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domenica 5 settembre 2021

BORDIGA E IL FASCISMO NEL LIBRO DI AMICO

di Diego Gabutti

 

Fondatore e primo segretario del Pc italiano, espulso con ignominia dal partito, qualche anno di confino dietro le spalle, Amadeo Bordiga non fu mai un oppositore del regime. Voleva abbattere il capitalismo, e del fascismo non poteva importargli di meno. Pertanto, una volta scontata la pena, si ritirò a vita privata senza neppure sognarsi di combattere la dittatura del suo ex amico Benito Mussolini. 

A differenza degli altri comunisti – che scesero sul sentiero di guerra contro l’ex direttore dell’Avantiautoproclamatosi Duce, un po’ come Stalin s’era autoproclamato Padre dei popoli e Togliatti «il Migliore» – Bordiga era «bordighista» abbastanza da lasciare che il fascismo passasse, come un’emicrania della storia. Aspirina e santa pazienza. Non serviva altro. Con «bordighismo», del resto, s’intendeva proprio questo: se all’ordine del giorno c’era la palingenesi sociale, bene, perché no, ma se c’era soltanto da distribuire volantini e da rendere testimonianza d’antifascismo, allora no, grazie, i bordighisti in generale e Amadeo Bordiga in particolare non erano disponibili. Agli occhi di Bordiga il regime dei salti nel cerchio di fuoco, del manganello e dei pugni sui fianchi non era che un’increspatura sull’onda della storia. Sull’orizzonte, ancora invisibile, si stava già alzando lo tsunami della rivoluzione socialista, uno sconquasso dell’ordine universale che si sarebbe abbattuto, secondo profezia, sul «bagnasciuga» del vecchio mondo, devastandolo e trasfigurandolo. Era tutto scritto. Inutile scalmanarsi, pensava Bordiga. Tempo al tempo, e il capitalismo avrebbe avuto il fatto suo. Così era scritto nei testi sacri con l’evidenziatore rosso fuoco.

Di questa singolare e bizzarra epopea tra Marx e Balzac rende conto l’ultimo libro di Giorgio Amico: Bordiga, il fascismo e la guerra. Storico delle eresie comuniste, autore di testi importanti sulla storia dell’ascesa e caduta dei movimenti goscisti nel Novecento, Giorgio Amico racconta il «ventennio» di Amadeo Bordiga nel dettaglio e senza condividerne le scelte, a suo giudizio poco coraggiose. Ma qui non è questione di coraggio. Come Marx, che passò la vita a parlare del capitale senza che gli ballasse una sterlina in tasca, Bordiga non fece che disquisire per tutta la vita della Storia maiuscola – dove presto o tardi ma infallibilmente avrebbero finito per scontrarsi gl’immani eserciti di classe chiamati a contendersi il mondo dal Manifesto del partito comunista– mentre a lui personalmente non toccarono che storie minuscole. E dire che nel 1921 aveva fondato la sezione italiana dell’Internazionale comunista e che col suo estremismo e le sue intemerate antiparlamentari aveva ispirato a Lenin L’estremismo, malattia infantile del comunismo, uno dei suoi pamphlet più chiacchierati. Qualche anno dopo, nel 1926, aveva ridotto Stalin a balbettare: «Non avrei mai creduto che un comunista potesse parlarmi così. Dio vi perdoni, compagno Bordiga». Sempre nel 1926, tornato a Roma da Mosca, venne arrestato e gli fu sequestrata una borsa piena di dollari del Comintern destinati al partito italiano. A Ustica, dove venne confinato, organizzò insieme a Gramsci, suo amico e rivale, una scuola di partito. Ma una volta lasciato il confino, cacciato dal Pc d’Italia, riparò nell’ombra. Ingegnere, badò a tenersi lontano dai guai, e dai piani alti della Storia, dove per un po’ era stato di casa. 



 Trotsky, cacciato anche lui dal partito, gli mandò un messaggio dall’esilio turco, dov’era stato confinato dal Corifeo delle Scienze: «Lascia l’Italia, e raggiungimi qui a Prinkipo. Organizziamo insieme la grande rentreé della rivoluzione proletaria». Bordiga lasciò cadere l’offerta. Grazie, ma grazie no. Lasciò cadere, in effetti, ogni offerta militante, quale ne fosse la provenienza. Non era aria, da come la vedeva lui, per la guerra di classe, né lui si sarebbe impegnato per meno. Napoletano e fatalista, attendeva che passasse «’a nuttata» della «fase controrivoluzionaria». Venne a patti col fascismo? Be’, non lo affrontò a petto nudo, con un coltello tra i denti, invocando la democrazia o il ritorno del parlamento, irriducibilmente antidemocratico e antiparlamentarista com’era (ben più di Mussolini o di qualsiasi fascista). Si rivolse ai tribunali borghesi, trattò con la polizia, ebbe parole d’elogio (forse sincere, ma forse no) per le imprese coloniali del DUX, dichiarò di preferire il Führer (e qui fu sincero) alle democrazie occidentali. Detestò la Resistenza, della quale si fece beffe fino all’ultimo (e qualche ragione, dal suo punto di vista d’«ostinato e immobile marxista», certamente l’aveva, o almeno la fantasticava). Non s’ammorbidì nemmeno nel dopoguerra, quando gli si raccolse intorno una claquedi seguaci: il Partito comunista internazionalista, progenitore d’ogni gruppuscolo goscista a seguire. Ancora non era passata la nottata. Venne a patti con la democrazia come nel Ventennio era venuto a patti col fascismo: ignorandola e beffeggiandola, da quello snob che era.

Viveva nell’Italia e nel mondo reale da marziano. Non partecipava, era fuori dal gioco, e comunque non ne conosceva le regole, né intendeva impararle. Più naifche discreto, gli piaceva guidare il suo gruppuscolo d’illuminati senza mostrarsi in pubblico. Ciò «ricorda molto da vicino» – postilla Amico – la storia di Robert Barcia, importante industriale farmaceutico parigino, morto nel 2009, che i suoi colleghi della Confindustria francese conoscevano come uomo di grande simpatia, fin quando in seguito a un’inchiesta giornalistica dei primi anni 2000 si scoprì che, col nome di battaglia di “Hardy”, era in realtà il capo incontrastato di Lutte ouvrière, la principale organizzazione trotskista francese». Anche Amadeo Bordiga, come Barcia e i supereroi, che sotto la mascherina nera sono degl'incorreggibili esibizionisti, ebbe dunque un’identità segreta.

Non era perfetto, naturalmente. Tutt’altro. Una volta scrisse che «contenuto originale del programma comunista è l’annullamento della persona singola come soggetto economico, titolare di diritti e attore della storia umana». Sono solo parole, d’accordo, e lui non le mise mai in pratica (lungi da lui mettere qualunque cosa «in pratica»). Ma quest’attenuante, che non fu uomo d’azione ma d’opuscoli e di «riunioni generali», varrebbe anche per Pol Pot, se il macellaio maoista si fosse fermato a Parigi a filosofare davanti a un pernod con i suoi amici esistenzialisti del Café Voltaire, e non fosse tornato in Cambogia a far danni. Bordiga, ideologicamente parlando, fu un cattivo soggetto, un «malamente» dell’immaginario politico. 

Proclamò la nobiltà dell’«anonimato»: la funzione della personalità nella storia era meno di zero. Ma il suo fan club ne fece un’icona, e lui non fece niente, salvo schernirsi un po', come le primedonne nelle conferenze stampa, contro questa deriva da rock star (altro che anonimato). Fu anche profeta, come i Padrini di Scientology o dei Testimoni di Geova. Scrisse che nel 1975, cinquant’anni dopo l’età del Comintern e dell’Armata rossa, sarebbe immancabilmente tornata la «fase rivoluzionaria, anonima e tremenda». Sono passati altri cinquant’anni, e ancora niente.

 

Giorgio Amico, Bordiga, il fascismo e la guerra (1926-1944), Massari Editore 2021, pp. 240, 15,00 euro



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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.