L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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venerdì 17 agosto 2012

J. EDGAR (Clint Eastwood, 2011), di Pino Bertelli

 Ogni servitù è volontaria e dipende solo dal consenso di coloro sui quali si esercita il potere.
Da qui questa frase sublime [di Étienne de La Boétie]: «Siate risoluti a non servire e sarete liberi».
(Michel Onfray)
  
I. I funesti profeti della società liquida 

Non c’è cinema che non sia dell’anima... ecco perché sugli schermi della terra passano film che non hanno niente da dire e l’insieme della produzione cinematografica mondiale non è che una messe di banalità illustrate a consumo di folle istupidite dalle illusioni mercantili, foraggiate dai grandi interessi (rapaci) dell’economia politica che indica la rotta ai governi ricchi... gli impoveriti sono sempre più impoveriti dagli indici delle Borse internazionali che giocano a nascondino con la verità... la sciatteria impera e la servitù volontaria di grandi pezzi di popolo continua a sostenere la bruttezza di quella società della catastrofe che incide sull’intero pianeta. Tuttavia, ovunque ci sono seminagioni di ribellione e oltre alle “primavere dei gelsomini”, nuove generazioni di indignati prendono in considerazione che non basta più gridare ma dare l’assalto all’impalcatura del potere con altri strumenti di persuasione... la cattiva eternità dei dominatori va abbattuta e sempre più gente (migranti, profughi, disoccupati, precari, esclusi, “quasi adatti”) si riversa nelle strade a danzare leggera su parole di piombo.
La maggior parte dei funesti profeti della cultura (bastardi della politica, tenutari delle fedi monoteiste, saprofiti delle gogne bancarie) stanno al giogo... lavorano all’instaurazione dell’obbedienza e i loro atti in favore delle gerarchie padronali sono riconducibili a crimini di leso linguaggio della verità e della bellezza... l’immensa memoria del sapere umano è violata e i popoli della caduta (o del tramonto annunciato) del capitalismo postmoderno (delocalizzazione del lavoro, democrazie rappresentative, crisi delle ideologie, regimi comunisti che violano i più elementari diritti umani) sono il riflesso di una “società  liquida, esasperata dall’incertezza e dall’instabilità” (Zygmunt Bauman) che umilia la dignità dell’esistenza e i principi dell’identità umana sono affogati nella globalizzazione negativa che vanifica le speranze di accoglienza, fraternità, solidarietà delle minoranze. La mixofobia dei poteri forti produce paura e odio verso lo straniero e depressione delle economie... solo una rottura radicale dello stato di cose esistenti può indurre gli uomini, le donne a comprendere che non hanno più nulla da perdere, se non le proprie catene... l’unica uguaglianza è quella dei diritti umani e alla base dei diritti umani c’è il diritto alla diversità e la conquista del bene comune.
La macchina/cinema è un baraccone indecente dove esibire la demenza senile della propria storia... qui ogni demiurgo è celebrato e ogni servo riabilitato nel cinismo del successo... ogni apologeta infatti dovrebbe essere passato per le armi o assassinato per entusiasmo... “le cattive cause esigono talento o temperamento. Il discepolo, per definizione, non possiede né l’uno né l’altro” (Cioran, diceva). L’utopia libertaria serve a progettare l’avvenire, l’immaginazione artistica prepara il domani (in anarchia) della comunità che viene. Il cinema che conta, dopotutto, è solo amore dell’uomo per l’uomo.
Il vecchio leone di Hollywood, Clint Eastwood, grande restauratore del “cinema classico” americano, fervente repubblicano (anche se qualche volta si è lasciato andare a “simpatie” democratiche, si fa per dire), che si è autodefinito “libertario di destra” (una sciocchezza monumentale, in quanto i libertari autentici disconoscono l’autoritarismo di ogni forma statuale e di ogni fede religiosa)... ha illustrato la vita di J. Edgar Hoover, uno degli uomini più potenti degli Stati Uniti d’America per oltre 50 anni (1924-1972), usando la modulistica dell’agiografia patinata... con J. Edgar (2011) ha portato sullo schermo il camaleontismo di questo fascista omofobo (anche se omosessuale), capo indiscusso dell’Fbi, che è restato in carica durante i mandati di 8 presidenti (ricattandoli tutti). Un intoccabile, paladino dell’anticomunismo più becero, che ha usato la schedatura di politici, affaristi, criminali a proprio favore, fino ad esercitare, orientare, influenzare l’oscura vita politica di un’intera nazione.
  
II. J. Edgar

In J. Edgar Clint Eastwood racconta (con un buonismo da cartolina illustrata) l’ascesa di questo funzionario pubblico al potere... la fondazione dell’Ufficio federale (1924), i legami particolari con la madre e il rapporto omosessuale con Clyde Tolson, suo fedele collaboratore... frequentatore di salotti buoni, curato nel vestire, redattore di dossier sovente falsificati, Hoover esce dal film come un difensore dei cittadini americani e passando dalle vessazioni rimaste impunite del “maccattartismo” contro la lebbra del comunismo nel cinema hollywoodiano (che Eastwood sorvola), diventa celebre per avere fatto uccidere il nemico numero 1 dell’America (Dillinger, 1934) e assicurato alla forca l’assassino del figlio di Lindbergh (l’eroe dei cieli, che aveva trasvolato dell’Oceano Atlantico in solitario, 1927). In mezzo c’era da dire che Hoover aveva fatto dell’intercettazione telefonica non solo un dispositivo per conoscere le inclinazioni sessuali dei politici e tenerli in pugno e oltre a denunciare il “pericolo rosso” (una sua ossessione) che vedeva perfino nei cessi del ristorante dove ha mangiato tutta una vita (insieme a Tolson), si è prodigato per arginare l’emersione libertaria delle giovani generazioni e la rivolta planetaria che prese il via nell’università di Berkley nel ’64, quando gli studenti la occuparono e si affrancarono all’impegno internazionalista/insurrezionale di Ernesto “Che” Guevara. (Nota a margine: nel ’68 9 premi nobel lavoravano in quella università, ed è stata sede di uno tra i più importanti movimenti culturali e politici del mondo che ha combattuto contro il razzismo e la guerra).
Il film di Eastwood si sofferma molto sulla parte privata di Hoover (Leonardo Di Caprio si cala nel personaggio con autorevolezza, anche se il trucco, come quello di Tolson, è davvero pesante, quasi una maschera)... Judi Dench (Anne Marie Hoover) rispetta i canoni recitativi della madre oppressiva e Armie Hammer (Clyde Tolson) figura l’amante di Hoover con la grazia necessaria... tuttavia la storia di questo falso puritano non avvince, né il regista sembra incline a buttarlo giù dal suo trono di carte segrete (mai trovate dopo la sua morte). Alcuni documentari (e qualche film) però sembrano deputare lo scandalo Watergate (l’albergo in cui furono effettuate intercettazioni telefoniche abusive dei politici) a certe schede consegnate da un uomo di Hoover (William Mark Felt) ai giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, che provocarono la caduta del presidente regnante Richard Nixon.
Eastwood sembra affascinato dalla figura di Hoover... filma Di Caprio come un sognatore anomalo... traccia sì le sue debolezze, ma è la statura di uomo potente che butta sullo schermo... ne fa un patriota... manipolatore ma idealista, meschino ma risoluto, l’effigie di un grande poliziotto che lavora per salvare l’America dai suoi detrattori. La sceneggiatura di Dustin Lance Black è di quelle scritte con lo sguardo rivolto alla pubblica opinione e l’uomo di “sani principi” finisce in una statua nei parchi pubblici. Il montaggio di Gary Roach esegue una partitura lenta, agevola lunghe sequenze a descrizioni ambientali depositate in una pregevole scenografia (James J. Murakami) e insieme alla fotografia livida di Tom Stern architettano un film lungo (137 minuti), pesante, anche fastidioso, che idolatra uno dei peggiori interpreti della democrazia americana. Eastwood sembra non sapere che ci sono teocrazie che si distruggono mostrandole, semplicemente. La libertà di pensiero, per definizione, non prega mai (semmai incendia gli scranni dell’ordine costituito).
In J. Edgar c’è una sorta di legittimazione dell’operato di Hoover... esperto non solo in impronte digitali, abile ricattatore dei potenti, sagace propugnatore di se stesso e della sua immagine pubblica... più di ogni cosa a Eastwood sembra interessare la leggenda mediatica dell’inventore dell’FBI (oltre a quella privata), anche quando è un fantoccio risibile con la stampa, la radio, la televisione... partecipa alla sua mitografia e di quel mostro infarcito di autoritarismo qual era, ne fa un padre tutore della patria. Nel cinema, ma non solo, quando vi sono certezze, viene a meno la poesia. La cura della realtà è la prerogativa di coloro che non vogliono oscurare la verità. Il linguaggio aulico che il regista dissemina qua e là nel film è solo bassa letteratura camuffata dal senso forte dell’inquadratura e quando l’uniformità di qualsiasi forma di comunicazione canta solo se stessa, equivale al nulla.
Eastwood rilegge Hoover con lo sguardo di Hoover...  tra l’ingenuo e l’eroico, il sarcastico e l’informe... non coglie l’esaltazione, la schizofrenia, l’insignificanza di un uomo incapace di amare e di essere amato, tutto sistemato nelle armature del sistema, senza una stilla di vita autentica... un mistificatore, il servo contento di un padrone gabbato... Hoover, ricordiamolo, esprime come pochi la “banalità del male” della quale scriveva Hannah Arendt riguardo a Karl Adolf Heichmann, impiccato (giustamente) per crimini commessi contro l’umanità (era stato uno dei responsabili della Shoah e aveva sostenuto che obbediva soltanto a ordini superiori). Gli uomini di potere passano, le loro devastazioni sociali restano.
I velinari della stampa italiana (ma non solo) hanno applaudito il film di Eastwood con lodi sperticate e lo hanno imbalsamato in onorificenze sacrali... nessuno si è accorto (o non ha voluto vedere) che il regista americano ha evitato di mettere a fuoco con esattezza il cuore della tragedia di un uomo, il marketing del suo operato e la criminosa svendita di legalità in cambio di consenso e di potere. J. Edgar è un’operazione di restauro della verità tradita e svenduta agli abusi e ai soprusi delle idee dominanti... è parte della struttura consortile del mercato cinematografico che fa dell’immaginario collettivo la filosofia della rassegnazione e dell’indifferenza. Questo modo di fare cinema lavora ad una fenomenologia dell’uniformazione e del conformismo e ciò che più conta, alimenta l’esercizio del potere e ne giustifica gli orrori.
J. Edgar è deprecabile sotto ogni aspetto... sembra mostrare la lotta di un funzionario del governo contro il crimine... Eastwood lascia sullo sfondo mezzo secolo di storia americana, ispeziona la sua metodologia investigativa, spregiudicata ma efficace... il ritratto geniale che restituisce però non è quello di un burocrate perfido, soprattutto rimanda a un esercizio di ammirazione per il conservatore che odora di potere come un cane da riporto... c’è una compiaciuta complicità con la furbizia di Hoover, per il quale la sola società possibile è quella che tiene dissidenti e sudditi al loro posto... nelle fogne. Un po’ poco per quello che è stato definito un “grande film”.
Il cinema che amiamo è quello che lavora a una filosofia del risveglio, dell’interrogazione e fa dell’esperienza veridica l’immagine fondante di tutte le insurrezioni (e uscita per sempre dalla perduta infanzia)... un cinema libertario nel quale apprendiamo il buon uso dell’indignazione, dove la relazione tra verità e bellezza partecipa alla vita politica e diventa ricerca, conoscenza e si fa storia... percepire significa essere percepiti e ogni opera d’arte autentica mostra che l’uso della libertà è avere il diritto di usarla. La libertà è l’esatta misura del dovuto a ogni essere umano e la bellezza è la forma compiuta della giustizia. L’organizzazione politica di una società libera e giusta è tutta qui.

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 2 volte febbraio 2012

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.