“All’attuale
ricerca di nuovi imbuti didattici si deve sostituire quella del loro contrario
istituzionale: trame, tessuti didattici che diano a ognuno maggiori possibilità
di trasformare ogni momento della propria vita in un momento di apprendimento,
di partecipazione e di interessamento”.
Ivan Illich, Cuernavaca, Messico 1970
Ho trovato particolarmente
interessante e ricco di spunti l’articolo del compagno Gigli “Educare alla
libertà”. Qui vorrei analizzare alcuni elementi che di fatto limitano le
libertà degli alunni e preparano all’individualismo e all’accettazione di
sistemi gerarchici, soffermandomi in maniera particolare sui meccanismi psicologici che inconsciamente influenzano l’insegnante. Sostengo
infatti che il processo che determina l’oppressione nella scuola si
concretizzi proprio tramite il ruolo strutturalmente a lui riservato.
Rispetto al rapporto genitori-figli
che è personale, quello insegnante-scolaro significa spersonalizzazione. Nei
suoi rapporti con i ragazzi, l’insegnante, in quanto detentore di una funzione,
non si rivolge a delle persone con motivazioni e caratteri specifici, ma ad
allievi: vale a dire che fa appello soltanto alle qualità del ragazzo che la
funzione di allievo richiede. La scuola impone e fa rispettare agli individui
investiti dalle sue funzioni (agli insegnanti e agli studenti, ma non solo) uno
stile di rapporti determinato dalla scuola in quanto organizzazione: il risultato è
una dimensione scolastica aggressiva contro tutte le tendenze e le inclinazioni
alla convivialità. Le funzioni educative dell’insegnate si manifestano con
chiarezza e in particolar modo emerge la sua esigenza di obbedienza d’ufficio.
L’insegnate deve indurre gli allievi ad adottare un comportamento conforme
all’organizzazione scolastica, un ruolo da discente e dispone a questo scopo di
mezzi di costrizione istituzionalizzati. Inoltre, l’insegnate è tenuto ad
organizzare il suo insegnamento in modo da non urtare i sentimenti di alcuno,
come se esercitasse una funzione burocratica impersonale (si trova infatti
esposto ai conflitti di autorità con i suoi superiori). Si è in una situazione
in cui il rapporto di autorità è caratterizzato dal fatto che l’autorità
stessa viene esercitata e vissuta
personalmente.
Come messo in evidenza da Furstenaü,
questo meccanismo induce nell’insegnate una riattivazione inconscia del
complesso edipico che a sua volta rinforza gli atteggiamenti autoritari: “Per quanto costellato possa essere il
complesso di Edipo dell’individuo, è evidente come, con la tendenza alla
regressione verso i conflitti di autorità vissuti dal maestro nella sua
infanzia, si accresca il rischio di vedere quest’ultimo mettere in atto, senza
difendersene, anche nella sua attività di insegnante, i propri conflitti e
desideri inconsci di potere anziché impartire un insegnamento libero da questi
conflitti e da questi desideri. Le due
relazioni-tipo per il maestro, la relazione con gli allievi e la relazione con
i superiori, hanno dunque entrambe grosse probabilità di favorire nel maestro
una riattivazione inconscia del conflitto che ha opposto lui, nella sua
infanzia, ai suoi genitori in quanto adulti”1.
La vita extrascolastica può entrare
nella scuola solo se si sottomette alla forma “cerimoniale” propria della
scuola, cioè all’insegnamento e all’educazione che procede con questo.
L’autorità necessaria al realizzarsi di questo ambiente artificiale, trae
origine da vari meccanismi istituzionali della scuola:
-
dall’obbligo di frequenza
istituito dalla Stato;
-
dagli adulti in quanto categoria
di età che organizza e mantiene gli istituti di educazione collettiva destinati
ai bambini, categoria di età diversa in seno alla società;
-
dal mercato che ne detta il
meccanismo di funzionamento interno: vale a dire il processo meritocratico.
“Nella
scuola concepita come istituzione il processo centrale, costituito dal
raggruppamento in base alla categoria di età, crea nei bambini così divisi in
classi, condizioni uniformi di soddisfazione degli impulsi e degli interessi.
Si ha uniformazione perché i bambini sono sottratti alla famiglia nella quale
conoscono condizioni di vita individuale e messi insieme di fronte a un maestro
o una maestra in condizioni spazio-temporali ben determinate e di fronte ad
obiettivi definiti e limitati. […] In conseguenza di questo raggruppamento e
dell’esclusione delle condizioni di vita che i bambini conoscevano prima, tutti
i bisogni del bambino sono messi a disposizione del maestro e sottoposti al suo
controllo”2.
Partendo dalla comprensione di questo
aspetto si coglie la specificità dell’organizzazione dell’insegnamento. Sulla
base di una dipendenza collettiva massima degli allievi dal maestro, per ciò
che riguarda la soddisfazione dei loro bisogni indotti dal sistema scuola, si
assiste a un processo artificiale di trasmissione del sapere, di acquisizione
di processi abitudinari e dell’emergere di un individualismo
comportamentale. Le nozioni vengono
trasmesse attraverso la soddisfazione guidata dei bisogni: la ricompensa e la
punizione. “La dipendenza in cui si
trovano gli allievi di fronte al maestro per la soddisfazione dei loro bisogni
fa sì che essi si identifichino reciprocamente in rapporto a questa dipendenza
e che prendano come ideale il maestro nella sua veste limitata dall’attività di
personaggio investito di un ruolo”3.
L’esperienza di Summerhill
“Molti
studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola:
gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due
momenti, acquista validità una nuova logica: quanto maggiore è l’applicazione,
tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l’escalation porta al
successo. In questo modo si ‘scolarizza’ l’allievo a
confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e
competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo. Si
‘scolarizza’ la sua immaginazione ad accettare il servizio al posto del valore”.
Ivan Illich, Descolarizzare la
società
Concordo nel sottolineare
l’importanza dell’esperienza di Summerhill. Alexander Neill, il suo fondatore,
ha ricercato soluzioni pratiche che potessero liberare il bambino dal giogo
della repressione. Tale assunto è la conseguenza della fiducia di Neill “nella
naturale bontà del bambino”4. Neill afferma infatti, senza mezzi
termini, che il bambino è per sua natura buono e nello stesso tempo
“naturalmente saggio e realista”5.
La possibilità di realizzare un educazione che sia positiva, trova i
suoi limiti nelle imposizioni di regole e di lavoro da parte della società.
La conseguenza è che i bambini entrano a scuola già “repressi”. Infatti, il
bambino per la sue diverse forme di dipendenza (come quella economica) è costretto a sottomettersi all’autorità dei
genitori. Questa situazione modella la psiche del bambino tanto più questa è
esposta alle altre istituzioni sociali ad iniziare dalla scuola. La coesione di
una società si realizza grazie all’interiorizzazione della repressione sociale.
All’interiorizzazione dei meccanismi che tutelano le forme di potere costituito
e ne reprimono la critica.
L’emozioni dei bambini, grazie al
potente ruolo svolto dai media, in particolare di quello della
televisione, non rimangono emozioni
individuali, ma divengono collettive nei termini di una loro continua e
costante omologazione. Al pari dei media e della famiglia, la scuola ha lo
scopo di creare individui sottomessi. Il bambino vi resta seduto per quasi
tutto il giorno, reprimendo il suo bisogno di movimento. “L’insegnante
rappresenta solo il principio della realtà incarnato dall’immagine del padre
autoritario trasposta nel quadro istituzionale che il bambino interiorizza”6.
Ed è proprio grazie a questo processo
che si realizza l’autorepressione del bambino. “È un ottima scuola per tutti
quegli individui spenti che vogliono dei bambini docili, passivi, capaci di
adattarsi a una società in cui l’uomo è costretto a costruire palazzi di
giustizia e prigioni per punire le vittime della sua oppressione”7
. Ma in questo modo avviene quello che la sinistra
freudiana ha definito la “castrazione nella culla”, ovvero la repressione
della sessualità8.
Dalla necessità di contrastare questo
meccanismo, Neill svolge a Summerhill una critica fondamentale della società
che porta al conformismo del “piccolo uomo represso”. Il modello organizzativo di Summerhill può
essere riassunto nei seguenti punti9:
1. La soppressione della gerarchia
A Summerhill i ragazzi vivono in una
struttura comunitaria. Gli educatori votano insieme ai ragazzi nelle assemblee,
unico organo decisionale. Le barriere tradizionali tra adulti e bambini/ragazzi
sono definitivamente abbattute. Come anche la divisione per classi d’età. Scomparsi il rispetto artificiale, il
servilismo, i leccapiedi, nascono rapporti finalmente franchi. I bambini a
Summerhill vivono senza nessuna costrizione autoritaria esteriore e senza il
timore che li induce a non esprimersi
liberamente.
2. La creazione dell’autogoverno
La vita comunitaria è organizzata per
mezzo dell’autogestione che ha determinato differenti tipi di governi
(creazione di semiparlamenti, uffici con funzioni temporaneamente esecutive
ecc.). I tipi di governi variano con il cambiare delle personalità e dei
bisogni momentanei dei ragazzi. Quel che rimane immutabile è l’assoluta fiducia
nell’autogoverno. È l’autogoverno che permette di trovare a ciascuno il massimo
grado di libertà e felicità. Tutti i problemi, tutti i conflitti, sono regolati
dall’organizzazione. L’ordine è il risultato della libertà di ciascuno.
3. Il lavoro è libero da forze coercitive
I corsi a Summerhill non sono
obbligatori e i ragazzi possono scegliere le materie che maggiormente
interessano loro. Il ragazzo lavora per se stesso e non per un principio
ideologico con finalità repressive. Non importa fare molte ore al giorno, ma
impegnarsi per ciò che si desidera apprendere.
4. L’infanzia diviene il mondo del gioco
Rifiutando i meccanismi montessoriani
e comportamentistici, che cercano di imporre al bambino il lavoro attraverso il
gioco, Neill ritiene che l’infanzia sia il mondo del gioco. Le attività
creatrici (che Neill fa rientrare nella categoria “giochi”) sovvertono i metodi tradizionali
con la loro ricerca permanente di espressione libera.
5. I rapporti sentimentali non sono repressi
A Summerhill il contatto fisico affettivo non è vietato. I
ragazzi possono abbracciarsi e tenersi per mano se avvertono l’esigenza di
farlo. Il bisogno affettivo non è represso ma analizzato nelle sue
sfaccettature. Neill sottolinea che verso i 15-16 anni comincia a sorgere il
problema dei rapporti sentimentali sessuali.
Egli sarebbe dell’idea che questi rapporti si svolgessero fino al
normale completamento: l’atto sessuale. Tuttavia, per una questione di
sopravvivenza della scuola, è costretto a spiegare ai suoi allievi che è
impossibile accettare una completa libertà sessuale. In questo modo è riuscito
a liberare i ragazzi dal tabù del sesso e ha aperto una ricerca per loro
importante. I ragazzi possono arrivare all’età in cui l’atto sessuale diviene
necessario, senza angosce e squilibri nevrotici ed è questo uno degli aspetti
più importanti nella formazione della loro personalità.
I limiti dell’esperienza di
Summerhill
Summerhill ci insegna che cambiare si
può. Ce lo insegna nel momento in
cui riesce a modificare il fine
dell’educazione. Questo non è più nella società alienata e nei suoi bisogni
indotti di competizione ma nel ragazzo stesso. Il ragazzo che può finalmente
sviluppare e soddisfare i propri bisogni. Tuttavia quest’armonia si realizza
solo nell’ambito della “scuola-comunità” e non riesce ad influire sul contesto
esterno. Da ciò conseguono le molteplici difficoltà di reinserimento nel
contesto sociale che i ragazzi si vedono costretti ad affrontare. Problematiche
tanto più grandi quanto più il contesto
è influenzato da valori antitetici a quelli appresi nell’infanzia e
nell’adolescenza. Summerhill può sviluppare la sua realtà solo nei limiti
tollerati dal sistema.
Gli esempi potrebbero essere
numerosi, ma si pensi alla questione più volte ribadita da Neill riguardante i
ragazzi che non possono fare liberamente l’amore poiché la scuola verrebbe
chiusa dalle autorità governative. La necessità di rispettare i vincoli posti
dalle autorità governative depotenzia il grado di libertà e autonomia della
scuola. È un’integrazione nella società alienata che ne sancisce,
paradossalmente, la sola possibilità di non farsi integrare.
Un ulteriore aspetto sul quale
riflettere riguarda la provenienza sociale dei ragazzi di Summerhill: nella
loro grande maggioranza appartengono alle classi della piccola e media
borghesia. Questo aspetto risulta fortemente problematico per una comprensione
della dinamica sociopsicologica complessiva.
“Neill è cosciente di questo
compromesso e gli dispiace assai di non aver bambini poveri, per motivi
economici”10.
Inoltre, molti di questi ragazzi
potrebbero essersi riadattati ai valori del contesto dominante, proprio in
virtù della loro appartenenza sociale.
Questi aspetti d’incompletezza, comunque, non depotenziano l’intento
iniziale di Neill: far conoscere a dei ragazzi una realtà non-alienata.
Aspetto, quest’ultimo, rivoluzionario. Rivoluzionario in particolar modo
rispetto al concetto di educazione che viene a identificarsi con un processo di
“crescere in
libertà” (e lo stesso concetto di “vivere e lascia vivere” assume qui il suo significato più profondo).
Una rivoluzione che finisce per eliminare il concetto di educazione e per sostituirlo con un messaggio molto semplice:
“Non
intervenire assolutamente nello sviluppo e nella crescita dell’individuo”11.
1: P. Laguillaumie,
P.Furstenaü,C.Freinet, T.Dietrich, Educazione o condizionamento?, Editrice
Tipografica Casalotti di Roma, 1970, p.53.
2: Ibidem, p.54.
3: Ibid., p.56.
4: Ibid., p.19.
5: Ibid., p.20.
6: Ibid., p. 21.
7: Ibid., p.21.
8: Si rimanda al volume di Paul
Robinson, La sinistra freudiana. Wilhelm
Reich, Gèza Ròheim, Herbert Marcuse, Astrolabio, 1970.
9: Per un approfondimento si rimanda
al testo di Alexander Neill, I ragazzi
felici di Summerhill, Red Edizioni,
2012.
10:
Ibid., p.
41.
11:
Alexander Neill, A radical approach to
child rearing, Penguin Book, 1990, p.91.
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