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mercoledì 11 dicembre 2024

Annotazioni storiche in merito alla questione del Rojava - parte I

Dal ritiro delle forze governative alla promulgazione della Carta del Contratto Sociale


di Andrea Vento


I curdi del Rojava, il Kurdistan occidentale, da quando è stato disegnata la carta politica del Medio Oriente dalle potenze coloniali vincitrici della I Guerra mondiale, Regno Unito e Francia, senza concedere il diritto ad uno proprio stato alle popolazioni curde (carta 1), hanno sempre corso il rischio di scomparire, insieme ai connazionali degli altri stati limitrofi (Turchia, Iraq e Iran), soprattutto come soggettività etnica a causa delle politiche negazioniste, repressive e assimilazioniste di cui sono stati oggetto da un secolo a questa parte.

Carta 1: la definizione dei confini politici della penisola anatolica in base al Trattato di Losanna del 24 luglio 1923 che sancirono la nascita della Turchia moderna a discapito del promesso stato curdo e non solo (nota 1)


Nello specifico, la situazione dei curdi del Rojava ha registrato un profondo cambiamento a seguito della guerra civile siriana iniziata nel corso del 2011 e successivamente evolutasi in conflitto internazionalizzato. E' opportuno specificare che nel 2012, nel corso della guerra civile siriana, le forze governative siriane si sono ritirate dalle tre zone, confinanti con la Turchia, abitate dai curdi, lasciando il controllo militare alle Unità di autoprotezione del popolo (YPG), appositamente costituite l'anno precedente (2011) a scopo difensivo. L'Esercito Arabo Siriano, in difficoltà si è quindi ritirato a difesa della capitale e delle zone del Nord-ovest a maggioranza alawita (carta 2), una setta minoritaria dello sciismo che esprime il governo di Damasco compresa la dinastia degli  el-Assad, abbandonando al loro destino i territori curdi(2). 

Carta 2: composizione etnica e religiose della Siria e del Libano agli inizi della guerra civile


I curdi sono stati costretti ad organizzarsi, oltre che militarmente, anche politicamente e amministrativamente, istituendo nel  luglio del 2012, il Comitato Supremo curdo (Dbk) come organo di autogoverno della propria area. Istituzione composta in egual numero da membri del Partito dell'Unione Democratica (Pyd), principale partito curdo siriano legato al Pkk turco, il Partito de Lavoratori del Kurdistan d'ispirazione marxista, e del Consiglio Nazionale Curdo (Knc), politicamente vicino al Kurdistan iracheno(3).

Tuttavia, il Pyd dopo aver rotto con il Knc, nel novembre del 2013,  ha annunciato un governo ad interim nelle tre aree curde territorialmente non contigue, da ovest verso est, i cantoni di Afrin, Kobane e Jazira (Qamislo), dichiarando la piena autonomia e proposto un processo costituente denominato: Carta del Contratto sociale. I tre i cantoni sono stati (carta 3), quindi, dotati di assemblee popolari e di forze di autodifesa: le YPG (formazioni miste) e le YPJ (composte solo da donne). 

Carta 3: i 3 cantoni curdi del Rojava ad inizio 2014


Il modello politico-sociale del Confederalismo democratico

La Carta del Contratto Sociale, promulgata il 20 gennaio 2014, è divenuta la costituzione più democratica che la popolazione di questa regione abbia mai conosciuto. L'organizzazione politica e sociale del Rojava può essere considerata un modello di Confederalismo democratico del Medio Oriente nel quale ogni comunità, a prescindere dalle caratteristiche etniche e religiose, ha il diritto all'autodeterminazione e all'autogoverno. 

Un modello basato, appunto, sulla filosofia del "Confederalismo democratico" elaborata da Abdullah Öcalan(4) leader del Pkk che implica autosufficienza, localismo e pluralismo etnico fra «kurdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni», come riporta il preambolo dell'innovativa Carta della Rojava. Un testo che tratta di libertà, giustizia, dignità,  democrazia, uguaglianza e  «ricerca di un equilibrio ecologico». 

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan turco (Pkk), con cui il PYD è in stretti rapporti, ha così descritto il Confederalismo democratico nel proprio manifesto fondativo: «Il Confederalismo democratico del Kurdistan non è un sistema di Stato, è il sistema democratico di un popolo senza Stato ... Prende il potere dal popolo e lo adotta per raggiungere l'autosufficienza in ogni campo compresa l'economia». 

Un modello economico basato sul municipalismo e sull'ecologia sociale che riprende l'elaborazione teorica del filosofo socialista libertario Murray Bookchin e che non contempla il processo di accumulazione capitalistica.

Il Confederalismo democratico è un paradigma sociale non statuale che si basa sulla partecipazione dal basso, i cui processi decisionali avvengono all’interno delle stesse comunità. E' un progetto anti nazionalista che, basandosi sulla convivenza pacifica fra elementi diversi, rigetta l'assolutismo etnico e il fondamentalismo religioso, peraltro in fase di espansione nell'intero Medio Oriente e non solo.

Altro cardine fondamentale è costituito dalla parità di genere che è concretamente rappresentata non solo dalle guerrigliere delle Ypj (immagine 1), ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituzione di autogoverno, che, pur tra contraddizioni e in condizioni estremamente difficili,  esprime un reale principio di cooperazione, tra liberi e uguali, in una regione particolarmente frammentata dal punto di vista etnico e religioso.

Immagine 1: le guerrigliere delle Ypj, combattono armate di soli Kalashnikov


Andrea Vento 

7 dicembre 2024

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati


Note:

 1.Il Trattato di Losanna ribaltò l'assetto territoriale previsto dal precedente Trattato di Sevres (1920), collaterale al Trattato di Versailles per la ridefinizione degli assetti mediorientali dopo la sconfitta dell'Impero Turco-ottomano, e che prevedeva la nascita di uno stato curdo nel sud-est della penisola anatolica, una Armenia più estesa di quella attuale,  l'assegnazione alla Grecia dei territori abitati dalla popolazione ellenica nella parte occidentale della penisola anatolica e il controllo internazionale sulla parte di territorio afferente agli stetti del Bosforo e dei Dardanelli.

2. Nell’estate 2012, sedici mesi dopo lo scoppio delle rivolte in Siria, il governo di Baššār al-Asad, sotto scacco ad Aleppo, ritirò l’esercito dalle aree a maggioranza curda del Nord e del Nord-Est del paese. 

Fonte: "I Curdi in Siria: il Rojava" https://storiaestorie.altervista.org/blog/i-curdi-in-siria-il-rojava/

3. https://www.cesi-italia.org/en/articles/crisi-siriana-e-prospettive-curde-la-partita-di-barzani

4. Il libro "Il Confederalismo democratico" di  Abdullah Öcalan è scaricabile al seguente link:

https://ocalanbooks.com/downloads/it-confederalismo-democratico.pdf



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

lunedì 9 dicembre 2024

E SE CI FACESSIMO FOLGORARE TUTTI SULLA VIA DI DAMASCO?

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH - FRANÇAIS


Avevo scritto più volte che il popolo ucraino e il popolo israeliano stanno combattendo per tutti noi, che questi due popoli così diversi per culture e tradizioni storiche al momento rappresentano la trincea più avanzata della lotta contro le antidemocrazie, cioè contro le grandi dittature ex staliniste (Russia, Cina, Nordcorea) alleate temporaneamente alla più feroce delle dittature islamiche (Iran), con i loro satelliti minori. Tra questi includevo anche la Siria del criminale e macellaio Assad, sanguinario dittatore rimasto al potere solo grazie all’aiuto della Russia e dell’Iran. Dei suoi crimini, non lo si dimentichi, sono stati moralmente complici tutti coloro che si collocano dalla parte della Russia, dell’Iran e delle dittature loro alleate.

Non mi riferisco solo ai vari gruppi dell’estrema destra fascistoide e nazistoide europea - tutti schierati con Putin e con Khamenei - ma anche agli utili idioti filoputiniani e antisemiti «di sinistra» che li osannano con manifestazioni celebrative di Hamas e del pogrom del 7 Ottobre: un rigurgito di antisemitismo che non si vedeva dai tempi dell’Olocausto, negli Usa, in Francia, in Italia ecc.

Ebbene, non immaginavo che avrei avuto una conferma positiva della mia affermazione nel giro di così breve tempo. E questo perché non avevo riflettuto sull’effetto che la sconfitta di Hezbollah libanese da parte di Israele avrebbe avuto per i movimenti di opposizione siriani. Anche il mondo è stato preso di sorpresa, ma ora non c’è analista serio che non stia spiegando che la vittoria così rapida di HTS (Hayat Tahrir al-Sham, Organizzazione per la liberazione del Levante) è stata resa possibile dalla sconfitta di Hezbollah. Non solo dello Hezbollah libanese (braccio armato dell’Iran), ma anche delle sue truppe presenti in Siria a difesa del regime di Hassad. E questo mentre la Russia continua a esssere impegnata nell’aggressione all’Ucraina e non in condizioni quindi di intervenire direttamente in Siria. La vittoria di HTS si deve in parte, quindi, anche alla resistenza eroica del popolo ucraino.

Intervenendo al di là del confine siriano e interrompendo la via di comunicazione tra le milizie di Hezbollah in Siria e quelle in Libano, Israele ha reso possibile la vittoria di HTS. Su questo non possono esservi dubbi.

Speriamo che Abu Mohammad al-Jolani sia grato a Israele per questo successo e d’ora in avanti faccia del suo meglio per pacificare i rapporti tra la Siria e Israele (prima che i servizi russi lo uccidano, come sicuramente stanno programmando di fare. Non si dimentichi che il delitto politico è l’arte in cui gli eredi del Kgb sono rimasti imbattibili).


Se la sconfitta di Hezbollah e quella di di Hamas hanno rappresentato dei primi gravi colpi per il regime degli Ayatollah, la caduta del regime filosciita di Hassad segna il tramonto definitivo per il progetto imperialistico della dittatura iraniana. Non solo questa dovrà rinunciare al suo progetto di dominare il Medio oriente, ma probabilmente dovrà assistere impotente al riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele che era riuscita a interrompere con il pogrom del 7 ottobre e che ora potrebbe rimettersi in moto. E qualcosa forse comincia a capire anche il regime del Qatar che finora ha dato il suo contributo a tenere in vita il regime terrorista di Hamas.

Quale che sia lo sviluppo del nuovo governo siriano (che comunque non potrà che essere migliore di quello di Hassad), la coraggiosa resistenza del popolo israeliano - aggredito da 7 direzioni diverse, che ora sono scese a 5 - comincia a raccogliere i frutti del suo sacrificio.

Chi ama veramente la pace (e quindi escludo i pacifinti, gli ecofinti, gli antisemiti, gli hitlerocomunisti, i nemici vari della democrazia: insomma la sinistra reazionaria) dovrebbe solo rallegrarsi della caduta di Hassad, di questa nuova sconfitta dell’imperialismo russo e iraniano, e di questo nuovo punto a favore dell’umanità.


Avanti quindi sulla strada di Damasco, sperando che questa volta vada meglio di come andò l’ultima volta, circa duemila anni fa...

(9 dicembre 2024)       


ENGLISH

venerdì 6 dicembre 2024

SULL’ARTICOLO DI LILIANA SEGRE

di Laris Massari

ITALIANO - ENGLISH - ESPANOL

Lettera a un amico, mio coetaneo, critico dell’articolo di Liliana Segre «Perché non si può parlare di genocidio a Gaza, ma di crimini di guerra e contro l’umanità» (Corriere della sera, 29 novembre 2024)

Caro A., tu pensi davvero che il governo israeliano abbia nelle sue intenzioni di distruggere in toto o in parte il gruppo nazionale, etnico o religioso degli arabi palestinesi? Eppure degli arabi palestinesi vivono da sempre anche in Israele e non sono perseguitati: anzi, sono anche rappresentati democraticamente nel Parlamento, nella Knesset. E del resto la stampa di tiutto il mondo ha riconosciuto che la popolazione di Gaza è potuta crescere anche grazie all’aiuto di Israele e di Netanyahu.
Al contrario non si può negare che genocide sono le intenzioni di Hamas, Hezbollah, Houti e ayatollah iraniani, semplicemente perché lo hanno più volte dichiarato e manifestato. E se tutti costoro rifiutano l’ipotesi di due Stati è proprio perché il loro programma è di distruggere Israele e gettare a mare tutti gli ebrei che vi abitano. Più genocida di così…
Come non accorgersi che la responsabilità delle morti civili, dei danni alla popolazione (di Gaza e libanese) ricade anche (se non in primis) sulle spalle di chi ha cominciato in modo scellerato questo conflitto? Mi riferisco in particolare al progrom del 7 ottobre e ai lanci di missili di Hezbollah a partire dall’8 ottobre, il tutto in pieno accordo con l’Iran. Infine, pensi che Israele non abbia il diritto di difendersi mentre è coinvolto in attacchi da ben sette fronti diversi: Hamas, Hezbollah, Houti, Cisgiordania, Iran, Iraq e Siria? Tutti grandi lanciatori di droni e missili sulle città israeliane. Missili che fanno poca  notizia, ma solo perché Israele riesce a intercettarne la maggior parte. Il fatto che la popolazione civile d’Israele sia regolarmente silurata dai vicini dovrebbe generare indignazione, ma così non accade. Basterebbero queste considerazioni per porti dei dubbi se sia giusto intentare un processo per genocidio a danno di Israele, invece che all’Iran e ai suoi gruppi terroristici. 
Qui non si parla di quali siano i cavilli della legge sul genocidio che meglio si adattano all’azione israeliana - servizio riservato a Israele ma non alla Russia di Putin o ad altri - ma per quali casi sia stato effettivamente utilizzato prima d’ora il termine genocidio. E «la non dipendenza da una guerra in corso degli altri casi» come fa notare la Segre, è importante.
Basterebbe fare l’esempio eclatante dell’invasione russa dell’Ucraina - la cui esistenza come nazione è da Putin costantemente negata - per la quale non ho visto nessuna ondata pubblica di condanna in termini di genocidio. Come mai l’azione della Russia (con tanto di deportazioni di bambini, stragi, torture, distruzione delle fonti di energia elettrica ecc.) non viene accusata di genocidio da nessuno degli organismi internazionali, così solerti contro Israele? Intendo riferirmi a Nazioni unite, Tribunale dell’Aia, Amnesty international, Croce rossa, Ong varie…
Di fatto non lo fanno a ragion veduta, perché anche per i crimini della Russia in Ucraina e altrove - come per Israele a Gaza - sarebbe giuridicamente inesatto parlare di genocidio anziché di crimini di guerra e contro l’umanità. Eppure se proprio volessimo condannare qualcuno per genocidio, è dalla Russia che dovremmo cominciare - che tra l’altro degli autentici genocidi li ha compiuti nel suo passato contro gli ucraini (il terribile Holodomor) e i tatari di Crimea - tanto più che lì non si dovrebbero avere dubbi su chi sia l’aggressore e l’aggredito.  Ma c’è anche chi sarebbe pronto a dire che la Russia non ha invaso, che si sta difendendo… Tanto è sempre colpa degli Usa e dell’Occidente. 
Non vedi che c’è una volontà di fondo - sin dall’inizio del conflitto - di far passare le ex vittime in nuovi carnefici?
Forse non lo vedi perché l’azione conformista dei social è troppo forte, perché «condannare il genocidio israeliano» (ma a volte leggi «ebraico») è diventato un trend diffusissimo in Rete. E le immagini - quasi sempre vere purtroppo - che si vedono quotidianamente su questi canali di pseudoinformazione non permettono di dividere le due cose a livello emotivo: di provare empatia per le vittime e le sofferenze eccessive, ma allo stesso tempo di avere una visione generale e complessiva di ciò che sta accadendo. Finendo col discriminare ancora una volta il popolo ebraico, attribuendo le responsabilità a una sola parte e perdendo di vista quale possa veramente essere una strada per la pacificazione.
Ma anche solo le modalità in cui si è svolto il progrom del 7 ottobre, non ti fanno avere un’idea della ferocia e della barbarie follemente genocida che ha spinto Hamas, avendo alle spalle l'Iran? Certo, le immagini di quel pogrom sono meno «di moda» sui social rispetto all’azione vendicativa di Netanyahu. Ma ciò non può far dimenticare che le stragi degli abitanti di Gaza erano proprio ciò che Hamas voleva quando ha deciso di dichiarare guerra a Israele. E Hamas continua a volere quelle stragi, perché gli sarebbe bastato liberare gli ostaggi per salvare migliaia di vite umane di suoi concittadini. E invece no: li vuole vedere morti, rifiutando di liberare gli ostaggi. Ostaggi, che come ben sai, non ricevono alcun aiuto umanitario da parte di Amnesty, Croce rossa, Ong varie. Particolarmente vergognoso è il comportamento di Amnesty che invece di emettere condanne politiche dovrebbe fare di tutto per entrare in contatto con gli ostaggi. Non ne ha incontrato nemmeno uno!
Finché i gruppi terroristici intorno a Israele saranno così fanaticamente agguerriti, il governo israeliano cosa dovrebbe fare?
Sarebbe forse giusto che Israele cessasse il fuoco, consentendo ad Hamas di riorganizzarsi, per poi subire altre aggressioni come il pogrom del 7 ottobre? 
E come dovrebbe comportarsi con l’Iran, che a sua volta ha preso l’iniziativa di lanciare centinaia di missili contro le città israeliane?
E con i gruppi terroristici che minacciano di sterminare gli ebrei di Israele?
Contro chi minaccia la pace, lo stato di benessere, quindi la democrazia e i diritti, noi occidentali (e baluardi della democrazia in Medio oriente come Israele) che cosa dovremmo fare?
È assurdo che si metta in dubbio la legittimità di atti autodifensivi, non parliamo neanche di guerre preventive o deterrenza (orrore! scandalo!). Eppure durante la Seconda guerra mondiale, come ricorda Liliana Segre, il bombardamento di Dresda e le atomiche sul Giappone hanno contribuito a porre fine alla guerra. Valeva il prezzo di tutte quelle vittime innocenti? Da tempo ci diciamo che no e a ragione. Ma mai nessuno ha chiamato «genocidio» quegli atti di guerra che pure provocarono molte più vittime che non a Gaza. Del resto, quante vittime avrebbe invece causato il proseguimento di quella guerra mondiale così distruttiva, iniziata per scelta deliberata della Germania nazista e dell’Urss stalinista inizialmente alleati?
Sono domande razionali, scomode, fastidiose perché contrastano con l’etica e la morale che noi (sottolineo noi) europei occidentali et similia abbiamo sviluppato in anni e anni di pace e sviluppo del benessere - un benessere che non abbiamo tenuto solo per noi - seguiti ai conflitti mondiali. Trovo invece orrendo vedere nel mondo così tante manifestazioni di solidarietà per azioni di stampo medioevale da parte di gruppi e regimi altrettanto medioevali nelle loro convinzioni ideologiche. 
Io non ho la risposta esatta a tutte queste domande, ma me le pongo, e il solo fatto di pormele mi fa rimanere in allerta. Nel testo la Segre parla anche dei motivi per cui una parola così pesante come «genocidio» andrebbe evitata, visto che essa richiama alla memoria in primo luogo lo sterminio sistematico di 6 milioni di ebrei (oltre a zingari, omosessuali ecc.). Ci hai riflettuto? Perché in certi ambienti (per esempio nelle università sconvolte al momento da ondate di mobilitazioni antisraeliane, ma non antiputiniane) non si affronta invece il tema del perché l’antisemitismo è tornato a crescere nel mondo? Eppure l’antisemitismo (antiebraismo) è così evidente in tanti comportamenti che andrebbero condannati come tali e che invece furoreggiano sui social. Dovresti renderti conto che è in atto un sovvertimento di valori molto pericoloso, destinato a segnare anche il nostro futuro, di noi, la nuova generazione.
Se sono critico del governo israeliano? Sì, senza dubbio. Sostenere che Hamas e soci stiano facendo una cosa giusta, una resistenza o un atto eroico? Giammai (so che in fondo non lo pensi neanche tu).
Ma il quesito di fondo rimane: dopo il 7 ottobre, quando fu chiaro che Hamas andava eliminato, quale era il modo giusto, meno disumano e pacifico di riuscire a farlo? Nonostante le sue stragi, neanche Netanyahu c’è riuscito. E gli ostaggi sono ancora prigionieri. Quindi il problema rimane aperto.
È giusto che tu sappia che queste sono domande che io mi pongo a partire almeno dal 7 ottobre e che considero imprescindibili per un'analisi dei nostri tempi.

Laris

P.S. Ti allego una poesia molto famosa di Martin Niemöller, nella sua versione originaria

Quando i nazisti presero i comunisti,
io non dissi nulla
perché non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici,
io non dissi nulla
perché non ero socialdemocratico.
Quando presero i sindacalisti,
io non dissi nulla
perché non ero sindacalista.
Poi presero gli ebrei,
e io non dissi nulla
perché non ero ebreo.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.

ENGLISH

lunedì 2 dicembre 2024

PERCHÉ NON È POSSIBILE LA PACE CON PUTIN

di Michele Nobile


ITALIANO - ENGLISH


Le annessioni di Putin, o della pace impossibile

Per un periodo ancora non definibile non sarà possibile una soluzione diplomatica della guerra iniziata con l’invasione totale dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, guerra iniziata dieci anni fa con l’invasione e l’annessione della Crimea e l’intervento armato negli oblast’ di Donec’k e Luhans’k a sostegno dei separatisti filo Russia sull’orlo della sconfitta. Il motivo è semplice: Putin non vuole la pace, ma la capitolazione e sottomissione dell’Ucraina. Capitolazione che Putin non riuscirà ad ottenere, per un motivo altrettanto semplice ma totalmente antagonistico al suo: per continuare ad esistere come nazionalità autonoma, sottrarsi a un genocidio culturale e mantenere uno Stato indipendente, gli ucraini non possono arrendersi né riconoscere le annessioni alla Russia del proprio territorio e di milioni di concittadini.

Che non esiste alcun «piano di pace» russo diverso dalla capitolazione dell’Ucraina è stato chiarito più volte da Putin in persona. Ad esempio, in risposta al Summit per la pace in Ucraina tenutosi a Bürgenstock in Svizzera, il 14 giugno il Presidente russo dichiarò che


«Ora, come ho già detto, la situazione è radicalmente cambiata. Gli abitanti di Cherson e Zaporižžja hanno espresso la loro posizione in referendum e le regioni di Cherson e Zaporižžja, così come le Repubbliche popolari di Donec’k e Lugansk, sono diventate parte della Federazione Russa. E non si può parlare di turbare la nostra unità statale. La volontà del popolo di stare con la Russia è inviolabile. Questa questione è chiusa per sempre e non è più oggetto di discussione»1


Questa questione è chiusa per sempre e non è più oggetto di discussione: esiste un modo migliore per sbattere la porta in faccia a un possibile compromesso? 

In conseguenza del clamoroso fallimento del piano iniziale di conquista e dei successi dell’offensiva ucraina dell’estate 2022, il dittatore russo ha dato in pasto al nazionalismo da lui stesso alimentato il contentino dell’annessione dei territori ucraini occupati. Tuttavia, se da una parte la formalizzazione della (incerta) conquista territoriale ha dato corpo ai fantasmi dell’ideologia imperiale russa, dall’altra ha messo il regime di Putin in un vicolo cieco. La decisione di annettere i territori ucraini occupati e l’emendamento alla Costituzione della Federazione russa che li incorpora costituiscono un punto di non ritorno perché Putin ha deliberatamente rinunciato alla sua carta più forte per avviare con successo - dal suo punto di vista - una trattativa circa lo status internazionale dell’Ucraina. Putin si è privato della possibilità di scambiare la restituzione delle terre occupate (magari tenendo la Crimea) con una posizione di neutralità internazionale dell’Ucraina e ulteriori accomodamenti istituzionali che consentirebbero a partiti filo-russi di influenzare la politica interna e internazionale dell’Ucraina. 

L’elezione di Donald Trump a Presidente apre nuovamente la possibilità di un accordo diretto fra Stati Uniti e Russia alle spalle e sulla pelle del popolo d’Ucraina, perché Trump - che si proclama «grande amico» di Putin - è più interessato alla guerra commerciale e al ridimensionamento delle aspirazioni geopolitiche della Cina che a fermare l’espansione dell’imperialismo russo. Trump potrebbe ricattare il governo ucraino per spingerlo a negoziare con la Russia da una posizione di debolezza, minacciando la sospensione o la drastica riduzione dell’aiuto militare. Questo è senza dubbio quanto sperano a Mosca. 

Tuttavia, la posizione russa rimane invariata, addirittura per gli obiettivi massimi della «denazificazione» e smilitarizzazione dell’Ucraina: per accertarsene basta consultare il sito del ministero degli esteri della Federazione russa2. Ora, tanto più perché praticamente impossibile, Putin potrebbe rinunciare a quella che definisce «denazificazione», parola in codice il cui significato reale è una purga politica che installi al potere marionette manovrate da Mosca e un processo di russificazione culturale mirato a sradicare l’identità nazionale ucraina. Non può però assolutamente rinunciare ai territori ucraini illegalmente annessi alla Russia nel 2022, perché questo equivarrebbe a una sconfitta, con possibili gravi ricadute interne. D’altra parte forse, ma è un forse molto ma molto grande, in sede di negoziato Kyiv potrebbe accettare l’annessione della Crimea e forse - un forse ancora maggiore - dei territori occupati degli oblast’ di Donec’k e Lugansk ma assolutamente non l’annessione dei territori occupati degli oblast’ di Zaporižžja e Cherson, che sono il «ponte» terrestre fra Russia e Crimea, irrinunciabile per Putin. 

Dunque, per quanto forte la pressione che Trump potrebbe esercitare su Zelens’ky – certo più che su Putin - esiste un limite a quanto può pretendere, altrimenti rischiando il rigetto di un suo «piano di pace» non solo dalle parti in guerra ma anche dal suo stesso partito - oltre che dagli avversari interni - e da parte dei Paesi dell’Europa centrale e Baltica più esposti all’espansionismo russo. In effetti, considerando quanto sopra, il massimo che un Trump mediatore ben disposto verso Putin potrebbe riuscire ad ottenere non è la pace ma un mero congelamento della linea del fronte, un armistizio che creerebbe in Europa una situazione simile a quella fra le due Coree. 


Quando cessare il fuoco significa capitolare

giovedì 14 novembre 2024

SABATO 16 NOVEMBRE ORE 15

«Intelligieni(ch)e digitali»

presentazione di Masse ribelli e protagonismo digitale (con Roberto e Laris Massari) e de La società artificiale (con Roberto Brioschi e Renato Curcio)



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martedì 12 novembre 2024

L’UKRAINE EST SEULE (OU PRESQUE)

de Patrick Le Tréhondat1


Trop peu, trop tard. Voilà ce qui caractérise depuis plus de deux ans l’aide militaire des puissances occidentales, tant décriée, apportée à l’Ukraine. Cette retenue coupable est respon sable de la mort des milliers d’Ukrainien·nes tant sur le front que parmi la population civile. Cette politique «calibrée», pour reprendre l’expression d’un ancien général de 
l’OTAN, obéit à un odieux principe: «Vous aidez à résister, mais pas à vous libérer!» Les Occidentaux considèrent qu’une victoire de l’Ukraine entraînerait inévitablement une chute de Poutine, laquelle serait grosse de désordres dans la région. Il est possible qu’ils craignent que l’effondrement du régime russe provoque également la révolte des peuples et nationalités opprimées de la Fédération de Russie, mais aussi au Bélarus et en Géorgie2, par exemple.

Les campistes, de leur côté, partagent cette appréciation. Dans leur vision, où comptent uniquement l’affrontement des puissances et où les peuples sont absents, la stabilité du régime russe est essentielle. Oh, certes, ils peuvent regretter les «entailles» aux droit humains que commet le Kremlin et ils peuvent même apporter leur soutien à tel ou tel oppositionnel russe emprisonné, mais en définitive ils considèrent que la lutte du peuple ukrainien pour sa liberté et la démocratie est un affaiblissement, et même un obstacle, à leur lutte «anti-impérialiste», en réalité essentiellement dirigée contre les États-Unis. La Fédération de Russie, au même titre que la Chine, constitue à leurs yeux une force de résistance aux puissances occidentales dominantes et ils défendent l’avènement d’un multipolarité radieuse qui n’est en définitive qu’un multi-impérialisme.

sabato 9 novembre 2024

LA TRATTA ARABO-MUSSULMANA

di Roberto Massari

ITALIANO - ENGLISH

Cari e care, stimolato da un passo nello stupendo libro di Rampini (Grazie Occidente!) - in cui si rimprovera ai woke di condannare solo la tratta schiavistica occidentale e tacere su quella araba che la precedette nei secoli - sono andato a guardare un sito dedicato al tema:


La scheda è costruita bene, ben documentata e convincente in ogni suo particolare. Vi raccomando di leggerla, anche a quelli di voi che sono già familiari con l’argomento e ne sanno sicuramente più di quanto ne sapessi io fino a poco fa.
Sono rimasto sbalordito da alcuni dati macroscopici:

1) La tratta arabo-mussulmana rivolta a depredare esseri umani soprattutto in Africa, ma anche nell’Impero bizantino e in Europa, durò circa 13 secoli (dal VII al XIX) e in alcuni casi dura ancora. (La tratta occidentale, detta «atlantica» durò dal XVII al XIX secolo…).

2) La tratta arabo-mussulmana colpì circa 17 milioni di persone. (Quella atlantica ne colpì circa 12 milioni secondo le stime più alte).

3) Nel mondo arabo l’abolizione della tratta non fu dovuta a un movimento abolizionistico autoctono (cioè arabo o mussulmano), ma a pressioni esterne diplomatiche e militari da parte dei principali paesi imperialistici e colonialistici occidentali. (Questo dato provocherebbe un infarto allo woke di media levatura).
Una funzione abolizionistica la ebbero in parte anche le missioni cristiane (cattoliche e protestanti) sempre fondamentalmente occidentali.

4) La tratta e lo schiavismo arabo-mussulmano poterono proseguire in forma molto ridotta sino alle soglie del XX secolo per l’atteggiamento di cautela e tolleranza che le potenze coloniali mantennero nei confronti delle élite arabe che dei vantaggi economici dello schiavismo hanno cercato di approfittare fin quando è stato loro possibile. (Un discorso a parte andrebbe fatto per lo schiavismo praticato dall’Impero ottomano.)

5) Gli enormi vantaggi economici della tratta arabo-mussulmana sono stati tra i grandi motivi all’origine del mancato sviluppo industriale e moderno di questi paesi. Cito da wikipedia:

«La tratta ebbe conseguenze anche all'interno del Mondo arabo: dopo una forte crescita iniziale (che coincise con l’Epoca d’oro islamica), l'economia dei Paesi arabi riposò sulla schiavitù e non attivò quelle trasformazioni che avrebbero condotto altri Paesi alla rivoluzione  industriale nonostante i grossi profitti generati dalla tratta (lo storico britannico Arnold J. Toynbee li quantifica in un 20% del capitale investito, mediamente il doppio dei guadagni generati in Europa dalla Tratta atlantica). La grande disponibilità di manodopera schiava non stimolò la ricerca di processi di automazione e le macchine industriali che andavano diffondendosi in Europa sin dal XVIII secolo non destarono interesse nel Mondo arabo».

Se qualcuno di voi trova menzione di questo fenomeno tra le spiegazioni dell’arretratezza culturale ed economica del mondo mussulmano nel tanto decantato Orientalism di Edward Said, me lo faccia sapere.

6) A differenza dell’Occidente in epoca schiavistica, non esiste letteratura abolizionistica o antischiavistica nel mondo arabo-mussulmano per i secoli in cui la tratta fu in auge.
E questo forse è il dato più drammatico e più significativo, che basterebbe da solo a far crollare la rete di falsificazioni o di vera e propria ignoranza che caratterizza il mondo woke.

Raccomando ancora di leggere la scheda di wikipedia e se qualcuno ha voglia di scrivere un articolo per Utopia rossa sarà accolto a braccia aperte.
Questa mia breve riflessione può anche circolare liberamente e magari essere tradotta in altre lingue (a partire dall’arabo o dal turco...).

Shalom
Roberto     

ENGLISH


THE ARAB-MUSLIM SLAVE TRADE
by Roberto Massari

Dear friends,

Inspired by a passage in the magnificent book by Rampini (Grazie Occidente! [West]), where the “woke" are criticized for condemning only the Western slave trade while remaining silent on the Arab one that preceded it by centuries, I decided to look at a site dedicated to the topic:

https://it.wikipedia.org/wiki/Tratta_araba_degli_schiavi [https://en.wikipedia.org/wiki/History_of_slavery_in_the_Muslim_world]. [https://es.wikipedia.org/wiki/Comercio_árabe_de_esclavos].

The article is well-constructed, well-documented, and convincing in every detail. I recommend reading it, even for those of you who are already familiar with the topic and know more about it than I did until recently.

I was astonished by some hugely significant facts:

  1. The Arab-Muslim slave trade, primarily aimed at exploiting human beings in Africa but also in the Byzantine Empire and Europe, lasted approximately 13 centuries (from the 7th to the 19th century) and, in some cases, still continues. (The Western, or "Atlantic," trade lasted from the 17th to the 19th century...).

  2. The Arab-Muslim trade affected about 17 million people. (The Atlantic trade affected approximately 12 million people, according to the highest estimates).

  3. In the Arab world, the abolition of the slave trade was not due to an indigenous abolitionist movement (i.e., Arab or Muslim), but to external diplomatic and military pressures from major Western imperialist and colonial powers. (This fact could cause a mid-level "woke" person to have a heart attack). Christian missions (both Catholic and Protestant), which were primarily Western, also played a partially abolitionist role.

  4. The Arab-Muslim slave trade and slavery continued on a much smaller scale until the 20th century due to the cautious and tolerant stance of the colonial powers towards the Arab elites, who sought to benefit from the economic advantages of slavery for as long as they could. (A separate discussion would be needed for the slavery practiced by the Ottoman Empire.)

  5. The enormous economic benefits of the Arab-Muslim slave trade were among the significant reasons for the lack of industrial and modern development in these countries. I quote from Wikipedia:

«The trade also had consequences within the Arab world: after initial strong growth (coinciding with the Islamic Golden Age), the economy of Arab countries relied on slavery and did not activate those transformations that would have led other countries to the Industrial Revolution despite the large profits generated by the trade (British historian Arnold J. Toynbee estimated them at 20% of the invested capital, roughly double the profits generated in Europe by the Atlantic Trade). The great availability of slave labor did not stimulate the search for automation processes, and the industrial machines spreading in Europe from the 18th century onward did not spark interest in the Arab world».

If any of you find mention of this phenomenon among the explanations for the cultural and economic backwardness of the Muslim world in the much-praised Orientalism by Edward Said, please let me know.

  1. Unlike the West during the era of slavery, there is no abolitionist or anti-slavery literature in the Arab-Muslim world for the centuries in which the trade was practiced. And perhaps this is the most dramatic and significant fact, enough on its own to dismantle the web of falsifications or sheer ignorance characterizing the woke world.

I again recommend reading the Wikipedia article, and if anyone is inclined to write an article for Utopia rossa/Red Utopia, it will be warmly welcomed. This brief reflection of mine can also circulate freely and perhaps be translated into other languages (starting with Arabic or Turkish...).

Shalom,
Roberto



Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

martedì 22 ottobre 2024

lunedì 21 ottobre 2024

GLI ERRORI MORTALI DI YAHYA SINWAR E DI HAMAS

di Piero Bernocchi


ITALIANO - ENGLISH


Leon de Winter è uno scrittore olandese che, oltre ai suoi libri, svolge una presenza social-politica costante, con articoli pubblicati su vari giornali e riviste europee. A proposito di Sinwar ha scritto in un articolo su Neue Zurcher Zeitung, quotidiano svizzero con quasi tre secoli di storia: "Yahia Sinwar aveva trovato l'arma con cui sconfiggere gli ebrei e manipolare il mondo: la morte dei suoi stessi connazionali. Invita gli ebrei ad uccidere il suo popolo e gli israeliani non possono sottrarsi alla lotta contro Hamas. Sinwar sapeva come stremare gli ebrei, ricattarli e metterli gli uni contro gli altri". Effettivamente, il piano strategico di Sinwar, culminato nell'orrendo massacro del 7 ottobre, aveva una sua tragica grandezza strategica, che però, contrariamente alla lettura datagli da De Winter, è stata annullata da una catena di errori e di valutazioni, su possibilità non realizzatesi, commessi dal leader di Hamas e rivelatisi tragici e mortali per il popolo palestinese quanto per lo stesso Sinwar: catena di valutazioni erronee che qui proverò ad analizzare e commentare.

 

Il fallimento del tentativo di coinvolgere l’intero mondo islamico nell’attacco frontale a Israele

 

Sono in circolazione oramai da mesi attendibili documentazioni di varia e credibile provenienza che spiegano come il massacro del 7 ottobre fosse stato pianificato, magari con dettagli non identici, probabilmente da almeno un paio di anni e che fosse stato più di una volta rinviato, in attesa di scenari generali più favorevoli. C’è ampia concordia tra gli “addetti ai lavori” anche sui motivi, almeno due dominanti, che alla fine hanno fatto scegliere, a Sinwar e alla leadership interna a Gaza, la data del 7 ottobre. Tornerò più avanti sul secondo motivo, per soffermarmi qui su quello a mio avviso più rilevante e decisivo: e cioè l’assoluta necessità/obbligo di far naufragare l’ampliamento degli Accordi di Abramo (che avevano normalizzato i rapporti tra Israele, gli Emirati Arabi e il Bahrein) con l’inclusione dell’Arabia Saudita e forse pure del Qatar, e con la formazione di un assai influente blocco di paesi sunniti guidati dalla maggior potenza di tale mondo islamista, quella Arabia Saudita, grande e storica (fin dall’avvento degli ayatollah al potere a Teheran) avversaria dell’Iran sciita. Tra le intuizioni strategiche di Sinwar, quella di inserirsi come un cuneo che disgregasse il nascente schieramento favorevole alla normalizzazione dei rapporti con Israele e, nel contempo, saldasse definitivamente l’anomalia di un rapporto stretto, con conseguenti copiosi finanziamenti e sostegno bellico, tra un’organizzazione del radicalismo sunnita più estremo come Hamas e la roccaforte iraniana del mondo sciita (anomalia assoluta fino a qualche anno prima, laddove sunniti e sciiti si scannavano  quotidianamente in tutto il mondo islamico, con percentuali di vittime ben superiori a quelle dei conflitti con cristiani, “occidentali” ed ebrei), è stata forse la più notevole e, almeno potenzialmente, quella in grado di aprire nuovi e inattesi scenari ai monumentali e apparentemente folli piani di distruzione totale di Israele.

Per giungere però ad attivare un tale scenario, ci voleva un’azione così terrificante, sconvolgente e spietata, manifestantesi nelle forme più barbariche possibili, che fosse in grado di scatenare una risposta almeno altrettanto selvaggia, brutale e stragista da parte del governo Netanyahu, contando sulla colossale umiliazione imposta all’intero apparato bellico e militare israeliano ma pure sullo smacco planetario inflitto ad un capo di governo, ultra-ambizioso, senza scrupoli e senza remore, come Netanyahu che, pur di cancellare dalla scena l’ANP e Fatah, si era fatto ingannare da Sinwar,  favorendone per anni l’ascesa al potere a Gaza, con una posizione dominante su tutti i palestinesi. Ritengo, conseguentemente, che gli orrori del 7 ottobre non siano stati dovuti alla barbarie spontanea e alla epidermica orgia senza freni di voglia di vendetta da parte delle migliaia di armati palestinesi coinvolti, ma che fosse stata pianificata e voluta da Sinwar e i suoi (e per tale ragione documentata ed esibita platealmente con video, foto e registrazioni sonore quanto più raccapriccianti possibili) proprio per rendere irrealistica e di fatto impossibile una risposta solo “moderata” da parte del governo israeliano, provocato a tal punto da spingerlo a una risposta quanto più feroce, distruttiva e impopolare possibile. La scommessa di Sinwar, certo massimamente cinica e spietata, ma non pazzesca in linea di principio, e anzi potenzialmente foriera di successo, è stata appunto quella di spingere Netanyahu ad attaccare Gaza con una forza distruttiva smisurata e senza precedenti, che provocasse  il maggior numero di vittime possibili tra i civili (più volte Sinwar ha ammesso senza imbarazzo di essere disposto a sacrificare anche un numero spropositato di suoi concittadini/e non in armi pur di creare le condizioni per la sconfitta e la distruzione di Israele), in modo da suscitare da una parte la più diffusa indignazione mondiale  contro Israele (e in generale contro la presenza di uno Stato ebraico in Palestina, da liberare dal “fiume al mare”), e che dall’altra spingesse tutto il mondo islamico, sunnita o sciita, ad entrare in campo militarmente, contribuendo in maniera decisiva alla distruzione di Israele.

Malgrado la mia avversione politica, ideologica, culturale e morale all’islamismo da Guerra Santa e ai regimi dittatoriali come l’orrenda teocrazia iraniana e ad organizzazioni oscurantiste, reazionarie, ultra-misogine e omofobe come Hamas, Hezbollah, non posso negare che tale piano strategico aveva, almeno in potenza, quella che ho chiamato una tragica grandezza. E nella realtà di questo anno, tale piano il primo obiettivo lo aveva effettivamente raggiunto, cioè quello di suscitare una vastissima ondata di indignazione internazionale anche in ambienti fino a ieri insospettabili che, con grande rapidità, hanno accantonato gli orrori del 7 ottobre (che, anzi, hanno sovente salutato come un “riscatto” del popolo palestinese dopo decenni di sopraffazioni e umiliazioni, o come addirittura “l’inizio della Rivoluzione palestinese”), per reagire con una mobilitazione pressoché permanente contro il massacro in corso a Gaza, dove, indiscriminatamente, ai miliziani di Hamas uccisi dall’esercito israeliano si è accompagnato quasi ogni giorno un numero almeno altrettanto elevato di vittime civili, senza alcuna distinzioni tra uomini, donne, bambini.

Quello che però non è avvenuto, rivelandosi nei fatti il principale punto debole di tale  ambiziosissima strategia e il più grande errore di previsione di Sinwar e di chi ne ha condiviso la strategia, è stato il generale fallimento del tentativo di coinvolgere l’intero mondo islamico, sunita e sciita, nell’attacco frontale a Israele. A posteriori, Sinwar ha dimostrato una sorprendente misconoscenza della variegata e ambigua complessità di tale mondo (più avanti vedremo come analoghi e altrettanto esiziali  – per lui e per i palestinesi – errori di valutazione e previsione Sinwar li ha commessi anche nell’analisi della società israeliana e della psicologia dominante tra gi ebrei di Israele).

Sorprende, tanto per cominciare, che il leader indiscusso di Hamas abbia davvero creduto ai roboanti proclami bellici e agli appelli per la distruzione della “entità sionista” (come i dittatori teocratici iraniani amano definire Israele, per non doverne fare neanche il nome in segno di massimo disprezzo) di due affabulatori e incantatori di massa come Khamenei e Nasrallah. Meraviglia che una mente così attenta ad ogni sfumatura del pensiero della radicalità islamista abbia potuto davvero credere che il regime teocratico e Hezbollah avrebbero deciso di mettere a repentaglio il proprio potere e dominio nei rispettivi paesi sottomessi, l’Iran e il Libano, e persino la sopravvivenza dei propri regimi, per entrare in campo accanto ad Hamas nello scontro frontale con Israele, ben conoscendo la propria inferiorità sul piano militare, ma anche la fragilità del proprio dominio interno, di fronte a due società in maggioranza ostili, in aperta rivolta come nell’Iran dell’ultimo biennio o sottomessa ma non consenziente e collaborativa come quella libanese, incapace di impedire la progressiva dominazione della minoranza sciita sul paese ma fondamentalmente desiderosa di una sua possibile débacle bellica.

In verità, nei comportamenti di quasi tutti i paesi arabi e dell’Iran nei confronti della tragedia palestinese, c’è sempre stata una profonda strumentalità di fondo che Sinwar e i suoi avrebbero dovuto ben conoscere. Falliti i tentativi della Lega araba di sconfiggere militarmente Israele e di espellere la comunità ebraica dalla Palestina, la gran parte dei paesi arabi circostanti ha usato cinicamente il popolo palestinese e la sua lotta solo per creare le maggiori difficoltà possibili a Israele, per tenerla sotto costante pressione e per attivare la più diffusa solidarietà internazionale contro l’“entità sionista”. Solo che a questo cinico e strumentale disegno non si è mai accompagnata una reale solidarietà con il popolo palestinese, né in termini di significativi aiuti materiali né in quanto a dignitosa accoglienza ai profughi, almeno all’altezza dei proclami tonitruanti di circostanza. Figuriamoci se Hezbollah e la teocrazia iraniana potevano essere disposti a sfidare davvero, militarmente e in uno scontro aperto senza mediazioni, Israele, con la realistica possibilità di essere non solo travolti sul campo, ma anche di consentire alle diffuse opposizioni interne di saldare finalmente il conto alle insopportabili dominazioni ultra-decennali.

Ma Sinwar ha commesso un altro errore di valutazione, altrettanto inspiegabile per chi, in tanti anni, aveva avuto modo di studiare dettagliatamente, e verificare da vicino e con massima cognizione di causa, di contatti e di legami, i complessi e contorti, ambigui e mutevoli rapporti tra le varie statualità e comunità islamiche mediorientali. Il leader di Hamas parrebbe aver preso sul serio, e massimamente sopravvalutato, il profondo legame che era riuscito a stabilire  - fin da quando ancora era in galera in Israele e riusciva a corrompere le guardie carcerarie, così potendo colloquiare senza limiti non solo con i suoi “sottoposti” a Gaza, ma persino con il regime iraniano - fin dal 2011 con il regime degli ayatollah. Certo, l’anomalia di un’alleanza, così stretta, impegnativa e senza precedenti significativi, tra sunniti e sciiti, solitamente in guerra permanente tra loro da parecchi secoli, può aver contribuito a fuorviare le percezioni di Sinwar, al punto da fargli scambiare un accordo tattico (utilissimo per l’Iran per mettere in un angolo il progetto di una vasta parte del mondo sunnita di normalizzare i rapporti con Israele in nome dei comuni interessi economici) per una generale e permanente collaborazione strategica. Ma il grosso del mondo sunnita non ha mai digerito il rapporto quasi “intimo” tra la parte combattente del mondo sunnita palestinese con l’Iran, e ancor meno il grande potere acquisito da Hezbollah, altro portabandiera del minoritario mondo sciita e anch’esso grande alleato di Hamas: e quanto questa ostilità fosse viva, malgrado il sostegno comunemente sbandierato per i palestinesi durante i massacri a Gaza, si è potuto verificare apertamente con i festeggiamenti in tanti paesi arabi sunniti alla notizia dell’uccisione di Nasrallah: mentre, al contempo, non pare proprio che l’uccisione di Sinwar abbia suscitato in questi paesi grandi ondate di solidarietà e cordoglio.

 

Gli errori di valutazione di Sinwar sull’attuale popolo ebraico di Israele

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.