosca (luglio 1917) prevalsero, per esempio, i menscevichi, mentre alla Seconda conferenza di Pietrogrado (7-12 agosto) fu accolta a maggioranza la risoluzione bolscevica. Lì si redassero degli «statuti» per regolamentare il funzionamento degli organismi di fabbrica, se ne propose il coordinamento a livello nazionale e si convocò una Conferenza panrussa dei cdf per il mese di ottobre (alla vigilia della futura rivoluzione).
Tra la Prima e la Seconda conferenza di Pietrogrado (cioè tra maggio e ottobre) si decide in pratica il destino della rivoluzione russa, attraverso l'accentuazione delle sue caratteristiche popolari e operaie rispetto a quelle puramente democratico-borghesi e di modernizzazione economica. Sono i mesi in cui l'attività dei soviet dilaga in gran parte del paese e anche i mesi in cui praticamente ogni centro produttivo di una certa importanza si dota di un proprio cdf come organismo di rappresentanza. I principi della democrazia diretta che animano il funzionamento dei soviet si ripercuotono nel funzionamento dei cdf (anche nelle loro strutture di coordinamento extraregionale), mentre i contenuti più radicali del mondo operaio vanno a rimpolpare il dibattito sulla conquista del potere che si sviluppa nel mondo dei soviet.
Una permeabilità tra i due tipi di organismi e una reciprocità di influenze quali mai più si vedranno con tanta nettezza e seguito di massa, nella storia fino ai nostri giorni.
Sul piano politico, gli effetti di quella reciprocità si videro nelle decisioni del Secondo congresso panrusso dei soviet e nel processo di radicalizzazione che si sviluppò momentaneamente tra le file del Partito bolscevico e anche nel suo gruppo dirigente. Sono i mesi in cui si sviluppa l'agitazione per «tutto il potere ai soviet» (contro le posizioni conciliatrici del gruppo Zinov'ev, Kamenev - e anche Stalin, per quel che poteva contare) e si realizza la saldatura tra Lenin e Trotsky sul programma della «rivoluzione permanente», fino a quel momento avversato da tutto il gruppo dirigente bolscevico. Il resto è storia sufficientemente nota8.
Le aspettative sul terreno della democrazia operaia erano comunque fortissime in buona parte dei delegati alla nuova Conferenza dei cdf. Il dileguarsi dei proprietari, l'atmosfera generale del paese e l'entusiasmo nel constatare la propria forza alimentavano ovviamente tali aspettative. Citiamo una delle risoluzioni adottate, che bene esprimevano quei contenuti di democrazia operaia per i quali lottavano i cdf:
«Soltanto il controllo operaio sull'azienda capitalistica, prendendo coscienza dei suoi obiettivi e della sua importanza sociale, creerà le condizioni favorevoli all'instaurazione della ferma autogestione operaia e allo sviluppo del lavoro produttivo»9.

2. Lo scontro sui comitati di fabbrica

Nel caos economico della rivoluzione vittoriosa, i cdf dovettero assumere immediatamente compiti di gestione produttiva: decisioni riguardanti acquisto di materie prime, orario di lavoro, distribuzione della manodopera, assunzioni e licenziamenti, determinazione dei prezzi e condizioni di vendita, trasporti ecc. Ciò fece emergere in alcuni settori dell'apparato statale e in ambienti influenzati dalle idee del sindacalismo la speranza che, organizzati nazionalmente, i cdf potessero fondersi con strutture sindacali vecchie e nuove, dando vita a una sorta di superorganismo sindacale per la gestione dell'economia. Era un modo, che tutti se ne rendessero conto o no, per stabilire una prima rigida demarcazione: i cdf avrebbero agito sul terreno dell'economia (con o senza controllo statale, restava da stabilire), mentre i partiti avrebbero occupato quello della politica (vale a dire dello Stato, sia pure nella nuova forma sovietica).
Il processo spontaneo della radicalizzazione di massa marciava però in senso inverso a quelle aspettative «sindacalistiche». I quadri dei cdf stavano imparando a fare politica (per lo più tra le file dei bolscevichi, ma anche menscevichi, anarchici e socialrivoluzionari) - tra le altre cose anche per trovare soluzione ai problemi economici delle rispettive aziende - mentre i partiti conducevano fin dentro i cdf lo scontro politico sulle prospettive che li aveva visti variamente schierati già all'interno dei soviet. I quadri dei cdf si politicizzavano, e non poteva accadere altrimenti: ma ciò mentre il governo rivoluzionario cominciava a chiedere loro - in primo luogo e quasi unicamente - l'assolvimento dei più urgenti compiti tecnico-produttivi.
Lenin si espresse chiaramente, nel periodo a cavallo della vittoria rivoluzionaria, per una concezione del controllo operaio molto riduttiva, inteso come «inventario» e censimento generale delle risorse economiche esistenti a livello regionale, distrettuale e aziendale. Un bel passo indietro, rispetto alle idee di Stato e rivoluzione e della Terza delle Lettere da lontano. Per gli spiriti più illuminati, questa necessaria riduzione tecnicistica delle aspirazioni «gestionali» dei cdf doveva avere solo un carattere temporaneo, in vista della creazione di un nuovo ordine economico e più razionale di organizzazione del lavoro.
Il 3 novembre la Pravda pubblicava il «Progetto di regolamento del controllo operaio», redatto da Lenin10, che costituiva in embrione il programma economico del nuovo governo rivoluzionario. Ai proprietari rimasti in Russia si toglieva qualsiasi prerogativa, ma si davano assicurazioni per la continuità e la regolarità del funzionamento produttivo, contando sul consenso nei confronti della base operaia conquistato dai cdf e dai sindacati. Ai rappresentanti operai si concedeva il diritto di aprire i libri contabili e verificare lo stato più generale dell'azienda (dalle scorte ai materiali, agli strumenti di produzione ecc.). Ma le loro decisioni potevano essere revocate dai sindacati. Questi ultimi, a loro volta, insieme alle altre componenti del mondo aziendale, venivano sottoposti al controllo dello Stato, cui si riservava il diritto di intervenire direttamente in tutte le aziende per lo Stato stesso.
«Sono considerate aziende che hanno importanza per tutto lo Stato, tutte le aziende che lavorano per la difesa del paese, nonché quelle legate, in un modo o nell'altro, alla produzione dei generi necessari all'esistenza della popolazione»11.
Praticamente tutte. Lo confermò il «Decreto sul controllo operaio» del 14 novembre, che si ispirò al testo di Lenin citato e diede una prima veste istituzionale alla decisione di regolamentare dall'alto il funzionamento puramente tecnico-produttivo degli organismi di fabbrica. Provvisorio (fino alla convocazione del nuovo Congresso dei cdf), il «Consiglio panrusso del controllo operaio» fece così la sua prima apparizione nel mondo dell'economia postrivoluzionaria: ancora espressione di un rapporto di compromesso tra gestione dall'alto e dal basso, esso apriva però la strada a tutti i successivi organi di «pianificazione esclusivamente dall'alto» di cui in parte si dirà.
Lo componevano i rappresentanti eletti nei vari organismi statali, sindacali, contadini ecc., nelle cooperative, nell'ufficio panrusso dei cdf, nelle unioni operaie panrusse ecc. Da tale organismo ci si attendeva né più né meno che l'elaborazione di una linea economica e la direzione generale dell'apparato produttivo, attraverso una rete nazionale di commissioni, composte da tecnici e specialisti a livello aziendale. Nulla si stabiliva riguardo agli attributi e competenze ai vari livelli, in particolare nel rapporto tra organismi centrali e di fabbrica; a parte la costituzione di «Consigli regionali del controllo operaio», dotati di funzioni di trasmissione informativa verso l'alto e di compiti di «sorveglianza» verso il basso («l'attività degli organi inferiori del controllo»). A livello aziendale, il Decreto sanciva la situazione creatasi, e cioè il fatto che una serie di funzioni gestionali erano ormai passate nelle mani degli organismi di fabbrica e che i proprietari avrebbero dovuto accettare il controllo da parte di questi.
Il 5 dicembre nasceva il Vesenka (Consiglio supremo dell'economia nazionale), l'organismo statale di direzione centrale dell'economia. Una data storica, nel bene e nel male. Il nuovo Stato assumeva ormai la direzione centralizzata dell'economia e sanciva sul piano istituzionale la rivoluzione avvenuta nei rapporti di produzione della vecchia Russia. Si precostituivano in tal modo le basi della futura pianificazione. Fin qui il bene - almeno a parere di chi scrive.
Ма il Vesenka si faceva carico delle funzioni esercitate per qualche settimana dal Consiglio panrusso del controllo operaio (presente nel Vesenka solo formalmente). E di qui il male - per chi scrive, ovviamente, ma anche per il proletariato sovietico che vedeva sancire ufficialmente due cruciali principi negativi: 1) la separazione istituzionale tra gli organismi dirigenti dell'economia e quelli della politica (in realtà saranno i secondi a dominare, grazie alla fusione che nel frattempo si verificava tra Stato e partito; ma qui interessa soprattutto la questione della separazione - separazione, per inciso, inconcepibile in rapporto al fondamento stesso del pensiero marxiano in generale e della sua «critica dell'economia politica» in particolarе); 2) la creazione di un organismo centralizzato dall'alto e non come risultato di una selezione democratica (politica, ma anche territoriale, etnica, di competenze, di settore merceologico ecc.) dal basso.
Il 5 dicembre è quindi anche la data d'inizio dello svuotamento di funzioni del Consiglio panrusso del controllo operaio che, a sua volta, aveva rappresentato uno strumento intermedio di salvaguardia per determinate prerogative dei cdf. Pankratova, che nella sua ricostruzione aveva fin qui esaltato l'autonomia e la capacità di intervento dei cdf, giustifica le misure adottate e senza volerlo ci aiuta a segnare la data di avvio del processo di declino del potere operaio, che tanta parte aveva avuto nell'instaurazione del potere sovietico. Commenta Pankratova:
«Tutti questi compiti economici immensi del periodo di transizione al socialismo esigevano la creazione d'un centro unico capace di normalizzare l'intera economia nazionale su scala statale. Il proletariato comprese questa necessità e, togliendo il suo mandato ai comitati di fabbrica che non rispondevano alle nuove esigenze economiche, delegò i propri poteri agli organi nuovi appositamente creati, ai soviet dell'economia nazionale. I comitati di fabbrica di Pietrogrado, che alla Prima conferenza del maggio 1917 avevano proclamato il controllo operaio, lo seppellirono unanimemente alla Sesta conferenza»12.
Non tanto «unanimemente» e certo senza immaginare a quale forma di dittatura spietata e antioperaia sarebbe arrivato con gli anni il regime di fabbrica sovietico (del conflitto tra i bolscevichi e i cdf parla anche Deutscher13).
Siamo nel pieno degli avvenimenti rivoluzionari e non si tratta ancora del potere sanguinario della burocrazia staliniana, ovviamente. Ma in sede analitica lo studioso non può esimersi dall'individuare la genesi di determinati processi, per quanto contraddittoria e incerta questa possa essere. Parleremo tra breve del principale tentativo organizzato, compiuto nel mondo dei cdf, per evitare l'esautoramento delle prerogative di rappresentanza e gestione conquistate. Ma pur in assenza di fonti esplicite, non ci è difficile immaginare lo stato d'animo con cui una parte dei quadri migliori, anche bolscevichi, devono aver accettato la fine dell'esperienza nazionale di coordinamento dei cdf. Tra le tante motivazioni, avranno avuto certamente il timore di non essere all'altezza del compito gestionale su scala nazionale, nonché la convinzione di poter affidare in fondo le sorti dell'economia a quegli stessi organismi politici di massa (i soviet) con cui avevano sconfitto lo zarismo.
In realtà, mentre la democrazia operaia dei cdf aveva pur sempre un suo specifico sociale, che ne assicurava il funzionamento e nе poteva garantire la rappresentatività, la struttura dei soviet era molto più complessa, fluida ed eterogenea, per poter assicurare lo stesso tipo di dialettica. Una dialettica, tra l'altro, all'interno della quale gli stessi cdf, operai d'avanguardia, sindacalisti politicizzati ecc. avevano potuto svolgere un ruolo significativo, sulla base della reciprocità di cui prima si diceva.
Lo svuotamento dell'autonomia e della rappresentatività dei soviet passava per canali diversi da quelli dei cdf, anche se analoghi nella sostanza. E comunque, alla base della vitalità dei soviet - come del loro declino - vi era stata la dialettica dei partiti e lo scontro di linee programmatiche: entrambi elementi concreti della realtà politica russa, sui quali i cdf, per le ragioni stesse della loro forza sociale, non avevano possibilità di intervenire. Insomma, nel rapporto più o meno dialettico soviet-partiti, i cdf erano stati ospiti desiderati nella fase ascendente della rivoluzione, ma senza un ruolo effettivo, senza poter precostituire delle difese dai meccanismi che ora li rendevano ospiti indesiderati nella fase declinante di quella stessa rivoluzione. Per queste ragioni i cdf periscono pressoché immediatamente, nei mesi che seguono la conquista del potere, e di certo molto prima dei soviet.

3. La speranza autogestionale

A dicembre del 1917 viene pubblicato il Manuale pratico per l'esecuzione del controllo operaio da parte dei membri non-bolscevichi del Consiglio panrusso dei cdf14. Il controllo operaio era lì indicato apertamente come «gestione operaia» delle imprese e veniva contrapposto, nella sostanza, al processo di soffocamento dell'autonomia dei cdf. Vi si proponeva la costituzione di quattro commissioni per ogni cdf: per l'organizzazione della produzione; per la conversione dell'industria bellica; per il rifornimento di materie prime; per quello dei combustibili. Si davano per acquisite le funzioni indicate da Lenin - inventario, censimento, lotta al sabotaggio ecc. - ma le funzioni di controllo venivano estese al computo delle scorte, al rapporto fra entrate e uscite, all'impiego di determinati materiali al posto di altri e così via, fino al controllo dei principali elementi costitutivi dell'organizzazione del lavoro in fabbrica: dalle condizioni degli impianti ai ritmi di ammortamento, dalla ripartizione delle funzioni alla determinazione del tasso di produttività.
La prospettiva di autogestione microaziendale degli autori del Manuale risentiva di una visione strettamente operaistica e quindi non investiva il problema della gestione economica più generale, della sua centralizzazione, dei meccanismi di pianificazione, del più generale rapporto con gli strumenti della democrazia diretta, sul terreno politico e sociale. Arrivava, comunque, ad affermare che
«il controllo operaio sull'industria, in quanto parte indivisibile del controllo sull'insieme della vita economica del paese, non deve essere considerato nel senso stretto di una revisione, ma nel senso più ampio dell'ingerenza».
Distinzione tra «revisione» e «ingerenza», oppure forme di autonomia di controllo contrapposte alla partecipazione… Sono problematiche che col passare dei decenni hanno perso la pregnanza che dovevano avere all'epoca, in quelle prime settimane convulse e decisive seguite alla vittoria rivoluzionaria, quando per la prima volta nella storia dell'umanità si poneva il problema pratico della gestione di un'economia industriale da parte dei produttori: non il principio teorico dell'autogestione, si badi bene, ché quello aveva campeggiato fin dalla metà del secolo precedente in tutte le principali risoluzioni dell'Associazione internazionale dei lavoratori.
Col senno del poi e consapevoli della distruzione avvenuta in Urss di ogni più elementare forma di autonomia operaia, rischiamo oggi di sopravvalutare quei deboli tentativi di opposizione alle scelte bolsceviche, magari attribuendo loro una validità sostanziale che non avevano (e non potevano avere, al di fuori di una visione complessiva della problematica di transizione al socialismo). Restano le questioni di principio, gli orientamenti dei soggetti coinvolti, le aspettative di rinnovamento, al limite anche la valenza degli errori che venivano proposti e compiuti dalle varie parti. Chi considerava la rivoluzione ancora in corso; chi riteneva esaurito il problema fondamentale con la conquista del potere; chi si rendeva conto che l'apparato industriale della sola Russia non avrebbe potuto resistere a lungo, per quanto democratizzato e rivoluzionato nelle sue strutture; chi considerava la Russia francamente solo come un trampolino di lancio per la rivoluzione mondiale.
Non si veda quindi ii conflitto tra gli autori del Manuale operaistico e gli autori del Contromanuale bolscevico (di cui ora parleremo), o il conflitto tra decentramento e centralizzazione come una lotta tra il bene e il male, tra rivoluzione e controrivoluzione. Erano ipotesi diverse tra loro - per lo più irrealistiche entrambe, al di fuori di un contesto di transizione mondiale al socialismo - che si scontravano, ma ancora solo a parole, sul piano politico e teorico. E lo facevano all'interno di un quadro di legittimità del potere rivoluzionario che bene o male veniva dato per scontato da tutti i partiti presenti all'interno dei soviet [a cominciare dai socialrivoluzionari che nei soviet detenevano la maggioranza dei delegati, per arrivare alle varie correnti anarchiche, ai menscevichi internazionalisti ecc., e non dai soli bolscevichi come si è sempre cercato di far credere (aggiunta del 2014)].

4. «Realpolitik» contro utopia: la fine dei comitati

Alcune scelte facilitarono certamente la strada alla controrivoluzione staliniana (che nell'economia acquisterà però una sua fisionomia precisa solo a partire dal 1928-29, cioè un quinquennio dopo aver vinto sul piano politico); ma «controrivoluzionarie», nel vero senso del termine, ancora non erano in quello scorcio del 1917-inizio del 1918, quando nemmeno il visionario distopista più esaltato avrebbe potuto immaginare gli eccessi cui sarebbe giunta un giorno la trasformazione staliniana dell'Urss. Le demonizzazioni di quel conflitto provennero per un lungo periodo solo da autori di generica ispirazione anarchica (a sinistra) o socialdemocratica (a destra). In epoca recente esse hanno invece ripreso vigore per cercare di identificare il bolscevismo con lo stalinismo, la rivoluzione dei soviet con la controrivoluzione burocratica e quindi affermare che mai, nella storia dell'umanità, i lavoratori sono riusciti a conquistare il potere.
Grave errore. La storia della rivoluzione d'Ottobre è proprio la storia della conquista e della successiva perdita del potere da parte dei lavoratori, dell'avvio della realizzazione della grande utopia del comunismo e del suo rapido riavvolgimento - e se ce ne fosse ancora bisogno lo starebbe a dimostrare anche la ricchezza dei termini del conflitto in seno ai cdf di cui ci stiamo occupando.
Diverso e più maturo sarebbe invece il discorso sulle «responsabilità» che i dirigenti dell'Ottobre hanno avuto per la successiva sconfitta di quella rivoluzione: ivi comprese le responsabilità di Lenin e di Trotsky, vale a dire delle due principali guide teoriche e pratiche di quel grande processo rivoluzionario15.
E di tali responsabilità una prova documentaria è certamente fornita dal cosiddetto Contromanuale del controllo operaio, vale a dire le «Istruzioni generali sul controllo operaio stabilite secondo il decreto del 14 novembre 1917», pubblicate dalle Izvestija il 13 dicembre 1917.
Erano trascorsi dieci giorni dall'istituzione del Vesenka e le spinte autonomistiche incarnate da cdf favorevoli al Manuale di cui sopra, o da organismi d'altro genere, cominciavano a farsi sentire prepotentemente sulla scena politica russa. Il Vesenka doveva riorganizzare dall'alto l'economia distrutta dalla guerra e dalla rivoluzione; doveva farlo ricorrendo al massimo di controllo centralizzato e doveva assicurare che le leve di tale centralizzazione stessero nelle mani del Partito bolscevico. L'ago della bussola cambiava direzione: mentre nella fase dal febbraio all'ottobre il problema della rivoluzione era consistito nell'acquisizione da parte delle masse lavoratrici di un'indipendenza politica e organizzativa sempre maggiore, ora si riteneva necessaria una svolta in senso contrario, verso la massima subordinazione degli organismi di fabbrica alle nuove strutture statali e sindacali del regime sovietico.
La sterzata non fu di poco momento, visto che si proponeva la creazione di un nuovo organismo aziendale, la «Commissione di controllo», rivolto a soppiantare i gloriosi cdf a tutti gli effetti. Ai membri di questi ultimi veniva lasciata in pratica solo l'alternativa di entrare a far parte del nuovo organo, se volevano continuare ad avere un qualche potere consultivo (e casomai decisionale).
La parola magica era ormai l'«efficienza» e a quel titolo si riprendevano tutte le posizioni riduttive sul controllo operaio già espresse da Lenin e incarnate dal Decreto. Si vedano i punti più significativi:
7. Il diritto di dare ordini nella gestione dell'azienda, l'andamento e il funzionamento dell'azienda restano al proprietario. La Commissione di controllo non partecipa alla gestione dell'azienda e non è responsabile del suo andamento e del suo funzionamento: questa responsabilità resta al proprietario.
8. La Commissione di controllo non si occupa dei problemi finanziari dell'azienda. Se questi problemi vengono sollevati, essi vengono trasmessi alle istituzioni regolatrici soviettiste.
Infine, con precisa volontà polemica nei confronti di quei cdf favorevoli alla prospettiva autogestionale:
9. La Commissione di controllo di ogni azienda può, per mezzo dell'organo superiore del controllo operaio, sollevare, dinanzi alle istituzioni regolatrici soviettiste, la questione del sequestro dell'azienda o domandare altre misure coercitive verso l'azienda, ma la Commissione non ha il diritto di impadronirsi dell'azienda o di gestirla16.
Secondo congresso panrusso dei soviet. Pietrogrado, 25-27 ottobre [7-9 novembre] 1917
Veniva costituita una piramide gerarchica, destinata a restare praticamente solo sulla carta, visto che senza la struttura portante dei cdf il mondo del lavoro non era più in grado di far funzionare effettivamente propri criteri di rappresentanza. Vale comunque la pena di riassumere tale struttura: la commissione di controllo esistente al livello di impresa diventava uno strumento esecutivo della cdc della corrispondente organizzazione professionale (col tempo sarebbe ridiventata un'organizzazione sindacale); quest'ultima manteneva un rapporto puramente formale con il Consiglio panrusso del controllo operaio (inesistente, nei fatti), ma dipendeva strettamente dalle direttive del Vesenka. I sindacati avrebbero potuto funzionare come strumenti di compromesso per i casi di conflitto più acuto con gli organismi di fabbrica, ma era evidente che ormai i margini di autonomia aziendale erano ridotti a zero. Di autonomie a livello regionale, di settore merceologico o trust, nemmeno a parlarne.
Va citato il caso delle ferrovie, perché era stato l'esempio di controllo operaio più celebre, più esteso e in un certo senso più utile sul piano propagandistico, per l'agitazione dei bolscevichi17.
A gennaio del 1918 fu varato un decreto per tentare una gestione «mista», parasindacale nella sostanza, dell'insieme delle linee ferroviarie, istituendo un soviet panrusso per l'organizzazione del settore. (C'era anche il problema di contendere il potere del Vikzel, un organismo analogo controllato però dai socialrivoluzionari.) Ne seguirono caos e disorganizzazione e dopo due mesi Lenin decise di chiudere quell'ultima esperienza, per quanto parziale e imperfetta, di controllo operaio. Il 16 marzo 1918 un decreto del Sovnarkom (Consiglio dei commissari del popolo), appoggiato dal Vesenka, conferì «poteri dittatoriali» al Commissario del popolo per le comunicazioni: era il primo passo verso la militarizzazione integrale del sistema ferroviario che verrà in seguito realizzata da Trotsky.
Sempre a marzo Lenin cominciava a redigere I compiti immediati del potere sovietico, in cui veniva teorizzato l'utilizzo di metodi dittatoriali nell'economia, senza mezzi termini e con la franchezza tipica del celebre dirigente. In quel testo si possono ritrovare espressioni come le seguenti:
«In un modo o nell'altro la sottomissione senza riserve ad un'unica volontà è assolutamente necessaria per il successo dei processi di lavoro organizzato sul modello della grande industria meccanica. […] Oggi la rivoluzione stessa, e proprio nell'interesse del suo sviluppo e del suo consolidamento nell'interesse del socialismo, esige la sottomissione senza riserve delle masse alla volontà unica di chi dirige il processo lavorativo. […] Bisogna imparare a unire insieme lo spirito democratico impetuoso, violento come la piena primaverile che trabocca da tutte le rive, amante delle discussioni e delle riunioni, che è propria delle masse lavoratrici, con una disciplina ferrea durante il lavoro, con la sottomissione senza riserve alla volontà di una sola persona, del dirigente sovietico, durante il lavoro»18.
Trotsky aveva espresso criteri analoghi, in quello stesso mese di marzo 1918, in un discorso pubblicato anche in Italia (Ed. «Avanti», 1919) con un titolo quantomai esplicito: Il lavoro, la disciplina e l'ordine salveranno la Repubblica socialista sovietica.
Così non fu, ma in quei primi mesi dell'«Anno secondo» i cdf avevano già concluso l'arco della loro breve, quanto significativa esistenza. Liquidati istituzionalmente, erano anche scomparsi nei fatti, non trovando nella nuova situazione del comunismo di guerra una funzione specifica da assolvere. Con loro se ne andava l'unico vero organo di democrazia operaia diretta che sia mai esistito nella storia del proletariato russo. Se ne andavano anche tante speranze e illusioni che avevano alimentato la spinta rivoluzionaria dei lavoratori a partire perlomeno dal movimento narodniko del secolo precedente, passando per la rivoluzione e il soviet del 1905 e arrivando alla conquista del potere (realizzata), nonché al tentativo embrionale di determinare in prima persona il proprio destino sociale (abortito).

5. Uno sguardo d'insieme

Le grandi utopie societarie stanno certamente nеl cuore e nei sogni della gente. Qualche volta arrivano ad essere formulate in strumenti letterari, urbanistici, artistici ecc. Ма perché esse acquistino una consistenza (o addirittura una rilevanza) storica è necessario che si incarnino in movimenti, meglio se di massa, meglio ancora se di una massa che contiene al proprio interno le aspirazioni di un intero gruppo sociale. A quel punto ci si troverà di fronte né più né meno che a un movimento politico rivoluzionario, il cui comportamento potrà anche essere messo a confronto con le idee e le utopie ispiratrici originarie.
Nel caso specifico il confronto andrebbe fatto tra la Russia soviettistica - che a voler fissare delle date orientative possiamo considerare ufficialmente esistita, bene o male, sino al massacro di Kronštadt, marzo 1921 (seguìto a ruota dal varo della Nep) - e opere teoriche come Stato e rivoluzione di Lenin o I nostri compiti politici di Trotsky: vale a dire opere in cui si incontra la formulazione di un modello sociale alternativo (comunista nel vero senso del termine) e una traccia delle strade attraverso cui i soggetti sociali coinvolti, i produttori associati, potranno arrivare ad un sistema di autentica autodeterminazione. Questo, del resto, e detto in parole povere, è il contenuto sostanziale dell'utopia comunista nella nostra epoca (con la convinzione, come corollario di quell'autodeterminazione, di poter organizzare e pianificare scientificamente la vita sociale su scala mondiale meglio di quanto non abbia potuto fare il capitalismo).
Gran parte del Partito bolscevico non aveva mai condiviso la traduzione politica che di quell'utopia aveva fatto tradizionalmente Trotsky. In realtà non aveva nemmeno condiviso i sogni leniniani contenuti in Stato e rivoluzione. Ma, se è per questo, i bolscevichi non erano mai stati nemmeno un partito rivoluzionario nel vero senso del termine: idolatri della forma-partito, contrari alla teoria della rivoluzione permanente, storicamente attestati su posizioni centriste, avevano rotto con il riformismo della Seconda internazionale, senza mai arrivare a formulare in termini programmatici la prospettiva socialista per la Russia e i principi dell'autodeterminazione dei lavoratori all'interno di quel processo.
Trotsky lo aveva fatto, invece, a partire almeno dal 1904 e sempre in aperta rottura con Lenin e i bolscevichi. Nel 1917 gli eventi avevano forzato la mano a questi ultimi e soprattutto a Lenin: senza il suo personale impegno, e la pressione del movimento delle masse in ascesa, il resto del partito avrebbe continuato a oscillare tra l'appoggio al governo Kerenskij e la diffidenza verso il movimento dei soviet.
Ebbene, l'Ottobre aveva aperto per tutta una fase storica la possibilità di abolire i fondamenti dello sfruttamento e dell'alienazione capitalistica, fondando una nuova forma statuale sul potere dei soviet, sui comitati di fabbrica e sul popolo in armi - insomma, quello che nella migliore accezione marxista (e nelle pagine di Stato e rivoluzione) si sarebbe chiamato lo «Stato-Comune».
Circostanze storiche che qui sarebbe lungo ricostruire fecero crollare quella possibilità. Poiché il contesto della rivoluzione mondiale (tedesca in primo luogo, ma anche statunitense agli inizi del secolo, messicana nel 1910, italiana nel 1919-20, polacca ecc.) era in ultima analisi il fattore determinante per l'avanzamento della stessa rivoluzione russa, non si possono rimproverare a posteriori le strutture della democrazia diretta soviettistica di non aver contenuto al proprio interno la forza sufficiente per resistere all'ondata restauratrice, bolscevica dapprima, staliniana poi. I fattori in gioco su scala internazionale esulavano dal raggio d'azione dei soviet e dei cdf, e casomai rinviavano il peso principale delle responsabilità agli altri movimenti politici rivoluzionari del proletariato, in altre parti del mondo.
Esaurita la prospettiva utopistico-comunistica dello Stato-Comune, scomparsi i cdf, esautorati i soviet, non restavano che l'Armata rossa e l'apparato del Partito bolscevico come strumenti in grado di funzionare. Peggio ancora. Esaurita la possibilità d'azione dell'Armata rossa (per i contraccolpi della guerra civile, per l'impossibilità di dar da mangiare ai membri delle classi povere che ne costituivano i ranghi), non restava ormai che il Partito in grado di funzionare: come corpo d'élite, fortemente disciplinato, ideologizzato, esaltato dalla vittoria e soprattutto in grado di fornire un minimo livello di sostentamento ai membri dell'apparato. Deutscher riassume bene il contesto:
«Come si era sostituito al proletariato, così il partito sostituiva la propria dittatura a quella del proletariato stesso. La "dittatura proletaria" non significava più il governo della classe lavoratrice che, organizzata in soviet, aveva delegato il potere ai bolscevichi, ma conservava il diritto costituzionale di deporli o "revocarli" dalla carica. La dittatura proletaria era diventata sinonimo di dominio esclusivo del Partito bolscevico»19.
Un corpo totalmente gerarchizzato, dotato di un primo livello elementare di privilegi (il solo fatto di poter mangiare) rispetto alla miseria abissale del paese, ormai autonomo materialmente dai legami con la classe operaia. Non dipendeva più dall'appoggio di quella classe - ridotta in frantumi dalla guerra, la fame e lo sforzo rivoluzionario - per poter legittimare il proprio potere, così come aveva fatto l'antico, in condizioni purtroppo peggiori.
Il Partito bolscevico si sostituiva alla classe lavoratrice, identificandosi con il nuovo apparato statale (esautoramento dei soviet e loro assimilazione nelle strutture di partito), decapitando le strutture di autodeterminazione al livello di fabbrica (i cdf), ricostituendo un esercito regolare sulle ceneri delle milizie operaie e contadine. Abbiamo scritto altrove:
«Fu la più brutale e grandiosa sostituzione di una classe dirigente con un apparato statale che mai si fosse vista nella storia. Il ferreo e disciplinato Partito bolscevico di Lenin fu lo strumento di tale sostituzione (portando alle estreme conseguenze i principi originari del suo fondatore); mentre Trotsky si trasformò in uno dei più rigorosi teorizzatori della sostituzione (contro tutte le proprie precedenti e più profonde convinzioni)»20.
Di fronte al bivio della sostituzione partitica o della sostituzione militaristica, Trotsky scelse la seconda, convinto di poter salvare ancora l'essenza del progetto comunista originario. In realtà scelse la carta perdente. E quando anche il Partito bolscevico insorse contro la militarizzazione della società - incapace di risolvere i problemi del paese e contraria agli interessi immediati di tutti, gerarchia di partito inclusa - si aprirono le porte alla reintroduzione di alcuni meccanismi di mercato (Nep) e alla burocratizzazione partitica dell'intera vita sociale. Molti fingono di non accorgersi che gli anni del maggiore liberismo sovietico, quelli della Nuova politica economica, furono anche gli anni della definitiva liquidazione d'ogni residuo di democrazia soviettistica, operaia o popolare; vale a dire di ogni forma di democrazia.
A sconfiggere il primo tentativo di tradurre in pratica l'utopia comunistica dell'umanità avevano concorso spinte sociali e militari e di diplomazia internazionale enormi, ponendo fin da allora ai cdf russi e ai loro alleati nei soviet la sfida sul terreno in cui essa ancora si pone: l'utopia del comunismo, vale a dire dell'autodeterminazione e della fine di ogni alienazione, o continuerà a deperire (magari non nei sogni di qualcuno, ma certamente nella realtà della vita sociale delle singole situazioni nazionali) o si realizzerà effettivamente al livello che le compete, alla grande e come utopia su scala mondiale.


Pubblicato originariamente, con il titolo «L'inizio autentico: i "soviet", i comitati di fabbrica», in Arrigo Colombo (a cura di), Crollo del comunismo sovietico e ripresa dell'utopia, Dedalo, Bari 1994, pp. 67-86. Atti del convegno organizzato dal Centro di ricerca sull'Utopia dell'Università di Lecce, 26-28 ottobre 1992 [ora in R. Massari, Dal piombo allo stagno. La lunga traversata fra resistenza etica e impegno culturale (1980-2011), Massari editore, Bolsena 2014, pp. 335-58].

1 Fabzavkomy. Abbreviazione per Fabrično-zavodnye komitety.
2 J. Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Roma 1964, p. 20.
3 Ricostruita in R. Massari, Le teorie dell'autogestione, Milano 1974, pp. 159-75. E comunque si veda l'opera classica di O. Anweiler, Storia dei soviet, 1905-1921, Roma/Bari 1972.
4 L. Trotsky, «Der Arbeiterdeputiertenrat and die Revolution», in Die neue Zeit, XXV, n. 2/1907, p. 85, corsivi nostri.
5 Informazioni da sottoporre comunque a vaglio critico, tenendo conto che Pankratova (studentessa dell'Università di Odessa e storica di professione) aderì al Partito bolscevico nel 1919, che il testo fu redatto nel 1923 e che esso difende nella sostanza la tesi sull'esaurimento della funzione storica dei cdf negli anni dopo l'Ottobre. Pankratova (1897-1957), sposata a un dirigente dell'Opposizione di sinistra (lo storico Grigorij Janovkin, fucilato nel lager di Vorkuta nel 1938) rifiutò di divorziare dal marito. Sopravvisse alle grandi purghe staliniane ed entrò nel Comitato centrale del Pcus nel 1952, ottenendo importanti incarichi universitari a Mosca e come membro dell'Accademia delle scienze sociali dell'Urss.
6 A.M. Pankratova, I consigli di fabbrica nella Russia del 1917, Roma 1970, pp. 12-3, corsivo nostro. Il titolo originale: Fabzavkomy Rossii v borbe za sotsialističeskuju fabriku. La trad. italiana non è fatta sull'originale russo, ma sulla traduzione francese pubblicata in Autogestion, II, n. 4/1967, a sua volta incompleta.
7 M. Brinton, The Bolsheviks and Workers’ Control, 1917-1921, London 1970, p. 4. Brinton utilizza una fonte russa ricca di dati e informazioni: Oktjabrskaja revolutsija i fabzavkomy: materiali pо istorii fabrično-zavidskich komitetov [La rivoluzione d'Ottobre e i comitati di fabbrica: materiali per una storia dei comitati di fabbrica].
8 Tranne che nella povera Russia dove, alle soglie del Duemila, la vera storia della Rivoluzione è tutta da scrivere. Il compito è impari, avendo il popolo russo studiato per decenni la propria storia un ро' come se noi raccontassimo il Risorgimento con un Mazzini di comodo e senza Garibaldi, Cavour o Pisacane.
9 Cit. da A.M. Pankratova, op. cit., p. 61.
10 Lenin, Opere, XXVI, Roma 1966, pp. 257-8.
11 Ibidem, p. 258.
12 A.M. Pankratova, oр. cit., рр. 74-5.
13 I. Deutscher, I sindacati sovietici, Bari 1969, pp. 54-5.
14 Un'esaustiva analisi del testo è fornita da D. Limon, «Lénine et le contrôle ouvrier», in Autogestion, II, n. 4/1967, pp. 75-89.
15 Abbiamo analizzato le responsabilità di entrambi - di Trotsky in modo particolare - nel capitolo dal titolo già indicativo, «Il profeta inconseguente», in R. Massari, Trotsky e la ragione rivoluzionaria, Roma 1990, pp. 165-213. A quel lavoro si rinvia per un'analisi più ampia dei problemi qui accennati.
16 Il testo italiano è riportato in Aa.Vv., Il controllo operaio (reprint di scritti vari di Togliatti, Arskij, Radek ecc.), Roma 1970, p. 29. Ivi è anche il testo del «Decreto sul controllo operaio» del 14 novembre, pp. 19-21.
17 Ne parla ampiamente E.H. Carr, The Bolshevik Revolution, 1917-1923, London 1952, pp. 392-5.
18 Opere, cit., XXVII, pp. 240-3.
19 I. Deutscher, Il profeta disarmato, Milano 1970, p. 30.
20 Trotsky e la ragione rivoluzionaria, cit., p. 195.

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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.