Quando si dice il tempismo
...
In una fase della politica internazionale in cui l’urgenza della questione
turco/armena è praticamente a livello zero, l’Assemblea Nazionale francese ha
approvato una legge che configura come reato il negazionismo del genocidio
armeno compiuto dal governo ottomano dei Giovani Turchi durante la Prima guerra
mondiale. Per chi pubblicamente sostenga che il massacro non arrivò a
configurare un genocidio sono previsti un anno di prigione e 45.000 euro di
multa. Si aspetta che il Senato approvi a sua volta, e sicuramente così sarà.
Poiché ciò avviene in un momento in cui le due parti in causa – Turchia e
Armenia – sono impegnate in un processo, sia pure lento e faticoso, volto a
instaurare rapporti reciproci definibili “normali”, è ovvio che ci si
interroghi sul reale significato dell’iniziativa insieme a un minimo di
chiarimento sul retroterra storico delle vicende implicate.
Ma prima ancora è utile spendere due parole sul nazionalismo e certi suoi
effetti. Laddove infatti il nazionalismo ha operato all’interno di ambienti
multinazionali, o multietnici che dir si voglia, il massacro del diverso ha
sempre costituito la tragica “normalità”. Esempio: quando l’Impero ottomano fu espulso
dai Balcani – a cominciare dalla Grecia ai primi dell’800 e per finire con la
guerra balcanica all’inizio del nuovo secolo – la plaudente Europa dell’epoca
omise di porsi il problema della sorte degli islamizzati locali (tutti
inglobati, artificiosamente, nella categoria dei “turchi”, e quindi da
esecrare) a seguito della vittoria “cristiana”: la risposta è semplice: fu
l’apoteosi del massacro e del forzato esodo dalle proprie case e dai propri
luoghi di origine. Tant’è che oggi – Albania e Bosnia a parte – di “turchi” lì
ne è rimasta solo una sparuta rappresentanza.
La Turchia ottomana e la questione armena
L’incontrovertibile dato di fatto è che gli Armeni dell’Impero ottomano
furono vittime dello scontro violentissimo fra un nazionalismo virulento ma
debole – il loro – e un nazionalismo montante e virulento ma forte – quello
turco. La questione va inquadrata tenendo conto del fatto che uno dei fattori
di maggiore incidenza per la disgregazione del plurisecolare e vastissimo
Impero di Costantinopoli fu l’emergere del nazionalismo fra le sue popolazioni
cristiane (peraltro fra di loro tutt’altro che unite, anzi ostili) favorito
dall’imperialismo anglo/franco/russo. Buon ultimo, ma non meno violento, fu il
formarsi del nazionalismo turco (senza il quale tra l’altro non si spiega
l’allentamento dei rapporti fra il Sultano/Califfo e parte delle popolazioni
arabe dell’Impero).
A differenza di Greci, Serbi, Bulgari e Rumeni, gli Armeni – quando
cominciarono a ostilizzare l’Impero ottomano – si trovarono avverse due
situazioni particolari: non disponevano di alcuna regione in cui fossero
maggioritari; non trovarono, anche per questo, nessuna potenza europea che, al
di là del fatto di strumentalizzarli, fosse disposta ad aiutarli davvero. La
stessa Russia zarista, che più di tutti gli altri Stati pareva in qualche modo
favorirli, in realtà voleva solo espandersi nel Caucaso e verso l’Anatolia
orientale, e con il suo altalenante aiuto in realtà fece agli Armeni un dono
avvelenato: trattandosi di un secolare e tenace nemico dell’Impero ottomano,
dette al governo del Sultano il facile destro di additarli come traditori.
Naturalmente si susseguirono le atroci rappresaglie reciproche in cui si ebbero
- come sempre accade in casi del genere - armeni vittime innocenti e armeni
carnefici di innocenti. Lo stesso dicasi per i turchi, con i loro criminali e
le loro vittime delle rappresaglie e del terrorismo di armeni.
Fu genocidio o no?
Con la Prima guerra mondiale e l’intervento ottomano al fianco di Germania
e Austria/Ungheria, non vi era dubbio che la questione armena assurgesse a
problema di sicurezza del fronte interno; problema che i due veri padroni
dell’Impero – Enver Pasha e Talaat Pasha – pensarono di risolvere con una
specie di “soluzione finale” ante
litteram, fatta di indiscriminati massacri sul posto e deportazioni verso
la morte.
Il non essersi trattato di uno sterminio sistematico, e quindi
totalizzante, costituisce uno degli argomenti dei turchi che negano l’accusa di
genocidio. A questo riguardo va detto subito che entrare nelle sabbie mobili
dell’esegesi giuridica del concetto di genocidio secondo il diritto
internazionale è perfettamente inutile ai fini morali (ché ormai di questo solo
si tratta), poiché ognuna delle tesi in campo è argomentabile. Resta tuttavia
il fatto che si trattò di un massacro di enormi proporzioni; che tale resta al
di là del balletto delle cifre contrapposte presentate dalle parti in causa –
giocando al ribasso estremo il governo turco (500.000 morti, in buona parte
attribuiti a combattimenti e alle deportazioni) e al rialzo estremo le fonti
contrapposted (1.500.000 morti).
Immediatamente dopo la fine della Grande guerra il governo del Sultano –
sia pure obbligato dalle potenze vincitrici – iniziò a processare i
responsabili, ma si trattò di un corso giudiziario presto interrotto dagli
sviluppi della storia turca di quel periodo: cioè la reazione turca ai piani di
smembramento dell’Anatolia, concepiti da Francia e Gran Bretagna, che trovò i
punti di forza nel genio politico/militare di Mustafà Kemal Pasha e nella
non-distrutta rete organizzativa dei Giovani Turchi, e alla fine la sua
vittoria travolse anche il governo del Sultano. A quel punto la questione
armena – con una Repubblica Armena inserita nell’Urss – andava archiviata per
vari motivi: non rientrava fra le urgenze della nuova Turchia repubblicana; non
conveniva affatto ai Giovani Turchi che si erano riciclati come kemalisti; e in
più contro gli Armeni si era dovuto combattere dopo il 1918 per riconquistare i
territori dell’Anatolia orientale che le potenze vincitrici avevano attribuito
all’Armenia indipendente.
La Turchia contemporanea e
la questione armena: ovvero, la questione turca
Notoriamente, parlare di genocidio armeno ancora oggi provoca in Turchia
reazioni trasversali assai negative. Ragion per cui quanti non-armeni
affrontano l’argomento con questa veste giuridica, non possono negare di voler
provocare la reazione turca. C’è da chiedersi per quale motivo il governo turco
reagisca in questo modo, mentre sarebbe probabilmente diversa la reazione di un
discendente di Gengis Khan o di Tamerlano.
Cercare di capire rende ineludibile fare un passo indietro, per individuare
in primo luogo la possibile base del nazionalismo turco - che portò prima al
massacro degli armeni e poi alla creazione della Repubblica Turca dal carattere
laico – e poi le ricadute psicologiche, vuoi naturali vuoi indotte, di una
serie di vicende del passato.
Riguardo alla prima questione ci troviamo alle prese con un problema
globale la cui risposta va però costruita. Infatti, se prescindiamo dalla
residua minoranza turcomanna, nell’attuale Anatolia la ricerca del “turco”
etnico è estremamente difficoltosa: basta confrontare i volti di Mustafá Kemal
e di un turcomanno i cui antenati non si siano molto mescolati con membri di
altre etnie dell’Impero ottomano per dubitare della turchicità etnica di Kemal
e vedere in lui uno slavo ottomanizzato.
In realtà il cosiddetto “turco” moderno va identificato come tale su basi
linguistico/culturali ma intrecciate al fattore religioso (cioè l’Islam).
Tant’è che – laicità a parte – quando nel primo dopoguerra Eleftérios Venizelos
e Kemal, al fine di chiudere il contenzioso greco/turco sulle minoranze,
decisero lo scambio di popolazioni, che criterio usarono per stabilire chi
fosse turco e chi greco? Quello religioso, e non quello linguistico! Con la
tragicomica conseguenza, dall’oggi al domani, di greci (cioè cristiani) che
parlavano solo turco finiti in Grecia e turchi (cioè islamici) che parlavano
solo greco finiti in Turchia.
La conclusione è che lo Stato “nazionale” turco – non potendo prescindere
dall’avere al suo interno una popolazione “alquanto” composita – ha assoluto
bisogno di un cemento unitario di base che non può non essere l’Islam, non
essendocene altri disponibili, e a cui poi si aggiunge l’unicità linguistica
turca. Da qui – sia detto per inciso – il sorgere dell’annosa e irrisolta
questione curda.
Circa la predisposizione psicologica, poi, vi è da fare una considerazione
preliminare su un dato oggettivo: dopo il prodromo del massacro degli
islamizzati di Grecia negli anni ’20 dell’800, la fine di quel secolo è stata
teatro di una serie di atrocità, massacri ed esodi a danno degli ottomani
islamici, oltre che di perdite territoriali e umiliazioni internazionali. Da
qui il rinchiudersi ombrosamente in se stessi, il fare del detto “l’unico amico
del turco è turco” un dogma politico, e l’esigenza di definire e difendere la
propria identità circondandola di autostima. Autostima che viene colpita dagli
attacchi – quand’anche non infondati – di nazioni straniere la cui
specializzazione in massacri ha riempito le pagine della Storia e continua a
essere esercitata.
Mentre gli interessati si
sforzano di dialogare ...
Ovviamente irrigidirsi dall’esterno nell’imputare ai “Turchi” – in modo
indifferenziato storicamente e collettivamente - il massacro degli armeni
durante la Grande guerra serve solo a irritare il governo di Ankara senza
apportare alcun beneficio proprio all’Armenia. In più questa crociata
dall’esterno – oltre a implicare apoditticamente l’immutabilità delle identità
collettive e a voler corresponsabilizzare i contemporanei per crimini compiuti
da generazioni del passato – non tiene conto del fatto che a doversela vedere
con la Repubblica turca di oggi è l’attuale Repubblica armena, ben più degli
armeni della diaspora (ormai radicati in altri paesi a prescindere dalla
conservazione di tradizioni proprie). Molto meglio sarebbe lasciare a
sbrogliarsela i diretti interessati: cioè Ankara e Erevan.
Su questo versante i segnali positivi non mancano affatto, quand’anche non
siano stati ancora ratificati i protocolli turco/armeni di Zurigo dell’ottobre
2009, volti ad avviare la normalizzazione dei reciproci rapporti. Da
sottolineare il fatto che in Turchia l’impulso alla normalizzazione della
questione armena (come pure di quella curda) proviene dal partito islamico al
potere, mentre l’ostilità (in ambedue i casi) è dei socialdemocratici e dei
kemalisti: cioè del fronte laico.
... arriva Sarkozy a guisa
di novella Giovanna d’Arco, ma per fini propri
Non pago di un precedente pronunciamento (nel 2001) del Parlamento francese
che aveva qualificato come genocidio il massacro degli armeni, Sarkozy ha fatto
riaprire ora la questione, a ciel sereno, con la criminalizzazione legislativa
del relativo negazionismo. Che all’attuale Presidente francese non importi
nulla degli armeni massacrati quasi un secolo fa, è fuori discussione. Semmai
sono più interessanti gli armeni vivi di oggi. Infatti mediante questa mossa
Sarkozy cerca di prendere i classici due piccioni con una fava.
In primo luogo si fa bello agli occhi della minoranza armena di Francia
soddisfacendone un’antica aspirazione e, ci si può scommettere, con questo si
garantisce il loro pacchetto di voti per le prossime presidenziali, cioè per la
lotta all’ultimo suffragio che lo opporrà al candidato socialista (o presunto
tale). Non è casuale che la proposta di legge sia venuta da una deputata
marsigliese (del partito di Sarkozy), giacché a Marsiglia vive una consistente
comunità armena.
Inoltre – poiché il candidato socialista quand’anche fosse vincente alle
presidenziali sicuramente non avrebbe la possibilità di far emettere dal
Parlamento francese un deliberato di segno opposto – Sarkozy concretizza anche
un proprio intento non recente: mettere una poderosa pietra d’inciampo sulla
via delle residue aspettative di Ankara per l’ingresso nell’Unione Europea.
Ankara ha reagito subito richiamando il suo ambasciatore in Francia e
sospendendo visite bilaterali e cooperazione politico/militare. Tenuto conto
del persistere di interessi francesi nel Levante, ai quali si contrappone il
vigoroso riemergere della Turchia come potenza regionale, sicuramente si
prospettano sviluppi di un certo interesse.
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