di Piero Bernocchi
ITALIANO - ENGLISH
La lotta antimperialista e democratica del confederalismo curdo è la più avanzata degli ultimi decenni
Relazione di Piero Bernocchi alla Conferenza Internazionale "Libertà per Öcalan: una soluzione politica per la questione curda", Roma 11 aprile 2025
Alcuni mesi fa ho pubblicato sul mio sito, a titolo personale e non in quanto portavoce della Confederazione Cobas, un articoletto di sentito rammarico per la scarsa, a mio avviso, mobilitazione in solidarietà con la lotta del popolo curdo contro l'aggressione criminale di Erdoğan in Turchia e in Siria. Sottolineavo come sarebbe stato auspicabile che, sulla base del drammatico appello del Congresso Nazionale del Kurdistan di quei giorni, in particolare la sinistra conflittuale, antagonista, radicale o anticapitalista che dir si voglia, coinvolta nella sacrosanta mobilitazione permanente per i palestinesi, dedicasse analogo impegno a favore dei fratelli e sorelle curdi. Ma aggiungevo anche il mio timore che ciò non sarebbe accaduto, poichè il criminale Erdoğan e l'iper nazionalismo turco sembrava non suscitare lo stesso sdegno del Netanyahu massacratore. E segnalavo il mio stupore per questa differenza di impegno, ritenendo io i curdi/e l'espressione più luminosa di una rivoluzione politica, civile, sociale, morale e culturale, che li dovrebbe rendere degni del massimo impegno solidale. E domandavo: perchè per i curdi "nel movimento" non si spendono energie paragonabili a quelle viste per i palestinesi egemonizzati, con le buone o le cattive, da Hamas? Perchè non era stata occupata non dico una università ma manco un'auletta scolastica in loro nome e difesa? Perchè nessun settore di studenti si è battuto per imporre l'interruzione dei rapporti culturali con le università turche, come si è fatto per quelle israeliane? O perchè non si è praticato alcun boicottaggio dei prodotti turchi come avvenuto per Israele?
Malgrado lo scritto abbia avuto una discreta diffusione, non ho ricevuto vere risposte, se non alcuni scomposti attacchi, aggressivi e offensivi, da parte di chi vedeva nelle mie domande un attacco ai palestinesi o una pretesa di dare voti alle varie lotte popolari e di resistenza, dividendole in "buone" da premiare e "cattive" da trascurare. Per la verità un tentativo di risposta c'è stata, ma sono persino imbarazzato nel riferirvele, perchè veniva da sciagurati capaci di considerare i curdi non meritevoli di solidarietà in quanto "vassalli dell'imperialismo americano" per il loro ricevere armi e aiuti militari dagli Usa. Posizioni non meritevoli di risposta, visto che l'aiuto degli Us al curdi siriani è avvenuto solo perchè gli eroici combattenti curdi erano in primissima fila, e versavano sangue a fiumi, in difesa del Medio Oriente e del mondo in generale, contro i tagliagole massacratori del Daesh/Isis. Al punto da interrompere gli aiuti una volta che le milizie del Daesh furono sbaragliate dai combattenti curdi, per non parlare dell'assoluta indifferenza attuale dell'orrendo Trump di fronte alle aggressioni del nuovo governo siriano contro le zone amministrate dai curdi del Nord Siria.
Nella relazione che ha preceduto la mia, Emily Clancy (n.b. vicesindaca di Bologna) ha esaltato il fondamentale contributo di Öcalan e del confederalismo democratico per coloro che si battono per un municipalismo democratico, per l'ambientalismo, l'ecologia sociale e il "comunalismo". Io andrei anche oltre, perchè la teoria del confederalismo curdo, elaborata da Öcalan sulla base degli insegnamenti del filosofo socialista e libertario statunitenze Murray Bookchin è, a mio parere, l'elaborazione anticapitalista e antimperialista pià avanzata mai apparsa sulla scena politica internazionale dalla fine della Seconda guerra mondiale. Essa non si limita ad essere una teoria - che rompe con la tradizione marxista-leninista dello stesso Öcalan e del Pkk dei primordi - "dell'amministrazione politica non statale e di una democrazia senza Stato", come nell'eleborazione primaria di Bookchin. Öcalan e il suo confederalismo curdo sono andati oltre, mettendo in luce come un antiimperialismo aggiornato al 21° secolo non possa ignorare che il capitalismo ha mille facce che devono essere tutte contrastate e rovesciate se si vuole sul serio prospettare un superamento dello stesso: dal che, dunque, lo sviluppo di teorie ambientaliste aggiornate, un'elaborazione sull'energia da utilizzare per una buona economia, l'assolutà parità praticata tra uomo e donna, con l'estirpazione del patriarcato e del maschilismo strutturale; il rifiuto del nazionalismo, dell'integralismo religioso e della competizione tra etnie e fedi, l'accettazione dei diversi orientamenti sessuali, la pratica della cooperazione, del dialogo e la ripulsa dell'odio inestinguibile verso l'avversario e persino il nemico, combattuto ma non demonizzato nè brutalizzato.
Mentre ascoltavo le relazioni precedenti, mi è venuto spontaneo fare un raffronto tra il mio attuale impegno a fianco della lotta curda con quelli che mi hanno coinvolto in 60 anni di attività politica, iniziata intorno al 1965. Sono stato fortemente impegnato a fianco della Rivoluzione cubana, della lotta di liberazione del Vietnam, e poi il Cile, il Nicaragua, la Palestina e, appunto, la difesa del popolo curdo. E non ho potuto evitare la considerazione che solo in questa ultima occasione la mia solidarietà è andata oltre il sostegno ad una lotta antimperialista, perchè per la prima volta si è realizzata per me un'identità di veduta completa non solo con gli obiettivi di liberazione antimperialista ma anche con la teoria, con la strategia e con la pratica della leadership del popolo in lotta: cosa per me non accaduta nè con Cuba, nè col Vietnam o il Nicaragua, il Cile, o la Palestina ieri egemonizzata da Al Fatah e oggi da Hamas.
In questa occasione, invece, a partire almeno dal Contratto sociale del Rojava del 2014 e dopo più di un decennio di gestione sociale, politica ed economica, nessuno dei principi elaborati dal confederalismo democratico è stato tradito, rinnegato o rovesciato nella pratica, nè il rifiuto dello Stato-padrone e del nazionalismo, nè la coesistenza di etnie, religioni, popoli, nè la parità di genere, nè l'ecologismo rigoroso. E nemmeno la capacità di combattere il nemico senza odiarlo, come Öcalan ha ribadito con estrema dignità nel suo Appello per la pacificazione con la Turchia, da cui neanche la pur sacrosanta ostilità, verso chi criminalmente lo ha sequestrato per 26 anni, traspariva: e che vistosa differenza con altre leadership di popoli in lotta, trasudanti integralismo religioso, cultura reazionaria e repressiva, dittatura politica e odio viscerale non solo per il nemico immediato ma per tutti i non appartenenti alla propria etnia, religione, credo politico e cultura! Perchè alla fin fine la miglior conferma della bontà di una teoria è la sua messa in pratica: anche il leninismo e bolscevismo, ad esempio, partivano con l'intenzione di garantire la giustizia e l'eguaglianza sociale ed economica, ma poi nella pratica la presunta democrazia popolare (la "dittatura del proletariato") si trasformò rapidamente prima in dittatura del partito comunista e poi, e definitivamente, in dittatura del dittatore, unico sovrano indiscutibile delle sorti del proprio popolo.
Insomma, credo che la lotta antimperialista e rigorosamente democratica del confederalismo curdo, guidato dalle intuizioni e dalla stategia elaborata da Öcalan, sia la punta mondiale più avanzata, negli ultimi decenni, di un'idea completa e ricca di democrazia, multiculturalismo, tolleranza, femminismo ed ecologismo, e un riferimento ideologico, politico e culturale senza eguali nel mondo, mentre altri popoli, ugualmente oppressi e massacrati, si sono dati (o sopportano) leadership reazionarie, ultrasessiste, omofobe e repressive. E per questo vorrei che da questa importantissima Conferenza Internazionale partisse un forte impulso per l'Italia che ci aiuti a potenziare e a moltiplicare l'impegno di solidarietà e mobilitazione a fianco del popolo curdo. Perchè, purtroppo, non riesco ad avere lo stesso ottimismo emerso dalle relazioni di Zilan Diyar, Keskin Bayindir, Mike Arnott e da altri esponenti politici curdi intervenuti, i quali hanno esaltato il rilievo dell'Appello di Öcalan per la pacificazione e la riconciliazione nazionale che, a loro dire, avrebbe cambiato radicalmente il panorama del conflitto turco-curdo, in Turchia e in Siria, e aperto nuove e positive strade per il loro popolo. E non ci riesco non solo perchè a due mesi di distanza da tale Appello nessuna risposta positiva è venuta da Erdoğan, ma ancor più per il ruolo crescente che il satrapo è venuto assumendo nei principali conflitti mondiali, dalla guerra russo-ucraina a quella israelo-palestinese, nonché per il suo potere sempre più rilevante di controllo dell'emigrazione di massa dal Medio Oriente verso l'Europa. E' questo rilievo determinante assunto negli equilibri mondiali che consente ad Erdoğan non solo di minimizzare l'appello di Öcalan e la pacificazione proposta ma addirittura di intensificare la repressione verso l'opposizione che gli ha permesso, senza particolari reazioni internazionali, di incarcerare il popolarissimo sindaco di Istanbul Imanoglu, favorito nei sondaggi per detronizzarlo dalla massima carica politica turca.
Per la verità, mi permetto anche di dissentire dall'elogio che Keskin poco fa ha fatto del legame forte e particolare con Roma dei curdi che vivono in Europa e in Italia. Evidentemente si conferma la grande generosità curda anche verso chi li ha platealmente traditi, consegnando di fatto, con la propria ignavia, Öcalan ai suoi persecutori: gravissima responsabilità che certo non è dei singoli cittadini romani ma di sicuro del potere politico romano e nazionale e segnatamente del "leader maximo" e presidente del Consiglio dell'epoca, incidentalmente proprio romano di nascita. E da allora non si può dire che le istituzioni politiche italiane si siano riscattate in qualche modo, lavorando per riparare al gravissimo danno apportato alla lotta del popolo curdo. Credo che l'unico gesto, glorioso ed eroico, che possiamo mostrare a discolpa delle responsabilità italiane, più che la mobilitazione "di movimento" che, come ho già detto, continua a sembrarmi maledettamente sottodimensionata rispetto alle necessità, è la vita che Orso, Lorenzo Orsetti, a 33 anni, nel 2019, ha offerto al popolo curdo, sacrificandola in combattimento a difesa di Kobane. Lorenzo ha lasciato, in previsione della possibilità di morire nella guerra contro i tagliagole del Daesh, uno scritto straziante e esaltante al contempo. Ci diceva soprattutto: "Non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così , non ho rimpianti, sono morto facendo quelo che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà...Sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra..Non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai!..E' proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve". Do per certo che con la sua morte combattente Lorenzo sia entrato nel "pantheon degli eroi" del popolo curdo. Vorrei tanto che entrasse pure in un "pantheon degli eroi" italiano, così rinsecchito almeno negli ultimi decenni: e che in suo nome ci si elevasse al più presto a livelli di mobilitazione che possano essere degni della sua giovane vita sacrificata.
ENGLISH
THE ANTI-IMPERIALIST AND DEMOCRATIC STRUGGLE OF KURDISH CONFEDERALISM
by Piero Bernocchi
The anti-imperialist and democratic struggle of Kurdish confederalism is the most advanced in recent decades.
Speech by Piero Bernocchi at the International Conference "Freedom for Öcalan: A Political Solution for the Kurdish Question," Rome, April 11, 2025
A few months ago, I published on my website, in a personal capacity and not as a spokesperson for the Cobas Confederation, a brief article expressing my disappointment over what I perceived as a lack of mobilization in solidarity with the Kurdish people's struggle against Erdoğan's criminal aggression in Turkey and Syria. I emphasized how it would have been desirable for the left—whether conflictual, antagonistic, radical, or anti-capitalist, however one might call it—engaged in the just, ongoing mobilization for the Palestinians, to dedicate similar efforts in support of our Kurdish brothers and sisters. But I also expressed my fear that this would not happen, as the criminal Erdoğan and Turkish hyper-nationalism seemed to provoke less outrage than Netanyahu, the mass murderer. I pointed out my surprise at this disparity of commitment, considering that the Kurds are the brightest expression of a political, civil, social, moral, and cultural revolution, one that should make them worthy of our highest solidarity. I asked: why are there no energies dedicated to the Kurds "within the movement" comparable to those seen for the Palestinians, dominated by Hamas, whether through force or otherwise? Why hadn't a university, or even a small classroom, been occupied in their name and defense? Why hadn't any student sector fought to impose a break in cultural relations with Turkish universities, as was done with Israeli ones? Or why hadn't a boycott of Turkish products been carried out, as was done with Israel?
Despite the article having been fairly disseminated, I didn’t receive any real responses, except for some disorganized, aggressive, and offensive attacks from those who saw my questions as an attack on the Palestinians or a claim to rank various popular and resistance struggles as “good” to reward and “bad” to neglect. In truth, there was one attempt at a response, but I am almost embarrassed to share it with you because it came from people who sadly considered the Kurds undeserving of solidarity, labeling them as "vassals of American imperialism" for receiving arms and military aid from the U.S. These positions do not deserve a response, as the U.S. aid to the Syrian Kurds was given only because the heroic Kurdish fighters were on the front lines, shedding blood in defense of the Middle East and the world against the slaughterers of Daesh/ISIS. The aid was even stopped once the Daesh militias were defeated by the Kurdish fighters, not to mention the utter indifference of the horrific Trump towards the new Syrian government’s attacks on Kurdish-controlled areas in Northern Syria.
In the speech preceding mine, Emily Clancy (Deputy Mayor of Bologna) praised the fundamental contribution of Öcalan and democratic confederalism to those fighting for democratic municipalism, environmentalism, social ecology, and "communalism." I would go even further, because the theory of Kurdish confederalism, developed by Öcalan based on the teachings of the socialist and libertarian American philosopher Murray Bookchin, is, in my opinion, the most advanced anti-capitalist and anti-imperialist formulation to appear on the international political scene since the end of the Second World War. It is not just a theory—breaking with the Marxist-Leninist tradition of Öcalan and the early PKK—that advocates "non-state political administration and a stateless democracy," as Bookchin initially developed it. Öcalan and his Kurdish confederalism went further, highlighting that a 21st-century anti-imperialism cannot ignore the fact that capitalism has a thousand faces, all of which must be confronted and overturned if we truly wish to propose its overcoming. Therefore, the development of updated environmental theories, a framework for the energy to be used in a sound economy, the absolute equality practiced between men and women, with the eradication of patriarchy and structural sexism; the rejection of nationalism, religious fundamentalism, and ethnic and faith-based competition; the acceptance of diverse sexual orientations; the practice of cooperation, dialogue, and the repudiation of unending hatred towards the adversary—and even the enemy—fought but not demonized or brutalized.
While listening to the previous speeches, it occurred to me to make a comparison between my current commitment alongside the Kurdish struggle and those that have involved me in 60 years of political activity, starting around 1965. I have been strongly engaged alongside the Cuban Revolution, the liberation struggle in Vietnam, and later in Chile, Nicaragua, Palestine, and, indeed, the defense of the Kurdish people. And I could not avoid the realization that only in this last case has my solidarity gone beyond supporting an anti-imperialist struggle because, for the first time, I have found a complete alignment, not only with the anti-imperialist liberation goals, but also with the theory, strategy, and practice of the leadership of the people in struggle: something that never occurred for me with Cuba, Vietnam, Nicaragua, Chile, or Palestine, which was once dominated by Al Fatah and now by Hamas.
In this case, however, starting at least with the 2014 Rojava Social Contract, and after more than a decade of social, political, and economic management, none of the principles developed by democratic confederalism have been betrayed, renounced, or overturned in practice—whether the rejection of the master-state and nationalism, the coexistence of ethnicities, religions, and peoples, gender equality, or strict environmentalism. Nor has there been a failure to fight the enemy without hating them, as Öcalan has reaffirmed with the utmost dignity in his Appeal for Reconciliation with Turkey, where not even the justifiable hostility towards those who criminally held him hostage for 26 years was apparent. What a striking difference with other leaderships of oppressed peoples, which ooze religious fundamentalism, reactionary and repressive culture, political dictatorship, and visceral hatred not only for the immediate enemy but for all who do not belong to their ethnicity, religion, political belief, or culture! Because, after all, the best confirmation of the validity of a theory is its practice: even Leninism and Bolshevism, for example, began with the intention of guaranteeing justice and social and economic equality, but in practice, the so-called popular democracy (the “dictatorship of the proletariat”) quickly transformed first into a dictatorship of the communist party and then, definitively, into a dictatorship of the dictator, the sole undisputed sovereign of his people’s fate.
In short, I believe that the anti-imperialist and strictly democratic struggle of Kurdish confederalism, guided by Öcalan’s insights and strategy, is the most advanced global movement in recent decades, representing a complete and rich idea of democracy, multiculturalism, tolerance, feminism, and environmentalism. It is an ideological, political, and cultural reference without equals in the world, while other peoples, equally oppressed and massacred, have given themselves (or endure) reactionary, ultra-sexist, homophobic, and repressive leaderships. For this reason, I would like this important International Conference to provide a strong impetus for Italy to help enhance and multiply the solidarity and mobilization efforts alongside the Kurdish people. Because, unfortunately, I cannot share the optimism expressed in the speeches by Zilan Diyar, Keskin Bayindir, Mike Arnott, and other Kurdish political figures, who praised Öcalan’s Appeal for Reconciliation and National Peace, claiming it would radically change the landscape of the Turkish-Kurdish conflict, both in Turkey and Syria, and open new and positive paths for their people. I cannot share this optimism not only because, two months after the Appeal, no positive response has come from Erdoğan, but even more so because of the increasing role that the despot has assumed in major global conflicts, from the Russo-Ukrainian war to the Israeli-Palestinian conflict, as well as his ever-growing power to control mass migration from the Middle East to Europe. It is this critical role in global balances that allows Erdoğan not only to minimize Öcalan’s appeal and the proposed reconciliation but even to intensify repression against the opposition, which has allowed him, without any significant international reaction, to imprison the popular mayor of Istanbul, İmamoğlu, who was favored in polls to dethrone him from the highest political office in Turkey.
In truth, I also feel compelled to disagree with Keskin’s praise of the strong and special relationship between the Kurds living in Europe and in Italy and Rome. It is clear that the great generosity of the Kurds extends even to those who have blatantly betrayed them, delivering Öcalan to his persecutors with their inaction. This is a grave responsibility that certainly does not fall on individual Roman citizens, but surely on the Roman and national political powers, particularly the “maximo leader” and prime minister at the time, incidentally, born in Rome. And since then, it cannot be said that Italy’s political institutions have redeemed themselves in any way, working to repair the enormous damage done to the Kurdish people’s struggle. I believe that the only glorious and heroic gesture we can show in defense of Italy’s responsibilities, more than the “movement” mobilization—which, as I have already mentioned, still seems terribly underwhelming in relation to the needs—is the life that Orso, Lorenzo Orsetti, offered to the Kurdish people at 33 years old in 2019, sacrificing it in combat to defend Kobane. Lorenzo left behind a heart-wrenching yet inspiring letter, anticipating the possibility of dying in the war against the Daesh slaughterers. He told us especially: “Don’t be too sad, I’m fine with this, I have no regrets, I died doing what I thought was right, defending the weakest and staying faithful to my ideals of justice, equality, and freedom... I’m almost certain I left with a smile on my face... Don’t give in to resignation, never abandon hope!... It’s in the darkest moments that your light is needed.” I am certain that with his death, fighter Lorenzo entered the "pantheon of heroes" of the Kurdish people. I wish he would also enter into an “Italian pantheon of heroes,” which has sadly withered at least in the last few decades. And that, in his name, we could rise as soon as possible to levels of mobilization worthy of his young life sacrificed.