L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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mercoledì 16 ottobre 2024

IMMAGINARE TINA

di Laris Massari


ITALIANO - ENGLISH


Tina Modotti è stata una donna fuori dal comune, capace di abbracciare una vita in cui arte, politica e amore s’intrecciavano in un equilibrio instabile ma affascinante. Il suo percorso si snoda attraverso i continenti, e tra rivoluzioni e passioni, lasciandosi dietro un’eredità profonda quanto difficile da decifrare. Nata nel 1896 a Udine, in una famiglia di umili origini, fin dalla giovane età dimostra una curiosità irrequieta per il mondo oltre i confini del Friuli. La terra in cui cresce è multilingue, multiculturale, e ciò plasma in lei un’apertura mentale che la porterà ben presto a lasciare l’Italia per cercare la propria strada all’estero.

È negli Stati Uniti, a San Francisco, che Tina inizia a scolpire la propria identità. Lavorando come operaia, vive la durezza della vita degli immigrati, ed è proprio tale contesto che l’avvicina ai circoli culturali e artistici della città. Nonostante le difficoltà economiche, sono il suo fascino e il suo talento innato che la portano presto a calcare i palcoscenici teatrali, e ben presto si apre davanti a lei il mondo del cinema muto, all’epoca in pieno sviluppo. Hollywood l’accoglie con favore e Tina potrebbe facilmente costruirsi una carriera luminosa, per la sua bellezza mediterranea e la capacità di adattarsi ai ruoli del nascente cinema statunitense. Il suo volto, pervaso da un’intensa malinconia, emerge nel panorama hollywoodiano, incarnando il tipo di bellezza enigmatica e misteriosa che il cinema muto sapeva esaltare. Ma la sua personalità complessa emerge fin da allora, provocando in lei insoddisfazione verso la superficialità del mondo dello spettacolo. Il suo spirito ribelle e la sua sete di conoscenza la spingono a esplorare nuovi orizzonti, sul piano artistico e sul piano umano.

Il suo incontro con il fotografo Edward Weston (1886-1958) segna una svolta fondamentale. La fotografia diventa per lei non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche uno strumento per dare voce alle proprie convinzioni politiche e sociali. Weston è il suo maestro, il suo amante - era già sposata con «Robo», il pittore e poeta Roubaix de l’Abrie Richey (1890-1922) - senza che Tina rimanga mai nell’ombra: assorbe con intensità gli insegnamenti tecnici, sviluppando però un proprio stile fotografico, che riflette la sua visione profonda della vita e del mondo. L’intimità con Weston, pur intensa, non oscura la sua voglia d’indipendenza. È una donna che non teme di esporre la propria sensualità, né di rompere con le convenzioni dell’epoca. In un momento storico in cui la figura femminile era ancora strettamente legata a ruoli tradizionali, Tina sfida tali norme con audacia: lo fa nella vita privata così come nell’arte.

È in Messico, inizio degli anni ’20, che Tina trova la propria autentica dimensione. In una terra sconvolta dalle ferite ancora aperte della Rivoluzione, s’immerge totalmente nel fervore politico e sociale che pervade il Paese. La sua arte, fino a quel momento caratterizzata da una ricerca estetica di tipo formale, si trasforma in un potente strumento di lotta. Attraverso le sue fotografie Tina documenta la realtà delle classi più povere - operai, contadini e braccianti - diventando una testimone attiva di un cambiamento sociale in atto. Le sue immagini, intrise di umanità, sono al tempo stesso opere d’arte e manifesti politici, capaci di suscitare emozioni e riflessione.

Nel contesto messicano incontra Julio Antonio Mella (1903-1929), rivoluzionario cubano, con cui condivide una profonda passione amorosa, oltre al comune impegno politico. Mella rappresenta per Tina l’incarnazione dell’eroe rivoluzionario: giovane, carismatico, devoto alla causa socialista. La loro storia, breve e tragica, è un turbine in cui si fondono amore, passione e politica. La morte prematura di Mella, ucciso da mani sospette, lascia in lei una ferita che non si rimarginerà mai del tutto. Di lì in poi Tina s’immerge sempre più nel mondo della politica, avvicinandosi al movimento «comunista» d’obbedienza moscovita e diventando una figura di riferimento per il Soccorso rosso internazionale. 

Con la sua fede negli ideali rivoluzionari, Tina si ritrova a navigare nelle acque torbide del presunto comunismo staliniano, legata a personaggi ambigui e manovrata da forze più grandi di lei. La ex attrice ed ex fotografa cede al mito della Grande Madre sovietica, come tante altre tragiche figure animate originariamente da sincero spirito comunista. La relazione con Vittorio Vidali (1900-1983), altra figura enigmatica della sua vita, la trascina ancora più a fondo nel mondo del Comintern. Un uomo che lei forse un giorno scoprirà essere, con forti probabilità, uno dei complici nell’omicidio del suo amato Mella. La tragedia nella tragedia…

Parte per la Spagna, si unisce alla lotta contro il fascismo nella Guerra civile. Anche qui, fra le trincee e le macerie, l’ideale rivoluzionario sembra logorarsi sotto il peso del tradimento con cui le principali forze politiche repubblicane soffocano la Rivoluzione spagnola.

Con il tempo, tuttavia, Tina inizia a intuire e poi forse a comprendere le ombre del mondo stalinista cui si è legata. Nonostante la sua adesione sincera agli ideali comunisti, le brutalità e i compromessi che osserva dall’interno del sistema la turbano profondamente. L’illusione di una rivoluzione pura, in grado di cambiare radicalmente le sorti dell’umanità, inizia a sgretolarsi di fronte all’azione reale del movimento, del quale lei riesce finalmente a vedere anche gli aspetti criminali. Nonostante ciò, non cessa di lottare, e alcuni elementi della sua biografia dimostrano che negli ultimi anni di vita il suo impegno assume una forma più consapevole, critica, anche se non è dato sapere fino a che punto lo sia.

Il Patto Hitler-Stalin (agosto 1939) è il colpo finale. La donna che aveva dedicato la vita alla lotta per la libertà e per gli ideali di una società socialista, comincia a rendersi conto che il sistema in cui aveva creduto sta tradendo gli stessi ideali che le erano stati cari. Raro esempio nel mondo del comunismo staliniano (rarissimo tra i comunisti italiani, come mostra più avanti il testo di R. Massari), Tina non approva il Patto scellerato da cui ebbe inizio la Seconda guerra mondiale. È un atto di profonda coerenza morale, un rifiuto di piegarsi alla logica spietata della politica. E proprio qui, nel suo ultimo atto di ribellione, Tina ritrova se stessa. Intuisce la portata devastante di un’ideologia che sacrifica l’individuo in nome di un’astrazione: non più l’artista manipolata, non più la rivoluzionaria sacrificata sull’altare di una causa che si è trasformata in tirannia, bensì una donna che ha scelto di restare fedele alla propria umanità, sino alla fine.

In tale contesto essa si riscatta, recuperando la grandezza del suo essere artista e rivoluzionaria, ma anche donna capace di vedere oltre le illusioni politiche del proprio tempo. Forse anche per questo la sua morte improvvisa a 45 anni - in circostanze molto simili a quelle in cui morirà Victor Serge (1890-1947) nella stessa Città del Messico, pochi anni dopo di lei - ha lasciato molto più di un semplice sospetto sulle circostanze in cui avvenne. E cioè che i sicari staliniani si siano voluti liberare di una donna che sapeva troppo, una testimone scomoda soprattutto dei molti assassinî di antifranchisti compiuti nella Spagna repubblicana. 

Tina è stata, e rimane, un simbolo di coerenza, passione e lotta. È stata una fotografa talentuosa, una musa, una militante politica, una donna libera (anche sessualmente) in un’epoca che non perdonava tale libertà soprattutto alle donne. Non è stata indenne dalle colpe e miserie della sua epoca, e soprattutto del suo movimento di appartenenza: ha amato, ha sbagliato, è stata certamente complice più o meno consapevole dei crimini del Soccorso rosso internazionale, senza mai perdere la fede, però, nella possibilità di un mondo migliore. È stata disposta sino in fondo a confrontarsi con i propri limiti e le proprie contraddizioni: in queste imperfezioni risiede la sua grandezza.

Tina è una figura viva, che ci parla ancora della lotta per rimanere coerenti con se stessi, in un mondo che spesso ci chiede di essere altro. Oggi, guardando alla sua vita, non possiamo fare a meno di chiederci cosa significhi essere donne e uomini in una realtà in continuo cambiamento, una realtà che a volte ci tradisce, ma che ci offre sempre la possibilità di riscatto.


Cosa c’insegna, allora, la sua storia? Che vivere con integrità e coerenza gli ideali dai quali si è animati, non è mai facile, che la purezza ideale è fragile. Con la sua breve e tormentata esistenza - donna, artista e ribelle - Tina ha dimostrato che non c’è nulla di più rivoluzionario dell’essere sino in fondo, pienamente e ostinatamente, umani.

Che dire di Tina come artista? La si può valorizzare anche in un contesto contemporaneo? Oppure il suo lascito è inesorabilmente segnato dal tempo in cui visse e dai contesti politici in cui operò (fondamentalmente il Messico postrivoluzionario)?

Il concetto di arte va espandendosi. All’artista del nostro tempo non è necessariamente richiesto di mettere in atto un talento per ottenere il successo. La capacità espressiva si trasforma in un’interpretazione preconfezionata e veicolata per lo spettatore. Il messaggio dell’opera è divenuto fondamentale, più della sua forma espressiva, affinché essa possa definirsi «arte».

Ebbene, Tina non si considerava e non voleva che la si considerasse un’artista, né riteneva che la sua fotografia fosse arte, essendo fondamentalmente interessata al messaggio che le immagini ritratte dalle sue foto trasmettevano. Le sue opere grondano di messaggi ed è evidente che questo intento era prevalente per lei: era anche un suo limite, allo stesso tempo.

Eppure, ai miei occhi  - sicuramente condizionati dall’artificialità degli sviluppi che la fotografia odierna sta vivendo - il suo modo di raffigurare la realtà meriterebbe il titolo di «artistico», o perlomeno di pionieristico avvio di un percorso artistico (quello del realismo fotografico, antisala dell’iperrealismo). Nel non considerarsi un’artista lei stava forse eccedendo in modestia (dote rara per i tempi correnti), ma io sarei portato a pensare che in fondo non avesse ragione.

E questo perché Tina esercitava l’arte della fotografia, nel senso che sapeva replicare la realtà con grande maestria, utilizzando i procedimenti più avanzati della tecnica fotografica dell’epoca sua: una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo, com’è spesso considerata. Basti osservare la differenza tra le sue fotografie e quelle di Edward Weston per capire che c’è modo e modo di catturare un momento del reale.

Quest’antologia rappresenta un omaggio a una figura complessa e affascinante, il cui nome è rimasto a lungo avvolto dal silenzio. A partire dagli anni ’70 e ’80 del Novecento, ricerche pionieristiche di studiosi italiani - come Riccardo Toffoletti e Pino Cacucci - hanno contribuito alla sua riscoperta, ciascuno a suo modo: Toffoletti con la ricostruzione del suo itinerario fotografico, Cacucci con la ricostruzione della vita di Tina esposta con la sua prosa avvincente. È grazie a loro, e ad altri studiosi e artisti, che l’opera e la vita di Tina hanno trovato nuovo spazio nel panorama editoriale e culturale. Un fenomeno che ha portato alla realizzazione di numerose mostre in tutto il mondo.

In particolare, va segnalata la bella esposizione al Palazzo Roverella di Rovigo (sett. 2023-genn. 2024), curata da Riccardo Costantini (n. 1981). Ho avuto il piacere di visitarla ed è lì che è nata l’idea di questo libro. Davanti a quelle immagini ho provato un forte senso di coinvolgimento nel mondo ideale di Tina, trovandomi immerso in un percorso di forte valenza emotiva, che intreccia la sua arte, la sua lotta e il suo destino.

L’antologia qui presentata è costruita seguendo criteri vòlti a esplorare soprattutto l’epopea politica di Tina Modotti, vale a dire un aspetto centrale troppo spesso trascurato nelle analisi a lei dedicate. Sono stati inclusi materiali in gran parte sconosciuti, e la scelta degli autori ha mirato a dar voce a figure che, come Dante Corneli, Pino Cacucci, Pino Bertelli e Roberto Massari, condividono una prospettiva fortemente antistalinista, contribuendo a una riflessione più completa e critica della sua esperienza di vita. L’aver dato voce, poi, a vari eminenti studiosi non italiani, è stata una scelta mirata a contestualizzare la vicenda di Tina in un quadro internazionale. Una tale selezione mira a far emergere oltre all’artista e alla fotografa di talento, anche la donna che ha vissuto intensamente e in modo contraddittorio le grandi trasformazioni del suo tempo.

L’antologia, con i suoi contributi inediti e l’approfondimento della dimensione politica, vuole dunque essere un tributo alla scoperta o riscoperta di una donna straordinaria, il cui lascito ci parla sicuramente del passato, in gran misura del presente e, perché no?, fors’anche del nostro futuro…

(settembre 2024)



ENGLISH

domenica 6 ottobre 2024

L’ANTISEMITISMO DEI NIPOTI DI HITLER

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH - ESPANOL - FRANÇAIS


I nipoti di Hitler sono tanti, troppi, e comunque molto più di quanti l’umanità si sarebbe aspettata di dover tollerare nel Terzo millennio. Anch’essi vogliono lo sterminio degli ebrei, ma «solo» di quelli che vivono in Israele, a differenza del «nonno» che, all’epoca del Patto nazi-sovietico, preparava la «soluzione finale», cioè lo sterminio degli ebrei nel mondo intero.

In Medio oriente tale proposito era rappresentato da un campione dell’antisemitismo, molto popolare nel mondo arabo: Muhammad Amin al-Husseini, il Gran Muftī di Gerusalemme e una delle più alte autorità dell’Islam sunnita. Oltre a combattere gli ebrei, questi reclutava soldati mussulmani (arabi e bosniaci) per le SS naziste e per il Regio esercito fascista italiano. Nell’incontro con lui, del 28 novembre 1941 a Berlino, Hitler dichiarò che avrebbe fatto di tutto per impedire la nascita di uno Stato ebraico (come viene chiesto oggigiorno dai suoi «nipoti») e lo rassicurò sulla propria intenzione di sterminare tutti gli ebrei anche nella regione palestinese (idem come sopra).

L’esito della Guerra impedì che tali propositi si avverassero, ma il feroce antisemitismo di al-Husseini sopravvisse nella figura del primo presidente dell’OLP - Ahmad al-Shuqayrī - che rivestì la carica dal 1964 al 1967, prima d’essere sostituito da Arafat.

Qui però non voglio  parlare dell’antisemitismo di matrice islamica (sunnita, sciita ecc.) né di quello dei nostalgici del nazismo e nemmeno dell’antisemitismo di Stalin negli ultimi anni del suo regno. Voglio invece stabilire dei criteri (il più possibile semplici e schematici) per definire la nuova ondata di antisemitismo dilagata nel mondo giovanile e nelle università occidentali, dopo il pogrom antiebraico di Hamas (7 ottobre 2023), nel sud di Israele, e dopo l’ennesima aggressione di Hezbollah (8 ottobre 2023), nel nord: entrambe le aggressioni concordate con l’Iran che a un certo punto ha aggredito Israele a sua volta, con valanghe di lanci di missili sulla popolazione civile. Lanci respinti dalla difesa israeliana, col concorso per la prima volta di alcuni Stati arabi: un fatto che rende ottimista chi crede nella pace, perché indica un calo dell'antisemitismo «storico» nel mondo arabo-mussulmano (vedi le reazioni di consenso per l’uccisione di Assan Nasrallah nel mondo sunnita), a differenza di ciò che accade nei campus e nelle manifestazioni dell’antioccidentalismo europeo e americano. Nel mondo arabo  cala l’antisemitismo, mentre nell’Occidente cresce. Vallo a spiegare…


[In realtà io una spiegazione l'avrei, anche se un po’ azzardata sul piano storico.

L'isteria del nuovo antisemitismo - quello antioccidentalista, di «sinistra», universitario, da Internet, di moda ecc. - deriva dal fatto che le vittorie militari di Israele stanno rompendo lo stereotipo classico del povero ebreo, umiliato e sofferente, al quale la cultura «cristiana» dominante aveva abituato l’umanità per oltre 20 secoli dopo aver dato il massimo contributo alle persecuzioni antiebraiche (accusa di deicidio, Inquisizione ecc.). Nella cultura «cristiana»  (cattolica, protestante e ortodossa)  gli ebrei apparivano storicamente come un popolo destinato ad essere sempre sconfitto e perseguitato: dalla Guerra giudaica di Pompeo nel 63 a.C., passando per il 70 d.C., i pogrom medievali e moderni,  e arrivando all’Olocausto nazifascista.

Dal 1948, però, i sopravvissuti dell’Olocausto e i loro figli, nipoti ecc. hanno rovesciato lo stereotipo, dimostrando al  mondo di essere i migliori combattenti che ci siano, i più efficaci nel respingere le aggressioni, e i più motivati e decisi a difendere la sopravvivenza della propria nazione, pronti questa volta a farsi uccidere fino all’ultimo ebreo israeliano se necessario. Questo rovesciamento dello schema classico - del povero ebreo sofferente e perseguitato - ha innescato una reazione isterica in parte del mondo culturale che con quello schema mentale (una tipica proiezione sadomasochistica) era cresciuto e aveva persino elaborato un proprio modo di condannare l’Olocausto: un modo fatto di pietas cristiana verso chi ha tanto sofferto, con il relativo invito alla rassegnazione e la certezza che il tentativo di sterminare gli ebrei non si sarebbe più ripetuto… almeno fino al 7 ottobre 2023.

Ecco, alla base della nuova esplosione di antisemitismo «occidentale» c’è il rifiuto di rassegnarsi al loro destino di umiliazioni e sofferenze da parte degli ebrei d’Israele (quali che siano le differenze etniche e politiche tra loro). Dal 1948 essi hanno detto «basta» a duemila anni di persecuzioni, e da allora si hanno avute tutte le prove che continueranno a dirlo con sempre maggiore efficacia militare, passando dalla parte dei vincitori e non degli sconfitti. Al momento, per es., gli sconfitti sono chiaramente l’Iran e le sue organizzazioni terroristiche che purtroppo fanno pagare agli abitanti di Gaza e del Libano il prezzo in vite umane della loro follia genocida.

Può anche accadere, invece, che nell’antisemitismo «occidentale» (in particolare nelle sue componenti sadomasochistiche) si verifichi a un certo punto la classica svolta a favore di chi sta vincendo. Svolta che in embrione si può già cogliere in certi ambienti sunniti, ostili peraltro al regime iraniano: le masse pecorone che oggi inneggiano allo sterminio degli ebrei, potrebbero sentire nel futuro il fascino della superiorità militare israeliana, cioè di un popolo che usa la forza in forma vincente, e diventare così ultrafiloisraeliane, alla ricerca di altre fonti di persecuzione-rassegnazione (secondo lo schema rovesciato del «sacro carnefice», magistralmente descritto da Hyam Maccoby). Un processo analogo si era verificato su scala molto più vasta con l’amore di massa per lo stalinismo di Stalin e per il maoismo di Mao. Di quest’ultima follia fui testimone, osservatore diretto e tenace avversario fin dal suo nascere, e riscontro enormi analogie con la moda antisemita attuale. Spero di parlarne in altra occasione.]      


Quanto segue, lo si può considerare un prontuario che riassume le posizioni che circolano negli ambienti del nuovo antisemitismo. È utile per coloro che, protestando contro Israele e inneggiando ad Hamas o Hezbollah, lo fanno in buonafede, senza sospettare di essere a loro volta degli antisemiti, eredi per l’appunto dell’antisemitismo nazista, fascista, ustascia, staliniano (dell’ultimo Stalin), o forse semplicemente vittime inconsapevoli delle falsità circolanti nel Web. Queste sono camuffate da antisionismo, antimperialismo, antioccidentalismo, antiamericanismo, terzomondismo ecc., anche se spesso rispondono semplicemente a stati psichici alterati.

Nell’esaminare i punti seguenti, chi dovesse riconoscersi anche in un solo di essi, farebbe bene a fermarsi, riflettere, informarsi meglio, leggere qualche buon libro e magari chiedere consiglio a chi ha dedicato la propria vita a combattere contro il nazismo, il fascismo, gli ustascia, lo stalinismo, l’hitlerocomunismo e altri nemici della civiltà umana. Ma soprattutto farebbe bene ad ascoltare liberamente la voce della propria coscienza, al momento sommersa dalla moda antisemita dilagante.


Le affermazioni che seguono sono tutte false. La vulgata antisemita invece le contrabbanda come vere. A volte però è anche grossolana ignoranza che spinge a crederle vere. Del resto antisemitismo e ignoranza hanno una lunga storia di convivenza simbiotica.


1) Il popolo ebraico (inteso in senso etnico-culturale e non necessariamente religioso) non esiste e forse non è mai esistito. È tutta un’invenzione pseudobiblica del sionismo, e le stesse cifre dell’Olocausto sono state gonfiate artificialmente. (Del resto, come avrebbe potuto Hitler sterminare 6 milioni di un popolo inesistente?).

2) Al termine della Seconda guerra mondiale non c’era alcun bisogno di trovare una collocazione terrritoriale in cui i sopravvissuti della Shoah potessero vivere come nazione indipendente e creare un proprio Stato.

3) Gli ebrei da tempo non erano più presenti in Palestina, sia pure come minoranza etnica. Dalla fine dell’Ottocento in poi non vi erano state ondate ebraiche immigratorie. Queste non continuarono a crescere sotto il Mandato britannico e in seguito alla vittoria del nazismo in Germania.

4) Gli arabi palestinesi si consideravano una nazione autonoma e in grado di costruire un proprio Stato, prima che nascesse Israele.

5) I Paesi arabi circonvicini fecero sempre di tutto per aiutare il mondo dei beduini, dei fellah e dei mercanti arabi palestinesi a sentirsi nazione e a creare un proprio Stato. Non avevano alcuna intenzione di appropriarsi, ognuno nel proprio interesse, di fette di territorio palestinese.

6) Nel 1947 le Nazioni Unite non decisero veramente di creare uno Stato degli ebrei nei territori palestinesi. O, ammesso che lo fecero, esse non rappresentavano la voce maggioritaria dell’umanità (Urss di Stalin compresa). Lo Stato d’Israele, invece, fu creato con la violenza armata ed espropriando con la forza i terreni agricoli dei fellah arabo-palestinesi. Esso non ha alcuna base legale.

7) Ogni Stato membro delle Nazioni Unite è libero di fare quel che vuole, incluso opporsi con la forza armata a delle decisioni che considera ingiuste e senza per questo dimettersi. 

8) Il 15 maggio 1948 (giorno dopo la dichiarazione dello Stato d’Israele) non furono gli eserciti della Lega araba e di Egitto, Libano, Siria, Transgiordania e Iraq (alcuni di essi membri delle UN) ad aggredire Israele. Fu Israele che li aggredì.

9) I circa 700.000 palestinesi che uscirono da Israele tra il settembre 1947 e il 1948, non lo fecero perché spaventati dalla guerra che la Lega Araba aveva cominciato a preparare prima del voto all’Onu e che esplose il 15  maggio 1948, ma perché furono cacciati dal nuovo governo israeliano.

10) I circa 6-700.000 ebrei che nel 1948 uscirono in massa dagli Stati arabi ed emigrarono in gran parte in Israele, lo fecero per propria scelta e spirito sionista, non perché spinti da pogrom e altre rappresaglie antigiudaiche.

11) Il fatto che Israele vinse la guerra nel 1948 è stata una tragedia per il Medio oriente. Sarebbe stato meglio far scomparire subito l’«entità sionista».

12) Non è vero che Urss e Cecoslovacchia contribuirono con armi alla vittoria di Israele nel 1948, e che poi l’Urss cambiò linea diventando antisionista. L’Urss era stata sempre contraria alla nascita d’Israele.

13) Gli arabi palestinesi che furono costretti a fuggire furono accolti solo temporaneamente in campi profughi, ben presto sostituiti da civili abitazioni, scuole, servizi ecc. I Paesi arabi circonvicini fecero sempre di tutto per assicurare l’assimilazione dei profughi palestinesi e non vi fu mai traccia di ostilità nei loro confronti. Al contrario di ciò che ha fatto Israele con gli arabi palestinesi rimasti in Israele, che vivono un regime di apartheid e sono sottoposti a continue umiliazioni politiche. La loro rappresentanza parlamentare nella Knesset è solo una copertura propagandistica.

14) In Medio oriente non c’è alcun bisogno di regimi democratici. La democrazia d'Israele è solo una finzione: finte le elezioni, finto il pluripartitismo, finte anche le attuali manifestazioni antigovernative e finto addirittura il recente sciopero generale convocato nonostante la guerra. Tutto un paravento democratico finto che va distrutto il prima possibile.

15) Le stragi di palestinesi operate dal governo giordano nel 1970-71 (il cosidddetto «Settembre nero») sono un’invenzione del sionismo. 

16) La guerra dei Sei giorni a giugno del 1967 fu un atto deliberato di aggressione da parte d’Israele e non un attacco preventivo contro un'aggressione che si preparava da parte di Egitto, Siria e Giordania.

17) Non è vero che il territorio d’Israele è oggetto di lanci missilistici ormai da decenni e da varie parti.

18) Chi si sacrifica per uccidere dei civili israeliani non è un terrorista, ma un partigiano (ANPI italiana).

19) Il progetto iraniano di sterminare il popolo ebraico d’Israele non è genocidio, così come non lo sono i progetti analoghi di Hamas e di Hezbollah.

20) È invece genocidio la risposta armata d’Israele al pogrom di Hamas, ai missili di Hezbollah, Iran, Houti e sciiti siriani.

21) Israele non ha diritto a difendersi come qualsiasi altro Stato della terra.

22) Israele deve rispettare rigorosamente il diritto internazionale di guerra perché così fanno i suoi avversari del fronte iraniano.

23) È giusto che le Nazioni Unite e altri organismi internazionali (Amnesty, Unicef, Croce rossa, Ong varie…) usino un trattamento particolare per Israele, denunciando ogni sua violazione della legalità in stato di guerra e tacendo sistematicamente su quelle dei suoi nemici.

24) Il pogrom del 7 ottobre, lo stupro di donne, gli squartamenti, la cattura di ostaggi civili e la loro eliminazione rappresentano la punta più avanzata della Resistenza palestinese.

25) È giusto lo slogan centrale di tale Resistenza - «dal fiume al mare» - che intende liberare il Medio oriente dalla presenza degli ebrei.

26) Gli «occidentali» che ripetono lo slogan «dal fiume al mare» non sono complici di genocidio, ma sono antimperialisti e antisionisti.

27) Manifestare per lo sterminio degli ebrei israeliani è un atto rivoluzionario, antimperialista e antisionista.

28) Lo sterminio degli ebrei israeliani non ha niente a che vedere con i progetti di Hitler e con l’antisemitismo storico.

29) Israele sta perdendo la guerra.


Vorrei aggiungere un 30° punto, ma non saprei come formularlo al negativo. Vorrei dire che nonostante la barbarie dei suoi avversari, la democrazia israeliana vince da oltre 70 anni e continuerà a vincere finché il regime degli ayatollah non sarà caduto e il popolo iraniano sarà liberato. Su questo ho grandi speranze. Ma resta il fatto che, comunque vadano le cose, oggi Israele rappresenta non solo  l’unico baluardo della democrazia in Medio oriente, ma anche l’unica barriera concreta contro l’armamento atomico dell’Iran. Il coraggio del popolo israeliano e soprattutto la sua superiorità militare stanno evitando al mondo la catastrofe atomica che sicuramente deriverebbe dal possesso di bombe nucleari da parte del regime fanatico, medievale e ultareazionario degli ayatollah.

Ebbene, ecco il punto 30°: il non riconoscimento del ruolo fondamentale che sta avendo il popolo israeliano in difesa dell’umanità è un altro tragico esempio di antisemitismo (oltre che di cecità politica).


5/7 ottobre 2024


  ENGLISH 

domenica 29 settembre 2024

LEBANON WAR: TWO KEY POINTS OF ANALYSIS CONFIRMED

by Roberto Massari


ENGLISH - ITALIANO - ESPANOL - FRANÇAIS


The military strikes that the Israeli government is inflicting on the main pro-Iranian terrorist organization (Hezbollah, Shia) clearly and concretely demonstrate the three main points of analysis of the Middle East crisis that I formulated a few weeks ago.

I present them updated.


1) The war in Gaza between the Hamas-controlled mini-State (which declared war on October 7, 2023) and the Israeli State (which has been defending its survival since May 15, 1948, when Egypt, Lebanon, Syria, Transjordan, and Iraq launched an attack against the newborn nation-State endorsed by the United Nations, thankfully being defeated) can no longer be considered the epicenter of the "Palestinian" issue. In reality, the entire "Palestinian" issue has long since ceased to be fundamentally such. Now, it finally appears to the general public for what it truly is: primarily an Iranian issue. The events of recent days and the defeat of the Iranian main Shia military agent outside of Iran clearly demonstrate this.


2) The theocratic dictatorship of the Iranian ayatollahs confirms itself as the main enemy of peace and, therefore, of humanity: this holds true for now, but the threat will remain until the fall of the fundamentalist Shia regime. The call to exterminate all the Jews of Israel was already part of Ruhollah Khomeini’s program when he came to power in 1979. Since then, this genocidal anti-Jewish intent has only strengthened, involving Shia factions in other parts of the world, such as Lebanon, Syria, Yemen, Nigeria, and Iraq, not to mention would-be terrorists or «sleeping» suicide bombers lurking in the rest of the world (see the large anti-Jewish bombing of July 1994 in Buenos Aires: 85 dead and about 300 wounded).


3) As a consequence of this state of affairs, I stated—and will continue to state until exhaustion—that the most responsible parts of humanity must do everything possible to prevent Iran from acquiring nuclear bombs and their launch devices. This is because the fundamental motivations of the ayatollahs are not primarily economic or political but are ideological and in an aberrant form: driven by religious fanaticism, which they demonstrate daily in the bloody repression of their own people (who are mostly hostile to them), the ayatollahs will not hesitate for a moment to launch the bomb on Israel, provoking inevitable Israeli retaliation and a possible escalation into a nuclear conflict.


Against the new anti-Semites, against the "reactionary left" and its most active components (i.e., the Hitlero-Communists) - who in Italy and other parts of the Western world are praising the terrorist organizations of Hamas, Hezbollah, etc., the inhumane pogrom of October 7, and their plans for anti-Jewish genocide - everything possible must be done to raise awareness of the danger humanity is facing. Even the most fanatical must be made to understand that, for the first time since the Cuban Missile Crisis in October 1962, humanity is truly on the brink of a nuclear conflict, for two possible reasons and sources.

The greatest threat stems primarily from the medieval ideology that drives the Iranian ayatollahs (whether Twelvers or Imamis). Meanwhile, the lesser but still significant threat comes from the pre-modern ideology that drives Putin’s oligarchic-mafia dictatorship in its attempt to recreate the Stalinist-Tsarist Empire.

However, while economic and political considerations may still help to curb Putin’s nuclear threats (which explains the U.S. hesitation in allowing Ukraine to win militarily), none of this applies to Iranian Shiism. In this theocratic ideology - never having left the Muslim Middle Ages - fundamentalism against "infidels," religious fanaticism, visceral anti-Semitism, anti-Westernism, and the aspiration to martyrdom fuse into a dangerous, bloody, and utterly irrational mix. The longer the ayatollahs remain in power and the closer they get to obtaining nuclear weapons (perhaps with North Korean, Russian, or Chinese help), the greater the chances of a nuclear conflict and thus a Third World War, and so on...

The members of the reactionary left, the Hitlero-Communists, the fake peace supporters, and fake environmentalists cannot understand this, unlike the rest of humanity, among which more conscious individuals of their species still prevail.

Shalom and Adelante!

Roberto M.


ITALIANO

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.