Una moderna «accusa di sangue»
di Roberto Massari
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Si tratta di un quadruplice antiebraismo. Perché quadruplice? Rispondo, anticipando la conclusione.
1) Perché l’accusa di «genocidio» al governo di Netanyahu non ha fondamento né riconoscimento giuridico. La s’impiega per diffamare l’ebraismo israeliano e ostacolare la sua lotta di sopravvivenza contro vari fronti d’aggressione (all’inizio 7, ora un po’ meno...).
2) Perché sminuisce e in fondo ridicolizza i tre grandi genocidi della storia moderna: l’armeno, l’holodomor ucraino e l’Olocausto/Shoah (per il quale fu coniato appositamente il termine giuridico da un giurista ebreo).
3) Perché fornisce copertura alle reali intenzioni di chi un genocidio antiebraico lo ha in programma davvero e da tempo, e spera di attuarlo con le armi del terrorismo (Hamas, Hezbollah e altri integralisti islamici) o, appena possibile, con ordigni nucleari (Iran).
4) Perché chi la vive come trasgressione, in realtà è vittima di una moda (fad, craze in psicosociologia) destinata a estinguersi. L’eccitazione nel rovesciare l’accusa sul popolo che ne è vittima per antonomasia, è una forma di sadomasochismo. Molto diffusa in ambienti di «sinistra» reazionaria e antioccidentalista, ha conseguenze devastanti per la cultura del mondo «progressista».
Parlare di «antiebraismo» (che nell’uso corrente e internazionale, purtroppo, è anche «antisemitismo») nel primo secolo di questo terzo millennio non è facile. Quasi duemila anni di persecuzioni, manifestatesi in ère e contesti storici diversi, concorrono a rendere quasi impossibile una definizione adeguata del moderno antiebrei. Non se ne può tracciare un modello, perché nella sua struttura caratteriale sono radicati, in gradi diversi, pregiudizi del passato, mentre ne sorgono di nuovi, provocati soprattutto dalla politica dello Stato d’Israele.
Uno Stato che è ebraico per un’autoproclamazione di derivazione sionista, ma in cui, secondo dati del 2022, la componente araba è del 21,1%, altre affiliazioni religiose (cristiani, drusi ecc.) del 5,3 e quella ebraica del 73,6 (quindi poco meno di due terzi). Per giunta, dire componente « ebraica» non è facile per le grandi differenze esistenti anche tra gli ebrei, a seconda della provenienza geopolitica (sefardita, ashkenazita ecc., esteuropea, nordafricana, statunitense ecc.), ma anche della specifica corrente religiosa ebraica di appartenenza.
A ciò si aggiunga il fatto molto positivo per cui, nel 2015, circa il 65% degli israeliani si definiva non-religioso, incluso un 8% di atei (Win/Gallupp International). Successive altre fonti mostrano tendenze contraddittorie, ma non mutamenti significativi. Dati, comunque, che non hanno alcun interesse per gli antiebrei, convinti che sono pur sempre «i maledetti ebrei» (e non casomai i «maledetti israeliani») a fare le scelte del governo Netanyahu.
Ebbene, volendo aggiornare in termini di categorie politiche la definizione del nuovo antiebraismo - sintetica, ma di facile verifica pratica - si possono adottare tre criteri fondamentali:
1) L’antiebraismo/antisemitismo di chi continua a non riconoscere la legittimità dello Stato d’Israele, benché sia nato dalla ripartizione che l’Onu stabilì con la 181 nel 1947, adottata a grande maggioranza, col voto contrario quasi solo di paesi islamici. Costui nega al popolo ebraico, ma di fatto solo al popolo ebraico, il diritto ad avere un proprio Stato. Questo tipo di antiebraismo si caratterizza con mugugni del tipo «si però quella decisione non fu del tutto legittima», perché... E seguono le più varie spiegazioni che in genere denotano solo l’ignoranza storiografica di chi le formula - quando non ci si limita a rinviare ai «magici» link di Internet, quelli che risparmiano la fatica di leggere libri, documentarsi e argomentare in prima persona.
2) L’antiebraismo/antisemitismo di chi nega a Israele il diritto a difendersi. Qui il problema si complica perché l’antiebrei (che ritiene che Israele non avrebbe dovuto reagire militarmente e si sarebbe dovuto arrendere dopo il pogrom del 7 ottobre) si può confondere con chi critica (più o meno severamente) il governo israeliano per il modo in cui ha esercitato il sacrosanto diritto all’autodifesa dopo l’aggressione di Hamas.
Io, per esempio (senza essere l’unico), ho scritto più volte che per liberare gli ostaggi, invece di bombardare il povero popolo gazawi, sarebbe stato più efficace lanciare un ultimatum all’Iran - il principale Stato che sostiene Hamas - e poi bombardare uno alla volta i suoi siti strategici. Si sarebbero liberati subito gli ostaggi e probabilmente sarebbe anche caduto il peggior regime reazionario che esista al mondo. Ciò non fa di me un antiebrei, né un antisraeliano, ma solo un severo critico del governo Netanyahu per il modo in cui ha gestito la guerra contro l’aggressione di Hamas e per la necessaria e irrinunciabile liberazione degli ostaggi.
3) L’antiebraismo/antisemitismo di chi non ha capito che da quando esiste Israele sono gli israeliani (in particolare i loro governi) e non «gli ebrei» a mettere in pratica la politica nei riguardi dei palestinesi, giusta o sbagliata che sia. L’antiebrei attuale continua a prendersela con gli ebrei, se non addirittura con l’ebraismo in generale o con gli ebrei di altre parti del mondo, spesso nascondendosi dietro gli slogan ormai anacronistici dell’antisionismo. Ciò perché un blocco mentale gli impedisce di considerare gli israeliani una moderna nazione a sé, includente una forte componente ebraica, ma non identificabile con l’ebraismo israeliano e meno che mai con l’ebraismo del resto del mondo.
Basti pensare alle divergenze politiche che separano la quasi dozzina di partiti presenti nella Knesset, dall’estrema destra dell’Otzma Yehudit alla sinistra del Hadash-Ta’al, senza contare la quarantina di formazioni minori che non hanno un seggio in Parlamento, benché in Israele si voti col più democratico dei sistemi elettorali: il proporzionale. Un proliferare di partiti e partitini in uno Stato relativamente giovane, che mentre dimostra il carattere dinamico della democrazia israeliana, ne fa anche una delle democrazie più avanzate al mondo. Al punto che, mentre il paese è impegnato in una guerra per difendersi dalla minaccia di sterminio, avvengono manifestazioni antigovernative e si convocano scioperi generali. Un caso unico nella storia umana, che ha un corrispondente solo nell’odierna Ucraina, dove si può manifestare - e con successo - nonostante l’ aggressione russa.
Tuttavia, in queste tre forme moderne di antiebraismo apparentemente «politico» - attualmente in grande espansione anche a causa di alcune scelte sbagliate compiute dal governo Netanyahu dopo il pogrom del 7 ottobre - confluiscono tracce e pregiudizi di più antica provenienza, addirittura originarie dell’antiebraismo storico.
Antiebraismo teologico e biblistico