di Michele Nobile
ITALIANO - ENGLISH
Era fatto noto e logicamente conseguente dalla sua visione degli «affari» del mondo, che per la guerra in Ucraina Trump avrebbe tentato qualcosa che chiama «pace» - non mettendo con le spalle al muro l’aggressore russo, ma ricattando l’aggredita Ucraina - e che avrebbe fatto a Zelensky qualche «offerta che non si può rifiutare», poi concretizzata nell’intento di mettere le mani sui giacimenti di terre rare. Questa è la sua personalissima e paradossale interpretazione del motto reaganiano peace through strenght - pace attraverso la forza - che non porterà né la pace in Ucraina né renderà più forti gli Stati Uniti.
Come è noto l’approccio del Presidente è stato traumatico, se non feroce, con malcelata gioia del Cremlino: sospensione della connessione delle forze ucraine a Starlink, con grave danno delle loro capacità di comando e controllo, sul piano tattico e strategico; sospensione degli aiuti economici e militari, non graduale e limitata ma del loro insieme; ripetuti tentativi di discreditare il Presidente ucraino, in ultimo tendendogli un’imboscata pubblica e punendo la sua mancanza di deferenza e soggezione al disegno di Trump. Addirittura, nelle dichiarazioni di Trump e dei suoi collaboratori sono state fatte concessioni ad obiettivi di guerra di Putin (su possibili mutilazioni del territorio ucraino, sul non ingresso nella Nato) ancor prima di iniziare il negoziato, senza contropartita e alle spalle dell’Ucraina, ripetendo parti della narrazione ideologica imperiale grande-russa. Una tattica che, a seconda dei punti di vista, si può dire di estremo cinismo o di totale idiozia e incompetenza1. Considerando le personalità implicate in questa amministrazione, probabilmente i due motivi si combinano; un esempio è il cosiddetto Signal-gate.
Tuttavia, come fu già nel suo primo mandato, la politica di Trump sarà limitata sia da resistenze sia dalle sue stesse contraddizioni, sia in politica interna che in politica internazionale. Un libro d’accurata analisi di tutte le politiche e dei rapporti istituzionali della prima presidenza Trump sostiene la tesi che egli sia senza dubbio un Presidente straordinario quanto a «stile, processo, parole, retorica e promesse», ma «nella sostanza, nella politica, nei fatti, nell’azione e nelle promesse mantenute, la presidenza di Trump non è straordinaria. Anzi, è ordinaria, in gran parte convenzionale, ortodossa e conservatrice, piuttosto che rivoluzionaria o radicale». Presidente straordinario-presidenza ordinaria: nonostante l’approccio traumatico e il peculiare stile comunicativo del Presidente, l’immagine straordinaria e «rivoluzionaria» del presidente si smorza in risultati che rientrano nei parametri della tradizione del Partito repubblicano2.
A parer mio si possono discutere alcuni dettagli di questa analisi, ma nel complesso è corretta: per due ragioni. La prima è che, al contrario della Russia, che è una dittatura appena mascherata, gli Stati Uniti rimangono uno Stato liberale con un assetto costituzionale per cui i poteri presidenziali sono sottoposti a una serie di controlli e limiti istituzionali a più livelli, a volte non attuati ma che esistono e, quando si verifica la volontà d’usarli, possono essere efficaci. La seconda ragione è che l’approccio trumpiano a determinate questioni di politica estera può scontrarsi con la dura realtà di attori politici e di dinamiche che sfuggono al controllo degli Stati Uniti: direi che è la norma da diversi decenni. Il che non vuol dire che Trump non abbia prodotto e non continuerà a produrre danni, al contrario. È il successo del suo disegno che è in discussione, qui, della politica nei confronti della Russia e della guerra d’indipendenza dell’Ucraina.
L’idea del candidato Trump che con lui al comando la guerra in Ucraina sarebbe terminata «in 24 ore» non era solo esempio della sua smisurata megalomania, adatta a un supereroe da scadente fumetto, e della straordinaria demagogia delle sue modalità di comunicazione. Era e rimane indicativa della completa incomprensione degli interessi basilari dei belligeranti, dei problemi connessi a un eventuale armistizio e, ancor più, di un trattato di pace, della dimensione della posta in gioco di quello che non è mai stato un conflitto locale. Se Trump pensa seriamente di por fine a un fatto così complesso e multidimensionale come se fosse un deal immobiliare - in effetti inizialmente affidato all’immobiliarista Witkoff - allora l’iniziativa diplomatica statunitense rischia di risolversi in un fallimento.
I precedenti della politica di appeasement
Con la formale annessione alla Federazione Russa dei territori ucraini occupati nel settembre 2022, Putin ha da tempo deciso di bloccare la via a un trattato di pace che non consista, in sostanza, nella capitolazione e nella subordinazione politica dell’Ucraina alla Russia3. Questo, e non la mera estensione del territorio della Federazione Russa, è sempre stato e rimane l’obiettivo strategico di Putin, confermato a fine marzo dalla bizzarra idea di sottoporre l’Ucraina a un regime di amministrazione controllata, come quando la Società delle nazioni assegnava a potenze coloniali mandati su territori d’imperi sconfitti, ad es. sulla Palestina (ex Impero ottomano) o le isole Samoa occidentali (ex Impero tedesco).
Tutti i presidenti statunitensi del XXI secolo hanno tentato il Russian reset, ovvero il miglioramento delle relazioni con la Russia dopo fasi di tensione: reset di George W. Bush dopo l’11 settembre, successivamente alle tensioni con la Russia a causa della guerra del Kosovo e i bombardamenti sulla Serbia, con Putin che sostenne la «guerra al terrore» almeno fino all’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003; reset di Obama nel 2009-12, dopo l’invasione russa della Georgia nel 2008, entrato in crisi a causa della «primavera araba» e terminato in seguito alla cacciata di Janukovyč e all’invasione russa dell’Ucraina nel 2014; la politica russa della prima presidenza di Trump è stata particolarmente sfortunata, ma sono cose note l’«amicizia» fra Trump e Putin, la campagna russa nelle elezioni a favore del primo e il ricatto di Trump al Presidente ucraino sugli aiuti, che portò al tentativo di impeachment del Presidente americano; e nel gennaio 2021 Biden e Putin si accordarono per l’estensione del trattato New START sulle armi nucleari, atto di reset a cui ha posto fine l’invasione totale russa dell’Ucraina un anno dopo.
È da un quarto di secolo che la politica statunitense nei confronti del regime di Putin è soggetta ad ampie oscillazioni fra deterrenza e distensione, risultante non solo e non tanto dall’ingresso nella Nato di Stati già parte della sfera imperiale sovietica, ma da eventi fuori del controllo delle due cosiddette superpotenze e dalle dinamiche di politica interna e internazionale della Russia, volte a consolidare il regime di Putin intorno a un’ideologia autoritaria e nazional-imperiale e a una sfera d’influenza euroasiatica. La minaccia di una guerra continentale risale in effetti non al 2022, ma al 2014, all’invasione parziale dell’Ucraina e all’annessione della Crimea da parte della Russia: relativamente all’enorme gravità di questi atti - che ricordano il revisionismo del nazionalismo germanico fra le guerre mondiali - nonostante polemiche e sanzioni, la politica «occidentale» nei confronti della Russia può dirsi sia stata prevalentemente di appeasement, in diplomazia incarnata nel «processo di pace» intorno agli accordi di Minsk, ma fallimentare a causa della fondamentale contraddizione d’assumere la Russia come Stato mediatore invece che agente attivo e decisivo del conflitto fra Kyiv e i separatisti del Donbas.
Asimmetria fra Trump e Putin rispetto all’Ucraina
La politica di Trump nei confronti dell’amico Putin rientra dunque in una tradizione, ma in un contesto talmente mutato da essere straordinaria. È così, in effetti, per un’asimmetria che la condanna a fallire, ma non senza danno per la causa dell’indipendenza dell’Ucraina. Lo scoglio su cui questo ennesimo risettaggio delle relazioni Usa-Russia farà naufragio è che in Ucraina Putin ha un obiettivo di guerra che persegue con determinazione, Trump invece no: pare che non gli interessi il modo in cui termini la guerra e quindi in cosa consista la pace fra Russia e Ucraina, ma semplicemente che cessino le ostilità; e, a questo scopo, ha iniziato con un metodo e con proposte che danneggiano la posizione negoziale degli ucraini. Se il sostegno di Biden e della maggior parte degli alleati europei alla guerra d’indipendenza ucraina è stato viziato da incoerenza strategica tra fine politico e mezzi militari, l’amministrazione Trump non ha una strategia politico-militare, ma pratica l’appeasement, per giunta non per prevenire ma durante la guerra: come se il governo britannico avesse ceduto alla «proposta di pace» di Hitler nell’ottobre 1939, accettando il fatto compiuto della spartizione della Polonia fra Terzo Reich e Unione Sovietica4.
Ricordo l’unico accordo di pace di Trump, durante il suo primo mandato: quello fatto con i talebani a Doha nel febbraio 2020, con esclusione del governo afghano. Sorvolando sulle cause accumulatesi in oltre vent’anni e considerando solo l’ultimo atto della tragedia afghana, se l’evacuazione delle forze statunitensi sotto Biden fu un disastro, le condizioni congiunturali per il rapido tracollo delle forze governative a fronte dell’offensiva talebana sono da imputarsi all’accordo firmato per volontà politica di Trump5.
Poiché Putin non intende affatto rinunciare ad assoggettare l’Ucraina, o per conquista o mediante una combinazione dei mezzi militari e politici della «guerra ibrida», egli può usare l’appeasement di Trump, da cui ha tutto da guadagnare e nulla da perdere, ma solo fino a quando ne avrà interesse. Come già in passato, per accettare un cessate il fuoco Putin pone condizioni arroganti, che avrebbero senso solo nel contesto di un trattato di pace: sospensione degli aiuti internazionali all’Ucraina; eliminazione di sanzioni (ad esempio, in relazione alla tregua sul Mar nero, nei confronti di Rosselkhozbank, la Banca agricola russa, di proprietà statale); ritiro delle forze ucraine oltre i confini amministrativi degli oblast annessi alla Russia; nuove elezioni in Ucraina; niente truppe europee a garanzia dell’Ucraina, ma da porre sotto amministrazione controllata. Lo scopo di Putin nel gioco diplomatico con Trump è indebolire la posizione militare e negoziale dell’Ucraina e far guadagnare tempo e vantaggi alla Russia.
Limiti della politica di appeasement
Tuttavia anche l’appeasement ha i suoi limiti, cosa che i «pacificatori» del 1938 iniziarono a capire poco dopo Monaco6. Un rinnovato slancio offensivo russo o l’opposizione degli stessi congressisti repubblicani a un accordo che comporti la «svendita» dell’Ucraina a Putin, potrebbero far fallire la politica russa del Presidente. Infatti, al di là dei più fanatici sostenitori del Presidente, questa politica filo-Putin urta un’ampia gamma di sensibilità e di interessi statunitensi, dalla destra reaganiana e neoconservatrice fino ai wilsoniani e ai sinceri sostenitori dell’autodeterminazione nazionale ucraina. Durante il primo mandato è già accaduto che la politica russa di Trump fosse battuta da un’amplissima maggioranza bipartitica: contro la volontà del Presidente, nel luglio e agosto 2017 la Camera dei rappresentanti e il Senato approvarono quasi all’unanimità (rispettivamente: 419 voti a favore e tre contrari e 98 favorevoli e due contrari) il Countering America’s adversaries through sanctions Act, il più importante atto sanzionatorio prima del 2022, una legge che rende ancora difficile rimuovere sanzioni contro la Russia, l’Iran e la Corea del nord. Non è neanche da sottovalutare la reazione di Trump all’affronto che il suo narcisismo dovrà subire. Ma su chi vendicherà l’offesa?
Dall’altra parte, nessuno al mondo può desiderare la pace più degli ucraini, tormentati da dieci anni di guerra e dall’atroce sofferenza dell’invasione del 2022. Tuttavia, essi non possono accettare la resa a chi negherebbe loro l’esistenza nazionale e che imporrebbe un regime di dittatura poliziesca. Chi vuol passare per pacifista auspicando una pace qualsiasi e ritiene assurdo pretendere una pace giusta, o serve la propaganda imperiale russa o è così ingenuo da non comprendere che una «pace» imposta con la pistola alla testa non è affatto una pace ma qualcosa che prepara altre atrocità7. Gli ucraini non potranno mai concedere a Putin il dominio sui loro concittadini, sui villaggi e le città e le risorse degli oblast annessi alla Russia, anche perché l’Ucraina è sulla difensiva, ma non è affatto vinta. In effetti, la condizione minima per un trattato di pace russo-ucraino è la restituzione dei territori ucraini occupati dalla forza d’invasione russa, come già immediatamente richiesto dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Restituire i territori occupati sarebbe però per Putin una vera e propria sconfitta. Pur prescindendo da altre considerazioni, le annessioni di Putin rendono quindi impossibile un trattato di pace fra Russia e Ucraina.
Altra condizione di un trattato di pace è la garanzia che la pace sia rispettata: e dopo dieci anni d’occupazione, tale garanzia non può che essere la capacità dell’Ucraina di difendersi, dentro o fuori la Nato. Il disarmo voluto da Putin è irricevibile.
Se questo è vero, allora non è sostenibile una posizione di compromesso. Mettendo da parte il giudizio etico-politico, l’approccio dell’amministrazione Trump al conflitto russo-ucraino acquista una sua logica, per quanto vi si possa ravvisare cause di fallimento: perché o si arriva a negoziare sostenendo in tutti i modi la resistenza ucraina, con aiuti militari e finanziari maggiori di quelli trascorsi e ancor più inasprendo le sanzioni contro la Russia, tanto da costringere Putin a negoziare da una posizione militarmente ed economicamente indebolita. Oppure si deve ricattare l’Ucraina e screditarne il vertice politico mentre si lusinga Putin il «ragionevole», addirittura utilizzando elementi della narrazione imperiale russa8, lo si invoglia negando l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, lo si alletta con allusioni ai territori ucraini, al ridimensionamento o fine delle sanzioni, a procacciare nuovi gloriosi affari per gli oligarchi russi.
Si può individuare un disegno geopolitico: attuare un’operazione diplomatica Nixon-Kissinger alla rovescia, questa volta normalizzando i rapporti con la Russia al fine di separarla dalla Cina. Da questo punto di vista, ha senso propagandare l’idea che, pur con mezzi sgradevoli, Putin persegua interessi limitati e legittimi, che possono essere soddisfatti mediante una ragionevole contrattazione, un’illusione che fu anche di Daladier e specialmente di Chamberlain nei confronti di Hitler, alle spalle e sulla pelle della Cecoslovacchia. Su questo possibile disegno geopolitico tornerò in altro momento.
Ora importa dire che, per quanto riguarda l’Ucraina - e di riflesso la posizione del resto d’Europa nei confronti dell’espansionismo imperiale russo - la diplomazia di Trump con l’amico Putin può forse portare a dei cessate il fuoco parziali e fragili (in effetti a vantaggio della Russia più che dell’Ucraina), ma il massimo a cui può giungere è un armistizio, alla maniera di quello fra Corea del sud e Corea del nord: alla cessazione dei combattimenti ma, ripeto, non alla pace. Se non si batte ora e in Ucraina l’imperialismo russo la prospettiva è una instabile condizione di non-pace suscettibile di ritornare alla fase della guerra aperta.
E questo implica la necessità di riconsiderare l’assistenza militare e finanziaria passata e futura all’Ucraina e tutta la politica e l’economia della difesa europea.
Note
1 Michele Nobile, «Stati Uniti, Russia e Ucraina da Biden a Trump. Dall’appeasement all’incoerenza all’idiotismo», 16 febbraio 2025, http://utopiarossa.blogspot.com
2 Trevor McCrisken-Andrew Wroe-Jon Herbert, The ordinary Presidency of Donald J. Trump, Palgrave Macmillan, Cham 2019; per un’analisi completa per aree e temi della politica estera di Trump e del primo biennio di Biden, si veda Robert Jervis-Stacie Goddard-Diane N. Labrosse-Joshua Rovner (a cura di), Chaos reconsidered. The liberal order and the future of international politics, Columbia University Press, New York 2023.
3 Quanto ho segnalato immediatamente: Michele Nobile, «Le condizioni di una pace giusta per l’Ucraina», 28 ottobre 2022, http://utopiarossa.blogspot.com/2022/10/ucraina-20-le-condizioni-di-una-pace
4 Michele Nobile: «Perché non è possibile la pace con Putin», 2 dicembre 2024; «Stati Uniti, Russia e Ucraina da Biden a Trump. Dall’appeasement all’incoerenza all’idiotismo negoziale», 16 febbraio 2025; «I falliti negoziati russo-ucraini. Lezioni per il futuro», 26 febbraio 2025, http://utopiarossa.blogspot.com. Sul Patto Hitler-Stalin e l’invasione russa dell’Ucraina: Michele Nobile, Invasioni russe. Polonia 1939-Ucraina 2022, Massari editore, Bolsena 2022.
5 Special inspector general for Afghanistan reconstruction, Collapse of the Afghan national defense and security forces. An assessment of the factors that led to its demise, rapporto maggio 2022, che inizia: «SIGAR found that the single most important factor in the ANDSF’s collapse in August 2021 was the U.S. decision to withdraw military forces and contractors from Afghanistan through signing the U.S.-Taliban agreement in February 2020 under the Trump administration, followed by President Biden’s withdrawal announcement in April 2021».
6 Prima per via dell’orrore suscitato dalla Notte dei cristalli in Germania, poi tremando per le voci di un possibile attacco tedesco alla Romania, poi per l’invasione di quel che rimaneva della Cecoslovacchia, infine decidendosi a garantire la Polonia. Si vedano i primi capitoli di Christopher J. Hill, Cabinet decisions on foreign policy. The British experience: october 1938-june 1941, Cambridge University Press, 1991.
7 Denys Pilash-Federico Fuentes, «“The left should support a just peace for Ukraine, not a Trump-Putin deal to appease the aggressor”. An interview with Ukrainian socialist Denys Pilash», Links, 13 marzo 2025: «La verità è che nessuno al mondo desidera la pace in Ucraina più degli ucraini. La maggior parte delle persone è naturalmente stanca della guerra. Ma questo non significa che vogliano capitolare alla Russia e consegnare semplicemente la nostra terra e il nostro popolo. Sanno che se l’Ucraina viene divisa, i milioni di persone che si trovano nei territori occupati o che sono dovuti fuggire non avranno un posto dove tornare. Sanno che un risultato che premia enormemente l’aggressore non farà che rafforzare il regime autoritario di Putin e significherà ancora più repressione, specialmente nei territori occupati. Quindi, gli ucraini hanno due cose in mente quando pensano a qualsiasi accordo: il destino delle persone nei territori occupati e come impedire alla Russia di riavviare la guerra».
8 Tim Ross, «29 times Donald Trump did what Putin wanted», Politico, 21 febbraio 2025.
ENGLISH
WHY TRUMP’S APPEASEMENT OF PUTIN WILL FAIL
by Michele Nobile
It was a well-known fact, logically consistent with his view of world “business,” that Trump would attempt something he calls “peace” regarding the war in Ukraine—not by cornering the Russian aggressor, but by blackmailing the Ukrainian victim—and that he would make Zelensky an “offer he can’t refuse,” later materializing in an attempt to seize control of rare earth deposits. This is Trump’s very personal and paradoxical interpretation of the Reaganite motto peace through strength, which will bring neither peace to Ukraine nor greater strength to the United States.
As is known, the President’s approach has been traumatic, if not brutal, much to the Kremlin’s thinly veiled delight: he suspended the connection of Ukrainian forces to Starlink, severely impairing their command and control capabilities both tactically and strategically; he halted economic and military aid—not gradually or partially, but entirely; he repeatedly tried to discredit the Ukrainian President, ultimately ambushing him publicly and punishing his lack of deference and submission to Trump’s plans. Moreover, Trump and his associates made concessions to Putin’s war objectives (regarding possible territorial amputations of Ukraine and the country’s non-entry into NATO) even before negotiations began, without any quid pro quo and behind Ukraine’s back, echoing elements of the imperial Great Russian ideological narrative. Depending on one’s perspective, this tactic can be described as either extremely cynical or entirely idiotic and incompetent¹. Given the personalities involved in this administration, it is likely a mix of both; a case in point is the so-called Signal-gate.
However, just as in his first term, Trump’s policies will be limited both by resistance and by his own contradictions, both domestically and internationally. A carefully analyzed book covering all policies and institutional relations of Trump’s first presidency argues that he is undoubtedly an extraordinary President in terms of “style, process, words, rhetoric, and promises,” but “in substance, in policy, in facts, in action, and in promises kept, Trump’s presidency is not extraordinary. In fact, it is ordinary, largely conventional, orthodox, and conservative rather than revolutionary or radical.” Extraordinary President–ordinary presidency: despite the traumatic approach and peculiar communication style, the image of the President as “revolutionary” fades into results that fall within the parameters of the Republican Party tradition2.
In my view, some details of this analysis may be debated, but overall it is accurate—for two reasons. First, unlike Russia, which is a barely veiled dictatorship, the United States remains a liberal state with a constitutional structure that subjects presidential powers to a series of institutional checks and limits at various levels—sometimes unenforced, but nonetheless existent and potentially effective when the will to use them arises. Second, Trump’s approach to certain foreign policy issues may clash with the harsh reality of political actors and dynamics beyond U.S. control—this has been the norm for decades. This is not to say that Trump hasn’t caused or won’t continue to cause damage—on the contrary. What is at stake here is the success of his plan, specifically the policy towards Russia and Ukraine’s war of independence.
Trump’s idea that, under his leadership, the war in Ukraine would end “within 24 hours” was not only a sign of his boundless megalomania, fit for a low-grade comic book superhero, and of the extraordinary demagoguery of his communication style. It also signaled his complete misunderstanding of the basic interests of the belligerents, the problems related to a potential armistice, let alone a peace treaty, and the stakes of what has never been a local conflict. If Trump truly believes he can resolve something as complex and multidimensional as if it were a real estate deal—initially entrusted, in fact, to real estate magnate Witkoff—then U.S. diplomatic initiatives risk ending in failure.
The precedents of appeasement policy
With the formal annexation to the Russian Federation of the Ukrainian territories occupied in September 2022, Putin long ago decided to block any path toward a peace treaty that does not, in essence, entail the capitulation and political subordination of Ukraine to Russia³. This—and not merely the extension of the Russian Federation’s territory—has always been and remains Putin’s strategic goal, recently reaffirmed by the bizarre idea of placing Ukraine under a regime of controlled administration, reminiscent of when the League of Nations assigned mandates over defeated empires’ territories to colonial powers (e.g., Palestine from the Ottoman Empire or Western Samoa from the German Empire).
All 21st-century U.S. presidents have attempted a Russian reset, i.e., improving relations with Russia after periods of tension: George W. Bush’s reset after 9/11, following strains due to the Kosovo war and NATO’s bombing of Serbia, with Putin supporting the “war on terror” at least until the U.S. invaded Iraq in 2003; Obama’s reset from 2009–2012, after Russia’s 2008 invasion of Georgia, which unraveled during the Arab Spring and collapsed after Yanukovych’s ouster and Russia’s 2014 invasion of Ukraine; Trump’s first-term Russia policy was especially ill-fated, with the widely known “friendship” between Trump and Putin, Russian interference in Trump’s election campaign, and Trump’s blackmail of the Ukrainian President over aid, which led to an impeachment attempt; and in January 2021, Biden and Putin agreed to extend the New START nuclear arms treaty—another reset act that ended with Russia’s full-scale invasion of Ukraine a year later.
For a quarter-century, U.S. policy toward the Putin regime has swung between deterrence and détente, driven not only by NATO’s eastward expansion but by events beyond both superpowers’ control and by internal and international dynamics in Russia aimed at consolidating Putin’s regime around an authoritarian, national-imperial ideology and an Eurasian sphere of influence. The threat of continental war dates not from 2022 but from 2014, with Russia’s partial invasion of Ukraine and annexation of Crimea. Given the enormity of those acts—which recall the revisionism of German nationalism between the World Wars—despite sanctions and criticisms, Western policy toward Russia can largely be described as appeasement, embodied in diplomacy by the Minsk peace process, which failed because of the fundamental contradiction of treating Russia as a mediator rather than an active and decisive party in the conflict between Kyiv and Donbas separatists.
Asymmetry between Trump and Putin regarding Ukraine
Trump’s policy toward his friend Putin falls within a certain tradition, but in a context so radically changed that it becomes extraordinary. Indeed, this is due to an asymmetry that dooms it to failure—though not without harm to the cause of Ukraine’s independence. The rock on which this latest reset in U.S.-Russia relations will founder is that Putin has a determined war objective in Ukraine, while Trump does not. Trump appears uninterested in how the war ends and therefore in what peace between Russia and Ukraine might entail; he simply wants the hostilities to cease. And to this end, he has begun with a method and proposals that damage Ukraine’s negotiating position.
If Biden’s support—and that of most European allies—for Ukraine’s war of independence has been undermined by strategic incoherence between political ends and military means, the Trump administration has no politico-military strategy at all: it practices appeasement, and not even to prevent war, but during it—like if the British government had accepted Hitler’s “peace proposal” in October 1939, thereby recognizing the fait accompli of the partition of Poland between the Third Reich and the Soviet Union4.
I recall the only peace agreement Trump made during his first term: the one with the Taliban in Doha in February 2020, excluding the Afghan government. Setting aside the causes accumulated over more than twenty years and considering only the final act of the Afghan tragedy, even if the U.S. evacuation under Biden was a disaster, the short-term conditions that enabled the rapid collapse of government forces in the face of the Taliban offensive can be traced back to the agreement signed under Trump’s political direction5.
Since Putin has no intention of giving up his attempt to subjugate Ukraine—either by conquest or through a combination of military and political tools of "hybrid warfare"—he can take advantage of Trump’s appeasement, from which he stands to gain everything and lose nothing, but only as long as it suits his interests. As in the past, Putin’s conditions for accepting a ceasefire are arrogant—conditions that would only make sense in the context of a peace treaty: suspension of international aid to Ukraine; removal of sanctions (for example, those related to the Black Sea grain deal, like those against Rosselkhozbank, the Russian state-owned agricultural bank); withdrawal of Ukrainian forces beyond the administrative borders of the oblasts annexed to Russia; new elections in Ukraine; no European troops to guarantee Ukrainian security, but rather placed under a controlled administration. Putin’s aim in this diplomatic game with Trump is to weaken Ukraine’s military and negotiating position and to buy time and advantages for Russia.
Limits of the Appeasement Policy
However, even appeasement has its limits—something the “peacemakers” of 1938 began to understand shortly after Munich6. A renewed Russian offensive or opposition from Republican members of Congress to a deal that would amount to “selling out” Ukraine to Putin could bring down the President’s pro-Russian policy. Indeed, beyond the President’s most fanatical supporters, this pro-Putin line clashes with a wide range of American sensibilities and interests, from the Reaganite and neoconservative right to Wilsonians and sincere supporters of Ukrainian national self-determination.
During his first term, Trump’s Russia policy was already defeated by an overwhelming bipartisan majority: against the President’s will, in July and August 2017, the House and Senate almost unanimously approved (respectively: 419 votes to 3 in the House and 98 to 2 in the Senate) the Countering America’s adversaries through sanctions Act, the most important sanctions bill before 2022—a law that still makes it difficult to lift sanctions against Russia, Iran, and North Korea. One should not underestimate Trump’s reaction to the narcissistic blow he would suffer. But on whom will he take revenge?
On the other side, no one in the world desires peace more than the Ukrainians, tormented by ten years of war and the atrocious suffering of the 2022 invasion. Yet they cannot accept surrender to those who deny their national existence and would impose a police dictatorship. Those who want to pose as pacifists by calling for “any peace” and consider it absurd to demand a just peace either serve Russian imperial propaganda or are so naive that they fail to understand that a “peace” imposed at gunpoint is not peace at all—it merely prepares the ground for further atrocities7.
Ukrainians will never be able to grant Putin dominion over their fellow citizens, over the villages, cities, and resources of the oblasts annexed to Russia, not least because Ukraine is on the defensive but is not defeated. In fact, the minimum condition for a peace treaty between Russia and Ukraine is the return of the Ukrainian territories occupied by the Russian invasion forces, as was immediately demanded by the UN General Assembly. However, returning the occupied territories would be a real defeat for Putin. Setting aside all other considerations, Putin’s annexations thus make a peace treaty between Russia and Ukraine impossible.
Another condition for a peace treaty is a guarantee that the peace will be upheld—and after ten years of occupation, such a guarantee can only be Ukraine’s ability to defend itself, within or outside NATO. The disarmament Putin demands is unacceptable.
If this is true, then a compromise position is unsustainable. Setting aside moral and political judgment, the Trump administration’s approach to the Russia-Ukraine conflict follows its own logic—flawed as it may be. Either one negotiates by fully supporting Ukrainian resistance with far more military and financial aid than in the past and by ramping up sanctions on Russia to the point of forcing Putin to negotiate from a militarily and economically weakened position; or one must blackmail Ukraine and discredit its political leadership while flattering the “reasonable” Putin—even adopting elements of Russian imperial rhetoric8—enticing him by denying Ukraine’s NATO membership, teasing him with suggestions of Ukrainian territorial concessions, promises to ease or end sanctions, and offers of new lucrative opportunities for Russian oligarchs.
A broader geopolitical plan can be discerned: a reverse Nixon-Kissinger diplomatic operation, this time normalizing relations with Russia in order to detach it from China. From this perspective, it makes sense to spread the idea that—even with unpleasant means—Putin pursues limited and legitimate interests that can be satisfied through reasonable negotiation, a delusion that was also held by Daladier and especially by Chamberlain in their dealings with Hitler—at the expense and on the backs of the Czechoslovaks. I will return to this possible geopolitical plan at another time.
What matters now is that, regarding Ukraine—and, by reflection, the rest of Europe’s stance toward Russian imperial expansionism—Trump’s diplomacy with his friend Putin may possibly produce partial and fragile ceasefires (benefiting Russia more than Ukraine), but at most it can lead to an armistice, like the one between North and South Korea: a halt in hostilities, but not, I repeat, peace.
If Russian imperialism is not defeated now and in Ukraine, the future holds an unstable condition of non-peace, always at risk of returning to open warfare. And this implies the need to reconsider both past and future military and financial support to Ukraine, and the entire policy and economy of European defense.
Notes
1. Michele Nobile, “United States, Russia and Ukraine from Biden to Trump. From appeasement to inconsistency to idiocy,” February 16, 2025, http://utopiarossa.blogspot.com
2. Trevor McCrisken, Andrew Wroe, Jon Herbert, The Ordinary Presidency of Donald J. Trump, Palgrave Macmillan, Cham 2019; for a comprehensive analysis by areas and themes of Trump’s foreign policy and Biden’s first two years, see Robert Jervis, Stacie Goddard, Diane N. Labrosse, Joshua Rovner (eds.), Chaos reconsidered. The liberal order and the future of international politics, Columbia University Press, New York 2023.
3. As I pointed out immediately: Michele Nobile, “The conditions for a just peace in Ukraine,” October 28, 2022, http://utopiarossa.blogspot.com/2022/10/ucraina-20-le-condizioni-di-una-pace
4. Michele Nobile: “Why Peace with Putin Is Not Possible,” December 2, 2024; “United States, Russia and Ukraine from Biden to Trump. From appeasement to inconsistency to negotiating idiocy,” February 16, 2025; “The Failed Russo-Ukrainian Negotiations. Lessons for the Future,” February 26, 2025, http://utopiarossa.blogspot.com. On the Hitler-Stalin Pact and the Russian invasion of Ukraine: Michele Nobile, Russian invasions. Poland 1939 – Ukraine 2022, Massari Editore, Bolsena 2022.
5. Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction,Collapse of the Afghan national defense and security forces. An assessment of the factors that led to its demise, report, May 2022, which begins: “SIGAR found that the single most important factor in the ANDSF’s collapse in August 2021 was the U.S. decision to withdraw military forces and contractors from Afghanistan through signing the U.S.-Taliban agreement in February 2020 under the Trump administration, followed by President Biden’s withdrawal announcement in April 2021.”
6. First horrified by the *Kristallnacht* in Germany, then alarmed by rumors of a possible German attack on Romania, then by the invasion of what remained of Czechoslovakia, Britain finally decided to guarantee Poland. See the opening chapters of Christopher J. Hill, Cabinet decisions on foreign policy. The British experience: October 1938 – June 1941, Cambridge University Press, 1991.
7. Denys Pilash, Federico Fuentes, «“The Left Should Support a Just Peace for Ukraine, Not a Trump-Putin Deal to Appease the Aggressor”. An Interview with Ukrainian Socialist Denys Pilash», Links, March 13, 2025: “The truth is that no one in the world wants peace in Ukraine more than Ukrainians. Most people are naturally tired of war. But that doesn’t mean they want to capitulate to Russia and simply hand over our land and our people. They know that if Ukraine is divided, the millions of people in the occupied territories or who have had to flee will have no place to return to. They know that an outcome that massively rewards the aggressor will only strengthen Putin’s authoritarian regime and mean even more repression, especially in the occupied territories. So, Ukrainians have two things in mind when they think of any agreement: the fate of the people in the occupied territories and how to prevent Russia from restarting the war.”
8. Tim Ross, “29 Times Donald Trump Did What Putin Wanted,” Politico, February 21, 2025.