Non c'è
rivoluzione nel Donbass, e neanche movimento di massa. Esistono solamente nella
propaganda dei sostenitori del movimento separatista armato, diretto da
nazionalisti di estrema destra. Importati dalla Russia, aspirano alla
restaurazione dell'impero zarista. Al Cremlino, si sostiene questa
reincarnazione delle Guardie bianche e delle Centurie nere che destabilizza
l'Ucraina, ma, a quanto pare, se ne ha anche paura.
Il 22 aprile ultimo, Boris Kagarlitskij affermava che «non si
poteva spiegare l'insurrezione riuscita di centinaia di migliaia, o addirittura
di milioni di persone nell'est dell'Ucraina con un'ingerenza della Russia» (1).
Un'insurrezione di centinaia di migliaia, addirittura di milioni? Anche la
propaganda del regime russo verso l’estero, con in testa la sua catena Russia Today, è mille volte più
misurata. Nella sinistra mondiale, quasi nessuno conosce il russo e l'ucraino
ancora meno; dunque, quando questa sinistra vuole sapere ciò che accade in
Ucraina, si ritrova in una situazione catastrofica. Per non dipendere dai media
occidentali, è condannata a ricorrere alla propaganda anglofona del regime di
Putin ed a quella delle pretese «reti anti-imperialistiche» pro-russe (spesso
«rosso-brune» o decisamente brune), così come a ciò che gli tradurrà in inglese
Links-International Journal of Social Renewal. Un sito, precisamente, che ha
assicurato la pubblicità degli scritti di Kagarlitskij a riguardo di questo
inesistente grande sollevamento di massa. Gran parte della sinistra si è
lasciata ingannare da questi scritti; così come aveva creduto, prima,
all'esistenza di un «golpe fascista», di una «giunta fascista» e di un «terrore
fascista» in Ucraina. Una parte della sinistra l'ha fatto per disorientamento
di cui, del resto, essa stessa ha responsabilità. Per un'altra parte,
certamente considerevole, il «sollevamento» nell'est dell'Ucraina è servito da
foglia di fico per nascondere il suo passaggio con armi e bagagli -
neo-campisti o semplicemente poststaliniani - al fianco dell’imperialismo
russo.
Social-imperialismo e rivoluzione immaginaria
Agli occhi di
gran parte della sinistra occidentale, Kagarlitskij appare un importante
pensatore marxista russo. Questo, nonostante il fatto che nella sua versione
della storia della Russia (2) non ci sia posto per la sottomissione coloniale
di altri popoli, per il dominio imperialista e l’oppressione nazionale Grande-russa,
per la «prigione dei popoli» dei tempi degli zar o dell’epoca stalinista e
post-stalinista, per le lotte di liberazione nazionale dei popoli oppressi.
Pertanto, in questa versione della storia non esiste la questione nazionale
ucraina, né la lotta storica del popolo ucraino per la sua unificazione e per
l'indipendenza. Questo è il motivo per cui, da un quarto di secolo, il
sottoscritto ritiene che Kagarlitskij appartenga a una particolare specie di
socialisti russi, cioè di quelli che, agli occhi di un bolscevico noto a tutti,
meritavano aggettivi poco sofisticati e non eleganti come «social-nazionalisti»
e «social-imperialisti». Non è quindi sorprendente che Kagarlitskij -
assecondando in questo l’estrema destra nazionalista russa e il movimento separatista
che dirige - ha recentemente iniziato a designare l'Ucraina del sud-est con il
nome di Nuova Russia (Novorossija),
utilizzato in epoca zarista; e per abbellire il suo sito rabkor.ru, ha scelto
un emblema imperialista «nuovo russo» (3).
Durante la crisi
della Crimea, Kagarlitskij si è messo in mostra per una tesi tanto originale
quanto clownesca. Vale a dire «che non
esistono macchinazioni occulte, né ambizioni imperiali di alcun genere». È
la stessa Crimea, con la forza di volontà del popolo russo locale e la saggezza
dei suoi dirigenti, che ha imposto a Vladimir Putin – che non la voleva -
l'annessione della Crimea alla Russia; o meglio «è la Crimea che si è annessa la Russia» (4). Links ha diffuso questo articolo con il titolo «La Crimea si annette la Russia» (5). Più tardi, quando il movimento
separatista russo apparve nella parte orientale dell'Ucraina, Kagarlitskij ha
detto che «in Ucraina si è fatta
veramente una rivoluzione». «Questa è
una svolta davvero rivoluzionaria che si svolge nella coscienza delle masse»,
che «sorprendentemente, non solo sono
scese nelle strade, ma hanno cominciato ad agire in modo autonomo, a
organizzarsi e a fare la storia» (6).
Esse hanno
iniziato a crearla nel modo in cui si crea la vera storia - raccontava Kagarlitskij
- vale a dire «nella loro lingua madre
russa (che nello spazio del vecchio impero, era e resta giustamente la lingua
della classe operaia)». Come si vede, l'eredità di secoli di russificazione
nelle periferie postcoloniali dell’impero costituisce per Kagarlitskij una
conquista di classe del proletariato. «Per
la prima volta da molti anni, la classe operaia inizia ad agire nello spazio
dell'ex Unione Sovietica», assicurava ancora Kagarlitskij. «È forse troppo presto per parlare di
coscienza di classe, ma invece lo scontro di classe è diventato una realtà»
(7).
Esplosa la
rivoluzione, c'è bisogno urgente di una strategia - ha annunciato Kagarlitskij.
Senza di essa non c'è salvezza. Tuttavia, «le
élites politiche russe contemporanee sono in linea di principio incapaci di
pensare strategicamente» (8). Questo perché «all'interno della direzione russa non ci sono politici, ma burocrati ed
esperti di pubbliche relazioni, che semplicemente non hanno né l’esperienza né
la volontà di prendere decisioni rischiose che potrebbero cambiare radicalmente
la situazione. Non hanno idea di come si deve agire nelle condizioni di una
crisi su larga scala e di una rivoluzione» (9).
Inoltre, il
comportamento del movimento «rivoluzionario» nell'Ucraina orientale «non crea le condizioni per un cambiamento
strategico». Le sue «azioni si basano
su una certa visione della situazione che non è solo dei dirigenti del
movimento, ma soprattutto di una parte considerevole delle masse dell’est del
paese. Gli insorti sono convinti che basti semplicemente resistere un certo
tempo, poi la Russia verrà in aiuto; e se questo non accade nella forma di
intervento militare diretto, vorrà dire che assumerà un'altra forma. Ahimé,
ogni giorno che passa dall'inizio della rivolta mostra quanto illusorie siano
queste speranze» (10).
Kagarlitskij
cercava di colmare questo doppio errore: istruire il movimento separatista sul
modo di creare le condizioni necessarie per una «rottura strategica», per
aprire alla «rivoluzione» la via verso la vittoria. «Nel tentativo di manovrare e di prendere tempo, le autorità russe
rischiano semplicemente di mancare il momento della rottura strategica». È
per questo che, «perché i ribelli possano
mantenere l'iniziativa strategica nelle loro mani, è imperativo non attendere
le decisioni del Cremlino, ma, al contrario, creare con le loro azioni una
situazione nuova che provocherà queste decisioni. Il punto di svolta nello
sviluppo della lotta nel sud-est dell'Ucraina si verificherà solo quando a
questo movimento si uniranno i più grandi centri regionali, principalmente Charkiv
e Odessa» (11).
Le «Repubbliche popolari» d'ispirazione
oligarchica
Tuttavia, il
problema è che «l'ampliamento della base
sociale dell’insurrezione» - che, ricordiamo, ha comunque abbracciato «centinaia di migliaia, addirittura milioni
di persone» - «dipende dal programma».
Dovrebbe essere «un programma sociale
anti-oligarchico», ma - avverte Kagarlitskij - non «esplicitamente di sinistra o socialista; basta dichiararsi per la
nazionalizzazione delle proprietà degli oligarchi ucraini che si sono
apertamente legati al potere di Kiev» (12). In altre parole, dovrebbe
essere un programma adatto al carattere nazionalista del movimento separatista
«nuovo-russo», che Kagarlitskij ha ignorato nei suoi scritti, ma di cui era -
come si è visto - perfettamente consapevole. Ma l'idea di tale programma non è
durata a lungo: è stata esplicitamente respinta da Aleksandr Borodaj, il
"primo ministro della Repubblica Popolare del Donetsk». In un'intervista
con RIA Novosti il 31 maggio, egli ha spiegato quel che le autorità della
«repubblica» intendono per nazionalizzazione.
«Saranno nazionalizzate le aziende che sono
state finora considerate proprietà dell’Ucraina. Semplicemente passano di mano
in mano. Quel che era statale sarà statale nella Repubblica popolare del
Donetsk. È naturale e logico». E le imprese di Rinat Akhmetov? «Non si tratta di nazionalizzare. Noi non
abbiamo nulla in comune con i comunisti, che mettono le mani su qualcosa e la
nazionalizzano. Noi rispettiamo il diritto di proprietà privata» (13).
Non sorprende
quindi che Kagarlitskij abbia egualmente passato sotto silenzio anche un altro
fatto estremamente importante, legato al precedente: cioè che fin dall'inizio
questo movimento non solo aveva il supporto del più grande oligarca del
Donbass, Rinat Akhmetov, ma fu anche ispirato da quest’ultimo.
Era fatto
noto, al momento in cui Kagarlitskij scriveva dell’esplosione di una presunta
rivoluzione in Ucraina orientale. In ogni caso, chi voleva sapere, sapeva; per
esempio, grazie ad Aleksandr Kosvincev, giornalista indipendente russo, che
sette anni prima aveva chiesto asilo politico in Ucraina a causa delle persecuzioni
del regime di Putin (temeva seriamente per la sua vita), e a cui è stata
concessa la cittadinanza. Il 10 aprile, ha messo Akhmetov nella sua lista dei «Top 10 traditori ucraini contemporanei».
Kosvincev ha scritto:
«Nelle terre natali del signor Akhmetov, i
separatisti non solo non si sono calmati, ma recentemente si impegnano per
realizzare il piano secessionista del Cremlino. Chi può credere che il
"padrone" della regione non vi partecipi?» (14).
Più tardi, il
10 maggio, questo è stato pienamente confermato da Pavel Gubarev, l'effimero
«governatore popolare» del Donetsk (per cinque giorni, a partire dal 1° marzo).
Appena lasciato la prigione ucraina ha raccontato, in un'intervista alla stampa
russa, gli inizi di questa «rivoluzione» e il ruolo svolto dal Partito delle
Regioni, partito oligarchico del deposto presidente Viktor Janukovyč. Così, ha
candidamente ammesso che:
«Abbiamo visto apparire in tutte le città i
leader di una cosiddetta milizia popolare volontaria. Ed ecco che il nostro partito
al potere, i nostri oligarchi del sud-est, hanno iniziato a lavorare con gli
attivisti della milizia popolare volontaria. Si è scoperto che due terzi di
questi attivisti erano pagati dall’oligarca Akhmetov. Un gruppo molto piccolo
di persone è rimasto fedele all'ideale, eppure ha continuato a prendere i
soldi. Tutti hanno preso i soldi! (...) In queste condizioni, tutti si sono
venduti. Quelli che non si sono venduti sono stati emarginati o screditati, o
terrorizzati» (15).
Alcuni sono
stati consegnati ai Servizi di sicurezza ucraini (SBU); questo è stato il
destino di Gubarev. I leader della «Repubblica Popolare del Donetsk» non hanno
mosso nemmeno un dito per farlo rilasciare. Solo Strelkov, comandante
separatista Slavjansk, l’ha fatto, scambiandolo contro un ufficiale ucraino
fatto prigioniero. Ecco perché Gubarev, per vendicarsi del tradimento di cui è
stato vittima, ha rivelato il ruolo chiave di Akhmetov nella nascita del
movimento separatista. Oggi, molti attivisti del movimento separatista ne parlano,
così come osservatori e commentatori, come Anatoli Nesmiyan, «El Murid»,
analista politico pro-separatista di Pietroburgo, noto per le sue
frequentazioni libiche e siriane (d’altronde non così difficile da decifrare).
Nel sito semi-ufficiale dei separatisti Russkaya
Vesna (Primavera Russa), Nesmijan ha scritto, parlando di Akhmetov, che «la Repubblica popolare del Donetsk era il
suo progetto», e che ora, dal momento che egli (presumibilmente) gli ha
dato le spalle, «deve dimostrare che è in
grado di sopravvivere senza Akhmetov, e anche contro di lui, se necessario»
(16).
Quel che ha rivelato il "Ministro della
difesa» Strelkov
Il 17 maggio
2014, il colonnello Igor Strelkov ha lanciato un drammatico appello «alla popolazione della Repubblica popolare
del Donetsk». Pochi giorni prima, era diventato «comandante in capo delle forze armate» (che i separatisti chiamano
in genere opolčenije, vale a dire milizia volontaria) e «Ministro della difesa della Repubblica popolare del Donetsk». Si
chiama realmente Igor Girkin, è un cittadino russo e la sua vocazione ufficiosa
è l'esercizio della professione delle armi ai confini del «Mondo russo» e del
mondo ortodosso. Ha dietro di sé quattro guerre: in Moldavia, al fianco dei
nazionalisti russi della Transnistria; in Bosnia, dal lato dei nazionalisti
serbi, e in Cecenia, dove ha partecipato a due guerre nelle fila dell'esercito
russo. Il Centro di difesa dei diritti dell’uomo Memorial di Mosca l’accusa di aver perpetrato crimini contro l'umanità
durante la seconda guerra cecena (17). Ha partecipato anche all’annessione
della Crimea. È arrivato nel Donbass dalla Russia. Secondo i servizi di
sicurezza dell'Ucraina, ha attraversato la frontiera il 12 aprile. Il suo
appello ha fatto sensazione tra tutti coloro che seguono il movimento
separatista russo in Ucraina orientale. In sole 48 ore, un milione di russofoni
l’ha visto su YouTube (18). Tuttavia, fino ad ora il resto del mondo - non
russofono - non ne ha ancora sentito parlare.
«Devo dire la verità. Diritto negli occhi!», ha dichiarato Strelkov. «Un
mese è passato da quando noi, minuscolo gruppo di volontari di Russia e
d’Ucraina, dopo aver sentito l’appello all’aiuto sgorgato dalle labbra dei
leader che voi avete messo alla testa del vostro movimento, siamo arrivati qui
e facciamo fronte, in una lotta armata, a tutto l’esercito ucraino».
«Quest’ultimo mese - ha proseguito - abbiamo
sentito tante volte questi appelli disperati: Dateci le armi! Dateci le armi in
modo che possiamo lottare per la nostra libertà». Le armi - continua
Strelkov - sono già lì. «Esse sono nella
prima linea della battaglia - nella città assediata di Slavjansk. Sono qui!
Qui, dove sono più necessarie. Qui, dove i volontari proteggono con il loro
corpo tutto il resto del Donbass, compresi Donetsk e Luhansk».
Eppure ... «Che cosa vediamo? L'abbondanza di tutto,
tranne delle folle - che non sono lì - di volontari alle porte del nostro stato
maggiore. Slavjansk ha 120 mila abitanti. Kramatorsk due volte di più. In
totale, la regione del Donetsk, ha 4,5 milioni di abitanti. (...). Posso
onestamente dire che non mi aspettavo affatto che in tutta la regione non si
possa trovare nemmeno un migliaio di uomini disposti a rischiare la vita - non
nella loro città, su una barricata accanto alla propria casa, dove ci vorrebbe
una mezza giornata di viaggio in automobile per incontrare un soldato della
Guardia Nazionale [ucraina] - ma sulla linea del fronte, là dove si spara sul
serio ogni giorno».
«Quando ero ancora in Crimea, sentivo gli
attivisti del movimento popolare raccontare che "quando i minatori si
ribelleranno, faranno a pezzi tutto a mani nude!". Per ora non se ne vede
niente. A decine e centinaia hanno raggiunto le nostre fila, e combattono. A
decine e centinaia di migliaia guardano tutto questo tranquillamente seduti
davanti ai loro televisori con un boccale di birra. Ovviamente, si aspettano
che un esercito venga dalla Russia, la loro sorella in grado di fare tutto al
posto loro; oppure che venga un numero sufficiente di coraggiosi volontari
disposti a morire per il loro diritto ad una vita più degna di quella che hanno
condotto per 23 anni sotto il potere dei nazionalisti di Kyiv. Dove sono questi
27.000 volontari di cui stanno parlando i giornalisti? Io non li vedo».
«Nelle nostre fila dei volontari, ci sono
sempre più uomini "ben oltre la quarantina", che sono cresciuti e si
sono formati al tempo dell’Urss. Ma ci sono pochissimi giovani. Dove sono -
tutti i ragazzi di qui, giovani e robusti? Forse in queste "brigate"
di banditi, che, approfittando dell’anarchia regnante, si sono precipitati a
"saccheggiare ciò che è stato saccheggiato" e a seminare
l’arbitrarietà in città e villaggi di tutta la regione di Donetsk? Sì, ogni
giorno riceviamo informazioni sulle loro nuove "vittorie". Molti
"miliziani volontari" insoddisfatti esigono armi, soprattutto per
difendere le loro case dai banditi e dai delinquenti. Bene, il loro desiderio è
legittimo. Tuttavia, sorge una domanda: come possono sapere i capi della
milizia volontaria chi è la persona che viene da loro per avere armi? Un
cittadino onesto o un nuovo bandito mascherato da "patriota del
Donbass"? La risposta che diamo è semplicemente questa: prenderemo in
considerazione come "miliziano volontario" solo chi, appartenendo a una
unità di combattimento, parteciperà direttamente alle battaglie contro le
truppe della giunta, e che lo farà al tempo e nel luogo ritenuto necessario dai
suoi capi! Perché senza disciplina non si otterrà nulla! Non solo non ci sarà
vittoria, ma neanche l'ordine! Se tutti vogliono "fare la guerra"
dove gli piace, e per il tempo che gli piacerà, allora la milizia di volontari
del Donbass si trasformerà in qualcosa tra un'orda di disertori scatenati e una
banda dell’ataman Anhel (19). Ma questo non accadrà! Solo coloro che si
distingueranno nei combattimenti contro il nemico e svolgeranno gli altri
compiti militari, guadagneranno il diritto di mettere ordine nella propria
casa, nei ranghi della milizia volontaria! E noi faremo ordine - non ne
dubitate! Tutti coloro che, oggi, saccheggiano negozi e aziende, vendono droga
o semplicemente saccheggiano la popolazione inerme, non contino sul fatto che
"il gioco continuerà secondo le regole attuali," e che "la
guerra cancellerà tutto". La fine del banditismo nel Donbass è arrivata!
Il nuovo potere darà a tutti la possibilità di distogliersi dalle attività
criminali, ma coloro che non ne vorranno approfittare si vedranno imporre una
vera punizione. Una punizione da cui nessuno riuscirà a riscattarsi con i
soldi! Secondo le leggi di guerra!».
«Ritorno al tema principale. Il paese del
Donbass ha bisogno di difensori, e la milizia volontaria - di soldati volontari
disciplinati. Se gli uomini non lo fanno, allora bisognerà incorporare le
donne. Ho ordinato oggi che le si arruoli nella milizia volontaria. Peccato che
non ci siano affatto ufficiali tra le donne. Né attivi né della riserva. Ma che
differenza, se gli ufficiali uomini non vengono nemmeno a vederci?! Fino ad
ora, non si è trovata nemmeno una decina di militari professionisti che siano
pronti per comandare le unità di combattimento! Che vergogna! Da due settimane,
chiedo che mi mandino qualcuno che possa diventare capo di stato maggiore, e
almeno cinque persone adatte come capi di squadre o di plotoni. Silenzio! Non
uno solo!» (20).
«L'inerzia di una massa amorfa» e le Guardie
bianche con le Centurie nere (21)
Aleksander
Jilin, giornalista ultranazionalista russo, capo del dipartimento incaricato
delle questioni di sicurezza nel settimanale Moskovskije Novosti (Moscow
News) e commentatore militare di Radio Svoboda, si è recentemente applicato
a «spiegare perché l’entrata dell’esercito [russo] in Ucraina era inutile e
stupida». Ha scritto: «Fortunatamente,
Igor Strelkov, il dirigente del movimento di resistenza, ha fatto meglio di me:
nel suo proclama, egli descrive con grande precisione l'inerzia della
popolazione locale di Luhansk e Donetsk che si rifiuta di difendere i propri
interessi» (22).
Nello stesso
spirito parla un altro osservatore russo, ugualmente sostenitore dei
separatisti.
«Nel sud-est Ucraina ci sono armi in quantità
industriali; forse manca solo l'aviazione. Nei depositi, ci sono anche carri
armati; è sufficiente semplicemente assicurare un'adeguata preparazione. Ma non
c'è nessuno per farlo. La verità è semplice e banale: la popolazione locale non
vuole fare la guerra. Non vuole aiutare neanche un poco, perché ha paura che in
seguito questo si rivolga contro di sé. Neanche i volontari russi otterranno
gran che. Non c’è un "Donbass insorto". C’è una manciata di persone
irriducibili, pronti ad andare fino in fondo, e ... una massa amorfa, al
massimo capace di mettere una croce su una scheda elettorale» (23).
Precisiamo:
sulla scheda elettorale del «referendum» organizzato dai separatisti.
Questo è quel
che possiamo dire su questa «insurrezione riuscita di centinaia di migliaia o
addirittura milioni di persone in Ucraina orientale", inventata da Kagarlitskij
e propagandata da Links.
Chi è questo
Strelkov? «Mi considero un sostenitore
della monarchia autocratica in Russia» (24), dice. «Credo fermamente che il potere bolscevico continui ad esistere in
Russia fino a questi giorni. Sì, è cambiato, è diventato irriconoscibile, ma
nella sua essenza rimane invariato: nel suo orientamento anti-russo,
antipatriottico e anti-religioso. Nelle sue fila si trovano i discendenti in
linea diretta di coloro che "hanno fatto" la rivoluzione del 1917.
Molto semplicemente, essi sono mascherati, ma la loro natura non è cambiata.
Sono rimasti al potere, dopo aver gettato alle ortiche l'ideologia che gli
impediva di arricchirsi e di godere dei beni materiali. Ma il processo di
distruzione diretta della nazione russa (e di altri popoli del ceppo
dell'Impero Russo) prosegue con altri mezzi; con un "successo" che dà
le vertigini. Nel 1991 ci fu un colpo di stato; ma la contro-rivoluzione non è
stata fatta» (25). «Per salvare la
situazione, abbiamo bisogno in Russia di un Ideale bianco SOSTANZIALMENTE NUOVO»
(26). Nuovo - spiega Strelkov - perché «una
gran parte della popolazione accoglie con ostilità l'ideologia del Movimento
Bianco. Portarlo tra le masse "nella sua forma pura" significherebbe
condannarsi in anticipo al fallimento» (27).
«Probabilmente, con il potere attuale non può
costruire che un Grande Honduras, dove prima c'era la Grande Russia. Sento che
questo è già pienamente riuscito» (28). Questo «potere è un nemico della Grande Russia, come lo è "l’opposizione". Sono andati al potere con l'aiuto dell'Occidente, e non
vogliono restituirlo ai nuovi "eletti" di quest’ultimo» (29). «Tutte le
"esplosioni" di malcontento a Mosca e Pietroburgo sono segretamente
finanziate dall'estero. Certo, l'Occidente non dà direttamente ai suoi
burattini "i soldi per la rivoluzione". Sono gli oligarchi-sponsor
locali ("d’orientamento democratico") che li danno..., perché i loro
interessi sono indissolubilmente legati al capitale internazionale
giudeo-anglosassone, di cui essi costituiscono una filiale» (30).
Questo
orientamento è condiviso da Aleksandr Borodaj, che Strelkov ha richiamato dalla Russia per farne il
"primo ministro della Repubblica Popolare di Donetsk". Il movimento
separatista in Ucraina, che essi dirigono, è - secondo la loro strategia - il
focolaio armato della contro-rivoluzione monarchica russa, indissolubilmente
legata alla ricostruzione dell'impero, così come «alla rivoluzione politico-religiosa che può salvare l'umanità dal
degrado e dall'estinzione, che ha come obiettivo del suo sviluppo: i valori
dello spirito, trascendentali, e l'aspirazione alla divinità» (31). Borodaj
- figlio di un filosofo, sostenitore del pensiero di
Lev Gumilev (32) e attivista nazionalista - è, anche lui, un ideologo attivista
di estrema destra.
«Sembra che solo noi - i russi - siamo in
grado di svolgere questo ruolo di iniziatori della rivoluzione religiosa»,
afferma Borodaj. «Perché, se crediamo a Gumilev, il nostro superethnos è ancora molto
giovane; anche se ha utilizzato, per qualche secolo, enormi risorse per creare
super-stati (Terza Roma - Impero Russo - URSS), è ancora in grado di trovare la
forza interiore necessaria per intraprendere una crociata in nome dei valori
più alti dello spirito. (...) La rivoluzione religiosa è una guerra inevitabile
contro il male; è anche una guerra accanita, spietata. La nazione russa è
capace di una simile impresa? Quali sono i contorni della futura rivoluzione
religiosa? I suoi striscioni e le sue bandiere porteranno croci ortodosse e
altri simboli cristiani?» (33) Nella «Costituzione della Repubblica
Popolare del Donetsk», Borodaj e Strelkov
hanno inserito una formula copiata alla lettera dalle leggi fondamentali
dell'Impero russo del 1906, che dice che «la
fede suprema e regnante» è la fede ortodossa. Lì hanno anche scritto che
questa fede «è la matrice delle matrici
del Mondo russo». Hanno aggiunto che si tratta della «professata dalla Chiesa ortodossa russa (il Patriarcato di Mosca)»
(34). In Ucraina, ci sono anche altre chiese, tra cui le Chiese ortodosse
ucraine.
Dalla
periferia ucraina la rivoluzione deve estendersi a tutto il «Mondo russo» e
portare alla restaurazione della «Russia storica» - quella degli zar. Nella
loro «costituzione», Borodaj e Strelkov hanno
proclamato «la creazione di uno Stato
sovrano e indipendente, orientato verso il ripristino di un unico spazio di
cultura e civiltà del Mondo russo, sulla base dei suoi valori religiosi,
sociali, culturali e morali tradizionali, nella prospettiva dell’adesione alla
Grande Russia, aureola [sic] dei territori del Mondo russo» (35). Che
diventerà allora il resto dell'Ucraina, quando anch’essa cadrà, in conseguenza
della «Novorossia»? Tutta l’Ucraina -
dicono Borodaj e
Strelkov - deve, con la Russia e la Bielorussia, «riunificarsi in un unico stato vitale, provvisto di un nucleo nazionale
slavo» (36).
Solo in apparenza,
il socialista moscovita Kagarlitskij sembra che a riguardo dell'Ucraina sia più
benevolo dell’estrema destra russa. Egli afferma che «forse, col tempo, vedremo di nuovo uno Stato ucraino non diviso dai
fronti della guerra civile», ma, aggiunge subito, «il cammino verso la creazione di un tale stato passa attraverso una
guerra civile. L'Ucraina si terrà quando le forze del Sud-Est insorto
eleveranno le loro bandiere sopra Kiev» (37). Ormai sappiamo quali
sarebbero queste bandiere.
In Russia,
agli occhi della destra nazionalista, fascista e neostaliniana, Strelkov è
ormai diventato un eroe nazionale. «Strelkov
assomiglia alle leggende della guerra civile: al generale Kornilov e
all'ammiraglio Kolchak». Così se ne parla nel settimanale ultra-reazionario
Zavtra (Domani), al quale lui e Borodaj sono da tempo legati. «Con un tale
comandante, non solo le regioni di Donetsk e Luhansk saranno russe, ma tutto il
sud-est, Kharkiv, Odessa, Kiev e tutta l'Ucraina» (38). Eppure, Strelkov
non sta affatto preparando i mezzi per conquistare Kiev e tutta l'Ucraina, ma
ammette pubblicamente che perderà senza un intervento militare russo, che
invoca disperatamente nelle sue dichiarazioni pubbliche. «Dove possiamo trovare un motivo di ottimismo? Nei nostri piccoli
successi? Essi sono puramente tattici; dal punto di vista strategico abbiamo
iniziato a perdere da molto tempo. Il modo in cui i funzionari russi
considerano la questione del sostegno alla Nuova Russia, è sabotaggio puro e
semplice». Strelkov ha scritto il 16 giugno «Se non c'è appoggio militare, il crollo militare delle Repubbliche
popolari di Donetsk e Luhansk sarà inevitabile» (39).
Intanto, le
catene televisive soggette al regime russo mantengono il silenzio su Strelkov.
Perché? Perché Putin ha paura del suo ritorno in Russia dopo la campagna
militare in Ucraina. Così afferma Boris Nemtsov, uno dei capi più in vista
dell'opposizione a Putin. Nemtsov non ha alcun dubbio sul fatto che Strelkov e
la sua «milizia volontaria» perderanno.
«Prima o poi, questa guerra finirà e
Strelkov, con i suoi compagni d’armi, sarà costretto a tornare in Russia.
Naturalmente, i combattenti della sua «milizia» sono consapevoli del fatto che
Putin li ha traditi, ed è abbastanza comprensibile che torneranno in Russia
molto in collera. Perché non solo il Cremlino non ha annesso il Donbass alla
Russia, ma non ha nemmeno fatto entrare il suo esercito». «Putin è un traditore, un manigoldo e un
mascalzone» - a parere di Nemtsov - «è
esattamente così che Putin è visto dalle persone che combattono nel Donbass».
Al loro ritorno, «il popolo potrà
giustamente sostenere questi “eroici miliziani” di cui i media russi hanno
tanto parlato»; quanto a loro, «certamente
non vorranno indossare i guanti con i traditori di Mosca» (40).
Zbigniew Marcin Kowalewski è vicecaporedattore dell'edizione polacca di Le Monde Diplomatique e autore di numerose opere sulla storia della questione nazionale ucraina, pubblicate, tra gli altri, dall'Accademia nazionale delle scienze dell'Ucraina.
L'articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 nella rivista elettronica francese Mediapart.
2) Si veda B. Kagarlitskij, Empire of the Periphery: Russia and the World System, Pluto Press, London 2007.