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Atene, piazza Syntagma, 15 luglio 2015 © Reuters |
Nei giorni precedenti il Referendum greco e nell'ebbrezza delle ore successive alla vittoria del no, sembrò avverarsi finalmente il noto verso di Orazio appreso sui banchi di scuola: Graecia capta ferum victorem cepit: «la Grecia conquistata ha conquistato il selvaggio vincitore» (purché si sostituisca «ferum victorem» con Italicum laevum suffragatorem, cioè l'italiano bravo elettore di sinistra di bontempelliana memoria). Rappresentati ai loro massimi livelli nella gerarchia di partito, si può dire che ad Atene erano presenti come entusiastici sostenitori di Syriza e soprattutto di Tsipras gli elettori di Sel, di Rifondazione, del Movimento 5Stelle, oltre a qualche scheggia del Pd. Insomma, quella che per una convenzione linguistica, poco fondata storicamente, viene ancora chiamata «la sinistra a sinistra del Pd». Escludendo per ora il movimento di Grillo (che vive ormai una schizofrenia quasi quotidiana, visto che qualche mese fa rifiutò di affiancarsi a Syriza nel gruppo parlamentare europeo, preferendo un gruppo inglese della destra razzista e sciovinista, mentre ora inneggia a Tsipras attribuendogli intenzioni antieuropeiste che il poveretto non ha mai avuto) possiamo dire che in piazza a gioire di una vittoria altrui - come già in Spagna con Podemos - erano presenti le correnti politiche che a suo tempo, guidate da Bertinotti, erano andate al governo con Prodi (i famigerati Forchettoni rossi), sostenendolo in ogni sua bisogna: dal proseguimento dell'attacco allo stato sociale in Italia fino alle missioni di guerra all'estero.
La svolta improvvisa di Tsipras (che ha fatto campagna per il No, ma ha scelto di realizzare le proposte del Sì) ha sconvolto la festa per tutti costoro e magari i più eruditi tra loro andranno a riscoprire i luoghi comuni antigreci diffusi da un'antica cultura mediterranea e latina (dal virgiliano appello a diffidare dei doni dei Danai alla vituperata Graeca fides, dal Graecus impostor all'invito a temere il fallacem Graeculum ecc.).
Sono dilagati in Rete gli articoli che esprimono forte disappunto per la linea che Tsipras ha deciso di adottare (ammesso che ci riesca), rompendo un sogno e l'ebbrezza di una notte. Io ho provato a leggerne alcuni di tali articoli, ma ho poi desistito perché il tema mi è parso molto ripetitivo: le parole che maggiormente rimbalzano, infatti, e continueranno a rimbalzare ancora per un po' da un corno all'altro della sinistra a sinistra del Pd sono «tradimento», «cedimento totale», «asservimento ai dettami della troika» ecc. Solo Grillo tace sull'argomento, letteralmente ammutolito, forse perché difficilmente avrebbe saputo dire qualcosa: proprio lui che fece campagna alla Europee per l'adozione degli eurobond, per gli eurofinanziamenti all'agricoltura, per un'Europa mediterranea e che pochi giorni dopo il voto decise di lanciare una campagna scriteriata per l'uscita dall'euro e dalla Ue (più o meno - mi si perdoni l'approssimazione, ma le posizioni cambiano a giorni alterni e, visto il livello, non è il caso di badare a sfumature).
Ne ho ricavato l'impressione che ognuno stesse cercando di farsi perdonare l'euforia delle ore successive alla vittoria del No e che per farlo poco si preoccupasse di quanto affermato in precedenza, oltre che delle normali leggi della logica e della coerenza. Insomma, una trasposizione moderna di un vecchio detto: Graeca per Ausoniae fines sine lege vagantur («le parole greche nei territori italici vagano senza legge», cioè senza regola e infondatamente - come mi pare sia attualmente).
Ma qui termina il mio ricorso alla sapienza di ascendenza latina, che ho utilizzato per portare un minimo di ironia e allegria nel cimitero ideologico della sinistra a sinistra del Pd. (Ma essendo questi ormai collocato a destra in tutto e per tutto, accade che la detta sinistra si trovi ad occupare posizioni di centro, in particolare sul terreno del nazionalismo e dello sciovinismo, come vedremo tra breve).
Procederò quindi per paragrafi brevi e schematici.
1) Non esiste alcuna possibilità per un qualsiasi governo greco (di destra, di centro o di sinistra) di risolvere la drammatica situazione del paese ricorrendo a manovre economiche, a tattiche finanziarie, a espedienti bancari o monetari. Ogni passo in direzione del pagamento dei debiti contratti dai governi precedenti aggraverà la recessione, contribuirà a deprimere i livelli di vita della popolazione (lavoratrice e non), impedirà una ripresa della crescita economica, se non addirittura l'estensione di una situazione di impoverimento drammatico e irreversibile per una o più generazioni. (Non ho bisogno di richiamare le cifre perché il lavoro di analisi economica più completo ed esaustivo che ho letto in tempi recenti è quello di Michele Nobile [«Grecia: bilancio (provvisorio) e prospettive di un riformismo onesto»], apparso pochi giorni fa sul blog di Utopia Rossa. A quel testo documentato, comprensibile e articolato - e con cui concordo totalmente - rinvio il lettore che magari volesse approfondire l'argomento invece di affidarsi alle impressioni di «economisti» improvvisati che in queste ore abbondano in Rete. Nobile, del resto, aveva già preparato il terreno con altre lucide analisi sulla situazione greca, tutte apparse nel sito di UR).
2) L'unica via d'uscita per il popolo greco è la rivoluzione. Sì, proprio quella cosa lì che consiste fondamentalmente nell'abolire il capitalismo in Grecia, nel distruggere lo Stato per sostituirlo con le strutture che il movimento di massa si dà nel corso del loro abbattimento, nell'estendere la democrazia e la partecipazione popolare a tutti i livelli. Io non sono assolutamente in grado (e ci mancherebbe!) di dire al popolo greco quale forma può assumere la sua rivoluzione, ma posso garantire che essa è l'unica soluzione realistica adottabile oggi, hic et nunc - non esiste una terza via. Il resto è solo demagogia o aggravamento della depressione delle condizioni di vita delle masse, con crescente dipendenza dalle fonti esterne di credito ai fini di un salvataggio del sistema bancario greco, l'unico che può trarre vantaggio dalle misure adottate negli scorsi anni e che Tsipras sembra voler proseguire con estrema decisione. (Sempre che ci riesca…)
E comunque, anche chi non condivide la prospettiva rivoluzionaria (e quindi non si capisce cosa proponga di realistico per la Grecia odierna) dovrà ammettere onestamente che la famigerata frase «si sono esauriti i margini di riformismo», nella situazione greca attuale non può nemmeno essere pronunciata senza sfiorare il ridicolo: quei margini si persero vari anni fa, in particolare da quando la borghesia greca e lo Stato greco cominciarono a indebitarsi per cifre superiori a quanto avrebbe consentito una crescita regolare del Pil. Il resto è storia nota.
3) La rivoluzione deve rivolgersi in primo luogo contro il nemico numero uno del popolo greco, vale a dire contro la borghesia greca, contro i rappresentanti greci e non-greci del capitale finanziario nel paese (si pensi al mondo degli armatori, ma anche alle società che traggono i principali benifici dal turismo, dall'edilizia, dalla commercializzazione dei beni di consumo informatici e telematici ecc.), contro i settori burocratici e politici che grazie al controllo dell'apparato statale riescono ancora a trarre profitti dai loro depositi bancari (e comunque ne hanno tratti nel passato), alimentano la corruzione e possono continuare a sfruttare parassiticamente le crescenti iniezioni di denaro «a prestito». Non penso solo alla corruzione statale e politica (per la quale comunque il paese numero uno a livello europeo rimane l'Italia). Penso anche a quei settori di piccola e media borghesia che dall'intermediazione bancaria sui grandi prestiti targati Bce e Fmi sono riusciti a trarre dei beneficî, e altri ne trarranno nel prossimo futuro (se si dovessero realizzare i piani di Tsipras).
4) Chi condivide la banale constatazione che la Grecia è stata ridotta in queste condizioni dalla sua borghesia e dalle sue banche e dal suo Stato, potrà valutare quanto grave sia la vulgata popolare «antitedesca» ormai dilagata nelle menti ottuse di una sinistra italiana che non ha mai saputo cosa fosse o cosa sia l'internazionalismo, e che si rotola ancora nella tradizione nazionalistica del togliattismo. A volte mi viene da pensare che siano pagati per farlo quegli esponenti della pseudosinistra che indicano il nemico sempre nelle borghesie altrui (lo fanno sistematicamente in Italia dove questa stupidità è gravissima, visto il ruolo che svolge l'imperialismo italiano in Europa e altrove; ora lo stanno strafacendo per la Grecia, la cui partecipazione alla globalizzazione imperialistica è certo ultraminore, ma pur tuttavia esistente). Non posso credere che siano così ciechi spontaneamente: basterebbe ricordare loro che l'economia italiana è stata smantellata dalle politiche recessive e antisociali (i famigerati «sacrifici») che con maggiore o minore intensità sono state applicate almeno da 40 anni in qua (a contare dal 1976 e dalla successiva svolta dell'Eur - Lama, Pci e Cgil in testa -, ma sarebbe lecito cercarne le origini molto prima). E applicate concretamente da governi italianissimi ai quali a scaglioni hanno preso parte tutte le forze politiche italiane (comprese quelle di Rifondazione, Verdi e Comunisti italiani. Lotta continua no perché, pur proponendo il governo del 51% con quelle stesse forze nemiche dei lavoratori, si sciolse prima di realizzare sia pure l'ombra di un «governo delle sinistre»).
Eppure c'è ancora qualcuno che continua a indicare il nemico principale dei lavoratori italiani nella troika (Commissione Ue, Fmi, Bce), nelle grandi istituzioni bancarie estere e in particolare nel governo tedesco della Merkel, facendo un favore ideologico impagabile ai diretti responsabili della crisi italiana e ai diretti responsabili di quella greca. Questi esponenti del neosciovinismo «di sinistra» hanno perso anche l'istinto di classe, a parte l'ignoranza che li avvolge riguardo alla tradizione storica del movimento operaio italiano, europeo e mondiale. Non sanno più individuare l'avversario diretto e principale dei lavoratori nel proprio paese. E con le chiacchiere pseudofilosofiche o improvvisate lezioncine di economia raffazzonata alla meno peggio continuano la loro funzione, così utile alla borghesia di ciascun paese: aiutarla a nascondere «il segreto arcano» del modo in cui avviene la valorizzazione del capitale nel paese dato, la sua riproduzione, l'utilizzo funzionale dell'apparato statale, la spettacolarizzazione di tutto ciò. Insomma, si sarebbe detto un tempo: «servi sciocchi della borghesia… ma del proprio paese».
Nel passato ho lanciato più di una freccia per colpire questo sciovinismo «di sinistra» dilagante e dilagato (contro l'euro, contro la Ue, contro la Merkel, contro Junker, contro la Germania, quasi una nuova Resistenza…), ma ho conseguito ben scarsi risultati, devo riconoscerlo, anche perché oltre a Utopia Rossa e qualche singola mente intelligente non ci si è impegnato nessuno. E l'impossibilità d'invertire questa rotta sciovinistica ha contribuito a farmi sentire sempre più estraneo a questo mondo di pseudosinistra, che crede di stare a sinistra del Pd, e che invece si colloca storicamente in una posizione ideologica e culturale enormemente più arretrata rispetto a quei settori di borghesia (italiana e non) che da decenni stanno tentando bene o male di spezzare le frontiere nazionali e realizzare il vecchio sogno partorito all'interno dell'Associazione internazionale dei lavoratori (Prima internazionale) di un'Europa unita e senza frontiere (socialista o capitalistica che sia). Incredibile: settori di borghesia (illuminata o interessata) che vogliono far scomparire le frontiere nazionali, mentre pseudomarxisti, pseudocomunisti, gruppettari e postleninisti in genere che le difendono in nome dell'autonomia e dell'indipendenza nazionale. Marx e Bakunin si rivolterebbero nella tomba, per non parlare di Garibaldi, Fourier, Proudhon e altri grandi esponenti dell'antinazionalismo.
E ora mi trovo davanti allo stesso penoso spettacolo per la Grecia, cioè davanti a un disgustoso nazionalismo risorgente, anche se tinto di «rosso» e magari spacciato anche per anticapitalismo… (compresa la sua variante monetaristica nemica dell'euro e favorevole al ritorno alla lira, alla dracma, alla peseta…).
5) Se è vero che la rivoluzione greca dovrà essere diretta in primo luogo alla distruzione e all'esproprio della borghesia greca, è anche vero però che ciò deve accadere necessariamente tenendo conto di ben precisi contesti politici internazionali. E qui andrebbero inserite varie considerazioni d'ordine geopolitico, che io immagino come una serie di cerchi analitici concentrici intorno alla Grecia, via via più ampi, che qui non posso sviluppare o ripetere (preferendo rinviare a precedenti analisi di Utopia Rossa, contenute soprattutto nei molti, moltissimi lavori di Pier Francesco Zarcone). Ma dirò i titoli di questi cerchi analitici: la rivoluzione greca va considerata a) nel contesto dei Balcani; b) nel quadro dei (som)movimenti nel Mediterraneo africano e orientale (quindi con riflessi anche sulla situazione mediorientale); c) come punto di transito - militare, petrolifero e dei gasdotti - tra l'Europa della Ue e le aree d'influenza russa (può sembrare una ripetizione del primo punto, ma ci sono altri forti elementi da prendere in considerazione rispetto al gioco di Putin, il ruolo dell'Ucraina ecc.); d) come anello momentaneamente più debole all'interno della Ue: comunità della quale in teoria la Grecia dovrebbe continuare a far parte, vista l'impossibilità di espellerla (secondo quanto ha spiegato più volte Michele Nobile in polemica con gli sciocchi che, proponendo l'uscita volontaria della Grecia, vorrebbero facilitare il compito a chi in Europa - tipo Schäuble - vorrebbe liberarsi del tumore greco; e) in un momento politico particolare sul pianeta Terra, che vede il governo degli Usa se non proprio sulla difensiva, perlomeno impegnato nel tentativo di smorzare vecchi e incancreniti punti di tensione (Cuba, Iran, Iraq, forse Colombia - se i dialoghi di pace tra il governo e le Farc in corso a L'Avana riusciranno a smuoversi dall'impasse) in vista di probabili future frizioni col crescente imperialismo cinese. Inutile dire che gli sciocchi nazionalsocialisti di cui sopra non riescono a vedere la dinamica effettiva di questa nuova politica degli Usa e continuano a ragionare in termini di dietrologia paranoica, se non ancora di infantile antiamericanismo. Se poi aggiungiamo gli sciocchi ancor più sciocchi che considerano socialista la Cina d'oggi (ammesso e non concesso che mai lo sia stata nel passato), abbiamo un quadro completo della mescolanza di nazionalismo e tardostalinismo di cui è ancora infetta l'ex estrema sinistra italiana (i nazionalsciovinisti di cui sopra).
6) Tanto è necessaria la rivoluzione in Grecia per risolvere i problemi di questo popolo fratello (peraltro confinante, di fatto, attraverso un corto braccio di mare), tanto improbabile e impossibile essa appare senza analoghi movimenti anticapitalistici (variamente eversivi o insurrezionali) in altri paesi. E non penso solo a paesi europei, ma - pur non essendomi mai illuso sulla portata delle primavere arabe - continuo a pensare che anche su altre sponde del Mediterraneo possano svilupparsi movimenti rivoluzionari, improvvisi ma non imprevedibili. Questi però saranno per forza meno maturi politicamente e meno chiari nel loro connotato anticapitalistico di quanto è invece possibile in Grecia, che la problematica del comunismo e dello stalinismo l'ha vissuta sulla propria pelle. Per dirla con le parole che Marco De Martin mi ha scritto poco fa: «Certo è che la posizione della Grecia è strategicamente perfetta, così come lo è storicamente (resistenza ai nazisti, liberazione, stalinismo, rivoluzione abortita, democrazia di facciata, dittatura di destra e di nuovo democrazia bipolare puramente clientelare - tutto ciò che del Novecento si potesse avere esperienza, o quasi): chi meglio dei Greci potrebbe trarne le dovute conclusioni?».
Già, chi meglio dei Greci? Ma perché non anche gli Ausoni?
7) La reazione di sgomento dopo la decisione di Tsipras di adottare la politica del Sì, pur avendo guidato il trionfo del No, ha rivelato un retroterra inconscio che voglio illustrare per l'occasione. Non c'è praticamente articolo che non protesti sul modo eccessivo in cui Tsipras ha fatto sue - grosso modo - le richieste della Commissione europea precedenti la pausa referendaria. E allora mi sono messo a fare il calcolo seguente: se diamo il valore 100 (nel senso di gravità e massima pressione possibile sui ceti popolari) alle scelte di Tsipras, a quale grado della scala nella repressione dei bisogni sociali ci si deve fermare? A 80? a 70? a 35? Possibile che non ci si accorga che le masse popolari greche hanno già dato tutto ciò che potevano dare e che qualsiasi ulteriore prelievo fiscale o taglio dei salari, delle pensioni, non è altro che infierire su un corpo già morente?
Insomma, tutti coloro che protestano per gli «eccessi» di Tsipras e non indicano schiettamente la via rivoluzionaria come unica via d'uscita per il popolo greco, a quale grado di provvedimenti antisociali e antipopolari stanno pensando? cosa considerano accettabile nella crisi greca? possibile che vedano tutto in termini di trattative con Bruxelles, percentuali di esazione fiscale, tassi d'investimento e misure presuntamente antirecessive? ma in che mondo vivono costoro?
Se fossi collocato io in posizione di trattativa e mi si chiedesse cosa ancora si può togliere al popolo greco, risponderei francamente «zero», zerissimo, zero assoluto. Tutto ciò che la borghesia greca (in accordo con la Commissione di Bruxelles) ha fatto pagare al popolo greco non è servito a risolvere la situazione negli anni precedenti e ha contribuito a deprimere le condizioni di vita dei Greci (pur riuscendo ancora a salvare il sistema bancario). Non penso quindi che si debba entrare nel merito delle misure di Tsipras (eccessive o non eccessive, e che magari in una logica bancaria e capitalistica potrebbero pure avere una loro coerenza - come purtroppo avremo modo di vedere); credo invece che si debba procedere alla loro contestazione totale, fisica, pratica, nelle piazze, cominciando cono l'assaltare alcuni luoghi simbolo del capitalismo nazionale greco e cercando in questo modo di avviare un'insurrezione generalizzata. Oggi in Grecia ci sono le condizioni psicologiche per farlo. E forse anche l'opinione pubblica mondiale capirebbe. Domani potrebbero non esserci più tali condizioni favorevoli e sulla spinta della delusione potrebbe ricomparire, come sempre, lo spettro di una destra nazionalista, anti-Ue e anti-euro molto più forte e popolare di quella attuale. Questa - in una sua parte - sta collaborando al governo di Syriza, in attesa che arrivi il suo momento. Attenzione, però: Panos Kammenos, capo del partito dei Greci Indipendenti (Anel), è l'unico ministro che ha votato contro il progetto di Tsipras.
A chi mi dirà che la mia posizione insurrezionalistica è irrealistica, risponderò che lo è molto meno dell'illusione di poter risolvere la situazione greca attraverso le istituzioni parlamentari, attraverso i partiti (sia pure Syriza, sia pure la sua componente interna di Piattaforma di sinistra diretta da Costas Lapavitsas e dal ministro dell'Energia - tra i fondatori di Synaspismós nel 1991 - Panagiotis Lafazanis, che al momento esprime tutta la propria carica eversiva astenendosi…), attraverso manovre di alchimia fiscale o monetaristica. Potrei citare quasi un centinaio di esperienze analoghe del passato e dimostrare (quasi sempre a negativo) che un movimento insurrezionale a base popolare, ovviamente spontaneo, può risparmiare gli orrori di decenni di pseudoriformismo o di esplicita dittatura militare.
8) Una scelta istituzionale che potrebbe facilitare l'avvio di un processo insurrezionale è la nazionalizzazione del sistema bancario. Per esser chiari: non è la misura in sé che sarebbe risolutiva, ma il tentativo della sua applicazione potrebbe aprire un processo rivoluzionario, secondo la vecchia e mai abbastanza sperimentata metodologia degli obiettivi transitori. In fondo è una delle poche questioni politiche in cui Marx ebbe ragione già per l'epoca sua, quando rimproverò i Comunardi di non aver messo le mani sulla Banca di Francia. Non voglio fare processi alle intenzioni, ma di nazionalizzazione della Banca centrale greca ha parlato anche Yanis Varoufakis (benché lo abbia fatto solo quando non era più ministro delle Finanze…). E di nazionalizzazione dell'intero sistema bancario stanno parlando gli esponenti di Piattaforma di sinistra in queste stesse ore, senza però fare nulla per rendere operativa la cosa. Potrebbero, per es., cominciare col lanciare un ultimatum al governo (… di cui fanno parte) e, a fronte di una risposta negativa, passare la parola direttamente al movimento fuori dal parlamento e dai partiti.
Lo stesso potrebbero fare per le altre misure - «ovvie» per chi ha a cuore gli interessi dei lavoratori -, e cioè l'imposta patrimoniale secca e progressiva da imporre nell'immediato (peraltro presente nel programma elettorale di Syriza) e la sottoscrizione forzosa di un prestito pubblico per i redditi superiori a una soglia considerabile «da ricchi». Il fatto di non adottare d'urgenza queste misure, che andrebbero a colpire (disintegrare) la borghesia greca, dimostra che la protesta anti-Tsipras dall'interno del suo partito è per ora solo demagogia, visto che anche gli esponenti più a sinistra continuano (almeno per il momento) a far parte del governo e di Syriza. Temo che il loro sia il classico ruolo bertinottiano e rifondarolo: tenere desta l'attenzione, le aspettative della base anticapitalistica nei confronti delle istituzioni, fino al raggiungimento di un nuovo assetto di pacificazione sociale. Insomma, il solito specchietto per le allodole del centrismo comunistoide, onde impedire che la gente cominci spontaneamente a dare fuoco alle banche, agli istituti di credito, all'equivalente greco di Equitalia (di cui purtroppo ignoro il nome).
Per entrambe queste misure vale quanto detto sopra: non sono rivoluzionarie in sé, ma il tentativo d'imporle potrebbe aprire una dinamica insurrezionale nel paese. Mosse di questo genere farebbero capire a Bruxelles che la Grecia non ha alcuna intenzione di sottostare a ricatti e ovviamente bloccherebbero qualsiasi ulteriore finanziamento, ma darebbero anche delle motivazioni valide per sospendere il pagamento dei debiti. Ma soprattutto andrebbero a colpire il nemico numero uno del popolo greco, vale a dire la sua borghesia.
Chi mi ha seguito fin qui avrà ormai capito che ciò che Tsipras e Syriza e Piattaforma di sinistra non stanno facendo è proprio colpire la borghesia greca (industriale, finanziaria, malavita organizzata, speculatori e frodatori di ogni sorta), prima responsabile passata, presente e futura delle disgrazie del popolo greco. E gli sciocchi in buona o malafede che continuano a puntare il dito su Bruxelles, quindi contro le borghesie di altri paesi, fuori della Grecia, stanno cercando di dare copertura a questo maldestro tentativo di favorire la borghesia nazionale agitando lo spauracchio della borghesia estera e di quella tedesca (Merkel e ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, in modo particolare). Non si vedeva tanta stupidità dalla metà degli anni Settanta, quando nelle aree centriste o comunistoidi si agitava lo spauracchio della «germanizzazione», mentre il Pci si avvicinava all'area di governo e si preparava a liquidare tutto ciò che con tanta fatica eravamo riusciti a far conquistare ai lavoratori italiani con le lotte nelle università, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle piazze, nel movimento dei comitati di base, prima, e dei consigli, poi. Qualcuno ancora se le ricorda le scemenze che circolavano sulla germanizzazione, alimentate dalla virulenza del governo tedesche verso i terroristi prigionieri? No, allora basta chiedere ai nazionalisti antitedeschi attuali perché, quando l'età lo consente, sono in genere gli stessi antititedeschi di allora. E in un paese che contro i popoli di lingua tedesca ha combattuto la sua lotta per l'indipendenza e poi la Resistenza, si troveranno facilmente orecchie ingenue disposte ad ascoltare questa variante musicale dello sciovinismo italianoide.
9) Un'ultima considerazione antinazionalista. Il governo Tsipras promette di raccogliere una cinquantina di miliardi nei prossimi anni, svendendo il patrimonio nazionale, privatizzando ecc. (cose che già di per sé sono dei crimini sociali e culturali). Il progetto prevede però che i primi 25 miliardi vadano alle banche greche per una loro ricapitalizzazione. Gli altri 25 miliardi (ricavati successivamente!!!, cioè dal 26º ipotetico miliardo in poi) vengano invece ripartiti a metà tra un parziale pagamento del debito estero e investimenti in patria. Si potrebbe essere più espliciti sulle finalità borghesi nazionali delle scelte di Syriza? E si potrebbe essere più sciocchi degli sciocchi che continuano a indicare nella Ue il nemico principale del popolo greco? Credo di no.
Attenzione, comunque, perché il nazionalismo dilagato nell'ex sinistra italiana troverà nuovo alimento in occasione delle prossime scadenze elettorali spagnole, dove il prevedibile successo di Podemos aprirà nuove speranze popolari e quindi altre dinamiche di contestazione, che a loro volta rischiano di essere deviate verso la Ue invece che verso la borghesia nazionale spagnola.
Insomma, i pretesti sciovinistici per non favorire i processi che potrebbero portare a insurrezioni anticapitalistiche in Grecia oggi - e forse domani in Spagna o in Italia - si vanno diffondendo a vista d'occhio. Quanto spontanei e quanto pilotati dalle borghesie nazionali di ciascun paese, resta da vedere. Oggi più che mai la coerenza internazionalistica rimane lo spartiacque tra chi il capitalismo lo vuole abbattere (rivoluzione) e chi lo vuole trasformare, migliorare, rendere più accettabile in termini di società dello spettacolo.
16 luglio 2015