di Antonella Marazzi
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Nel 2013, al momento dell’elezione al soglio pontificio, il cardinale Bergoglio scelse il nome significativo di Francesco. Il primo papa nella secolare storia della Chiesa cattolica a volersi chiamare con lo stesso nome del Poverello di Assisi. Sembrò un gesto che poteva essere significativo e preludere a un pontificato di rottura, come eera stato di rottura per la storia della Chiesa l’arrivo sulla scena di Francesco d’Assisi, un uomo destinato a dare un nuovo impulso, riformatore e dissacratore, alla dottrina della Chiesa di allora. Un uomo, quindi, che avrebbe tentato di modificarla rofondamente, scontrandosi col potere temporale accumulato dai pontificati succedutisi nel tempo: un chiaro ritorno al messaggio evangelico di Gesù? una vera rivoluzione?
Bergoglio, però, ha emulato il ricco Francesco che si fece povero e nudo, solo nel nome. Non ha apportato alcun significativo e sostanziale cambiamento nella dottrina cattolica; non ha imposto alcuna vera riforma e il potere della Curia romana ne è uscito di fatto indenne.
Nnvi sono dubbi che Francesco I sia stato profondamente diverso e apparentemente lontano dalla pessima figu, conservatrice e reazionari, del Papa che lo aveva preceduto. I media ce lo hanno presentato sempre in una veste umana e disponibile, a differenza del rigido formalismo in cui si era sempre trincerato il papa tedesco, il presunto grande teologo Benedetto XVI.
Francesco era una personaggio che ispirava simpatia. Quel suo essere alla mano, la battuta pronta, l’ironia bonaria, a volte la risposta tagliente. Tutto ciò è piaciuto molto alle masse - non solo cattoliche - che lo hanno amato e vezzeggiato. Meno, invece, a una parte consistente delle alte sfere vaticane, che nella sua indipendenza e iniziativa autonoma vedeva un costante pericolo per il proprio potere e la propria stabilità.
A voler dare un giudizio sintetico del suo pontificato e della sua figura, si può dire che Bergoglio è stato molto innovatore nella forma, soprattutto nella forma del linguaggio, che usava nelle sue esternazioni verbali. Ma il contenuto delle sue encicliche non ha apportato alcuna vera innovazione nel conservatorismo della dottrina.
È vero, ha accolto con benevolenza gli omosessuali, come credenti meritevoli di essere accettati nel grande abbraccio di una Chiesa consolatoria e comprensiva delle debolezze umane. Ha tuonato contro i preti pedofili. È sempre apparso molto disponibile nei confronti dei cosiddetti «ultimi»: barboni, carcerati, transessuali, prostitute. Per tutti costoro ha sempre avuto parole che sono apparse misericordiose. Li ha anche aiutati concretamente. I barboni hanno trovato ricovero sotto il colonnato adiacente a S. Pietro, e anche in altre strutture al chiuso sono state aperte mense per le persone indigenti. È andato a trovare più volte i carcerati romani. In occasione della sua prima Pasqua da papa, si recò a Casal del Marmo nel carcere minorile, il Giovedì santo e si prostrò davanti a dieci ragazzi e due ragazze, di cui una di religione islamica, lavando loro i piedi. Un comportamento indubbiamente di grande umiltà e rispetto per gli «ultimi», ma anche di grande effetto mediatico. Ha accolto nelle sue udienze del mercoledì omosessuali e transessuali, facendo gesti che esprimevano la sua umana comprensione e un paterno interessamento verso questi «diversi». Anche nei confronti delle donne ha dimostrato rispetto e considerazione. Ancora gesti, ancora parole.
Vediamo però nella sostanza quali sono state le scelte concrete di papa Francesco.
Sui preti pedofili e autori di molestie sessuali: in sostanza, solo parole molto dur e denunce verbali del fenomeno. Del resto non si poteva tacere oltre, in una realtà che vede emergere sempre più casi di pedofilia sacerdotale. Ciò per merito soprattutto delle vittime che stanno trovando il coraggio di denunciare, e non tanto per una volontà effettiva da parte della Chiesa di eliminare il problema, prendendo provvedimenti chiari ed espliciti di esclusione dei preti colpevoli, definendo finalmente la questione sanzionatoria in termini dottrinari.
Dietro a queste resistenze c’è lo spinosissimo problema del celibato e della castità cui si dovrebbe dare risposta riformando la figura del sacerdote, concedendogli il matrimonio e la possibilità di avere figli. Problema che Bergoglio si è ben guardato dal nominare, vista la sua intransigenza conservatrice in materia. Per non parlare della presenza di preti omosessuali, fin nelle più alte sfere vescovili e cardinalizie,di cui si tace o si nega la presenza. Una prassi secolare consolidata e fatta propria da Bergoglio. Come pure il silenzio sui rapporti sessuali, consenzienti o meno, dei sacerdoti con le donne, prassi anche questa più che centenaria e oggetto perfino delle battute salaci del popolino che, da sempre, ha spettegolato sulla «vita matrimoniale» tra parroco e perpetua.
Nell’àmbito di questa problematica vi è poi il gravissimo problema delle molestie sessuali e degli abusi perpetrati da sacerdoti o frati nei confronti di suore. Episodi che sono numerosi, ma da sempre sottaciuti e nascosti, non rivelati. Va detto, comunque, che Bergoglio ha voluto fosse organizzato nel 2019 un convegno sugli abusi sessuali, incentrato sui minori, nel quale, alla fine, è stata fatta parlare una suora vittima di terribili minacce e abusi da parte di un prete abusatore che l’ha anche costretta a ben tre aborti sotto minaccia di ricatto. Ma negli atti pubblicati la suora è rimasta anonima, come pure il nome del suo abusatore e del Paese in cui è avvenuto l’episodio: sulla questione è calato un silenzio sepolcrale. Come del resto rimanere sorpresi? Qui si uniscono gli abusi sessuali, gli stupri, e ben tre aborti, contro cui Bergoglio ha sempre tuonato, definendo l’aborto come un «sicario» pronto a risolvere il problema.
Sulle donne. Le donne sono da sempre presenti e attive nella vita della Chiesa, svolgendo di fatto e da tempo numerosi ruoli che non spetterebbero loro. Papa Francesco ha dunque rimesso le cose in ordine concedendo finalmente anche alle donne la possibilità di accedere a due ministeri: l’accolitato e il lettorato, cioè di servire all’altare e di poter leggere le Sacre scritture durante la Messa - mansioni, appunto, che le donne già da tempo assolvevano. A differenza di altre notizie più scottanti, a questa è stata data grande diffusione e risalto. Non ha però concesso il ministero più importante, il diaconato, come richiesto da più voci, nonostante anche questo lo esercitino da vario tempo, soprattutto nelle missioni.
Inoltre, nell’esortazione Evangelii gaudium ha precisato.
«La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividano responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti (...) Ma c’e ancora bisogno di allargare gli spazi, per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa».
E ancora: «Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi».
E ancora: «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (...)».
A parole, papa Francesco è andato anche molto oltre. Ha affermato che «la Chiesa è donna» e ha aggiunto che infatti si dice «la Chiesa» e non «il Chiesa». Queste parole possono sembrare dirompenti, ma in realtà risultano soprattutto manipolatorie. Perchè il sostantivo femminile non connota di per sé nomi portatori di una sostanza femminile. Valga per tutti l’esempio del sostantivo «la Curia» che è sì, di genere femminile, ma che schiera al suo interno, per la quasi totalità, uomini. È quindi profondamente maschile e maschilista.
Vediamo qual è stato il contributo di Bergoglio all’apertura di questa struttura - che rappresenta, in concreto, il governo della Chiesa cattolica - alle donne. Innanzittutto ha riformato il nome delle sue Congregazioni trasformandolo in Dicasteri. Oggi dunque la Curia romana si articola in 16 Dicasteri. All’interno di questi, vi era già un’esigua presenza di donne nominate in precedenza, con funzioni esecutive di segretaria e di vicesegretaria. Bergoglio ha affidato la direzione teologico pastorale del dicastero della Comunicazione (a capo del quale ha posto il laico Paolo Ruffini) alla slovena Nataša Govekar; ha nominato Christine Murray vicedirettore della Sala stampa e suor Nathalie Becquart sottosegretaria del Sinodo.
Poco prima di morire, nei primi mesi del 2025, sono arrivate le due nomine più importanti e significative: suor Simona Brambilla a capo del dicastero per la Vita consacrata e suor Raffaella Petrini presidente del Governatorato dello Stato Città del Vaticano. In conclusione, un solo Dicastero ha come dirigente una donna. 1 su 16. Inoltre, secondo dati vaticani, la presenza femminile complessiva in tutte le strutture in cui si articola lo Stato vaticano ammonterebbe in percentuale a circa il 24 per cento del totale. Un quarto potrebbe apparire una cifra significativa; ma il fatto è che la quasi totalità di queste donne ha funzioni meramente esecutive e subordinate a direzioni maschili. Del resto in organismi così accentratori e dominati dagli uomini, quale donna oserebbe assumere posizioni di critica effettiva? Per esempio, chi si prenderebbe la responsabilità di denunciare gli abusi sessuali dei prelati sulle suore o sui minori, maschi e femmine?
Ma al di là dei numeri, e delle molte parole dette da Bergoglio in favore delle donne, il problema centrale rimane: quanto è cambiato il ruolo delle donne all’interno del Vaticano e della Chiesa tutta e quanta voce sarà concessa loro? Potranno incidere realmente nelle scelte difficili che si pongono al Cattolicesimo che da lungo tempo vive una crisi profonda di ideali, di vocazioni, di fedeli effettivamente credenti e praticanti?
Possiamo forse dire che le scelte che Francesco ha fatto in favore delle donne - ripetiamo, molte a parole e poche nella sostanza - vadano effettivamente nel senso di una presenza più incisiva e reale delle donne all’interno delle strutture cattoliche, una presenza che risponda realmente alla necessità di eguaglianza tra i due sessi tanto sbandierata dal papa appena defunto? Non lo crediamo, perché nell’ombra rimane il problema insoluto che tante altre chiese cristiane hanno affrontato e risolto da tempo: il riconoscimento del sacerdozio femminile. Solo con questo si potrà avere la speranza che sia raggiunta un giorno, nella Chiesa, la parità uomo-donna e il riconoscimento dei pieni diritti di quest’ultima a essere considerata e trattata alla stessa stregua dell’uomo.
Il riconoscimento del sacerdozio femminile e l’abolizione del voto di castità, con conseguente possibilità per i preti di accedere al matrimonio e alla paternità, sono i due macigni che impediscono alla Chiesa di avere un futuro e che dunque devono essere necessariamente superati. Solo così la Chiesa cattolica potrà avere la speranza di risolvere parte notevole dei suoi problemi.
Con tutta la sua bonomia e ironia, ma anche con tutto il suo conservatorismo e autoritarismo, papa Francesco non ha, in realtà, neppure accennato ad affrontare questi problemi.
Nonostante la spettacolarizzazione della sua morte e dei suoi funerali, nonostante il plauso e la simpatia delle masse, Bergoglio non sarà ricordato come un papa che abbia apportato significativi cambiamenti nella storia della Chiesa cattolica. A differenza di Giovanni XXIII - un papa cui in fondo lo avvicinavano l’apparente bonomia e la cura degli «ultimi» - che però alle parole fece seguire fatti come la convocazione del Concilio Vaticano II. Papa Roncalli è stato un vero riformatore, morto troppo presto prima di aver compiuto la sua opera: Bergoglio una sua sbiadita fotocopia.
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