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giovedì 10 dicembre 2015

DESAPARECIDOS, CHIAMATEMI BERGOGLIO, di Roberto Massari

Da vari decenni i desaparecidos argentini chiamano Jorge Bergoglio (Provinciale dell'ordine dei Gesuiti al momento della loro morte), ma lui continua a non rispondere. E ora, anche da papa, Francesco non sembra intenzionato a chiedere perdono per il comportamento suo e dell'alta gerarchia cattolica negli anni di maggior ferocia dei militari al potere (1976-79, nel quadro di una dittatura durata dal 1976 al 1983). Quelli furono anche gli anni più propizi per la sua carriera ecclesiastica: fu infatti Provinciale - la massima autorità nazionale dei gesuiti - proprio dal 1973 al 1979, l'anno in cui al vertice della Celam a Puebla si batté in prima linea nella condanna della teologia della liberazione. A partire da quell'anno fatidico, la sua carriera fu tutta in salita, fino ad arrivare dove sappiamo.
In questi giorni è in uscita un film - Chiamatemi Francesco, diretto da Daniele Luchetti e prodotto da Taodue, di proprietà del gruppo berlusconiano Mediaset - che torna su quelle tragiche vicende, col preciso impegno di assolvere papa Francesco proprio in relazione a ciò che fece (e soprattutto non fece) negli anni peggiori della dittatura. Non trascura nemmeno le accuse specifiche riguardo al sequestro di due suoi confratelli (Jalics e Yorio) che furono subito rivolte contro di lui dai diretti interessati e poi riprese agli inizi di questo millennio in due libri del celebre giornalista Horacio Verbitsky (entrambi tradotti in italiano dalla Fandango, anche se ben pochi lo sanno, visto che su questi due libri vige la più ferrea congiura del silenzio).
Si tratta di un'operazione cinematografica un po' maldestra di camuffamento delle responsabilità di Bergoglio, anche se il film non esita a mostrare una parte della colpa che ebbe la gerarchia cattolica per i massacri di quegli anni terribili. Il film, infatti, compie un'operazione politica molto precisa: mentre abbandona l'alta gerarchia cattolica argentina al giudizio della Storia (visto che le sue colpe sono indifendibili e comunque appartenenti a un sempre più lontano passato), allo stesso tempo tenta disperatamente di salvare il soldato Bergoglio (in fondo era pur sempre un subordinato, un gesuita sottoposto a disciplina quasi militare nei confronti del suo Superiore, Pedro Arrupe, Preposito Generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983).
Va però detto che anche la denuncia delle responsabilità della Chiesa nel film è tendenziosamente insufficiente, visto che non compare mai il nome del numero uno della gerarchia cattolica che fu il maggior complice dei militari: Pio Laghi, nunzio apostolico in Argentina dal 1974 al 1980. Per avere un'idea del suo ruolo (oggetto di polemiche anche in ambienti cattolici), basti dire che con il generale piduista Massera giocava a tennis, mentre nel Paese scomparivano ad opera dei militari circa 30.000 persone, molte dopo indicibili torture e trattamenti disumani d'ogni genere.
È certamente un'ironia della società dello spettacolo che il compito di assolvere il Papa argentino-astigiano sia affidato a un regista laico, dotato alle spalle di una robusta cinematografia di denuncia (Il portaborse, Mio fratello è figlio unico, La scuola) della quale io rimango personalmente grande ammiratore, nonostante la caduta verticale e abissale di questo film. Uno di quegli autori, per giunta, che non hanno mai capito bene cosa sia stato lo stalinismo e quindi si dichiarano ancora «nostalgici del vecchio Pci» e si vantano di aver fatto parte della Fgci (intervista a Vittorio Zincone sul suppl. Sette del 4/12/15, p. 42). E proprio questo serviva al Vaticano: un regista laico, fin qui onesto e attendibile, non accusabile di clientelismo o clericalismo, che fosse disposto a farsi carico della triste bisogna. Operazione andata «miracolosamente» in porto, sia pure attraverso un canale berlusconiano - cosa che farà storcere il naso a qualcuno, ma non al sottoscritto.
Non si pensi che il film abbia perlomeno il merito di denunciare le malefatte dei militari argentini, svolgendo una funzione di risveglio delle coscienze su tale tema fuori del Paese. Perché il tema invece è mondialmente conosciuto, arcipubblicizzato e dibattuto non solo tramite le centinaia e centinaia di inchieste giornalistiche (che non sembrano finire mai, anche grazie al lavoro delle Madres e delle Abuelas de la Plaza de Mayo), ma anche con i libri, i processi nei tribunali di vari Paesi (Europa e Italia inclusa), le rappresentazioni teatrali, i documentari e i molti film che cominciarono a uscire appena finita la dittatura. Ecco un elenco dei soli lungometraggi, escludendo quindi i documentari: La storia ufficiale, di Luis Puenzo (1985); La notte delle matite spezzate, di Héctor Olivera (1986); La morte e la fanciulla, di Roman Polanski (1994); Garage Olimpo, di Marco Bechis (1999); Figli - Hijos, di Marco Bechis (2001); Immagini, di Christopher Hampton (2002); Cronaca di una fuga - Buenos Aires 1977, di Adrián Caetano (2006); Complici del silenzio, di Stefano Incerti (2009).
L'operato di Luchetti non può quindi giustificarsi nemmeno all'insegna orrida del fine che giustifica i mezzi, e cioè che egli avrebbe scelto di fornire una copertura a Bergoglio allo scopo di far risaltare meglio la denuncia delle mostruosità dei militari argentini. No. Il compito era chiaramente e programmaticamente stabilito: salvare il soldato Bergoglio, come già detto, anche a costo di lasciare indifesa la gerarchia argentina. E Paola Casella - che nella sua recensione in mymovies.it si sbilancia fino ad affermare che Luchetti e il produttore Valsecchi non hanno chiesto la collaborazione del Vaticano - non deve aver visto il film sino alla fine. Perché proprio nell'ultima scena (di repertorio) compare il Papa neoeletto, quello vero, mentre pronuncia la storica frase di saluto al pubblico in piazza S. Pietro. E il diritto (copyright) di utilizzare una simile storica scena non sarebbe mai stato concesso alla produzione, senza un accordo preliminare e un'attenta analisi della sceneggiatura da parte vaticana. Di questo si dà conto nei titoli di coda che, peraltro, scorrono troppo rapidi per poter vedere chi ha effettivamente aiutato per la realizzazione del film. Io ho fatto appena in tempo a individuare 3 o 4 istituzioni militari argentine; ma sarebbe interessante stabilire quali, esattamente - cosa che potrò fare solo quando sarà disponibile il DVD.
E in effetti, l'altro grande assente - oltre al Vaticano (Paolo VI fino al 1978, poi Giovanni Paolo II, la Curia romana sempre) e alle personalità dell'alta gerarchia cattolica argentina - è proprio il potere, quello vero, quello che utilizzava i militari assassini per porre termine a un periodo di grande insubordinazione sociale, cominciato all'epoca del Cordobazo (1969) e proseguito col ritorno di Perón nel 1973. Jorge Rafael Videla compare in un'intervista televisiva, ma non viene tirato in ballo nessun partito politico, nessun alto comando o arma militare, nessun'azienda o gruppo di potere finanziario: nemmeno quell'ala destra della burocrazia sindacale (coi suoi criminali matones) che trasse enormi vantaggi dall'assassinio sistematico delle avanguardie operaie.
Nel coro prevedibile di recensioni entusiaste o comunque favorevoli al film, abbiamo trovato ben poche voci critiche. Va quindi citata in modo particolare quella che ci è parsa più precisa e coraggiosa (Valerio Caprara su Il Mattino).
Le critiche riguardano ovviamente la mistificazione operata dal film. Ma la mistificazione non va intesa solo in senso storiografico: in ultima analisi, non sarebbe infatti compito del cinema stabilire l'esatta sequenza degli avvenimenti e le modalità del loro svolgimento. Questa è opera dello storico. Il linguaggio del cinema opera diversamente, avendo a disposizione molteplici e quasi infinite possibilità tecnico-artistiche.
Per es. in questo caso Luchetti basa gran parte del film sulla rappresentazione filmica di cosa Bergoglio potrebbe aver pensato in occasione di determinati assassini, di arresti, di incontri con tanta povera gente ecc. Ebbene, questo procedimento del film è in primo luogo monotono e ripetitivo. Ricorrono situazioni molto uguali fra loro (per lo più drammatiche) che si riflettono senza grandi variazioni nelle espressioni un po' statiche del volto del povero Rodrigo de la Serna (qui impegnato a rendere vero l'impossibile), che invece era parso magnifico nella parte di Alberto Granado nei Diari della motocicletta (a differenza del collega Gael García Bernal nei panni del giovane Ernesto).
In secondo luogo è arbitrario: la sofferenza interiore di Bergoglio viene data come fatto certo, gli si mettono in bocca parole e riflessioni tutte uguali, incontrovertibili, senza sconnessioni, cambiamenti di opinione o momenti di eroismo (mentale) od opportunismo (anch'esso mentale). Un fatto che certamente contribuisce a costruire l'immagine del santino (indubbio l'intento agiografico anche nel tipo di inquadrature, i primi piani accattivanti, la modestia nel vestire, l'essenzialità dei movimenti) che qualcuno ha già timidamente riconosciuto nella figura attoriale del futuro Papa.
Del resto, diciamocelo una volta per tutte: questa indagine retrospettiva di cosa può aver provato Bergoglio davanti allo sterminio dei suoi connazionali e, concediamolo pure, magari davanti alla propria impotenza nel porvi termine, avviene oggigiorno, a tanti anni di distanza e solo perché Bergoglio è diventato papa. Altrimenti la sua storia personale, il suo tormento interiore e gli accomodamenti che deve aver trovato con la propria coscienza per non essere travolto dai complessi di colpa, sarebbero scomparsi nell'anonimato come tanti altri. La sua vicenda interiore si sarebbe dissolta nel nulla, alla pari dei molti altri prelati responsabili come lui, alcuni certamente complici, che rifiutarono di fare alcunché per fermare i militari e impedire lo sterminio di un'intera generazione intellettuale e militante, la «meglio gioventù argentina».
Il film opera una mistificazione cinematografica ancor più grossolana, ma che purtroppo avrà presa sulla fantasia degli spettatori, facendo vedere per gran parte del tempo Bergoglio impegnatissimo a nascondere persone (in genere seminaristi), a far uscire ricercati dalla cintura di Buenos Aires, insomma a fare cose di nascosto per salvare vite umane.
E su questo aspetto fondato su leggende postume e testimonianze di comodo - che ho denunciato in alcune mie lettere a un sacerdote amico, dotato di spirito critico e onestà intellettuale - emerge la vera truffa del film: a) di queste attività segrete non vi è alcuna traccia documentaria (né potrebbe esservi - quindi mistificazione storiografica), ma solo resoconti verbali registrati a decine di anni di distanza e soprattutto dopo l'elezione di Francesco; b) non sono questi gli interventi che ci si attende da un Provinciale che voglia impedire lo sterminio: un alto esponente della gerarchia deve procedere per via gerarchica, deve far pesare la propria carica, deve utilizzare l'arma della denuncia pubblica e se non basta anche quella dello scandalo pubblico, per salvare vite umane. In tal modo non ne salverebbe una dozzina o due (come viene fatto vedere nel film, ipocritamente e forse anche falsamente), ma ne salverebbe centinaia, addirittura migliaia se il suo esempio diventasse contagioso e si estendesse ad altri prelati, ad altri membri della gerarchia. Certo, rischierebbe di essere ucciso, ma in assenza di questo suo impegno sono altre migliaia di persone che vengono uccise al suo posto, e tra queste anche dei sacerdoti di base.
Non mi stancherò mai di estendere questo ragionamento a tutti coloro che detengono incarichi di potere pubblico e mirano ad accreditare un proprio presunto interessamento per le vittime fondato su iniziative private, personali, clandestine e misteriose. Ne è un triste e massimo esempio Pio XII, che dopo aver lasciato inerme il popolo ebraico in mano alla furia nazista ha incaricato la propaganda vaticana di inventare suoi personali interventi a favore di questo o quell'ebreo, di questo o quel ricercato dai nazisti. Truffa di basso livello, che però ha presa su chi vuole crederci. Come Papa aveva a disposizione il prestigio di un presunto vicario di Dio sulla terra e il potere dell'apparato vaticano mondiale. A quel livello si sarebbe dovuto muovere, ma di quel livello non esiste la benché minima traccia scritta o documentaria che possa attestare una sua opposizione alle persecuzioni naziste. Lo stesso vale, sia pure in scala minore, per l'indifferenza di Bergoglio nei confronti dell'eccidio perpetrato dalla dittatura militare durante il suo Provincialato.
La regia del film è monocorde, ha la forma di un documentario privo di agganci storici reali, di un documentario senza documentazione, per giunta di un documentario che vuole presentarsi come una fiction storicamente fondata. Le riprese in esterni battono ripetitivamente sul tema della miseria, dando così un'immagine terzomondistica dell'Argentina, il che è ridicolo soprattutto per una delle più moderne città «europee», come Buenos Aires. La sceneggiatura è fatta di dialoghi improbabili, irrealistici, retorici e ovviamente reticenti. Ma la cosa peggiore del film è che non c'è mai un guizzo di fantasia, un qualcosa che non appartenga al mondo interiore di un Bergoglio presuntamente sofferente e ci riservi qualche sorpresa, qualche contrappunto filmico. Insomma, manca l'arte cinematografica. Quella che invece c'era, tanto per fare un esempio, in un film per molti aspetti analogo - La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo - che senza allontanarsi troppo dalla realtà politica riusciva veramente ad appassionare lo spettatore, facendolo sbandare, cadere e riprendersi, parteggiando e allo stesso tempo provando sgomento nell'identificazione coi personaggi sullo schermo. Ma quella era arte, anche se di parte, e non importa che stesse dalla parte «giusta», a differenza del film di Luchetti, schierato in una presunta terza posizione neutra mentre si compie un massacro epocale sotto i suoi occhi. Quella di Pontecorvo era un'opera d'arte che faceva anche propaganda a favore di certe idee anticoloniali e antimperialistiche. Questo è un film servile, di mera propaganda, studiato a tavolino, commissionato dal Vaticano o da chi intendeva fare un regalo a Francesco (magari per difenderlo dalle congiure di palazzo interne alla Curia, delle quali si mormora da un po' di tempo in qua), e comunque utile nel presente e nel futuro per dare una copertura al passato di questo Papa testimone diretto e attivo/passivo di una delle più grandi e più crudeli tragedie del dopoguerra.
Pio Laghi, Jorge Videla e Leopoldo Galtieri
E poiché la società dello spettacolo nel suo insieme - della quale Francesco mi sembra un ottimo esponente manipolatore - sta accreditando un'immagine simpatica, umana e gradevole di questo Papa, per le masse cattoliche e non (in un momento tra l'altro in cui tende a crescere la contrapposizione cattolica all'islamismo), la mistificazione di questo film avrà certamente facile presa anche sui non credenti, e anche gli spettatori laici gli perdoneranno facilmente il fatto d'essere monotono, retorico, agiografico e cinematograficamente poco gradevole.
Ecco, se potessi io farei invece un film al limite del surreale sugli incubi notturni di quest'uomo che, a differenza di Luchetti, sa bene di quali colpe si è macchiato nell'ambito della Chiesa argentina, ma non intende chiedere perdono. E quindi è giocoforza pensare che ai desaparecidos toccherà ancora per molto tempo, forse per sempre, continuare a chiamarlo per nome dal buio vortice del loro martirio: Jorge Bergoglio.
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PER COMPLETARE LA RECENSIONE DEL FILM SOPRA ESPOSTA E PER FORNIRE AL LETTORE QUALCHE ARGOMENTAZIONE SULLE RESPONSABILITÀ DI BERGOGLIO ALL'EPOCA DELLA DITTATURA, SIA IN GENERALE, SIA IN PARTICOLARE PER LA VICENDA DEI DUE GESUITI SEQUESTRATI DOPO CHE LUI AVEVA TOLTO LORO LA COPERTURA DELLA VESTE SACERDOTALE, ALLEGHIAMO LE LETTERE SCRITTE DA MASSARI NEL 2013 A UN SACERDOTE CHE AVEVA SOLLECITATO UNA SUA OPINIONE. SONO LETTERE INEDITE, UTILI COME ANTIDOTO ALLE MISTIFICAZIONI DEL FILM DI LUCHETTI. [la Redazione]

Caro don F.,
questa mattina ho finito di leggere il libro di Horacio Verbitsky [L'isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina, Fandango, 2006] e dire che sono sconvolto è dire poco. Il fatto è che uno le cose per grandi linee le sa, ma finché non entra nei dettagli non si rende conto veramente di cosa può essere accaduto. Credo che dopo lo sterminio per la carestia provocata dal «Grande balzo» di Mao Zedong, il Gulag staliniano, l'Olocausto nazista, Hiroshima e il genocidio degli Armeni, il crimine dei militari argentini degli anni '70 possa rientrare al sesto posto nella graduatoria dei grandi crimini dell'umanità e contro di essa nel Novecento. Lascio da parte la crociata conto gli Albigesi, l'Inquisizione e lo sterminio dei Nativi americani perché sono azioni compiute in secoli passati e non si sono concluse nel giro di pochi decenni o pochi anni. E quindi possiamo collocarle fuori graduatoria.
Detto questo, le responsabilità dei vertici della Chiesa argentina (ma indirettamente anche di quella di Roma) sono gravissime. Tutti i principali dirigenti dell'epoca sono stati coinvolti moralmente, psicologicamente, sul piano informativo e nella consegna del tacere. Nessuno di loro si è differenziato, nessuno di loro ha denunciato nulla, nessuno di loro ha rinunciato alla carica che ricopriva pur di non assistere a quel mostruoso massacro, fatto anche di torture, menzogne, depistaggi e richieste di benedizioni cristiane. Queste non sono mai mancate. Così come non sono mancati rapporti amichevoli tra i carnefici militari, gli alti prelati e addirittura il nostro Licio Gelli della P2.
Pazzesco. Pio Laghi (capo della Nunziatura apostolica argentina) giocava a tennis col sanguinario Massera (a sua volta membro della P2). C'è chi dice «spesso»; lui dice «solo» 4 volte…
Non si può ovviamente condannare la Chiesa argentina in blocco, perché molti sacerdoti hanno cercato di opporsi, alcuni sono stati uccisi, apertamente come Mugica o desaparecidos come vari altri. Anche delle suore sono state uccise. Il tutto sempre senza alcuna protesta ufficiale da parte della gerarchia cattolica. I cognomi più celebri di questa gerarchia sono Laghi, Grasselli, Bergoglio, Aramburu, più o meno nell'ordine in cui li ho citati. Il silenzio della gerarchia sui sacerdoti torturati e uccisi ricorda quello di Pio XII sulle rappresaglie naziste e il suo legame stretto col Terzo Reich.
Per quanto riguarda Bergoglio, nella questione dei due poveri sacerdoti, Yorio e Jalics, diventa secondario stabilire fino a che punto egli sia stato coinvolto. Sulla base della documentazione si ha certezza fino al punto seguente: Bergoglio squalificò i due sacerdoti impegnati nel sociale tra i poveri, tolse loro la copertura della Chiesa ufficiale e quindi li lasciò inermi nelle mani dei torturatori. Se li abbia anche denunciati come delatore non si saprà forse mai e in fondo è secondario: quanto sopra già basta. Inoltre non fece nulla per salvarli per almeno cinque lunghissimi mesi. Se poi sia veramente interceduto al momento del loro rilascio, non si saprà forse mai. Tutte le attuali testimonianze a favore suo sono ridicolmente false e create post hoc. Così come lo sono i passi indietro compiuti da Jalics sul terreno della denuncia delle responsabilità di Bergoglio.
Ma a me il crimine nei confronti dei due sacerdoti (e almeno di altri due, stando a vecchie testimonianze) sembra niente rispetto alla complicità - più o meno attiva, più o meno silenziosa - con tutta l'operazione repressiva dei militari contro il popolo argentino e contro la sua parte più progressista. Capisco che per il sensazionalismo giornalistico è più importante cogliere il Papa con le mani nel sacco rispetto al sequestro dei due sacerdoti. Ma per la mia coscienza morale è molto ma molto più grave il coinvolgimento morale, sia pure passivo, sia pure indiretto in quel folle massacro ai danni della parte migliore del popolo argentino.
Riguardo a Verbitsky. Il suo primo articolo sui desaparecidos è di settembre del 1990. Da allora si è trasformato nella massima autorità sul tragico tema. Il suo primo libro El vuelo (Il volo, Fandango, 2006) uscì nel 1995. L'attuale libro [El silencio (L'isola del silenzio, Fandango, 2006)] uscì nel 2005, prima della morte del precedente Papa e quindi non in tempo per sapere che vi sarebbe stato un ballottaggio tra Ratzinger e Bergoglio. [Vai a capire perché già allora la stella di Bergoglio fosse ascesa così in alto… Una spiegazione viene quasi automatica, ma di ciò si può parlare in altro momento, rientrando essa nel campo della politica e non di denuncia della ferocia e della vigliaccheria umana.]
Il libro di Verbitsky contiene un capitolo supplementare, un epilogo per l'ed. italiana, in cui Verbitsky scrive:
«Una siffatta concomitanza [il ballottaggio tra Ratzinger e Bergoglio] ha conferito a questa inchiesta storica su fatti avvenuti tre decenni addietro nella ESMA un'attualità che non ho mai cercato e che non potevo prevedere, ma che non posso eludere ora che Benedetto XVI si avvicina agli ottant'anni e non è da escludersi che in un futuro conclave si prenda nuovamente in considerazione il nome di Bergoglio, che ha avviato un'aperta campagna di proselitismo».
Parole preveggenti che hanno precorso la scelta del conclave. E ancora: possibile che i cardinali lì riuniti ignorassero i trascorsi di Bergoglio? possibile che non avessero un'altra carta da giocare, magari sempre latinoamericana e ugualmente utile per contrastare lo spostamento politico a sinistra delle società latinoamericane e quindi, inevitabilmente, anche del loro clero?
Francamente non riesco a darmi una risposta a questi ultimi interrogativi.
L'epilogo quindi è stato scritto nel 2006, in tempi ancora insospettabili, mentre la documentazione fornita è tutta o quasi tutta degli anni '70. Questi dati cronologici rendono il libro serio, attendibile e inconfutabile (se non con la «scoperta» successiva di testimonianze e carte a discapito, sulle quali si chiederà un atto di fede, quasi come sulle stimmate di Padre Pio…).
Horacio Verbitsky
Resterebbe anche da chiedersi perché della traduzione del libro di Verbitsky in italiano nel 2006 si è parlato pochissimo nei giorni della nuova elezione. A parte il caso tragicomico mio (che il libro non sapevo di averlo in casa e ignoravo addirittura che esistesse in lingua italiana), rimane il fatto che è stato messo a tacere tutto subito. Il nome di Verbitsky non è affiorato seriamente da nessuna parte. E ovviamente nessuna televisione si è premurata di andarlo a intervistare (che io sappia, ma visto che non ho la televisione sono fonte poco attendibile…)
Non ti scrivo questo per aggiungere turbamento o per fare propaganda anticlericale. E non desidero nemmeno avviare una discussione sul tema (con la documentazione fornita da Verbitsky c'è poco da discutere: è un capitolo chiuso in termini storiografici). Lo faccio perché non ritengo giusto tacere su queste responsabilità della Chiesa argentina (e quindi su quelle di Bergoglio come Provinciale, capo supremo dei Gesuiti, al suo interno). Ciò non significa misconoscere o minimizzare ciò che di buono potrà fare papa Francesco. Lo dissi subito e lo confermo: ben venga ogni atto di progresso che questo Papa vorrà fare o stimolare. Significa semplicemente che devo dire ciò che è vero, storicamente vero e inoppugnabile - tacere (se interpellato) farebbe di me un complice postero o postumo della tragedia intercorsa.
Dopodiché i Cristiani possono anche perdonarlo, come è loro richiesto dalla dottrina evangelica (beh, non tutta - Zarcone docet…). Non vorrei però trovarmi nella posizione del cattolico o della cattolica argentina che abbiano perso dei parenti in quel periodo (in quel modo disumano) e che siano allo stesso tempo consapevoli della complicità delle alte gerarchie cattoliche. La dottrina chiederebbe anche a loro di perdonare. Ma sarebbe umano attendersi che essi possano riuscire a farlo?
E come corollario mi chiedo: esistono argentini parenti delle vittime dei militari che si sono sentiti violentati una seconda volta per l'elezione di Bergoglio al soglio pontificio, nonostante si conoscessero le sue responsabilità, pubblicamente perlomeno dal 2005?
E se esistono, è giusto che tacciano, in omaggio al principio del fine che giustifica i mezzi? Dixi et salvavi (parzialmente) animam meam.
Saluti,
Roberto
(4 dicembre 2013)
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Caro don F.,
ho riletto l'articoletto che mi hai mandato (che non è l'articolo della Frankfurter, bensì un riassuntino fatto da uno dei più inattendibili grandi quotidiani italiani, cioè Repubblica). Tenendo conto che leggiamo solo frasi tratte dalle lettere di Bergoglio e niente di ciò che gli devono aver scritto i parenti implorando probabilmente il suo intervento [per i due sacerdoti gesuiti: Jalics e Yorio], ne ricavo alcune conclusioni logiche:
1) Il Neopapa (all'epoca Provinciale dei Gesuiti) non aveva fatto nulla o quasi nulla per liberare i confratelli, altrimenti avrebbe riferito qualcosa al fratello di uno dei due sacerdoti o ai parenti, magari senza nomi e cognomi, ma certamente riferendosi ad atti concreti. Foss'altro che per alleviare la pena dei parenti. (Aggiungo che se si fosse mosso, avrebbe sicuramente ottenuto dei risultati. In fondo i militari si erano permessi il sopruso solo perché lui aveva tolto la copertura ecclesiale a quei due poveri disgraziati. Poteva sempre rimettercela.)
2) Dice di aver sempre saputo che erano vivi, ma lo dice all'indomani della loro liberazione. Quindi o mentiva in quel momento (in realtà non ne sapeva più nulla) o non aveva fatto alcun passo concreto in precedenza, perché in tal caso avrebbe saputo che erano vivi e lo avrebbe comunicato ai parenti.
3) La pubblicazione di queste lettere risparmia allo studioso la fatica di andare a cercarne altre. Se esistessero, le avrebbero prodotte «loro». Pur di arrampicarsi sugli specchi, hanno deciso di gonfiare riferimenti insignificanti e ipocriti (dai quali però si arguisce che Bergoglio non aveva mosso un dito per i confratelli).
4) Fanno bene i giornali argentini che ricordano che il problema in quegli anni non era solo Bergoglio, ma l'insieme della gerarchia ecclesiastica connivente in un modo o nell'altro con i militari assassini. Bergoglio non era l'eccezione, ma la regola.
5) Ridicola l'accusa a Horacio Verbitsky di utilizzare vecchi materiali. E che deve fare un giornalista coscienzioso che si è già occupato nel passato di queste cose: deve inventarne di nuovi? Casomai dovrebbero giustificarsi i cardinali del Conclave che, pur esistendo da tempo questi materiali, hanno ritenuto ugualmente di poter nominare Bergoglio. (Domanda ingenua e maliziosa allo stesso tempo: ma veramente non potevano trovarne un altro, diciamo «incensurato», da eleggere?)
Emilio Massera
6) Oggi i giornali parlano di un comunicato della Corte suprema (giudiziaria?) argentina che scagiona Bergoglio da qualsiasi accusa di complicità con i militari assassini. Insomma, il vicario di Dio in terra esce assolto per insufficienza di prove da una sentenza dell'apparato giudiziario argentino. Fossi Dio mi arrabbierei un po'. Ma poi, al pensiero di quante ne ho dovute vedere nella storia della Chiesa degli ultimi duemila anni, ben peggiori di queste, mi calmerei e procederei al perdono, come ha generosamente fatto padre Jalics. Io (in quanto Roberto M. e non Dio) non ne sarei stato capace. Lo ammetto. Il perdono è una grande invenzione del Nuovo Testamento assente per lo più dall'Antico che non ha mai fatto breccia in me. Il perdono io posso intenderlo solo come un recupero, uno scambio alla pari: hai fatto tot male e la società ti perdona solo se ripaghi con tot bene. È un principio che in parte rientra nella moderna giurisprudenza volta al recupero del peccatore (criminale) piuttosto che al castigo.
7) Rimane il fatto che la macchia sul passato di papa Francesco esiste, è documentata, è pubblica, è conosciuta e si tramanderà nel tempo, passando di bocca in bocca, come del resto sta già accadendo sulla stampa e in Internet.
8) Vedo due conseguenze politiche, una cattiva e una buona: a) la cattiva è che papa Francesco dovrà essere grato al governo di Cristina Kirchner (o chi dopo di lei) per non aver voluto approfondire la vicenda e comunque per non aver voluto approfittare. Quindi Papa condizionabile da parte del governo argentino. b) La buona è che il nuovo Papa dovrà stare attento non solo a non benedire altri dittatori e feroci aguzzini (come hanno sempre fatto i suoi predecessori, da Paolo VI in poi), ma dovrà anche dimostrare con le azioni che quelli sono «errori di gioventù» e che oggi è diventato molto più buono, sia verso i poveri che verso gli oppressi. Chissà che alla fine non ci guadagnino qualcosa anche i gay e i malati terminali. Per l'atteggiamento verso le donne, invece, continuo a vederla brutta.
La parola all'Avvocato del diavolo (che in questo caso dovrebbe dimostrarsi favorevole alla santificazione di papa Francesco, al contrario di quanto accade nei processi di canonizzazione).
Saluti,
Roberto
(9 dicembre 2013)
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Caro don F.,
sei libero di utilizzare il mio testo come meglio ti sembra. L'ho scritto in forma affrettata, ma avevo veramente chiuso le ultime pagine del libro di Verbitsky, quindi avevo tutto il contenuto fresco e presente alla memoria. Cosa che non si ripeterebbe tra una settimana o due. Se don Strazzari [autore di In Argentina per conoscere papa Bergoglio, Ed. Dehoniane, 2013] vuole farla circolare ulteriormente ha da subito il mio consenso.
Per Adolfo Pérez Esquivel vale il discorso che faccio da molti anni sulla nomenklatura filocastrista (che include un paio di decine di latinoamericani e rari europei). Sono persone arrivate alla gloria in momenti diversi (quando c'era l'Urss anche grazie alla diplomazia sovietica), ma per lo più grazie ai cubani (il Premio Casa de las Américas è stato il trampolino di lancio di quasi tutti - di grandi scrittori, ma anche di nullità). Tieni conto che una certa ripartizione delle onorificenze esisteva all'epoca della guerra fredda e influenzava anche i premi Nobel. Quelli per la pace, poi… Basti pensare che un anno premiarono Arafat e Begin insieme.
Della nomenklatura filocastrista (poi anche filochavista) più o meno filosovietica hanno sempre fatto parte l'argentino Pérez Esquivel e Rigoberta Menchú, tra i Nobel. Gli altri sono scrittori, poeti, cineasti che ai cubani (e fino a un certo punto ai sovietici) devono molto o tutto. E quindi si sdebitano restando a disposizione di Cuba e del Venezuela (con parentele secondarie a seconda dei paesi e degli eventi, in Bolivia, Brasile ecc.). Li riconosci facilmente perché sono sempre pronti a firmare tutto: che si tratti di dire che a Cuba non ci sono prigionieri politici o che gli Usa sono imbecilli (cosa verissima), le loro firme vengono raccolte nel giro di poche ore. E la firma di Pérez Esquivel non manca mai, ma proprio mai - come ho potuto verificare negli anni.
Quindi se costui si è rimangiato le cattiverie che aveva detto su Bergoglio qualche tempo prima con tanta celerità vuol dire che da Cuba gli è arrivato l'invito a farlo. Ed io capisco che Cuba, già spalancatissima ai due Papi precedenti che l'hanno visitata, non avesse nessuna intenzione di inimicarsi l'attuale Papa, che per giunta è latinoamericano. Ti dirò in più che Fidel Castro deve ancora farsi perdonare l'aiuto politico che diede in extremis alla Giunta assassina argentina quando questa cercò di salvarsi inventandosi la guerra delle Malvinas. Fu una cosa atroce che la sinistra finse di non vedere, ma che certamente ha lasciato degli strascichi in Argentina. Insomma, Pérez Esquivel è un tipico rappresentante della nomenklatura filocastrista (un tempo filosovietica), come lo è Frei Betto, per restare in campo religioso. Betto lo è in maniera più smaccata, Adolfo Pérez ecc. lo è in maniera più ufficiale.
Tu stesso, poi, adombri la possibilità che egli ricavi anche «adeguamenti redditizi». Adombra, adombra… perché c'è probabilmente anche questo, nel contesto però dell'autopromozione ormai pluridecennale di questa nomenklatura latinoamericana.
A risentirci,
Roberto
(9 dicembre 2013)
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Caro don F.,
ho letto l'articolo di Chierici. Non ne capisco il senso. L'articolo mira addirittura a fare di Bergoglio un salvatore di vittime della dittatura, che è ciò che il Vaticano sta cercando di accreditare, ma guarda caso a decenni di distanza e solo per rispondere a Verbitsky. E mi stupisce che uno come Chierici si presti al gioco. Resta il fatto che l'articolo è pessimo, sembra scritto da un focolarino. Non cita alcun fatto documentabile (le testimonianze retrospettive a decenni di distanza non hanno valore «probatorio») e s'inventa che Verbitsky (di cui sbaglia addirittura a scrivere il nome) abbia riconosciuto di essersi sbagliato. Un giornalista come Chierici avrebbe il dovere di mettere una breve parentesi sul come e il quando ciò sarebbe accaduto. A me che seguo attentamente la vicenda, non risulta. Ma ovviamente posso sbagliarmi: di qui la necessità di indicarmi data e luogo. Altrimenti è puro menar fumo.
Divertente (ma in realtà macabro) il suo tentativo di mostrare la gerarchia cattolica divisa tra il vescovo militare Tortolo e Pio Laghi. In Argentina gli riderebbero dietro, perché il nome di Pio Laghi è ormai storicamente associato alla dittatura militare. È meglio che cerchi di salvare il nome di Bergoglio, perché quello di Laghi è insalvabile (davanti alla Storia e, se per caso esiste, anche davanti a Dio). Chierici sembrerebbe non aver letto il libro di Verbitsky, ma solo quello di Nello Scavo [La lista di Bergoglio, Ed. Missionaria Italiana, 2013] - un libro prevedibile e giustificativo. E già so che se mi capiterà di chiedergli come sia arrivato a scrivere un simile articolo, mi dirà che lui in fondo si è limitato a riportare la sostanza di Scavo, senza necessariamente condividerla. I giornalisti hanno sempre questa scappatoia, e anche per questo io mi offendo quando capita che nelle conferenze mi presentino come giornalista. Ciò che Grillo sta dicendo pubblicamente su questa ignobile casta oscurantista italiana è del tutto vero.
Papa Pio XII
Insisto, però, perché non ci si perda nel dettaglio, ma si abbia un quadro d'insieme di come si comportarono le massime autorità cattoliche nel periodo della guerra sucia argentina. Chi vuole intendere intenderà e chi vuole giustificare Bergoglio (che al momento debito dovrà anche essere fatto santo, come si tenta con Pio XII) lo giustificherà. Anzi, lo trasformerà in un salvatore di vittime, come Pio XII fu un salvatore di ebrei, al punto che, per meglio aiutarli, consentì che si desse rifugio ai gerarchi nazisti nei conventi e che di lì fossero aiutati a emigrare in America latina, soprattutto… toh, guarda caso… soprattutto in Argentina.
Buon inizio di settimana,
Roberto
(15 dicembre 2013)
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Caro don F.,
mentre apprezzo il tono fraterno delle critiche che mi rivolge Carlos María Galli (che, pur dandomi completamente torto, mi riconosce una «alta valoración de la verdad histórica y del amor evangélico»), devo dire che non le condivido nella sostanza. L'argomento del non aver vissuto in Argentina è trito e ritrito. Nessuno di noi ha vissuto nei lager nazisti o nel Gulag staliniano, eppure parliamo di questi orrori, leggiamo libri e formuliamo giudizi non necessariamente giusti o uguali tra loro. Ci sono anche russi che hanno vissuto quel periodo, perso dei parenti e sono però convinti che il Gulag sia stato tutto sommato un bene. Idem per i nativi d'America, gli zingari o il povero popolo ceceno e così via.
L'argomento è fallace, perché potrei presentargli centinaia se non migliaia di argentini che hanno vissuto quel periodo e che gli darebbero torto. Per la cronaca, anch'io ho perso dei compagni tra i desaparecidos, ma questo non mi dà nessun vantaggio teorico.
Ciò che scrive Verbitsky (qui ridotto a un pennivendolo da strapazzo al servizio dei Kirchner) mi stimola ad approfondire la conoscenza del personaggio. Evidentemente si dev'essere scatenata contro di lui una campagna diffamatoria senza precedenti. Eppure il tono del suo libro era sereno e rispettoso nei confronti di Bergoglio.
Infine ho conferma di ciò che avevo anticipato fin dai primi giorni, e cioè che si sarebbe lanciata una campagna per dimostrare che Bergoglio si è impegnato seriamente per salvare le vittime del terrore negli anni della dittatura, anni in cui effettivamente avrebbe avuto la possibilità di fare qualcosa. E a questo riguardo la volontà agiografica fa perdere di vista i più semplici dettami della logica; ci si affanna a descrivere sotterfugi, appostamenti portuali o nascondigli nel cofano della macchina da parte sua - stiamo parlando del Provinciale dei gesuiti argentini, figura numero due o numero tre dell'apparato cattolico in quel Paese - e così facendo si devia l'attenzione dalla sua veste ufficiale, quella che gli avrebbe consentito di salvare apertamente, dall'«alto», non due, tre, quattro o cinque persone, ma centinaia e centinaia, se non migliaia.
E se ciò facendo fosse caduto vittima a sua volta del terrore, avrebbe lasciato un esempio imperituro, come l'arcivescovo Romero. Oggi la Chiesa cattolica avrebbe una bandierina in più (autentica) di cui esser fiera, invece di dover stare a mettere insieme i pezzi di un puzzle artificiale (totalmente postdatato) che consenta di beatificare Bergoglio, trasformandolo da complice morale della dittatura in un gesuitico Schindler. (Altra storia in gran parte falsa, pure quella di Schindler…)
In Italia abbiamo già assistito alla stessa procedura con Pio XII e le sue connivenze col nazismo. E se non ci fosse la comunità ebraica che continua a opporsi alla sua santificazione, anche questa vergogna passerebbe impunita.
Mi rendo conto, però, che in questa campagna contro la verità che cerco di difendere (con strumenti non miei, ma presi a prestito) - come in tante altre della mia vita (basti pensare a quella sulle vittime dello stalinismo, la denuncia delle complicità assassine di Togliatti ecc. che mi hanno visto pagare dei prezzi molto cari in un Paese come l'Italia) - alla fine sono costretto ad arrendermi. La potenza dell'apparato mediatico che si è mosso in difesa di Bergoglio è tale da triturare anche giornalisti celebri e robusti (sto ripensando anche all'articolo di Maurizio Chierici che mi hai mandato…). Fu lo stesso con l'apparato propagandistico del vecchio Pci (Pcus e Pc cubano inclusi).
Figuriamoci se posso contrastarla io una simile campagna. La questione è già diventata oggetto di fede: chi vorrà credere che l'alta gerarchia cattolica argentina in quegli anni non fu complice morale dello sterminio, continuerà a crederlo, pur non avendo la benché minima pezza d'appoggio: un telegramma, un comunicato, una protesta scritta, un gesto in televisione, un'intervista mirata, una via crucis espiatoria, un'intimazione di tono biblico, un libro pubblicato all'estero, una parola detta nel luogo giusto al momento giusto - niente, niente di niente di niente.
In fondo si torna sempre all'imperituro conflitto tra fede e ragione, rendendo sempre più lontano e utopico il motto di Anselmo d'Aosta (già espresso in parte da Agostino): non quaero intellegere ut credam, sed credo ut intellegam. Che anche in questo caso diventa un quaero credere ne intellegam.
Non mi riferisco a te e alla tua corretta posizione interrogativa - che apprezzo e rinsalda la nostra amicizia - ma ai libri che stanno pubblicando senza la benché minima documentazione che risalga a quegli anni e che sia quindi scevra da sospetti.
Roberto
(16 dicembre 2013)

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.