L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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mercoledì 30 aprile 2025

FRANCESCO DI NOME, MA NON DI FATTO

di Antonella Marazzi


ITALIANO - ENGLISH


Nel 2013, al momento dell’elezione al soglio pontificio, il cardinale Bergoglio scelse il nome significativo di Francesco. Il primo papa nella secolare storia della Chiesa cattolica a volersi chiamare con lo stesso nome del Poverello di Assisi. Sembrò un gesto che poteva essere significativo e preludere a un pontificato di rottura, come eera stato di rottura per la storia della Chiesa l’arrivo sulla scena di Francesco d’Assisi, un uomo destinato a dare un nuovo impulso, riformatore e dissacratore, alla dottrina della Chiesa di allora. Un uomo, quindi, che avrebbe tentato di modificarla rofondamente, scontrandosi col potere temporale accumulato dai pontificati succedutisi nel tempo: un chiaro ritorno al messaggio evangelico di Gesù? una vera rivoluzione?

Bergoglio, però, ha emulato il ricco Francesco che si fece povero e nudo, solo nel nome. Non ha apportato alcun significativo e sostanziale cambiamento nella dottrina cattolica; non ha imposto alcuna vera riforma e il potere della Curia romana ne è uscito di fatto indenne.

Nnvi sono dubbi che Francesco I sia stato profondamente diverso e apparentemente lontano dalla pessima figu, conservatrice e reazionari, del Papa che lo aveva preceduto. I media ce lo hanno presentato sempre in una veste umana e disponibile, a differenza del rigido formalismo in cui si era sempre trincerato il papa tedesco, il presunto grande teologo Benedetto XVI.

Francesco era una personaggio che ispirava simpatia. Quel suo essere alla mano, la battuta pronta, l’ironia bonaria, a volte la risposta tagliente. Tutto ciò è piaciuto molto alle masse - non solo cattoliche - che lo hanno amato e vezzeggiato. Meno, invece, a una parte consistente delle alte sfere vaticane, che nella sua indipendenza e iniziativa autonoma vedeva un costante pericolo per il proprio potere e la propria stabilità. 

A voler dare un giudizio sintetico del suo pontificato e della sua figura, si può dire che Bergoglio è stato molto innovatore nella forma, soprattutto nella forma del linguaggio, che usava nelle sue esternazioni verbali. Ma il contenuto delle sue encicliche non ha apportato alcuna vera innovazione nel conservatorismo della dottrina.

È vero, ha accolto con benevolenza gli omosessuali, come credenti meritevoli di essere accettati nel grande abbraccio di una Chiesa consolatoria e comprensiva delle debolezze umane. Ha tuonato contro i preti pedofili. È sempre apparso molto disponibile nei confronti dei cosiddetti «ultimi»: barboni, carcerati, transessuali, prostitute. Per tutti costoro ha sempre avuto parole che sono apparse misericordiose. Li ha anche aiutati concretamente. I barboni hanno trovato ricovero sotto il colonnato adiacente a S. Pietro, e anche in altre strutture al chiuso sono state aperte mense per le persone indigenti. È andato a trovare più volte i carcerati romani. In occasione della sua prima Pasqua da papa, si recò a Casal del Marmo nel carcere minorile, il Giovedì santo e si prostrò davanti a dieci ragazzi e due ragazze, di cui una di religione islamica, lavando loro i piedi. Un comportamento indubbiamente di grande umiltà e rispetto per gli «ultimi», ma anche di grande effetto mediatico. Ha accolto nelle sue udienze del mercoledì omosessuali e transessuali, facendo gesti che esprimevano la sua umana comprensione e un paterno interessamento verso questi «diversi». Anche nei confronti delle donne ha dimostrato rispetto e considerazione. Ancora gesti, ancora parole.

Vediamo però nella sostanza quali sono state le scelte concrete di papa Francesco. 

Sui preti pedofili e autori di molestie sessuali:  in sostanza, solo parole molto dur e denunce verbali del fenomeno. Del resto non si poteva tacere oltre, in una realtà che vede emergere sempre più casi di pedofilia sacerdotale. Ciò  per merito soprattutto delle vittime che stanno trovando il coraggio di denunciare, e non  tanto per una volontà effettiva da parte della Chiesa di eliminare il problema, prendendo provvedimenti chiari ed espliciti di esclusione dei preti colpevoli, definendo finalmente la questione sanzionatoria in termini dottrinari.

Dietro a queste resistenze c’è lo spinosissimo problema del celibato e della castità cui si dovrebbe dare risposta riformando la figura del sacerdote, concedendogli il matrimonio e la possibilità di avere figli. Problema che Bergoglio si è ben guardato dal nominare, vista la sua intransigenza conservatrice in materia. Per non parlare della presenza di preti omosessuali,  fin nelle più alte sfere vescovili e cardinalizie,di cui si tace o si nega la presenza. Una prassi secolare consolidata e fatta propria da Bergoglio. Come pure il silenzio sui rapporti sessuali, consenzienti o meno, dei sacerdoti con le donne, prassi anche questa più che centenaria e oggetto perfino delle battute salaci del popolino che, da sempre, ha spettegolato sulla «vita matrimoniale» tra parroco e perpetua. 

Nell’àmbito di questa problematica vi è poi il gravissimo problema delle molestie sessuali e degli abusi perpetrati da sacerdoti o frati nei confronti di suore. Episodi che sono numerosi, ma da sempre sottaciuti e nascosti, non rivelati. Va detto, comunque, che Bergoglio ha voluto fosse organizzato nel 2019 un convegno sugli abusi sessuali, incentrato sui minori, nel quale, alla fine, è stata fatta parlare una suora vittima di terribili minacce e abusi da parte di un prete abusatore che l’ha anche costretta a ben tre aborti sotto minaccia di ricatto. Ma negli atti pubblicati la suora è rimasta anonima, come pure il nome del suo abusatore e del Paese in cui è avvenuto l’episodio: sulla questione è calato un silenzio sepolcrale. Come del resto rimanere sorpresi? Qui si uniscono gli abusi sessuali, gli stupri, e ben tre aborti, contro cui Bergoglio ha sempre tuonato, definendo l’aborto come un «sicario» pronto a risolvere il problema. 

Sulle donne. Le donne sono da sempre presenti e attive nella vita della Chiesa, svolgendo di fatto e da tempo numerosi ruoli che non spetterebbero loro. Papa Francesco ha dunque rimesso le cose in ordine concedendo finalmente anche alle donne la possibilità di accedere a due ministeri: l’accolitato e il lettorato, cioè di servire all’altare e di poter leggere le Sacre scritture durante la Messa - mansioni, appunto, che le donne già da tempo assolvevano. A differenza di altre notizie più scottanti, a questa è stata data grande diffusione e risalto. Non ha però concesso il ministero più importante, il diaconato, come richiesto da più voci, nonostante anche questo lo esercitino da vario tempo, soprattutto nelle missioni.

Inoltre, nell’esortazione Evangelii gaudium ha precisato.

«La Chiesa riconosce l’indispensabile apporto della donna nella società, con una sensibilità, un’intuizione e certe capacità peculiari che sono solitamente più proprie delle donne che degli uomini. Ad esempio la speciale attenzione femminile verso gli altri, che si esprime in modo particolare, anche se non esclusivo, nella maternità. Vedo con piacere come molte donne condividano responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti (...) Ma c’e ancora bisogno di allargare gli spazi, per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa».

  E ancora: «Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri. Di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi».

  E ancora: «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere (...)».

A parole, papa Francesco è andato anche molto oltre. Ha affermato che «la Chiesa è donna» e ha aggiunto che infatti si dice «la Chiesa» e non «il Chiesa». Queste parole possono sembrare dirompenti, ma in realtà risultano soprattutto manipolatorie. Perchè il sostantivo femminile non connota di per sé nomi portatori di una sostanza femminile. Valga per tutti  l’esempio del sostantivo «la Curia» che è sì, di genere femminile, ma che schiera al suo interno, per la quasi totalità, uomini. È quindi profondamente maschile e maschilista.

Vediamo qual è stato il contributo di Bergoglio all’apertura di questa struttura - che rappresenta, in concreto, il governo della Chiesa cattolica - alle donne. Innanzittutto ha riformato il nome delle sue Congregazioni  trasformandolo in Dicasteri. Oggi dunque la Curia romana si articola in 16 Dicasteri. All’interno di questi, vi era già un’esigua presenza di donne nominate in precedenza, con funzioni esecutive di segretaria e di vicesegretaria. Bergoglio ha affidato la direzione teologico pastorale del dicastero della Comunicazione (a capo del quale ha posto il laico Paolo Ruffini) alla slovena Nataša Govekar; ha nominato Christine Murray vicedirettore della Sala stampa e suor Nathalie Becquart sottosegretaria del Sinodo.

Poco prima di morire, nei primi mesi del 2025, sono arrivate le due nomine più importanti e significative: suor Simona Brambilla a capo del dicastero per la Vita consacrata e suor Raffaella Petrini presidente del Governatorato dello Stato Città del Vaticano. In conclusione, un solo Dicastero ha come dirigente una donna. 1 su 16. Inoltre, secondo dati vaticani, la presenza femminile complessiva in tutte le strutture in cui si articola lo Stato vaticano ammonterebbe in percentuale a circa il 24 per cento del totale. Un quarto potrebbe apparire una cifra significativa; ma il fatto è che la quasi totalità di queste donne ha funzioni meramente esecutive e subordinate a direzioni maschili. Del resto in organismi così accentratori e dominati dagli uomini, quale donna oserebbe assumere posizioni di critica effettiva? Per esempio, chi si prenderebbe la responsabilità di denunciare gli abusi sessuali dei prelati sulle suore o sui minori, maschi e femmine? 

Ma al di là dei numeri, e delle molte parole dette da Bergoglio in favore delle donne, il problema centrale rimane: quanto è cambiato il ruolo delle donne all’interno del Vaticano e della Chiesa tutta e quanta voce sarà concessa loro? Potranno incidere realmente nelle scelte difficili che si pongono al Cattolicesimo che da lungo tempo vive una crisi profonda di ideali, di vocazioni, di fedeli effettivamente credenti e praticanti?

Possiamo forse dire che le scelte che Francesco ha fatto in favore delle donne - ripetiamo, molte a parole e poche nella sostanza - vadano effettivamente nel senso di una presenza più incisiva e reale delle donne all’interno delle strutture cattoliche, una presenza che risponda realmente alla necessità di eguaglianza tra i due sessi tanto sbandierata dal papa appena defunto? Non lo crediamo, perché  nell’ombra rimane il problema insoluto che tante altre chiese cristiane hanno affrontato e risolto da tempo: il riconoscimento del sacerdozio femminile. Solo con questo si potrà avere la speranza che sia raggiunta un giorno, nella Chiesa, la parità uomo-donna  e il riconoscimento dei pieni diritti di quest’ultima a essere considerata e trattata alla stessa stregua dell’uomo.

Il riconoscimento del sacerdozio femminile e l’abolizione del voto di castità, con conseguente possibilità per i preti di accedere al matrimonio e alla paternità, sono i due macigni che impediscono alla Chiesa di avere un futuro e che dunque devono essere necessariamente superati. Solo così la Chiesa cattolica potrà avere la speranza di risolvere parte notevole dei suoi problemi. 

Con tutta la sua bonomia e ironia, ma anche con tutto il suo conservatorismo e autoritarismo, papa Francesco non ha, in realtà, neppure accennato ad affrontare questi problemi.

Nonostante la spettacolarizzazione della sua morte e dei suoi funerali, nonostante il plauso e la simpatia delle masse, Bergoglio non sarà ricordato come un papa che abbia apportato significativi cambiamenti nella storia della Chiesa cattolica. A differenza di Giovanni XXIII - un papa cui in fondo lo avvicinavano l’apparente bonomia e la cura degli «ultimi» - che però alle parole fece seguire fatti come la convocazione  del Concilio Vaticano II. Papa Roncalli è stato un vero riformatore, morto troppo presto prima di aver compiuto la sua opera: Bergoglio una sua sbiadita fotocopia.


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giovedì 24 aprile 2025

PAPA FRANCESCO È MORTO, MA NON È UN «DESAPARECIDO»

di Roberto Massari


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Il 266° papa (7° della mia vita) è morto e la società dello spettacolo sta riportando uno dei suoi più grandi successi in gran parte del mondo. In alcuni paesi (a partire dall’Italia) gli abitanti sembrano impazziti, presi da una smania di celebrazioni. E questa follia è sorta in onore di un normalissimo essere umano, del quale, a voler essere generosi, il meno che si può dire è che per l’umanità non ha fatto nulla di concreto, nulla di realmente positivo.

Non si era mai visto niente di simile in precedenza, benché non siano mancati papi che nel bene o nel male avevano lasciato un proprio segno distintivo nella storia dell’umanità: si pensi a Pio XII per il male e a Giovanni XXIII per il bene. A differenza di questi grandi precedenti, Francesco è riuscito a non concludere nulla di significativo nel corso di 12 anni di pontificato, pur avendo messo molta attenzione a creare e a lasciare un’immagine positiva di se stesso, con gesti e frasi mirate a «umanizzare» la propria figura. Si pensi a quell’unica frasetta sui gay che viene ripetuta a riprova di chissà quale impegno sulle tematiche sessuali o di genere, che invece non c’è stato, mentre le donne cattoliche continuano ad avere i consueti ruoli subalterni nella liturgia e nella pratica confessionale.

Su quelle frasette e quei gesti, privi di qualsiasi effetto o conseguenza, si sta fondando la kermesse celebrativa gestita dai media di gran parte del mondo, secondo un copione che d’ora in avanti si dovrà definire «società dello spettacolo trascendentale».

Tra breve ricomparirà anche lo slogan «Santo subito» che ormai è diventato quasi obbligatorio ad ogni morte di papa. Del resto, se si ha il coraggio di santificare Pio XII, vuol dire che non vi sono più limiti alla vergogna nel conferimento di questo titolo, per il quale un tempo qualcosa di buono si doveva pur fare o qualche prezzo personale si doveva pagare.

Papa Francesco lascia il mondo peggiore di come lo aveva trovato nel 2013 (all’atto dell’elezione) e lascia la Chiesa cattolica in preda a una crisi d’identità che si approfondisce ogni giorno di più, come ben si sa negli ambienti cattolici più sinceri e consapevoli.

Non ha fatto nulla per alleviare le sofferenze del popolo ucraino - vittima di una guerra d'aggressione benedetta dall’altro «papa» cristiano, il patriarca moscovita Kirill - sulle cui sorti si sta invece giocando un pezzo importante di futura storia dell’umanità. E l’assenza di cristiana pietas gli ha impedito di fare qualcosa, anche minimo, per liberare gli ostaggi rapiti da Hamas: gli sarebbe bastato chiedere di incontrarne qualcuno e così facendo avrebbe costretto anche le Nazioni Unite o la Croce Rossa a fare altrettanto. E invece niente. Solo frasette di commiserazione per l’umana sofferenza, prive di qualsiasi efficacia, ma necessarie alla propaganda vaticana per dipingerlo come un «papa buono». 

La morte di Francesco ha prodotto un’ondata di fanatismo apologetico con caratteristiche di isteria di massa. In Italia i giornali e le televisioni non parlano d’altro e le celebrazioni ufficiali del suo funerale saranno certamente molto superiori a quelle già imponenti in occasione dei vergognosi funerali di Stato per Silvio Berlusconi (altro grande manipolatore della società dello spettacolo). Varie personalità della politica e della cultura - che per appartenenza al mondo laico o della ex sinistra avrebbero dovuto avere almeno il pudore di tacere - si sono invece lanciate in manifestazioni di vera e propria venerazione del papa defunto, con toni esaltati che un tempo provenivano solo dagli ambienti vaticani o dal mondo clericale.

Tutti costoro sono però accomunati da una grande ipocrisia. Un’ipocrisia che li fa tacere sulle responsabilità e colpe che questo Papa e la Chiesa argentina ebbero all’epoca della dittatura militare (1976-1983). Eppure nella memoria del popolo argentino è impresso il ricordo del silenzio degli alti livelli della gerarchia cattolica complice con il massacro di 20-30.000 uomini e donne, colpevoli solo di sognare un futuro di progresso e giustizia sociale. Mentre nella memoria del continente latinoamericano è impressa la lotta contro la Teologia della Liberazione che vide Bergoglio svolgere un ruolo di primo piano, purtroppo finendo vincitore.

Bergoglio fu una delle massime autorità della Chiesa cattolica argentina come Provinciale dei gesuiti dal 1973 al 1980, negli anni terribili in cui furono compiuti crimini efferati su decine di migliaia di persone. Crimini che ormai sono in gran parte documentati, grazie soprattutto ai parenti delle vittime e all’Asociación de las Madres de Plaza de Mayo (la cui sede a Buenos Aires sono tornato a visitare nello scorso ottobre). Ebbene, Bergoglio non solo non mosse un dito per ostacolare o almeno ridurre i crimini della giunta militare, ma fu anche coinvolto con responsabilità dirette nel noto episodio che portò al sequestro di due gesuiti suoi confratelli, torturati e successivamente rilasciati senza alcun intervento da parte sua. (Si legga avanti una mia rigorosa ricostruzione dell’accaduto.) 

Queste complicità delle alte gerarchie cattoliche erano note nell’opinione pubblica argentina e per tale ragione, dopo l’elezione di Bergoglio al soglio pontificio - quindi molti anni dopo che esse si erano verificate - si cominciarono a inventare testimonianze (false o comunque indimostrabili) per far credere che il futuro Papa si fosse opposto alla dittatura militare. Un po’ come fu fatto con Pio XII e le su complicità con il nazismo. In Italia si è arrivati addirittura a produrre un film ingenuamente apologetico di papa Francesco e pieno di falsità, ma girato da un noto regista della ex sinistra (Daniele Luchetti).


Negli anni del pontificato di Francesco, Utopia rossa è stata una delle poche voci che ha avuto il coraggio di andare controcorrente. Su questo blog sono stati molti gli articoli in varie lingue critici di questo papa. Ciò è stato vero fin dal momento della sua elezione, a partire da Francesco Zarcone (16 marzo 2013), passando per gli argentini Enzo Valls e Osvaldo Coggiola, oltre al sottoscritto, Francesco Cecchini, Pino Bertelli e altri contributi sparsi.

Come antidoto all’intossicazione di massa che stanno diffondendo i media, può essere utile rileggere alcuni di questi articoli, cliccando semplicemente http://utopiarossa.blogspot.com/search?q=Bergoglio. Lì si trovano tutti, anche se non nell'ordine con cui li riporto qui sotto.

Nei prossimi giorni forse dovremmo ripubblicare alcuni di questi materiali, sia per un semplice dovere informativo, sia per cercare di arginare l’ondata isterica di massa che sta coinvolgendo l’intero schieramento poliitco di alcuni paesi. In Italia si va da esponenti della ex estrema sinistra (quella che io chiamo sinistra reazionaria) fino ai nostalgici del fascismo: il regime che, com’è noto, strinse un’alleanza di imperitura subordinazione al Vaticano, poi codificata nella Costituzione italiana e aggravata da tutti i successivi regimi fino ai nostri giorni. E come editore sarebbe forse mio dovere raccogliere questi e altri possibili contribuiti perché nel futuro rimanga un minimo di documentazione per denunciare questa gigantesca e vergognosa manipolazione della coscienza delle masse.

Ciò che sto qui dicendo, non ha alcun rapporto col dolore che umanamente si può provare per qualunque essere umano che muoia: papa, sacerdote, sindacalista o guerrigliero che sia. Ma non è di questo tipo di dolore che stiamo qui parlando.

 


ARTICOLI DI CRITICA A PAPA FRANCESCO PUBBLICATI IN UTOPIA ROSSA

(leggere dal fondo verso l’alto)


giovedì 9 gennaio 2025

«BERGOGLIOMANIA» E CRISE por Osvaldo Coggiola

PORTUGUÊS - ITALIANO - ENGLISH 


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domenica 5 gennaio 2025

PAPA FRANCESCO: UN ESPERTO IN GENOCIDI di Roberto Massari 

ITALIANO - ENGLISH

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giovedì 4 agosto 2016

BERGOGLIO E LA GUERRA DI RELIGIONE di Pier Francesco Zarcone

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martedì 19 gennaio 2016

DA BERGOGLIO A PAPA FRANCESCO di Francesco Cecchini

BERGOGLIO GESUITA E MILITANTE DELLA GUARDIA DE HIERRO

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sabato 16 gennaio 2016

CHIAMATEMI FRANCESCO - IL PAPA DELLA GENTE (Daniele Luchetti, 2015) di Pino Bertelli


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giovedì 10 dicembre 2015

DESAPARECIDOS, CHIAMATEMI BERGOGLIO di Roberto Massari

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dicembre 2013


PAPA FRANCESCO E LA DITTATURA MILITARE ARGENTINA di Roberto Massari

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domenica 24 marzo 2013

DI QUALE ARGENTINA È FIGLIO PAPA FRANCESCO? di Roberto Massari ed Enzo Valls


Lettere a un sacerdote

ITALIANO - ESPAÑOL

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sabato 16 marzo 2013

HABEMUS PAPAM: SÌ, PERÒ… di Pier Francesco Zarcone

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ENGLISH

domenica 20 aprile 2025

LA LOTTA ANTIMPERIALISTA E DEMOCRATICA DEL CONFEDERALISMO CURDO

di Piero Bernocchi


ITALIANO - ENGLISH


La lotta antimperialista e democratica del confederalismo curdo è la più avanzata degli ultimi decenni

Relazione di Piero Bernocchi alla Conferenza Internazionale "Libertà per Öcalan: una soluzione politica per la questione curda", Roma 11 aprile 2025 

Alcuni mesi fa ho pubblicato sul mio sito, a titolo personale e non in quanto portavoce della Confederazione Cobas, un articoletto di sentito rammarico per la scarsa, a mio avviso, mobilitazione  in solidarietà con la lotta del popolo curdo contro l'aggressione criminale di Erdoğan in Turchia e in Siria. Sottolineavo come sarebbe stato auspicabile che, sulla base del drammatico appello del Congresso Nazionale del Kurdistan di quei giorni, in particolare la sinistra conflittuale, antagonista, radicale o anticapitalista che dir si voglia, coinvolta nella sacrosanta mobilitazione permanente per i palestinesi, dedicasse analogo impegno a favore dei fratelli e sorelle curdi. Ma aggiungevo anche il mio timore che ciò non sarebbe accaduto, poichè il criminale Erdoğan e l'iper nazionalismo turco sembrava non suscitare lo stesso sdegno del Netanyahu massacratore. E segnalavo il mio stupore per questa differenza di impegno, ritenendo io i curdi/e l'espressione più luminosa di una rivoluzione politica, civile, sociale, morale e culturale,  che li dovrebbe rendere degni del massimo impegno solidale. E domandavo: perchè per i curdi "nel movimento" non si spendono energie paragonabili a quelle viste per i palestinesi egemonizzati, con le buone o le cattive, da Hamas? Perchè non era stata occupata non dico una università ma manco un'auletta scolastica in loro nome e difesa? Perchè nessun settore di studenti si è battuto per imporre l'interruzione dei rapporti culturali con le università turche, come si è fatto per quelle israeliane? O perchè non si è praticato alcun boicottaggio dei prodotti turchi come avvenuto per Israele?  

Malgrado lo scritto abbia avuto una discreta diffusione, non ho ricevuto vere risposte, se non alcuni scomposti attacchi, aggressivi e offensivi, da parte di chi vedeva nelle mie domande un attacco ai palestinesi o una pretesa di dare voti alle varie lotte popolari e di resistenza, dividendole in "buone" da premiare e "cattive" da trascurare. Per la verità un tentativo di risposta c'è stata, ma sono persino imbarazzato nel riferirvele, perchè veniva da sciagurati capaci di considerare i curdi non meritevoli di solidarietà in quanto "vassalli dell'imperialismo americano" per il loro ricevere armi e aiuti militari dagli Usa. Posizioni non meritevoli di risposta, visto che l'aiuto degli Us al curdi siriani è avvenuto solo perchè gli eroici combattenti curdi erano in primissima fila, e versavano sangue a fiumi, in difesa del Medio Oriente e del mondo in generale, contro i tagliagole massacratori del Daesh/Isis. Al punto da interrompere gli aiuti una volta che le milizie del Daesh furono sbaragliate dai combattenti curdi, per non parlare dell'assoluta indifferenza attuale dell'orrendo Trump di fronte alle aggressioni del nuovo governo siriano contro le zone amministrate dai curdi del Nord Siria.

Nella relazione che ha preceduto la mia, Emily Clancy (n.b. vicesindaca di Bologna) ha esaltato il fondamentale contributo di Öcalan e del confederalismo democratico per coloro che si battono per un municipalismo democratico, per l'ambientalismo, l'ecologia sociale e il "comunalismo". Io andrei anche oltre, perchè la teoria del confederalismo curdo, elaborata da Öcalan sulla base degli insegnamenti del filosofo socialista e libertario statunitenze Murray Bookchin è, a mio parere, l'elaborazione anticapitalista e antimperialista pià avanzata mai apparsa sulla scena politica internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale. Essa non si limita ad essere una teoria - che rompe con la tradizione marxista-leninista dello stesso Öcalan e del Pkk dei primordi - "dell'amministrazione politica non statale e di una democrazia senza Stato", come nell'eleborazione primaria di Bookchin. Öcalan e il suo confederalismo curdo sono andati oltre, mettendo in luce come un antiimperialismo aggiornato al 21° secolo non possa ignorare che il capitalismo ha mille facce che devono essere tutte contrastate e rovesciate se si vuole sul serio prospettare un superamento dello stesso: dal che, dunque, lo sviluppo di teorie ambientaliste aggiornate, un'elaborazione sull'energia da utilizzare per una buona economia, l'assolutà parità praticata tra uomo e donna, con l'estirpazione del patriarcato e del maschilismo strutturale; il rifiuto del nazionalismo, dell'integralismo religioso e della competizione tra etnie e fedi, l'accettazione dei diversi orientamenti sessuali, la pratica della cooperazione, del dialogo e la ripulsa dell'odio inestinguibile verso l'avversario e persino il nemico, combattuto ma non demonizzato nè brutalizzato.

domenica 13 aprile 2025

CONTRA MILEI: UN LLAMADO A LAS FUERZAS DE LA TIERRA

de Horacio Tarcus

y otra gente de la cultura de Argentina 


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Como escritores, artistas, intelectuales, docentes, investigadores y trabajadores de la cultura, consideramos que es urgente la construcción de una agenda política integral y federal que exprese un compromiso con los derechos, la justicia social, el respeto a las diversas identidades, la igualdad de oportunidades, la autonomía externa y la democracia. Aspiramos a forjar un pacto intergeneracional que permita recuperar la solidaridad colectiva y la recomposición del tejido social. Para anticiparnos a la destrucción total, tenemos que empezar a movilizarnos y construir alternativas desde ahora.


1- Atravesamos tiempos de descomposición política, social, ética y cultural, sacudidos por una crisis climática acelerada y una tecno-plutocracia que nunca pensamos o imaginamos que podríamos vivir. Lejos de ser la excepción, en este escenario mundial tan convulsionado, la radicalidad destructiva y perversa a gran escala que asume el experimento de extrema derecha en la Argentina ha hecho sonar todas las alarmas. Nada bueno puede salir de este proyecto político e ideológico reaccionario, mucho menos en beneficio de los sectores más vulnerables o de los jóvenes, incluso de aquellos que en octubre de 2023 votaron por Javier Milei. Ni siquiera de cara al celebrado control de la inflación, siempre volátil, frente a un ensayo económico ultra-neoliberal inconsistente -cuyo fracaso hemos visto en nuestra historia reciente- y un endeudamiento externo que nos empuja al abismo. Políticas neoliberales radicalmente desfasadas respecto del nuevo escenario geopolítico de proteccionismo y guerra comercial instalado por Donald Trump, supuestamente un aliado del presidente argentino.

 Los derechos básicos que supimos conseguir esforzadamente, sobre todo a partir de 1983, luego de una terrible dictadura cívico-militar, están siendo socavados y derogados, con un discurso que los desacredita y desprecia, mientras las desigualdades sociales se multiplican. Con políticas que se apuntalan sobre megadecretos desreguladores (como el 70/23) y la Ley Bases. Junto con el RIGI (Régimen de incentivo de Grandes Inversiones), que exacerba la entrega de bienes públicos y naturales a las fuerzas más poderosas y salvajes del mercado. Todo sucede mientras se ensanchan las desigualdades sociales y los super-ricos –nacionales y extranjeros- acumulan más riqueza, fugan las ganancias, pagan menos impuestos y son tratados por el presidente Milei como “héroes” y “benefactores sociales”.

mercoledì 9 aprile 2025

PERCHÈ L’APPEASEMENT DI TRUMP CON PUTIN FALLIRÀ

di Michele Nobile


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Era fatto noto e logicamente conseguente dalla sua visione degli «affari» del mondo, che per la guerra in Ucraina Trump avrebbe tentato qualcosa che chiama «pace» - non mettendo con le spalle al muro l’aggressore russo, ma ricattando l’aggredita Ucraina - e che avrebbe fatto a Zelensky qualche «offerta che non si può rifiutare», poi concretizzata nell’intento di mettere le mani sui giacimenti di terre rare. Questa è la sua personalissima e paradossale interpretazione del motto reaganiano peace through strenght - pace attraverso la forza - che non porterà né la pace in Ucraina né renderà più forti gli Stati Uniti.

Come è noto l’approccio del Presidente è stato traumatico, se non feroce, con malcelata gioia del Cremlino: sospensione della connessione delle forze ucraine a Starlink, con grave danno delle loro capacità di comando e controllo, sul piano tattico e strategico; sospensione degli aiuti economici e militari, non graduale e limitata ma del loro insieme; ripetuti tentativi di discreditare il Presidente ucraino, in ultimo tendendogli un’imboscata pubblica e punendo la sua mancanza di deferenza e soggezione al disegno di Trump. Addirittura, nelle dichiarazioni di Trump e dei suoi collaboratori sono state fatte concessioni ad obiettivi di guerra di Putin (su possibili mutilazioni del territorio ucraino, sul non ingresso nella Nato) ancor prima di iniziare il negoziato, senza contropartita e alle spalle dell’Ucraina, ripetendo parti della narrazione ideologica imperiale grande-russa. Una tattica che, a seconda dei punti di vista, si può dire di estremo cinismo o di totale idiozia e incompetenza1. Considerando le personalità implicate in questa amministrazione, probabilmente i due motivi si combinano; un esempio è il cosiddetto Signal-gate

Tuttavia, come fu già nel suo primo mandato, la politica di Trump sarà limitata sia da resistenze sia dalle sue stesse contraddizioni, sia in politica interna che in politica internazionale. Un libro d’accurata analisi di tutte le politiche e dei rapporti istituzionali della prima presidenza Trump sostiene la tesi che egli sia senza dubbio un Presidente straordinario quanto a «stile, processo, parole, retorica e promesse», ma «nella sostanza, nella politica, nei fatti, nell’azione e nelle promesse mantenute, la presidenza di Trump non è straordinaria. Anzi, è ordinaria, in gran parte convenzionale, ortodossa e conservatrice, piuttosto che rivoluzionaria o radicale». Presidente straordinario-presidenza ordinaria: nonostante l’approccio traumatico e il peculiare stile comunicativo del Presidente, l’immagine straordinaria e «rivoluzionaria» del presidente si smorza in risultati che rientrano nei parametri della tradizione del Partito repubblicano2.

A parer mio si possono discutere alcuni dettagli di questa analisi, ma nel complesso è corretta: per due ragioni. La prima è che, al contrario della Russia, che è una dittatura appena mascherata, gli Stati Uniti rimangono uno Stato liberale con un assetto costituzionale per cui i poteri presidenziali sono sottoposti a una serie di controlli e limiti istituzionali a più livelli, a volte non attuati ma che esistono e, quando si verifica la volontà d’usarli, possono essere efficaci. La seconda ragione è che l’approccio trumpiano a determinate questioni di politica estera può scontrarsi con la dura realtà di attori politici e di dinamiche che sfuggono al controllo degli Stati Uniti: direi che è la norma da diversi decenni. Il che non vuol dire che Trump non abbia prodotto e non continuerà a produrre danni, al contrario. È il successo del suo disegno che è in discussione, qui, della politica nei confronti della Russia e della guerra d’indipendenza dell’Ucraina. 

L’idea del candidato Trump che con lui al comando la guerra in Ucraina sarebbe terminata «in 24 ore» non era solo esempio della sua smisurata megalomania, adatta a un supereroe da scadente fumetto, e della straordinaria demagogia delle sue modalità di comunicazione. Era e rimane indicativa della completa incomprensione degli interessi basilari dei belligeranti, dei problemi connessi a un eventuale armistizio e, ancor più, di un trattato di pace, della dimensione della posta in gioco di quello che non è mai stato un conflitto locale. Se Trump pensa seriamente di por fine a un fatto così complesso e multidimensionale come se fosse un deal immobiliare - in effetti inizialmente affidato all’immobiliarista Witkoff - allora l’iniziativa diplomatica statunitense rischia di risolversi in un fallimento.


I precedenti della politica di appeasement

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

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a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.