di Michele Nobile
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Le annessioni di Putin, o della pace impossibile
Per un periodo ancora non definibile non sarà possibile una soluzione diplomatica della guerra iniziata con l’invasione totale dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, guerra iniziata dieci anni fa con l’invasione e l’annessione della Crimea e l’intervento armato negli oblast’ di Donec’k e Luhans’k a sostegno dei separatisti filo Russia sull’orlo della sconfitta. Il motivo è semplice: Putin non vuole la pace, ma la capitolazione e sottomissione dell’Ucraina. Capitolazione che Putin non riuscirà ad ottenere, per un motivo altrettanto semplice ma totalmente antagonistico al suo: per continuare ad esistere come nazionalità autonoma, sottrarsi a un genocidio culturale e mantenere uno Stato indipendente, gli ucraini non possono arrendersi né riconoscere le annessioni alla Russia del proprio territorio e di milioni di concittadini.
Che non esiste alcun «piano di pace» russo diverso dalla capitolazione dell’Ucraina è stato chiarito più volte da Putin in persona. Ad esempio, in risposta al Summit per la pace in Ucraina tenutosi a Bürgenstock in Svizzera, il 14 giugno il Presidente russo dichiarò che
«Ora, come ho già detto, la situazione è radicalmente cambiata. Gli abitanti di Cherson e Zaporižžja hanno espresso la loro posizione in referendum e le regioni di Cherson e Zaporižžja, così come le Repubbliche popolari di Donec’k e Lugansk, sono diventate parte della Federazione Russa. E non si può parlare di turbare la nostra unità statale. La volontà del popolo di stare con la Russia è inviolabile. Questa questione è chiusa per sempre e non è più oggetto di discussione»1.
Questa questione è chiusa per sempre e non è più oggetto di discussione: esiste un modo migliore per sbattere la porta in faccia a un possibile compromesso?
In conseguenza del clamoroso fallimento del piano iniziale di conquista e dei successi dell’offensiva ucraina dell’estate 2022, il dittatore russo ha dato in pasto al nazionalismo da lui stesso alimentato il contentino dell’annessione dei territori ucraini occupati. Tuttavia, se da una parte la formalizzazione della (incerta) conquista territoriale ha dato corpo ai fantasmi dell’ideologia imperiale russa, dall’altra ha messo il regime di Putin in un vicolo cieco. La decisione di annettere i territori ucraini occupati e l’emendamento alla Costituzione della Federazione russa che li incorpora costituiscono un punto di non ritorno perché Putin ha deliberatamente rinunciato alla sua carta più forte per avviare con successo - dal suo punto di vista - una trattativa circa lo status internazionale dell’Ucraina. Putin si è privato della possibilità di scambiare la restituzione delle terre occupate (magari tenendo la Crimea) con una posizione di neutralità internazionale dell’Ucraina e ulteriori accomodamenti istituzionali che consentirebbero a partiti filo-russi di influenzare la politica interna e internazionale dell’Ucraina.
L’elezione di Donald Trump a Presidente apre nuovamente la possibilità di un accordo diretto fra Stati Uniti e Russia alle spalle e sulla pelle del popolo d’Ucraina, perché Trump - che si proclama «grande amico» di Putin - è più interessato alla guerra commerciale e al ridimensionamento delle aspirazioni geopolitiche della Cina che a fermare l’espansione dell’imperialismo russo. Trump potrebbe ricattare il governo ucraino per spingerlo a negoziare con la Russia da una posizione di debolezza, minacciando la sospensione o la drastica riduzione dell’aiuto militare. Questo è senza dubbio quanto sperano a Mosca.
Tuttavia, la posizione russa rimane invariata, addirittura per gli obiettivi massimi della «denazificazione» e smilitarizzazione dell’Ucraina: per accertarsene basta consultare il sito del ministero degli esteri della Federazione russa2. Ora, tanto più perché praticamente impossibile, Putin potrebbe rinunciare a quella che definisce «denazificazione», parola in codice il cui significato reale è una purga politica che installi al potere marionette manovrate da Mosca e un processo di russificazione culturale mirato a sradicare l’identità nazionale ucraina. Non può però assolutamente rinunciare ai territori ucraini illegalmente annessi alla Russia nel 2022, perché questo equivarrebbe a una sconfitta, con possibili gravi ricadute interne. D’altra parte forse, ma è un forse molto ma molto grande, in sede di negoziato Kyiv potrebbe accettare l’annessione della Crimea e forse - un forse ancora maggiore - dei territori occupati degli oblast’ di Donec’k e Lugansk ma assolutamente non l’annessione dei territori occupati degli oblast’ di Zaporižžja e Cherson, che sono il «ponte» terrestre fra Russia e Crimea, irrinunciabile per Putin.
Dunque, per quanto forte la pressione che Trump potrebbe esercitare su Zelens’ky – certo più che su Putin - esiste un limite a quanto può pretendere, altrimenti rischiando il rigetto di un suo «piano di pace» non solo dalle parti in guerra ma anche dal suo stesso partito - oltre che dagli avversari interni - e da parte dei Paesi dell’Europa centrale e Baltica più esposti all’espansionismo russo. In effetti, considerando quanto sopra, il massimo che un Trump mediatore ben disposto verso Putin potrebbe riuscire ad ottenere non è la pace ma un mero congelamento della linea del fronte, un armistizio che creerebbe in Europa una situazione simile a quella fra le due Coree.
Quando cessare il fuoco significa capitolare