Rosa aveva deciso molto precocemente di
dedicare totalmente la propria esistenza alla causa rivoluzionaria.
C’è una
frase riportata da Lelio Basso nella sua prefazione al volume che raccoglie le
lettere a Leo2, scritta da Rosa a 17 anni sul retro di una
fotografia regalata a una compagna di scuola, che è molto significativa per
comprendere le motivazioni profonde di questa sua scelta. Rosa scrive:
«Il mio ideale è il regime sociale in cui si potrebbe con
tranquilla coscienza amare tutti quanti. Tendendo a questo fine e in suo nome,
saprò forse un giorno anche odiare».
Questa giovane di 17 anni, che
all’epoca militava già nel gruppo Proletariat, aveva chiaro che
per raggiungere quel suo ideale avrebbe dovuto battersi strenuamente,
utilizzando le armi della politica rivoluzionaria. Intuiva che per poter
praticare quell’amore verso gli altri cui tendeva naturalmente il suo animo,
avrebbe dovuto anche forzare la sua vera indole, tendente al buono e all’amore,
e usare tutte le sue capacità intellettuali e umane per distruggere la società
imperialistica che con il suo barbaro sfruttamento impediva il dispiegarsi di
tutte le migliori potenzialità della specie umana.
Rosa la donna
Rosa dunque scelse la sua strada di
rivoluzionaria perché sapeva di non avere alternative e lo fece con rara
coerenza. Non credo che provasse un piacere particolare nella sua attività di
agitatrice, giornalista e teorica. Ciò che faceva lo intendeva come un dovere
irrinunciabile verso se stessa e il proprio ideale. Era indubbiamente
ambiziosa, ma non amava il potere per il potere. Le sue battaglie nel Spd e
nell’Internazionale non erano finalizzate alla carriera o a gratificare il suo
ego: ella intendeva il successo delle sue posizioni come un mezzo per
diffondere le idee che riteneva giuste e importanti per la causa
rivoluzionaria. Voleva acquisire influenza, non conquistare potere.
Ciò lo si evince dal suo rigore
teorico, come dalla sua correttezza politica, ma ancor più dalle lettere - in
primo luogo a Leo - in cui Rosa palesava i suoi veri stati d’animo. In molti
passaggi si intuisce quanto dovesse pesarle la sua attività. La politica era
anche una realtà intessuta di intrighi, invidie, carrierismo, tradimenti contro
cui, - come afferma Lelio Basso, «s’infrangeva l’idealismo militante» di Rosa3.
A proposito del suo idealismo, Rosa, nel 1899 così scrive a Leo:
«la suprema ratio alla quale sono arrivata attraverso la mia esperienza
rivoluzionaria polacco-tedesca è quella di essere sempre se stessi,
completamente, senza tener conto dell’ambiente e degli altri. Ed io sono e
voglio restare un’idealista»4.
Un aspetto importante del suo idealismo
era costituito dalla sua tendenza «all’esser buoni» più volte espressa nelle
sue lettere e presente sino alla fine della sua vita. Scrivendo ad Hans
Diefenbach il 5 marzo del 1917 dal carcere, afferma:
«Del resto tutto sarebbe più facile da sopportare se non
mi dimenticassi la legge fondamentale che mi sono prefissa come regola di vita:
essere buoni, ecco
l’essenziale. Essere buoni, molto semplicemente. Ecco che comprende tutto e che vale di più
di tutta la pretesa di avere ragione»5.
Ma non doveva esser facile in politica
seguire questo ideale! E infatti, verso gli aspetti più deteriori della
politica, Rosa non esita a scrivere, ancora una volta a Leo, nel 1905:
«Ieri ero quasi decisa ad abbandonare “di colpo” tutta
questa “dannata politica”, o piuttosto questa parodia cruenta della vita
“politica” che conduciamo e mandare al diavolo tutto il mondo»6.
Rosa era un’ottima oratrice, una vera
trascinatrice nei suoi comizi, e anche negli interventi polemici all’interno
del Spd e dell’Internazionale traspare - dalle testimonianze e da ciò che lei
stessa racconta - la carica, l’incisività e la brillantezza del suo pensiero.
Tuttavia ciò non doveva essere indolore se spesso nelle lettere si lamenta
della fatica fisica e psicologica che accompagnava la sua attività di
agitatrice e di teorica.
Soffriva di frequenti e acute emicranie
e di disturbi allo stomaco. Con una moderna lettura psicosomatica, tali
malesseri si potrebbero intendere come una somatizzazione dovuta allo stress
emotivo e psichico che accompagnava il suo lavoro. Credo che, se avesse potuto,
si sarebbe dedicata a tutt’altra attività che non quella politica. In una
lettera scritta dal carcere a Sonia Liebknecht, moglie di Karl, nel maggio del
‘17, afferma:
«nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un
pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che
non... a un congresso di partito...Nonostante tutto io spero di morire sulla
breccia: in una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima
appartengo più alle cinciallegre che ai “compagni”»7.
Amava la matematica, la botanica, la zoologia,
la letteratura, l’arte; le piaceva disegnare e dipingere ed era anche dotata in
questo campo. Soprattutto nei suoi periodi di inattività forzata in carcere, si
dedicava - per quanto poteva - alla cura e allo studio delle piante,
coltivandole e riempiendo erbari. Amava gli animali e sua compagna prediletta
era la gatta Mimì di cui si preoccupava costantemente nei periodi di
carcerazione. In particolare nelle lettere scritte negli ultimi periodi della
sua vita trascorsi in prigione (1915-1918) a Luise Kautsky, Gertrud Zlottko
(sua governante), Sonia Liebknecht, Hans Diefenbach, si dilungava a parlare
degli uccelli, le api, le formiche, i fiori che vedeva intorno a sé e che
spesso accudiva. Così come si soffermava su letteratura, arte, ornitologia, geologia8.
E tuttavia c’era un dovere
imprescindibile che le imponeva di mettere da parte la sua vera natura, per
assolvere ai compiti rivoluzionari.
Era lo stesso codice etico che
governava le sue relazioni interpersonali. Rosa non si concedeva facilmente all’amicizia.
Doveva essere certa di poter riporre fiducia completa nelle persone cui apriva
il suo animo. Ne è un esempio il suo rapporto con Luise e Karl Kautsky. Con
quest’ultimo non ebbe mai un vero rapporto d’amicizia, piuttosto di
collaborazione politica, fino alla rottura; ma lo giudicava negativamente sul
piano personale. Con Luise per anni, più che di amicizia si trattò di rapporti
di buon vicinato, piuttosto formali. Talvolta Rosa sfuggiva gli inviti a casa
Kautsky. Tutto ciò traspare dai suoi giudizi espressi a più riprese sulla
coppia, nelle sue lettere a Leo9.
Solo più tardi, in particolare dopo la
rottura politica con Karl, il suo rapporto con Luise si trasformò in una vera
amicizia e le sue lettere diventarono più intime.
Ma nel complesso era una donna
riservata, gelosa della propria autonomia e libertà. Aveva bisogno di momenti
di silenzio e solitudine, di uno spazio privato in cui poter vivere con se
stessa o, al massimo, con Leo.
Rosa concepiva l’amicizia come qualcosa
di assoluto, come del resto l’amore. Quando si apriva, lo faceva in modo totale
- come sanno farlo spesso le donne - con una sincerità e una franchezza
disarmanti e a tutto tondo, senza incertezze. Ma pretendeva la stessa bruciante
sincerità dagli altri: perché il suo rigore etico le rendeva insopportabili
ambiguità e ipocrisie.
In una lettera a Hans Diefenbach
scritta il 7 gennaio del 1917 - a proposito della fine del matrimonio di Clara
Zetkin con il secondo marito Friedrich Zundel, al quale la sua amica rifiuta il
divorzio sin dopo la guerra - Rosa, molto duramente, afferma:
«Il dramma di Sillenb10 è stato per me un colpo
più duro di quello che potete immaginare. Un colpo portato alla mia pace
interiore e alla mia amicizia. Mi esorterete alla compassione. Sapete che sento
e soffro per ogni creatura [...] Ma, ditemi, perché non dovrei qui provare
pietà per l’altra
parte, bruciata viva e, in ogni giorno concesso da Dio, obbligata a passare per
i sette gironi dell’inferno dantesco? Ma di più, la mia pietà come la mia
amicizia hanno dei confini molto netti: finiscono inesorabilmente laddove
comincia la meschinità. In effetti i miei amici devono sottomettere alle
esigenze più rigorose non soltanto la loro vita ufficiale, ma anche la loro
vita privata. Ora enunciare grandi frasi sulla “libertà individuale” e nella
vita privata asservire un’anima umana con una passione insensata, questo non lo
capisco e non lo perdono. Constato in questo l’assenza di due elementi
fondamentali della natura femminile: la bontà e la dignità».
Identico rigore nel comportamento, Rosa
pretendeva nel campo dell’amore. In un certo senso, credo che in lei - insieme
all’amore per l’uomo amato - fosse contemporaneamente presente anche
«l’innamoramento per l’amore in sé»: Rosa, in sostanza era «innamorata dell’amore».
In una lettera a Sonia Liebknecht del 24 novembre 1917, in proposito scrive:
«E come capisco che siate innamorata “dell’amore”! Per me,
l’amore è stato (o è?...) sempre più importante, più sacro dell’oggetto che lo
suscita. Perché permette di vedere il mondo come una fiaba splendida, perché fa
emergere dall’essere umano cio che vi è di più nobile e di più bello, perché
eleva ciò che vi è di più comune e umile e lo adorna di brillanti e perché
permette di vivere nell’ebbrezza, nell’estasi...»11.
Rosa, dunque, non era solo rigorosa, ma
anche appassionata ed esigeva nell’altro altrettanta passione. Ciò è evidente
soprattutto nel suo rapporto con Leo Jogiches, che fu l’amore della sua vita,
il rapporto affettivo più importante.
Si erano conosciuti a Zurigo, nel
1890-91, entrambi rifugiati politici, e il loro amore durò circa 15 anni, fino
al 1906, al momento del loro arresto a Varsavia. Erano due personalità
profondamente diverse e il loro rapporto fu tanto profondo quanto controverso.
Lo possiamo ricostruire solo attraverso le moltissime lettere che ci rimangono
di Rosa a Leo (circa 900), perché quelle di Leo sono andate perdute.
Indubbiamente queste lettere rappresentano lo strumento migliore per capire la
complessità della personalità di Rosa, perché in esse si mescolano i due
elementi determinanti del suo rapporto con Leo: l’attività politica
rivoluzionaria e l’amore.
Nel suo bisogno costante di assoluto,
Rosa desiderava costruire una relazione che fosse espressione di una fusione
totale con l’amato; una fusione in cui passione rivoluzionaria e passione
amorosa si compenetrassero inestricabilmente. Dalle sue lettere si palesa
evidente questo bisogno totalizzante, i suoi tentativi di realizzarlo e,
infine, la sua sconfitta. Perché questa tensione binaria si scontra
inesorabilmente, e sin dall’inizio, con la personalità di Leo: un uomo
introverso, profondamente chiuso e bloccato sul piano emozionale, con una
struttura caratteriale difensiva molto compatta, così come ce lo descrive Rosa
attraverso i rimproveri e le pressanti richieste che gli rivolge.
Leo era nato nel 1967 a Vilna e sin da
giovanissimo si era politicizzato venendo in contatto con l’organizzazione
populista e terroristica Narodnaja Volja, poi abbandonata
per aderire al marxismo. Da questa primitiva esperienza aveva mediato il metodo
cospirativo e clandestino di intendere l’impegno politico, che manterrà come
elemento caratteristico di tutta la sua
militanza rivoluzionaria. Dotato di ottime qualità organizzative fu -
insieme a Rosa che ne era l’ispiratrice teorica - uno dei fondatori del Partito
socialdemocratico polacco e poi dello Spartakusbund e del Partito comunista tedesco. Senza il suo inesauribile e capillare lavoro organizzativo nessuno dei
partiti summenzionati avrebbe probabilmente visto la luce e potuto operare.
Anche Leo amava Rosa e l’amò per tutta
la vita. Ma la sua struttura caratteriale molto introversa e la sua personalità
autoritaria e spesso arrogante gli impedivano di esprimere apertamente le
proprie emozioni, l’amore, la tenerezza, l’abbandono, come Rosa avrebbe voluto
e come lei faceva costantemente nelle sue lettere, rischiando i rimbrotti di
lui. In una lettera bellissima e straziante, scritta nella notte del 16 luglio
1897, Rosa mette ancora una volta a nudo il suo animo, rivelando a Leo tutta la
sua disperazione per la freddezza di lui e tutto il suo disperato bisogno
d’amore. La scrive a un uomo che vive in un’altra casa a poche decine di metri
dalla sua, un uomo che l’ha appena lasciata senza capire e accogliere il
desiderio di Rosa di un rapporto fisico d’amore con lui. Non ci sono rimproveri
e recriminazioni nelle parole che Rosa rivolge a Leo, ma vi è espressa la
lucida e straziante consapevolezza di non poter penetrare nell’animo dell’uomo
amato e soprattutto di non poter essere accolta nel suo stesso desiderio di
amare. Come se la freddezza di Leo
rendesse vano l’amore di Rosa. Passeranno gli anni, la loro unione continuerà.
Ma non muterà la qualità del loro amore reciproco12.
Nella primavera del 1907 fu Rosa a rompere la loro unione. Le
motivazioni vere della loro rottura non sono state chiarite. Il principale
biografo di Rosa, P. Nettl, afferma in proposito:
«Il suo amore per Jogiches si concluse bruscamente...
quando apprese che alcune porte chiuse per lei erano state aperte a un’altra
persona»13.
Ammesso che Leo abbia frequentato
brevemente un’altra donna subito dopo la sua fuga dal carcere (febbraio 1907),
l’impressione che se ne trae è che il loro rapporto fosse arrivato ad un bivio
perché Rosa non sopportava più i silenzi e la freddezza di Leo, le chiusure
riguardanti i più intimi sentimenti e le parti più nascoste della sua
personalità. Evidentemente il bisogno incessante di sincerità e di fusione
totale era divenuto insostenibile o non oltre procrastinabile, a fronte della
chiusura di quell’uomo tanto amato e così poco disponibile e denudare il
proprio intimo come faceva lei.
Ancora una volta, il rigore etico di
Rosa fece diventare la rottura affettiva definitiva. In proposito, credo sia
rivelatrice una frase che scrisse a Matilde Jacob in una lettera del 9 aprile
1915, quindi molti anni dopo la rottura:
«Rimango dell’idea che il carattere di una donna si misura
non quando un amore comincia, ma quando finisce»14.
Leo non accettò mai la fine del loro rapporto e a più riprese cercò
di farle cambiare idea, anche con comportamenti aggressivi e minacce, secondo
quanto affermato da P. Nettl15.
Mantenne le chiavi della loro casa
comune a Berlino e vi faceva frequenti improvvise incursioni, tanto che alla
fine Rosa, nonostante fosse molto affezionata a quella casa, cambiò
appartamento.
Tuttavia l’intrasigenza di Rosa si
fermò di fronte al loro rapporto politico che continuò inalterato. Ma
l’intimità e la complicità erano finite e le lettere che lei scrisse a Leo a
partire dal 1907 presentano uno stile assolutamente formale e impersonale, come
se si rivolgesse a una persona distante mille anni luce. Solo Rosa conobbe lo
strazio e il dolore che dovette costarle il fatto di continuare la propria
militanza a fianco di quest’uomo tanto amato un tempo, come se nulla fosse
cambiato.
Successivamente ebbe altri rapporti
affettivi: con due uomni più giovani e dalla personalità meno forte della sua -
Konstantin Zetkin, figlio di Clara, e Hans Diefenbach. Ma l’intensità di queste
relazioni non raggiunse mai i livelli della passione assoluta espressa per Leo.
Come se Rosa, dopo quest’esperienza, avesse intuito che il proprio desiderio di
una fusione esistenziale totale con l’essere amato fosse irrealizzabile.
Nell’ultimo tragico periodo della loro
esistenza, questi due esseri tanto dissimili nel carattere quanto identici
nella dedizione ai loro ideali, si riavvicinarono. Nella Berlino rivoluzionaria
del 1918 Leo accudì e protesse Rosa dentro e fuori dal carcere per quanto poté.
Dopo la morte di lei, i suoi ultimi due mesi di vita furono spesi nella ricerca
e denuncia degli autori dell’assassinio della sua antica compagna.
Rosa la femminista
Quando Rosa giunse a Berlino nel 1898 e
iniziò la sua attività nel Spd, i dirigenti del partito cercarono di
indirizzare le sue inesauribili energie e l’ardore rivoluzionario verso il
rassicurante e decentrato lavoro fra le donne. Era questo il «destino naturale»
delle militanti, non solo nella socialdemocrazia tedesca, ma in tutta
l’Internazionale. All’epoca, anche tra i marxisti, ciò che prevaleva nella
pratica era un atteggiamento maschilista e paternalistico nei confronti delle
donne (difetto, questo, lungi dall’essere scomparso ancor oggi), al di là e
nonostante le posizioni teoriche astrattamente a favore dell’emancipazione
femminile. Così, la questione femminile era problematica di secondaria
importanza, relegata all’attenzione esclusiva delle militanti donne, che
difficilmente frequentavano da protagoniste la ribalta politica più generale.
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Clara Zetkin e Rosa nel 1910 |
Del resto, si riteneva - con una ottimistica visione ingenuamente evoluzionistica - che, con la sconfitta del capitalismo, il problema della discriminazione e subordinazione femminile
sarebbe stato automaticamente risolto dall’attuazione concreta, sul piano del
diritto della parità tra i sessi, nell’ottica di costruzione di una società
socialista. Il movimento rivoluzionario della Prima e Seconda internazionale
non si pose mai concretamente il problema derivante dal fatto che la
discriminazione verso le donne affonda le sue radici nei tempi antichissimi
della preistoria umana e che il potere dell’uomo sulla donna si è espresso
nella strutturazione di una società in primo luogo patriarcale (e solo
successivamente di classe) trasmessasi trasversalmente attraverso i vari tipi
di sistemi economico-politico-sociali conosciuti dall’umanità, fino ad
approdare - pressoché inalterata - nelle ampie braccia del capitalismo.
La conseguente necessità di una lotta
implacabile contro il patriarcato avrebbe forse potuta esser fatta propria
dalla Terza internazionale, ma la controrivoluzione burocratica staliniana
stroncò - insieme a tante altre cose - anche il possibile affermarsi di un
femminismo rivoluzionario in grado di portare, all’interno dell’esperienza
rivoluzionaria successiva all’Ottobre russo, i contenuti di una lotta
libertaria contro la discriminazione tra i sessi e l’oppressione femminile, per
un’effettiva liberazione di tutti, donne e uomini.
Tornando alla socialdemocrazia tedesca,
a cavallo tra Otto e Novecento, la politica «vera», quella che si misurava con
le problematiche al centro del dibattito della Seconda internazionale - la
questione nazionale, il revisionismo, il nazionalsciovinismo, la concezione del
partito, la democrazia diretta ecc. - era inesorabilmente dominata dagli uomini
e le donne erano perlopiù spettatrici, o al limite comparse che si limitavano a
votare le risoluzioni presentate dai compagni maschi (con l’unica altra eccezione di Clara Zetkin).
Al contrario, Rosa irrompe sulla scena
e lo fa da protagonista. Rifiuta quindi sdegnosamente il tentativo maschile di
relegarla nel «ghetto» delle donne. Di questione femminile non si occuperà mai
in prima persona, anche se indubbiamente seguirà le iniziative condotte
dall’organizzazione femminile del Spd, alla cui direzione era la sua amica e
compagna Clara Zetkin, unica donna ad aver partecipato attivamente, al fianco
di Rosa, alla battaglia politica contro la degenerazione sciovinista della
socialdemocrazia.
Eppure ritengo che Rosa possa essere
considerata a pieno titolo un’autentica femminista rivoluzionaria, al pari di
Clara Zetkin e di Alessandra Kollontaj.
Cercherò di motivare qui di seguito
tale affermazione.
1. In primo luogo, le scelte della sua
esistenza. Ancora adolescente, prende coscienza della barbarie del sistema
capitalistico dominante e decide di dedicare la sua esistenza a sovvertirlo. A
18 anni è costretta per motivi politici a fuggire clandestinamente dalla
Polonia per rifugiarsi in Svizzera, abbandonando famiglia, affetti, sicurezze.
In Svizzera studia e si laurea, cercando di mantenersi economicamente autonoma,
contribuisce a fondare il Partito socialdemocratico polacco, si forma come
marxista. Nel 1898 decide di trasferirsi in Germania e di svolgere la sua
attività rivoluzionaria nell’epicentro della Seconda Internazionale, il Spd, il
partito più autorevole e con il maggior seguito di massa. Non esita a lanciarsi
nelle polemiche più accese contro i grandi teorici del marxismo (tutti maschi),
così come non esiterà a partecipare in prima persona ai movimenti rivoluzionari
della sua epoca. Andrà a Varsavia nel dicembre 1905 durante la prima
Rivoluzione russa esplosa l’anno precedente; sarà protagonista della
Rivoluzione tedesca del 1918 fino a pagare con la vita il suo impegno.
Tutta la sua attività politica fu
all’insegna del rigore e della chiarezza teorica e comportamentale. Si tenne
lontana dalle meschinerie e dalle grettezze dell’ambiente politico, rifiutando
gli aspetti più deteriori del modo di fare politica «maschile», fatto di
inganni, tradimenti, voltafaccia, attacchi personali, invidie. Ad essi cercherà
di contrapporre uno stile di polemica e di scontro, per quanto duro, corretto
sul piano personale e rigoroso su quello teorico. Si misurò da pari a pari con
figure considerate le massime personalità del movimento operaio della sua
epoca, come Bebel, Bernstein, Kautsky, Bauer, Bucharin, Lenin, Trotsky, Parvus,
Radek: ancora e sempre tutte personalità maschili, come si vede.
Si mostrò sicura e decisa nel difendere
le proprie posizioni, nella tranquilla consapevolezza del proprio valore, senza
arretrare di fronte a un mondo politico prevalentemente maschile che le
contrappose il proprio atteggiamento patriarcale e maschilista, arrivando a
considerarla spesso come una rompiscatole isterica.
2. Nelle sue relazioni interpersonali -
e in primo luogo col compagno della sua vita, Leo Jogiches - tese a costruire
rapporti basati sulla reciproca parità e autonomia.
Per quanto riguarda la sua relazione
con Leo, soprattutto nei primi anni della loro unione e fino al trasferimento
in Germania, Rosa subì indubbiamente l’influenza della personalità di Leo, più
vecchio non solo per età ma anche per esperienza rivoluzionaria. Nelle lettere
Rosa gli chiede spesso consigli e pareri sulle posizioni assunte e sui
contenuti dei suoi articoli e saggi, ma non ne fu mai succube. Fece suoi
consigli e opinioni solo se la trovavano d’accordo e non esitò a rifiutarli
quando li ritenne sbagliati.
Leo era contrario al suo trasferimento
in Germania, probabilmente perché era geloso e temeva di perdere influenza su
di lei - in questo dimostrando di essere suddito del proprio maschilismo che
tendeva a considerare Rosa una sua proprietà. Lei non lo assecondò, pur
manifestandogli costantemente il suo amore e la sua stima. Ma si rifiutò di
sottostare ai suoi ricatti affettivi e fece le sue scelte politiche e di vita
in autonomia, pur esprimendogli il proprio desiderio di vivergli accanto. Non
fece neppure l’errore di riversare gli eventuali dissensi politici sui loro
rapporti personali e viceversa. Tanto è vero che al momento della rottura
affettiva continuò a collaborare strettamente con lui sul piano politico, come
dimostra la sua corrispondenza successiva al 1906.
3. Rosa non rinunciò mai al suo esser
donna, al suo carattere impetuoso e appassionato, che sapeva emozionarsi di
fronte a un volo d’uccelli o a un acquerello di Turner. Nei suoi rapporti di
amicizia e di amore, non si vergognava delle proprie emozioni e le palesava con
semplicità e trasparenza superando il naturale ritegno della sua indole
riservata. Anche in questo, è testimonianza fedele il carteggio indirizzato
alle sue amiche e agli uomini che ha amato. Il fatto di essere diventata ciò
che oggi potremmo definire una «donna in carriera» in un mondo prevalentemente maschile,
non la indusse ad assumere le modalità di comportamento e di relazione tipiche
di tale ambiente - come abbiamo già sottolineato e come purtroppo fa la
pressoché totale maggioranza delle odierne donne in carriera (anche politiche),
pur volendo apparire nonostante tutto come donne libere.
Non rinunciò alla propria umanità, alla
capacità di gioire o di essere disperata, ma anche di continuare ad amare la
vita in tutte le sue molteplici manifestazioni, e con essa l’intera specie
umana, al riscatto della quale dedicò la sua stessa esistenza.
In definitiva, credo che il femminismo
sia pure inconsapevole di Rosa, ma da lei concretamente praticato, si possa
ritrovare in questa sua capacità di vivere in piena libertà interiore, facendo
di questa sua libertà - sul piano pratico e teorico - lo strumento determinante
della sua lotta in favore della più generale liberazione umana dall’oppressione
e lo sfruttamento.
Per concludere
Sull’orlo del baratro della distruzione
del pianeta verso cui ci spinge a grandi passi la barbarie di questo attuale
capitalismo rapace e sfruttatore, ai miei occhi non vi è dubbio che soprattutto
alle donne - e alla loro intatta capacità potenziale di ricostruire laddove si
distrugge, di accudire e lenire laddove si mortificano e si negano l’umanità e
la dignità della specie - siano affidate le speranze di rivolta e di rinascita
per l’intera popolazione umana. Come e quando, non so. Ma non vi è più molto
tempo.
Nel tentativo di ricostruire un
potenziale sovversivo in grado di risollevare le sorti della nostra specie, la
prassi e il pensiero rivoluzionario di Rosa, uniti alla sua straordinaria
esperienza esistenziale, possono costituire un luminoso punto di riferimento.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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(1891-1918), a cura di A. Bisceglie, Prospettiva ed., Roma 2003
La Rivoluzione russa (e «La tragedia
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D. Renzi - A. Bisceglie, Rosa
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Roma 2006
NOTE
1 Per
la parte biografica, si veda P. Nettl, Rosa Luxemburg, 2 voll., Milano
1970.
2 Si
veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, Milano 1978, p.
10.
3 Ibidem, p. 11.
4 Ibidem, p. 161.
5 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia (1891-1918), Roma 2003, p. 82.
6 R.
Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., p. 246.
7 Ibidem,
p. 11.
8 R.
Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit.
9 Si
veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., pp. 176, 211.
10 Sillenbuch,
località in cui viveva Clara Zetkin. In R. Luxemburg, Lettere d’amore e
d’amicizia, cit., pp. 79-80. Si
veda anche G. Badia, Zetkin, femminista senza frontiere, Roma 1994, p. 155.
11 Ibidem, pp. 107-8.
12 R.
Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., pp. 68-70.
13 P.
Nettl, op. cit., vol. I, p. 42. Sui motivi della
rottura, si vedano anche, nel vol. II, le pp. 417-8.
14 R.
Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit., p. 67.
15 P.
Nettl, op. cit., vol. I, p. 418.