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domenica 22 maggio 2022

Ucraina 15: POLONIA 1939, UCRAINA 2022: INVASIONI A CONFRONTO. PRIMA PARTE

di Michele Nobile

 

1. 1939-2022: il passato che non passa, fra tragedia reale e farsa delle giustificazioni 

2. 1939-2022: i comunisti «moscoviti» dalla scelta tragica alla ripetizione farsesca 

3. 1939: la tragedia del Patto Hitler-Stalin e della duplice invasione della Polonia. 

4. 2022: la farsa della «necessità di proteggere» e la tragedia della distruzione dell’Ucraina

 

1. 1939-2022: il passato che non passa, fra tragedia reale e farsa delle giustificazioni 

La storia a volte si ripete, prima come tragedia poi come una farsa, scrisse Karl Marx. Eppure, sapeva benissimo che la ripetizione non è mai veramente tale, perché eventi esteriormente simili vanno spiegati mediante la loro specificità storico-sociale. Quindi, è proprio la differenza di contesto che genera la sensazione della ripetizione come farsa. Il farsesco non sorge dal concreto svolgimento dei fatti, che possono essere quanto mai tragici, bensì nella ripetizione di motivi e di pose, nella soggettività degli attori e nelle interpretazioni dei commentatori. 


Civili di Enerhodar bloccano la strada per la centrale  nucleare  di Zaporižžja ai militari russi, 2 marzo 2022
Civili di Enerhodar bloccano la strada per la centrale nucleare di Zaporižžja ai militari russi, 2 marzo 2022

Anche nella guerra russo-ucraina si può ritrovare la dialettica di reale tragedia umana e di farsa nella ripetizione degli argomenti. Per molti motivi, il termine di paragone più pertinente è l’invasione della Polonia da parte dell’Unione Sovietica, iniziata il 17 settembre 1939, a cui seguì l’annessione delle parti occidentali dell’Ucraina e della Bielorussia, prima incluse nello Stato polacco1. Obiettivamente, il confronto è suggerito sia dalla geografia, sia dal valore periodizzante che gli eventi del 1939 e del 2022 hanno per la storia mondiale. Auguriamoci che gli sviluppi del 2022 non siano gli stessi del 1939. 

Sul piano della soggettività il precedente del 1939 è rilevante sia per il grande rilievo che le memorie del passato hanno direttamente sul presente, sia per le questioni di metodo e politiche che tornano a rivivere nel 2022. A suo modo, ce lo dice lo stesso Vladimir Putin. Non è affatto di secondaria importanza che nel discorso giustificativo dell’invasione dell’Ucraina egli abbia denunciato quel che ha definito il «genocidio» della popolazione russofona in Donbas da parte degli «estremisti nazionalisti» e dei «neonazisti» ucraini, a cui ha attribuito anche l’intenzione d’entrare in possesso dell’arma nucleare2. Demagogia assurda, vista la distruzione causata dall’invasione e ricordando che nel 1994 l’Ucraina volontariamente cedette alla Russia un ricchissimo arsenale nucleare, rinunciando alla posizione di terza potenza nucleare mondiale. Gli argomenti di Putin sono gli stessi già utilizzati dagli Stati Uniti e dai «volenterosi» alleati» per giustificare le loro aggressioni (la necessità «di proteggere» la popolazione e di eliminare presunte armi di distruzione di massa), ma sono principalmente rivolti verso il pubblico russo. L’intento di Putin è toccare il cuore dei russi, stabilendo un filo diretto tra l’«operazione speciale» del 2022 contro i «nazisti» ucraini e la Grande guerra patriottica 1941-45 contro il Terzo Reich. Ovviamente, egli tocca anche il cuore di tutti coloro che nella sinistra «occidentale» - l’Occidente, entità vaga, mistica quanto l’Oriente - nutrono nostalgia per l’estinta Unione Sovietica e hanno una visione mitologica dell’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale iniziata nel 1939, non nel 1941. 

Parte della sinistra «occidentale» prova piacere nella rievocazione della gloria dell’Armata rossa ma non comprende quel che, invece, è chiaro al cittadino russo: che la narrazione della Grande guerra patriottica (la seconda dopo quella contro l’invasione napoleonica) non riguarda il socialismo ma la storia dei sacrifici e delle rinascite della Russia millenaria, ora segnata dalla lotta contro l’Occidente liberale e decadente, teso a distruggere la civiltà russa quale portatrice dei sacri valori della tradizione ortodossa e, quindi, a impedire che essa realizzi la sua «missione» nel mondo. Che per il nazionalismo grande-russo è sempre la costruzione o ricostruzione di un impero o di una sfera d’influenza imperiale, di quel che si dice il «mondo russo». 

Avanti dirò quali siano le ulteriori conseguenze di questa particolare visione della Seconda guerra mondiale. Ora noto un paradosso. Se in una prima fase lo statalismo autoritario del regime di Putin si poteva inquadrare nella tradizione imperiale volta a «modernizzare» la Russia attraverso l’integrazione nell’Occidente e la collaborazione paritaria con le altre grandi potenze capitalistiche, adesso politica e retorica del regime russo rientrano nei parametri ideologici dell’eurasiatismo, che è la variante russa di un progetto di tipo fascista o nazional-socialista3. Fino al 2011-12 chi scrive considerava l’eurasiatismo - di cui Aleksandr Dugin è il più noto esponente contemporaneo - come una curiosità, come l’opposizione fascista o rossobruna al regime con a capo Putin - di destra ma opportunista dal punto di vista fascista - ben presente nei mass media e negli ambienti intellettuali ma non rilevante per comprendere il pragmatismo della politica estera russa. Da allora le cose sono cambiate: questa variante russa dell’ideologia fascista non è più, nel complesso, qualcosa di esterno al regime. Al contrario, pur senza i voli pindarici dei teorici eurasiatisti, la retorica di Putin e degli alti funzionari statali è ora in linea con questa ideologia. E a quanto pare, lo è sempre più anche nella pratica, massimamente per quanto riguarda l’Ucraina, a partire dall’annessione della Crimea nel 2014. La fluida nozione del «mondo russo» esteso oltre i confini della Russia ora si concretizza nel progetto imperiale dell’unione eurasiatica. È innanzitutto per questo motivo che si deve considerare come un alibi o un pretesto l’argomento per cui l’aspirazione ucraina ad entrare nella Nato costituirebbe una minaccia esistenziale per la Russia. Questo alibi è parte di una narrazione nazionalistica e imperiale che ha lo stesso valore della presunta minaccia che Cuba e il Nicaragua potevano avere per gli Stati Uniti. Al contrario, come si vede nei fatti, è il progetto imperiale eurasiatico che costituisce una minaccia per l’esistenza di una autonoma nazionalità ucraina e di uno Stato ucraino indipendente. 

E dunque il paradosso è questo: Putin si riferisce alla guerra sovietica contro il nazismo per legittimare un regime che è quanto di più vicino al fascismo esista ora in Europa; rievoca la lotta dei popoli sovietici contro l’imperialismo nazista per giustificare il tentativo di colonizzare l’Ucraina. L’espediente retorico presuppone la giustificazione stalinista dell’invasione della Polonia e la falsificazione della realtà storica. Ma anche altro. 

L’invasione sovietica del 17 settembre 1939 era stata concordata con la Germania e rispondeva alle urgenti pressioni di Berlino: al lettore non sarà sfuggito che la Wehrmacht aveva attaccato la Polonia il primo del mese, determinando l’esplosione della Seconda guerra mondiale. Benché non sincronizzate, le due invasioni attuavano quanto stabilito nel Protocollo aggiuntivo segreto al Patto di non aggressione tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, siglato a Mosca il 23 agosto 1939 da Ribbentrop e Molotov per conto dei loro signori, rispettivamente Hitler e Stalin. Il Protocollo trattava «la questione della delimitazione delle rispettive sfere d’influenza nell’Europa orientale»: per l’area baltica la sfera germanica venne definita dal confine settentrionale della Lituania; e «nel caso di una nuova sistemazione politico-territoriale nell’area dello Stato polacco» le rispettive zone d’influenza erano definite dalla linea dei fiumi Narew, Vistola e San; si lasciava aperta la questione del «mantenimento di uno Stato polacco indipendente», possibilità poi negata per iniziativa di Stalin4. S’intende perché in Unione Sovietica il Protocollo sia rimasto per decenni un segreto di Stato, nonostante fosse ben noto nel resto del mondo: getta un’ombra sinistra sulla causa originaria delle sofferenze dei popoli sovietici (e non solo dei russi) durante la guerra mondiale.  

Che nella sinistra «occidentale» ci sia chi - non pochi - caschi nella trappola propagandistica di scambiare un’aggressione imperialistica per reazione difensiva e la difesa del popolo ucraino della propria indipendenza per una guerra per procura è un fatto notevolissimo, l’indice di un inconsapevole mutazione culturale e psicologica. 

Nel discorso del 24 febbraio che annunciava la guerra Putin ha portato un altro argomento che falsifica la memoria storica in funzione dell’aggressione presente: 

 

«Sappiamo bene dalla storia che nel 1940 e all’inizio del 1941 l’Unione Sovietica cercò in tutti i modi di prevenire o almeno ritardare lo scoppio della guerra. Per questo, letteralmente fino all’ultimo momento cercò di non provocare il potenziale aggressore, non eseguendo o rinviando le azioni più necessarie e ovvie per prepararsi a respingere un attacco imminente. E quei passi che alla fine furono fatti, tuttavia, erano già disastrosamente in ritardo. (...) Il tentativo di placare l’aggressore alla vigilia della Grande Guerra Patriottica si rivelò un errore che costò molto al nostro popolo. Nei primi mesi dopo lo scoppio delle ostilità vasti territori strategicamente importanti e milioni di persone. Non faremo questo errore una seconda volta. Non ne abbiamo il diritto». 

 

Putin definisce un errore (ошибкой) il tentativo sovietico di «placare l’aggressore alla vigilia (в преддверии) della Grande Guerra Patriottica». Appare come una critica dell’appeasement staliniano nei confronti del nazismo ma, in realtà, è una farsesca falsificazione della storia. La mezza verità è che, come spesso accade ai tiranni che detengono un potere assoluto, nel momento cruciale la percezione della realtà di Stalin rimase prigioniera dei suoi desideri5. Egli non volle ammettere la verità dei numerosi avvertimenti circa l’imminenza dell’invasione e che lo spostamento della frontiera sovietica verso ovest - conseguenza del Patto con Hitler - ne aveva indebolito la difesa invece di rafforzarla. Non è questa però la questione primaria, che in Russia rimane un tabù ancora nel 2022. Se quello alla «vigilia» dell’aggressione del giugno 1941 fu un «errore», la sua radice affondava nel luglio-agosto 1939: nella deliberata decisione di Stalin di stabilire un’alleanza di fatto con Hitler (formalizzata in Trattati politici ed accordi economici), con i noti effetti catastrofici per la Polonia, i popoli d’Europa, il movimento operaio, la causa dell’antifascismo e, in ultimo, gli stessi popoli sovietici. Quindi Putin deforma la realtà perché omette l’attiva complicità dell’Unione Sovietica con la Germania nazista nello scoppio della Seconda guerra mondiale e nell’invasione della Polonia. Quel che gli interessa non è la verità storica ma utilizzare l’appeasement di Stalin nei confronti di Hitler – nelle sue conseguenze enormemente più grave di quello anglo-francese - e l’aggressione nazista del 1941 per giustificare la guerra preventiva contro quelli che definisce i «neonazisti» al potere in Ucraina, come se si trattasse di prevenire il rinnovarsi della catastrofe del 1941: «la seconda volta non permetteremo un errore del genere, non ne abbiamo il diritto». Come nel 1941, ha detto Putin, «per il nostro Paese è questione di vita e di morte, una questione del nostro futuro storico come nazione», qualcosa che minaccia «non solo i nostri interessi, ma la stessa esistenza del nostro Stato e la sua sovranità». Come se le orde naziste di nuovo marciassero verso Mosca. Per buona misura, ha aggiunto che «i risultati della Seconda guerra mondiale e i sacrifici del nostro popolo per la vittoria sul nazismo sono sacri». Questo passo è ambiguo e strumentale, forse dice poco al comune cittadino dell’Europa occidentale ma può suscitare forte emozione in Russia dove, come già in Unione Sovietica, la rievocazione della Grande guerra patriottica e della geografia storica imperiale e sovietica in termini mitopoietici svolgono il ruolo di ideologia identitaria, di legittimazione del regime e di «nazionalizzazione delle masse». Dice anche un’altra cosa: che ad essere in gioco è la nostalgica aspirazione a restaurare una sfera d’influenza dell’odierna Federazione Russa sui popoli in passato sottomessi dall’autocrazia dell’Impero zarista e dal totalitarismo sovietico. Lo spazio della nostalgia imperiale è addirittura sacralizzato per l’eternità dal sacrificio russo nella Seconda guerra mondiale, come fosse irrilevante la sovranità degli Stati e dei popoli compresi in quel sacro spazio russo. 

Il nazionalismo russo nelle sue varie declinazioni è anche un imperialismo. Un suo aspetto è considerare come un’unica nazionalità quelle di Russia, Bielorussia e Ucraina, la триединства русского народа, la mistica unità trinitaria del popolo russo. E, altro fatto paradossale, proprio per il suo essere sempre imperiale, il grande problema del nazionalismo russo è la difficoltà di definire in modo coerente e stabile l’identità della stessa Russia

La dimostrazione ultima è la guerra. A Putin serve per legittimare sé stesso come padre della nuova Russia eurasiatica, monca senza l’Ucraina o almeno una sua parte che possa dirsi «russa». Tuttavia, l’aggressione di Putin nasce dal fallimento della «missione di civiltà» dell’imperialismo russo. È per questo motivo che deve dire che l’Ucraina è dominata da una cricca «neonazista» che, in quanto tale, è un corpo estraneo agli eterni legami di sangue e cultura tra la «grande» Russia e la «piccola Russia». «Neonazista» non è il neonazismo ma tutto ciò che si sottrae al nazionalismo imperialista russo. La resistenza del popolo ucraino all’invasione è la clamorosa conferma dell’indipendenza della sua nazionalità. Obiettivamente, cioè a prescindere dalle convinzioni politiche dei combattenti ucraini, è la resistenza a un regime fascisteggiante. 

Quanto a motivazione retorica dell’aggressione all’Ucraina siamo dunque in piena farsa. È la farsa della propaganda nazionalista e imperiale del regime dittatoriale di estrema destra di Putin che, ironicamente, è diventata una trappola letale per buona parte della sinistra non governativa «occidentale», che si dice antifascista e antimperialista. Questa sinistra vive ora una contraddizione sconcertante. Da una parte s’impegna a decostruire con acribia, occhiuta attenzione e viscerale passionalità miti e retorica della propaganda atlantista e governativa «occidentale». Dall’altra parte si dimostra ingenua e credulona nei confronti della propaganda putiniana, cieca di fronte al fatto crudemente semplice di un’aggressione su vasta scala, cinica in modo patologico nei confronti della sofferenza delle ucraine e degli ucraini e della volontà di un popolo non sottomettersi al regime imperiale russo. A quanto pare a sinistra si ha pure difficoltà a vedere l’evidente: che, in nome dei tradizionali valori autoritari e patriarcali del «mondo russo», coerentemente il regime russo alimenta una sorta di Internazionale nera di partiti e agitatori fascistoidi, nazisti e di estrema destra che, a sua volta, da anni appoggiano l’azione Putin contro l’Ucraina. Si tratta dei partiti come Jobbik (Ungheria), Alba dorata (Grecia), Front national (Francia), Lega Nord (Italia), Forza Nuova (Italia), Nationalsocialistiska Arbetarepartiet (Svezia), Freiheitliche Partei Österreichs (Austria), suprematisti bianchi negli Stati Uniti. 

Si potrebbe ridere, se la tragedia non fosse reale. 

 

2. 1939-2022: i comunisti «moscoviti» dalla scelta tragica alla ripetizione farsesca

Tra l’agosto e il settembre nel 1939 - e ancora fino all’invasione nazista dell’Unione Sovietica nel giugno 1941 - i militanti comunisti dei partiti fedeli a Mosca si trovarono di fronte a una scelta che, per l’epoca, era tragica. Potevano ripudiare l’alleanza di fatto tra Hitler e Stalin, rimanere coerentemente antifascisti e combattere il nazismo con le armi, al costo però di essere accusati d’essere agenti dei guerrafondai franco-britannici e, quindi, d’essere espulsi dal Partito e dall’Internazionale. Oppure potevano rimanere fedeli a Mosca, tentare di confondere le idee del proletariato europeo nei confronti del nazismo, sabotare l’industria bellica durante l’invasione della Francia, non opporsi all’occupazione tedesca nei Paesi europei e sostenere il neutralismo fintopacifista negli Stati Uniti e in America latina. Agli occhi del mondo era un pacifismo finto perché complice della barbarie e della corrente politica e imperialista più reazionaria apparsa nella storia del mondo moderno. Seguire quelle direttive fu politicamente disastroso e suicida, una mossa contro basilari acquisizioni di civiltà faticosamente conquistate e contro gli interessi del movimento socialista europeo. È per questo motivo che tanti accolsero l’invasione nazista dell’Unione Sovietica come liberazione da un atroce conflitto interiore. 

Nel 1939 non era in gioco solo la lucidità politica. Ancor più decisivi erano il coraggio morale e la forza psicologica di fare la scelta giusta a costo di mettere in discussione l’identità antropologica, radicata nell’identificazione col Partito e con la terra della Rivoluzione d’ottobre, con l’ulteriore conseguenza di dover elaborare una dolorosa valutazione di quel che era diventata l’Unione Sovietica. 

Ora, a proposito della guerra russo-ucraina la sinistra è divisa come non mai. Non si tratta di mere divergenze politiche. A sinistra, nessuno si sarebbe sognato di definire la guerra in Vietnam una guerra tra opposti imperialismi, o di dire che il Vietnam del nord dovesse arrendersi in nome della pace universale oppure che dovesse battersi solo con armi fatte in casa, invece di utilizzare quelle che venivano dall’Unione Sovietica. Ora, invece, se ci trovassimo in Ucraina, saremmo letteralmente sui lati opposti del fronte di guerra e ci spareremmo addosso. E neanche basta mettersi ad eguale distanza dai contendenti e dire pace! Fermiamo la guerra! Negoziate! Per chi si trova nel mezzo della guerra questi sono slogan vuoti di significato, che possono essere pronunciati solo da chi si trova al sicuro, a centinaia o a migliaia di chilometri di distanza, magari in una bella conferenza o meditando sulle prossime elezioni. Chi ferma la guerra e come? E a quale pace si pensa? Perché c’è un modo molto semplice per arrivare alla pace: far sì che l’Ucraina venga asservita alla Russia. Questo, però, non pare proprio sia qualcosa che gli ucraini siano disposti a tollerare, neanche gli ucraini russofoni di Mariupol, Odessa e Charkiv, che delle bombe russe oramai hanno fatto buona conoscenza. E i veri pacifisti non-violenti disertano, si sdraiano davanti ai carri armati dell’aggressore, vogliono il ritiro delle truppe d’invasione di Putin. Sono per lo scioglimento della Nato ma in questo momento, Vero come è vero che è la Terra che gira intorno al Sole, non è la Nato che bombarda la gente in Ucraina. Spero non accada, ma nell’estremo della disperazione i sinceri pacifisti protestano contro l’aggressione immolandosi nel fuoco, come i bonzi vietnamiti e Jan Palach e altri sette studenti contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1969.

Come nel 1939, anche le scelte che si fanno a proposito della guerra in Ucraina divide quel che si dice la sinistra in sezioni che, obiettivamente, occupano posizioni contrapposte dal punto di vista della lotta di liberazione dall’oppressione e del progresso della civiltà. 

Che senso ha annacquare o addirittura sostituire la condanna dell’invasione russa con la denuncia delle malefatte della Nato e della sua espansione? È moralmente e politicamente coerente rivendicare l’uscita dell’Italia dalla Nato e nello stesso tempo simpatizzare con l’«operazione speciale» di Putin? Oppure essere equidistanti tra resistenza ucraina e forza d’invasione russa? L’agitazione dell’incubo della guerra nucleare richiede che si accettino come intoccabili le sfere d’influenza della Russia e della Nato? È tanto difficile comprendere che la lotta contro la Nato, i blocchi militari e gli arsenali nucleari coincide con il diritto di tutti i popoli di fare le loro scelte, pur quando errate? Che in nessun caso si può accettare che tali scelte, quali che siano, possano essere negate dall’aggressione esterna o dal golpe interno? Un antimperialismo che è essenzialmente antiamericanismo può ancora dirsi antimperialismo? Che fine hanno fatto elementari criteri d’analisi di classe per negare che il capitalismo russo sia imperialistico? Che fine ha fatto l’elementare criterio politico per cui un popolo ha il diritto d’opporsi a un’aggressione imperialistica con i mezzi che ritiene più opportuni e di procurarseli dove può? Che i Paesi della Nato forniscano armi all’Ucraina è sufficiente per dire che si tratta di una guerra tra imperialismi? Le armi sovietiche del Vietnam del nord o del Nicaragua degli anni ’80 facevano della lotta contro l’imperialismo statunitense una guerra per procura? 

Insomma, si deve ammettere che l’Ucraina - e forse i Paesi baltici, l’Asia centrale e, perché no, la Polonia - siano «roba» della Russia e l’Italia e l’Europa occidentale degli Stati Uniti? È forse diventato questo il significato della parola pacifismo? È questo l’antimperialismo del XXI secolo? Allora forse occorrono nuove parole, che le vecchie sono finite nella fogna. Pare sia questo l’approdo a cui conduce la postmoderna sinistra, presa da simpatia per un regime reazionario e fintopacifismo che ne fa il gioco. 

In parte, a queste domande ha risposto in pratica il popolo dell’Ucraina, confermando di non volersi sottomettere a Mosca, un orientamento ora decisamente più ampio che nel 2004 e anche del 2014, come dimostrano i risultati delle elezioni presidenziali del 2019. Per la prima volta nella storia dell’Ucraina post-sovietica un candidato (Zelensky) ha vinto in tutte - tranne una - le circoscrizioni elettorali (escluse quelle sotto controllo russo e separatista), marcando un fortissimo passo avanti verso il superamento dell’usuale divisione della geografia politica del Paese tra Ovest ed Est (il Centro si era già spostato verso l’orientamento occidentale nel 2004). La verità è che la «guerra ibrida» nel Donbas e, a maggior ragione, l’invasione del 2022 hanno rafforzato l’identità nazionale di tutti gli ucraini e le ucraine, che abbiano per prima lingua l’ucraino oppure il russo; mentre il regime di Putin e l’ideologia nazional-imperiale mostrano la sua natura oppressiva delle libertà dei cittadini della multinazionale Federazione Russa e delle altre nazionalità della supposta «civiltà eurasiatica». 

La difesa Ucraina avrebbe potuto cedere dopo pochi giorni alla «superpotenza» nucleare russa, come erroneamente si prospettava Putin; i soldati avrebbero potuto disertare o ammutinarsi; la popolazione avrebbe potuto accogliere come «liberatrici» le truppe russe, le autorità locali collaborare con gli invasori. Invece l’Ucraina resiste da quasi tre mesi: è già il doppio di quanto durò la resistenza della Francia all’invasione nazista del maggio 1940; la Wehrmacht occupò Kyiv tre mesi dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, intrappolando in una sacca 600 mila militari sovietici; anche l’occupazione dell’Iraq nel 2003 si concluse in tre mesi. Benché abbia ricevuto armi dall’Occidente e abbia fatto molta esperienza dalla «guerra ibrida» iniziata dalla Russia nel 2014 con l’annessione della Crimea e il sostegno ai separatisti, l’esercito ucraino non è tecnicamente all’altezza di quello russo. La sua resistenza è incomprensibile se non si considera il fattore «morale». Questa è un’ulteriore conferma che la guerra di Putin è un’aggressione imperialista da condannare senza mezzi termini. Una sinistra che non solidarizza con la lotta del popolo dell’Ucraina di decidere da sé il proprio destino abbandona il princìpio elementare per cui il diritto dei popoli a decidere liberamente del proprio destino è condizione dello sviluppo della lotta per la democrazia politica e sociale e della liberazione dallo sfruttamento e dall’oppressione. L’ambiguità nei confronti dell’aggressione imperialista di Putin implica che sia stata smarrita la bussola per orientarsi nelle vicende del mondo.

È inerente al diritto d’autodecisione nazionale degli ucraini decidere se e come continuare la legittima autodifesa dall’aggressione e i termini di base per negoziare la fine delle ostilità, dalla migliore posizione possibile. Non è ammissibile che dall’esterno li si spinga a combattere fino all’esaurimento delle loro forze (in effetti, per esaurire quelle della Russia) oppure ad accettare un qualsiasi compromesso con il governo di Putin purché cessino le ostilità. La condizione minima per una pace giusta è stata indicata dalla risoluzione votata da 141 Paesi dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite: che la Russia «ritiri immediatamente, completamente e senza condizioni tutte le sue forze militari dal territorio dell’Ucraina entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti». Intanto la resistenza dell’Ucraina va sostenuta in tutti i modi. In questo rientrano anche la cancellazione del debito estero dell’Ucraina e le sanzioni contro gli oligarchi russi e il governo di Putin. La sconfitta della guerra di Putin potrebbe creare le migliori condizioni affinché si sviluppino le lotte delle lavoratrici e dei lavoratori contro le rispettive oligarchie capitalistiche sia in Ucraina sia in Russia, l’eventualità migliore per ricostruire le relazioni tra i due popoli, sul terreno del progresso sociale e della democrazia politica. 

Viceversa, gli eredi diretti di quei comunisti che nel 1939-41 difesero il Patto tra Hitler e Stalin si collocano dal lato reazionario della storia. Essi sono coloro che approvano l’aggressione di Putin al popolo dell’Ucraina, ne riprendono gli argomenti, negano che il regime russo sia imperialista e anzi lo esaltano come baluardo contro l’imperialismo statunitense e la Nato. Per costoro meritano lacrime e sdegno solo le vittime di bombe statunitensi e israeliane ma, fossero in Ucraina, sarebbero disposti pestare i civili che protestano contro le truppe d’occupazione - perché si tratta di «denazificarli» - e sparerebbero sui socialisti, i sindacalisti e gli anarchici che combattono contro l’invasione russa. E mentre trascinano per i capelli i pacifisti non violenti sdraiati davanti ai carri armati, potrebbero sorridere ai compagni «occidentali» che condannano la violazione del diritto internazionale da parte della Russia ma ne imputano però la causa alle provocazioni della Nato e auspicano la rassegnazione degli ucraini in nome della pace universale. 

Agli eredi del Patto tra Hitler e Stalin si addice quel che Marx ed Engels scrissero a proposito del socialismo feudale

 

«il socialismo feudale, mezzo geremiade e mezzo pasquinata, per metà eco del passato, per metà minaccia del futuro, che talora colpisce al cuore la borghesia con giudizi amari e spiritosamente sarcastici, ma che è sempre di effetto comico per la totale sua incapacità di comprendere l’andamento della storia moderna»6

 

Questa è la contemporanea sinistra reazionaria nella sua purezza, che sostiene qualsiasi regime repressivo dei lavoratori e di popoli, pure imperiale e capitalista, purché faccia mostra di antiamericanismo. Tuttavia, esistono anche altre posizioni che richiamano questioni e problemi posti dal 1939: la sostituzione del primato della geopolitica all’analisi di classe; la riduzione dell’imperialismo a fatto ideologico; l’indifferenza alla sorte di un popolo; l’ingenua credulità nei confronti della propaganda dell’aggressore; l’appello alla pace che prescinde dalla volontà di resistere all’invasione e in termini che in pratica richiedono di capitolare all’aggressione. Nel nostro mondo postmoderno pare che l’interesse di parte della sinistra si concentri nell’opposizione alla propaganda atlantista evadendo però le domande cruciali, da cui tutto il resto dipende: qual è la differenza tra gli interventi militari statunitensi e l’«operazione speciale» di Putin? È o no la guerra di Putin un’azione distruttiva della vita e della libertà d’un popolo? 

Riflettere su quali furono i presupposti e le conseguenze delle scelte di quel fatale 1939 può aiutare a prendere coscienza di cosa implichino certi orientamenti nel presente e a orientarsi in una serie di questioni che, come s’intende dalla varietà di posizioni esistenti a sinistra sull’«operazione speciale» lanciata da Putin, non sono per nulla chiare. 

 

3. 1939: la tragedia del Patto Hitler-Stalin e della duplice invasione della Polonia. 

Poiché nonostante la sua enorme portata il Patto Hitler-Stalin non pare appartenga alla memoria storica della sinistra è bene ricordare alcuni fatti salienti. 

Mentre Stalin e Molotov erano in riunione con l’ambasciatore tedesco Schulenburg, verso le due di notte del 17 settembre 1939 il vice commissario per gli esteri Vladimir Potëmkin convocò l’ambasciatore polacco a Mosca, Wacław Grzybowski, e gli consegnò una nota con la quale il governo sovietico dichiarava che l’Armata rossa avrebbe varcato la frontiera tra i due Stati. Letta la nota, impietrito, l’ambasciatore rifiutò formalmente di accettarla. Essa venne recapitata all’ambasciata solo con la posta del mattino. Quella nota iniziava affermando la bancarotta dello Stato polacco, che «Varsavia non esiste più come capitale della Polonia», che «lo Stato polacco e il suo governo hanno cessato di esistere» e, conseguentemente, erano cessati i Trattati tra Polonia e Unione Sovietica7 e che 

 

«Inoltre, il governo sovietico non può considerare con indifferenza il fatto che i popoli fratelli ucraini e russi bianchi, che vivono in territorio polacco e che sono alla mercé del fato, siano ora lasciati senza protezione. In queste circostanze, il governo sovietico ha dato disposizioni all’alto comando dell’Armata Rossa di ordinare alle truppe di attraversare la frontiera e di prendere sotto la propria protezione la vita e le proprietà della popolazione dell'Ucraina occidentale e della Russia bianca occidentale.

Allo stesso tempo, il governo sovietico propone di prendere tutte le misure per districare il popolo polacco dalla sfortunata guerra in cui è stato trascinato dai suoi capi imprudenti e per consentire loro di vivere in pace»8.

 

L’Armata rossa non entrava in Polonia per combattere l’aggressore nazista. La nota non indicava la Germania come Stato aggressore, né nominava il proletariato polacco o la nazionalità polacca, come se fossero estinti. Non diceva nulla neanche sulla lotta contro il nazismo e il fascismo negli altri Paesi europei. Ovvio, perché come l’invasione dell’Armata rossa, anche questa nota diplomatica era stata concordata tra Mosca e Berlino, benché fosse destinata a giustificare agli occhi del mondo e degli antifascisti qualcosa che fino a poche settimane prima pareva inconcepibile. Stalin si sforzava di non figurare come alleato di Hitler, dando come fatto compiuto la fine della Polonia. Ma il 17 settembre 1939 il conflitto era ancora in corso: distrutta dai bombardamenti, Varsavia si arrese solo il 27. L’Armata rossa attaccò mentre la resistenza all’invasione nazista era in pieno svolgimento, tanto che fu proprio nella seconda metà del mese che il gruppo sud della Wehrmacht ebbe i tre quarti dei suoi caduti. Il governo polacco non prese mai in considerazione, in alcun momento, la possibilità di un armistizio o di una resa all’aggressore nazista; dopo la caduta della Francia, Polonia e Gran Bretagna (questa con i Dominionsextraeuropei) furono gli unici Stati belligeranti contro il Terzo ReichI polacchi continuarono a combattere come esercito in esilio in difesa della Francia; dopo la capitolazione francese continuarono a combattere come aviatori nella Battaglia d’Inghilterra (erano il 20% dei piloti da caccia della Raf e si guadagnarono una fama leggendaria), e fino alla fine della guerra mondiale in Medio oriente, in Norvegia, in Italia e nella stessa Polonia9. L’esercito polacco era stato sconfitto nel 1939 ma i polacchi continuarono a combattere, senza dimenticare la doppia invasione. Nella divisione del lavoro tra Wehrmacht e Armata rossa a quest’ultima spettò il compito di bloccare la ritirata delle truppe polacche verso la Romania: vi furono battaglie e vennero catturati circa 230 mila militari polacchi; oltre 100.000 riuscirono però a sottrarsi alla cattura. 

È appassionante indagare a tutto campo e in più paesi le condizioni e il processo che portarono al Patto tra Hitler e Stalin, si tratti delle questioni di politica economica che influenzarono le decisioni circa gli armamenti e la strategia; dell’evoluzione dello stato d’animo dell’opinione pubblica britannica e statunitense sul nazismo e sull’appeasement; dell’atteggiamento degli Stati «minori» (più importante di quanto si possa pensare); dell’anatomia delle partite simultaneamente giocate da Stalin su due tavoli, con i negoziatori francesi e britannici e con i nazisti; ed altro ancora. Tuttavia, se su tutti questi punti la ricerca e la discussione è aperta, i risultati di quel Patto furono e sono cristallini. Li riepilogo nella loro crudezza.

Primo: garantendo che, al contrario del 1914, la Germania non avrebbe dovuto affrontare una guerra su due fronti, il Patto tra Hitler e Stalin fu la condizione strategica che permise alla Germania hitleriana di invadere la Polonia e scatenare la Seconda guerra mondiale. 

Secondo: il Patto aveva la forma di un Trattato di non-aggressione ma la sua sostanza politica era la spartizione delle sfere d’influenza in Europa orientale, come definita nel Protocollo segreto. È per questo motivo che nei primi giorni di luglio Stalin decise di far fallire le trattative con la Francia e il Regno Unito, che continuarono ai soli fini di alzare la posta in gioco con Hitler, che della benevola neutralità dell’Unione Sovietica aveva disperato bisogno; e per poter attribuire ai governi francese e britannico la responsabilità della mancata alleanza antinazista10.  

Terzo: al Patto d’agosto si aggiunsero il Trattato sovietico-tedesco di amicizia, cooperazione e demarcazione delle frontiere del 28 settembre 1939 (con annesso nuovo protocollo segreto), l’appoggio sovietico all’«iniziativa di pace» hitleriana tra settembre e ottobre 1939, gli accordi e commerciali e le forniture di materie prime da parte dell’Urss: di fatto, fino all’invasione nazista del giugno 1941 l’Unione Sovietica fu alleata del Terzo Reich 11

Quarto: l’alleanza di fatto con Hitler consentì alla Germania di superare i gravi problemi del riarmo che esistevano nel 1939 e anche subito dopo l’invasione della Polonia. Superati questi problemi e forte delle risorse accumulate con la sottomissione dell’Europa, Hitler fu così in grado sferrare l’attacco all’Unione Sovietica, con le note e terribili conseguenze12. La Wehrmacht del 1939 non era la stessa del 1941: qualsiasi scelta diversa da quella dal Patto con Hitler avrebbe risparmiato ai popoli sovietici - e forse al resto d’Europa - atroci sofferenze. 

Dal punto di vista degli interessi storici delle classi dominate e del socialismo, con il Patto con Hitler, tra i 1939 e il 1941 Stalin schierò l’Unione Sovietica e il Comintern con un imperialismo programmaticamente ultra-reazionario, sanguinario e genocida, deliberatamente volto ad annientare ogni tendenza del movimento operaio europeo e all’arretramento della civiltà. E dunque i comunisti fedeli al Partito e a Mosca sostennero queste posizioni:

 

«Mentre la Wehrmacht occupava la Danimarca, il Belgio, i Paesi Bassi, la Francia e la Norvegia, i partiti comunisti di quei Paesi pubblicarono dichiarazioni che in seguito avrebbero preteso di non ricordare. Istigati dal Comitato esecutivo del Comintern, per esempio, i comunisti danesi definirono l’invasione tedesca come la “risposta alla grave violazione della neutralità dei Paesi scandinavi da parte dell’Inghilterra e della Francia”. Nei Paesi Bassi il partito, guidato dal segretario generale Paul de Groot, dopo l’invasione della Wehrmacht esortò a combattere la Gran Bretagna; la resistenza all’invasore tedesco venne ricusata. In Norvegia, il 15 maggio 1940, i comunisti pubblicarono un appello a un’intesa con l’occupante che raccomandava un nuovo ordine europeo sotto egida tedesca e con la Germania al centro. Era, vi si diceva, “nell’interesse dei lavoratori” cessare le ostilità e favorire un avvicinamento economico fra la Norvegia e il Terzo reich. E in Italia l’attacco di Mussolini alla Grecia, nell’ottobre del 1940, non suscitò alcuna protesta né da parte del Partito comunista né del Comintern»13.  

 

4. 2022: la farsa della «necessità di proteggere» e la tragedia della distruzione dell’Ucraina

Secondo la propaganda stalinista, l’intervento sovietico aveva il fine di proteggere i «fratelli» delle parti occidentali della Bielorussia e dell’Ucraina, che però poi furono deportati a centinaia di migliaia14. Un dettaglio che fa comprendere la crescita del nazionalismo anti-sovietico durante la guerra e la diffidenza nei confronti della Russia, profondamente radicata proprio nell’Ucraina occidentale. Del resto, anche la propaganda hitleriana che preparava l’invasione verteva sul trattamento della minoranza tedesca in Polonia. E ora, in modo simile, uno dei due argomenti con cui Putin giustifica l’aggressione all’Ucraina è il dovere di salvare la popolazione russofona del Donbas dall’intento genocida dei «nazisti» di Kyiv. Si ripete una tragedia reale ma la sua giustificazione, già tremendamente ipocrita nel 1939, nel 2022 suona ora come il soggetto di una farsa orribile. 


Irpin, vicino Kyiv

Il ruolo, decisivo ma non esclusivo, svolto dall’Unione Sovietica nella guerra contro la Germania dopo il giugno 1941, decenni di rimozione del Patto Hitler-Stalin e di negazione dell’esistenza del Protocollo segreto ancora durante il periodo di Gorbaciov, offuscarono la collaborazione con il nazismo nei due anni precedenti, decisivi per la sorte di milioni di persone. Fu a Vilnius in Lituania durante la manifestazione del 23 agosto 1988, a cui parteciparono 200 mila persone, che per la prima volta in Unione Sovietica si liberò pubblicamente la memoria e la condanna del Patto Hitler-Stalin. 

Per quale ragione questo accadde proprio in Lituania? La risposta è che lì, come negli altri Paesi baltici, era forte la memoria dell’annessione forzata del 1940, delle deportazioni subito seguenti e di quelle dopo la guerra mondiale. Questa identica memoria era forte anche in Ucraina occidentale e, in tutta l’Ucraina, il ricordo della collettivizzazione forzata e della genocida carestia del 1932-33. A questo si aggiungeva la recente tragedia della centrale nucleare di Čhornobyl (nel 1986; Čhernobyl in russo). Ricordare e condannare il Patto Hitler-Stalin e il Protocollo segreto significava delegittimare il potere del Partito e porre le basi per la separazione dall’Unione Sovietica. La crisi interna del potere sovietico liberò la memoria storica dei popoli della Polonia, dell’Ucraina, dell’Estonia, della Lettonia e, a sua volta, l’aggravò. Per questi popoli (a cui va aggiunto quello della Finlandia, attaccata dall’URSS a fine novembre 1939), le conseguenze del Patto tra Hitler e Stalin sono una realtà viva. Essi hanno ben presente che, se l’Armata rossa li liberò dal dominio dal dominio nazista, a sua volta ne impose un altro. 

L’invasione dell’Ucraina appare dunque come il violento tentativo di restaurare delle vecchie frontiere dell’Unione Sovietica, quasi il ripetersi di quanto avvenne nel 1939-40, al tempo della spartizione della Polonia e delle sfere d’influenza tra Hitler e Stalin. Non ci si sorprenda se, per la propria difesa, i Paesi sulle frontiere occidentali e settentrionali della Federazione russa tengano tanto a porsi sotto il riparo dell’ombrello Nato e se a questi potrebbero aggiungersi Finlandia e Svezia. I comunisti che non riescono a comprendere questo fatto elementare e che difendono l’Unione Sovietica come fosse l’Immacolata concezione fanno il più bel favore alla destra delle nazionalità un tempo dominate dal regime staliniano, che si fa forte dell’equazione tra comunismo, oppressione nazionale e totalitaria negazione della libertà. I comunisti per cui ricordare i crimini di Stalin è cosa noiosa e inutilmente divisiva non comprendono che il suo spettro nell’Europa centrale e orientale ha lo stesso valore che in Italia ha rievocare Mussolini come «grande statista». E dimostrano che essi stessi non si sono liberati di quello spettro. 

Nella storiografia di Stato sovietica e post-sovietica la Seconda guerra mondiale è narrata come Grande guerra patriottica, dizione carica di implicazioni. Si badi al fatto che le enormi ed eroiche sofferenze dei popoli sovietici divennero - e tali sono più che mai nella storiografia del regime di Putin - una narrazione nazionalisticadella grandezza della Russia, celebrata come patriottica vittoria sul nazismo. La continuità in questo campo tra la storiografia dell’Unione «socialista» e della Russia capitalista pare bizzarra, ma si spiega perfettamente con il ruolo di mito (ri)fondativo che la narrazione della Seconda guerra mondiale nella forma della Grande guerra patriottica ebbe prima per il regime staliniano e poi per quello post-sovietico. Il successo di questo mito non è solo conseguenza della manipolazione dall’alto. Si deve alla necessità popolare di dare un senso e una direzione all’esistenza come collettività. Una esigenza che si ritrova anche nella sinistra «occidentale», che non riesce a rielaborare fino in fondo la fine dell’Unione Sovietica e la restaurazione capitalistica in Russia e in Cina.

Il punto cruciale, in verità comico, è che l’ideologia ora non ha alcun aggancio con la realtà che si diceva «socialista». Conseguentemente, nella mente della sinistra postmoderna è la realtà che deve essere integralmente ricostruita in modo da adattarsi ai residui di un’ideologia che oramai è un guscio vuoto, riempito però dalla propaganda di Stato della Russia. Ragion per cui gli ucraini che non vogliono sottomettersi al capitalismo oligarchico e autoritario russo diventano ipso facto «nazisti»; l’aggressione russa all’Ucraina una legittima mossa difensiva russa nei confronti della Nato. Anche per i fintopacifisti la guerra di Putin sarebbe una «esagerata» reazione all’allargamento della Nato invece che frutto del progetto imperiale eurasiatico, ragion per cui gli obiettivi sono «fermare la guerra», non il ritiro delle forze d’invasione russe, impedire l’invio d’armi alla resistenza ucraina, non la sconfitta dell’imperialismo russo. Tanto presa dalla critica dell’imperialismo statunitense e della retorica atlantista, questa sinistra pare non rendesi conto d’essere egemonizzata dalla propaganda imperiale russa. 

Si noti che per la storiografia nazionalista russa la Guerra patriottica inizia nel 1941 perché l’arco di tempo dall’agosto 1939 al giugno 1941 - in cui Stalin fu di fatto alleato di Hitler - crea grandi problemi alla ricostruzione mitologica e patriottica del ruolo dell’Unione Sovietica nella genesi della Seconda guerra mondiale. Oltre a deformare l’approccio a una guerra che era mondiale, la visione patriottica della Seconda guerra mondiale richiede che si ignori il contributo degli altri Alleati alla stessa sopravvivenza dell’Urss nei terribili anni 1941-4215 e che passino in secondo ordine quanto in quel conflitto si manifestò come guerra di classe (aspetto in contrasto con la linea staliniana, limitata alla lotta contro i regimi politici fascisti) e le lotte di liberazione nazionale in Asia. È logico perché, dopo l’armistizio firmato con il Giappone il 15 settembre 1939 (era in corso una guerra locale sovietico-giapponese in Manciuria), il 13 aprile 1941 Unione Sovietica e Giappone firmarono un Patto di non-aggressione, rotto dalla prima solo l’otto agosto 1945 (dopo il bombardamento nucleare di Hiroshima) e che per la seconda fu molto utile nella guerra contro le forze di Mao e nazionaliste in Cina.  

Altre conseguenze della narrazione nazionalistica-imperiale della Grande guerra patriottica sono: la rimozione della costruzione dell’Impero russo come serie di conquiste coloniali oppressive di popoli verso l’Europa centrale, il Caucaso, il Baltico, l’Asia centrale e la Siberia, fino all’Alaska; la positiva valutazione di Stalin, non in quanto «bolscevico» ma per la restaurazione dei confini dell’Impero russo e per aver ridato grandezza alla potenza militare della Russia; la caduta a precipizio della memoria delle vittime del terrore staliniano. 

La funzione di legittimazione della narrazione mitopoietica della Grande guerra patriottica si concretizza nell’identificazione di patriottismo, militarismo e nazionalismo, associati all’idea della Russia come vittima delle aggressioni straniere, all’esaltazione della potenza statale russa e a una diffusa visione complottistica della storia e degli eventi contemporanei: perché se la Russia è santa ed eterna, allora il male non può che venirvi dall’esterno, da manovre straniere che ne insidiano l’esistenza e tentano di corromperne l’anima. 

Sono il nazionalismo imperiale e lo statalismo autoritario che ora uniscono i «rossi» e i «bruni» russi, i nostalgici dell’Unione Sovietica e quelli dell’Impero zarista. È la narrazione nazionalistica della Grande guerra patriottica che spiega perché nazionalisti russi di estrema destra possono battezzare come «popolari» le Repubbliche secessioniste, e celebrare la vittoria dell’Armata rossa sul nazismo. Qualcosa che non ha nulla a che fare con l’internazionalismo socialista e tutto con la ricostruzione dell’Impero russo. L’agitazione di bandiere rosse da parte delle truppe russe è ora solo ed esclusivamente l’esibizione di un simbolo svuotato del suo significato originario e riempito con un altro e opposto significato: quello del nazionalismo imperiale. La Z simbolo dell’invasione ha un significato opposto a quello del titolo del film antifascista di Costa Gravas, «Z - L’orgia del potere», del 1969 e contro i «colonnelli» fascistoidi greci. Nel film significa «lui vive». Ora significa: «uccidere». Quel che rimane è l’orgia di potere. 

Ridotto a significare quel che resiste all’imperialismo russo, l’aggettivo «nazista» può essere impiegato dal nazionalismo imperiale per demonizzare l’avversario. È quanto ha fatto Putin indicando tra gli obiettivi della guerra la «denazificazione» dell’Ucraina e inventando un genocidio in Donbas, enormemente ingigantendo l’estrema destra fascistoide in Ucraina, a malapena capace di ottenere pochi seggi in Parlamento. Vale a questo proposito la dichiarazione sottoscritta da decine di specialisti del nazismo, dell’Olocausto e della Seconda guerra mondiale: 

 

«Respingiamo fermamente il cinico abuso del termine genocidio da parte del governo russo, la memoria della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto e l’equazione dello stato ucraino con il regime nazista per giustificare la sua non provocata aggressione. Questa retorica è di fatto sbagliata, moralmente ripugnante e profondamente offensiva per la memoria di milioni di vittime del nazismo e di coloro che hanno combattuto coraggiosamente contro di esso, compresi i soldati russi e ucraini dell’Armata Rossa.

Non idealizziamo lo Stato e la società ucraini. Come ogni altro paese, ha estremisti di destra e gruppi xenofobi violenti. L’Ucraina dovrebbe anche affrontare meglio i capitoli più oscuri della sua storia dolorosa e complicata. Eppure niente di tutto ciò giustifica l'aggressione russa e la grossolana errata caratterizzazione dell’Ucraina. In questo fatidico momento siamo uniti all’Ucraina libera, indipendente e democratica e respingiamo fermamente l’uso improprio della storia della Seconda guerra mondiale da parte del governo russo per giustificare la propria violenza»16.  

 

La «nazificazione» russa della società ucraina ha lo scopo di costruirla come male assoluto, delegittimando e de-umanizzando a priori l’avversario per condurre una guerra volta al suo annientamento politico17. Così la farsesca «necessità di proteggere» si rovescia nella tragica distruzione dell’Ucraina e nella negazione dell’esistenza di una nazionalità autonoma e della sua libertà di decidere il proprio futuro. A prescindere da direttive dall’alto, da questo punto di vista si può spiegare la sistematicità e la gravità dei crimini di guerra delle truppe russe in Ucraina, tra cui non mancano veri fascisti e i tagliagole al soldo del feroce regime ceceno imposto con la guerra dalla Russia sopra quella nazionalità. Il paradosso è che un regime politico che in Italia farebbe urlare «fascismo!» demonizza come «nazista» l’avversario, rendendo anche più difficile una mediazione politica. Qualcosa di diverso dalla vittoria completa su un nemico così stigmatizzato espone l’amministrazione Putin a una crisi di credibilità nella politica interna. 

Uno dei migliori libri che ho letto sulla Russia di Putin è un documentatissimo studio sull’utilizzo degli stereotipi sessuali, patriarcali e omofobici ai fini della legittimazione e delegittimazione politica e della costruzione del patriottismo russo. Avviandosi a concludere l’autrice ha scritto:

 

«Sotto la guida di Putin, il sistema politico russo si è spogliato suoi fragili abiti democratici, sia metaforicamente che letteralmente. Ha trovato un nuovo look nel guardaroba della mascolinità di Putin, accessoriato dalla sessualizzazione del sostegno politico delle donne. Mentre il regime esplorava il suo nuovo abbigliamento, ha scoperto che togliere i vestiti (per scoprire il petto di Putin oppure per rivelare la biancheria intima delle sue fan) ha funzionato per accrescere la legittimità politica di chi detiene il potere. L’esposizione indecente ha prodotto indici di approvazione decenti, anche se ha riconfermato una gerarchia di genere non democratica e ha contribuito a distogliere l’attenzione da un campo di competizione politica sempre meno democratico»18

 

È possibile che una guerra indecente possa produrre risultati decenti per chi la provoca? Vedremo. Quel che i governanti della nuova Russia potevano e possono ancora temere dall’Ucraina non è la minaccia militare ma l’esempio politico dei movimenti di massa contro l’oligarchia politica ed economica, l’aspirazione - fino ad ora tradita - a una società in cui la politica non equivalga al saccheggio delle finanze pubbliche e in cui l’economia generi posti di lavoro anziché rendite per gli oligarchi. Proprio per i vincoli linguistici e culturali tra ucraini e russi, un’Ucraina che, per ipotesi, si liberasse dei diversi gruppi oligarchici, costituirebbe veramente un «cattivo esempio» per i cittadini russi. 

 

Note    

1          Sul Patto fra Hitler e Stalin e l'esplosione della guerra: i documenti sulle trattative Unione Sovietica-Terzo Reich in Raymond James Sontag-James Stuart Beddie (a cura di), Nazi-Soviet relations, 1939-1941. Documents from the archives of the German foreign office, Department of State, Washington 1948; anche: Documents on German foreign policy 1918-1945, serie D, vol. VII, «The last days of peace, August 9-September 3, 1939», Her majesty's stationery office, London 1956; Walther Hofer, a cura di, Lo scatenamento della seconda guerra mondiale. Uno studio sui rapporti internazionali nell'estate del 1939. Con documenti, Feltrinelli, Milano 1969. Altri testi sull’argomento: Angelo Tasca, Due anni di alleanza germano-sovietica. Agosto 1939-giugno 1941, La Nuova Italia, Scandicci 1989; Philipp Fabry, Il patto Hitler-Stalin 1939-1941, Il Saggiatore, Milano 1965; Arturo Peregalli, Il patto Hitler-Stalin e la spartizione della Polonia, Erre emme, Roma 1989. Sulla invasione sovietica della Polonia: Steven Zaloga, L’invasione della Polonia. La “guerra lampo”, RBA Italia, Milano 2009; John Erickson, «The Red army's march into Poland, September 1939» e Ryszard Szawłoski, «The Polish-Soviet war of September 1939», entrambi in Keith Sword (a cura di), The Soviet takeover of the Polish Eastern provinces, 1939-41, Macmillan, Basingstoke 1991; Alexander Hill, «Voroshilov’s “lightning” war. The Soviet invasion of Poland, September 1939», The journal of Slavic military studies, vol. 27, n. 3, 2014. La campagna di Polonia nel quadro generale: Donald Cameron, How war came. The immediate origins of the second world war, 1938-1939Heinemann, London 1989, trad. ital. 1939. Come scoppiò la guerra, Leonardo, Milano 1991 e Nicholas Bethell, The war Hitler won. September 1939, Penguin, Londra 1972. Sulla politica estera sovietica la trilogia di Jonathan Haslam e, in particolare, The Soviet Union and the struggle for collective security in Europe, 1933-39, Macmillan, London 1984. Si vedano anche Adam B. Ulam, Storia della politica estera sovietica (1917-1967), Rizzoli, Milano 1970 e Silvio Pons, Stalin e la guerra inevitabile, 1936-1941, Einaudi, Torino 1995. Rimando anche a quanto pubblicato da chi scrive su http://utopiarossa.blogspot.com: «77 anni da quando Hitler e Stalin alleati diedero inizio alla Seconda guerra mondiale: attualità politica e problemi storiografici e teorici del patto nazi-sovietico, giovedì 1 settembre 2016;«Settembre 1939: conquista e spartizione della Polonia fra Terzo Reich e Unione Sovietica. All’origine della Seconda guerra mondiale, 31 ottobre 2016«Il discorso di Molotov del 31 ottobre 1939 che proclama la volontà di pace di Hitler, 26 dicembre 2016. 

2          Testo del Messaggio di Putin del 24 febbraio 2022, sul sito del Presidente della Russia: in russo, Обращение Президента Российской Федерации, http://kremlin.ru/events/president/news/67843 e in inglese: Address by the President of the Russian Federation; si vedano anche https://www.youtube.com/watch?v=ucEs0nBuowE e il testo in italiano: «Putin prende la decisione di lanciare un’operazione militare speciale nel Donbass», https://it.sputniknews.com/20220224/putin-prende-la-decisione-di-lanciare-unoperazione-militare-speciale-nel-donbass-15280297.html   

3          Sull’eurasiatismo, mistica filosofia geopolitica del destino imperiale russo, esiste ormai una letteratura ampia, su cui segnalo alcuni testi. Di Marlène Laruelle, Russian Eurasianism. An ideology of Empire, Woodrow Wilson center press, The Johns Hopkins University press, Washington e Baltimora, 2008; «The three colors of Novorossiya, or the Russian nationalist mythmaking of the Ukrainian crisis», Post-Soviet affairs, vol. 32, n. 1, 2016; a sua cura: Eurasianism and the European far right. Reshaping the Europe-Russia relationshipLexington Books, Lanham, MD, 2015. Alan Ingram, «Alexander Dugin. Geopolitics and neo-fascism in post-Soviet Russia», Political geography, vol. 20, n. 8, 2001; Andreas Umland, «Aleksandr Dugin’s transformation from a lunatic fringe figure into a mainstream political public», Journal of Eurasian studiesvol. 1, n. 2, 2010; Vassilis Petsinis, «Eurasianism and the far right in Central and Southeast Europe», Central and Eastern European Review, vol. 8, n. 1, 2014; Mark Bassin-Sergey Glebov-Marlène Laruelle (a cura di), Between Europe and Asia. The origins, theories, and legacies of Russian Eurasianism, University of Pittsburgh press, Pittsburgh, 2015; Anton Shekhovtsov, Russia and the Western far right. Tango noir, Routledge, 2017. 

4          I testi del Patto di non-aggressione e del Protocollo segreto sono tradotti in italiano in Lo scatenamento della seconda guerra mondiale. Uno studio sui rapporti internazionali nell'estate del 1939. Con documenti, Feltrinelli, Milano 1969, a cura di Walther Hofer, pp. 150 e 156. La questione dell’uso politico della storiografia è fondamentale in ogni discorso sulla costruzione del nazionalismo ed è di eccezionale importanza per la Russia e altri Paesi dell’Europa centrale e orientale. Per il Patto e la Seconda guerra mondiale in Russia: Lev Bezymensky, «The secret protocols of 1939 as a problem of Soviet historiography», in G. Gorodetsky (a cura di), Soviet foreign policy, 1917–1991. A retrospective, Cass, London 1994; Thomas Sherlock, Historical narratives in the Soviet Union and Post-Soviet Russia. Destroying the settled past, creating an uncertain future, Palgrave McMillan, New York 2007 e «Russian politics and the Soviet past. Reassessing Stalin and Stalinism under Vladimir Putin», Communist and Post-Communist Studies, vol. 49, n. 1, 2016, che pone particolare attenzione ai manuali di storia; Marlène Laruelle, In the name of the nation. Nationalism and politics in contemporary Russia, Palgrave Macmillan, New York 2009, che ha scritto anche sull’eurasiatismo; M. V. Liñán, «History as a propaganda tool in Putin’s Russia» e K.Korostelina, «War of textbooks. History education in Russia and Ukraine», Communist and Post-Communist Studies, vol. 43, n. 2, 2010; Todd H. Nelson, «History as ideology. The portrayal of Stalinism and the Great Patriotic War in contemporary Russian high school textbooks», Post-Soviet affairs, vol. 31, n.1, 2015.

5       In particolare: David E. Murphy, What Stalin knew. The enigma of Barbarossa, Yale University Press, New Haven e Londra 2005; Jonathan Haslam, «Stalin and the German invasion of Russia 1941: a failure of raisons of state?», International affairs, 2000; D. Cameron Watt, «An intelligence surprise. The failure of the foreign office to anticipate anticipate the Nazi-Soviet pact», Intelligence and national security, n. 3, 1989. 

6          Karl Marx-Friedrich Engels, Manifesto del partito comunista, III capitolo.

7          In particolare, si trattava del Patto di non aggressione tra Unione sovietica e Polonia, sottoscritto il 25 luglio 1932 ed esteso due anni dopo fino al 1945. Il primo articolo impegnava le due parti a rinunciare a qualsiasi genere di azione aggressiva. Il secondo articolo stabiliva che se uno dei contraenti fosse stato aggredito l’altro sarebbe stato obbligato a «non prestare aiuto o assistenza, direttamente o indirettamente, allo stato aggressore, per tutta la durata del conflitto»; con il terzo articolo i due Stati contraenti si impegnavano a non sottoscrivere «qualsiasi accordo apertamente ostile alla controparte». L’equivalente di questo Patto è il Memorandum sottoscritto dalla Russia nel 1994, stracciato con l’invasione e l’annessione della Crimea nel 2014. Il resoconto di Potëmkin dell’incontro con Grzybowski, dal diario ufficiale del Commissariato per gli affari esteri, è in Katyn. A crime without punishment, Yale University Press, New Haven 2007, a cura di Anna M. Cienciala e Wojciech Materski, doc. n. 5, pp. 46-47. 

8          Soviet documents on foreign policy, vol. 3: 1933-1941, a cura di Jane Degras, Oxford university press, London 1953, p. 374; 

9          Ad es., il rapporto tra piloti polacchi caduti e aerei tedeschi abbattuti fu 1 a 9 per gli squadroni interamente polacchi, ma di 1 a 3 per la Raf, nella quale erano inquadrati: Michael Alfred Peszke, «Polish armed forces in exile. Part I. September 1939-july 1941», The Polish review, vol. 26, n. 1, 1981, p. 93; Halik Kochanski, The eagle unbowed. Poland and the Poles in the Second world warHarvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2012, p. 221: «il segreto del loro successo era la capacità di trattenersi dall’aprire il fuoco finché non erano a 100-200 iarde dall’aereo tedesco [circa 100-200 m.], mentre i meno esperti piloti britannici iniziavano a sparare da 400 iarde»; i polacchi persero 33 piloti ma 34 divennero assi dell’aviazione militare, ciascuno con più di 5 aerei nemici abbattuti. 

10        Il 7 agosto 1939 Stalin trasmise al commissario del popolo alla Difesa, maresciallo Kliment Vorošilov, le direttive per far fallire la trattativa con le delegazioni militari francese e britannica a Mosca, mentre metteva a punto il Patto di non-aggressione tra Germania e Urss. Il documento integrale in Anna M. Cienciala, «The Nazi-Soviet Pact of august 23, 1939: when did Stalin decide to align with Hitler, and was Poland the culprit?», in M.B.B. Biskupski (a cura di), Ideology politics and diplomacy in East Central Europe, University of Rochester Press, Rochester 2003, pp. 203-4.; trad. ital. delle direttive di Stalin in M. Nobile, «77 anni da quando Hitler e Stalin alleati diedero inizio alla Seconda guerra mondiale», op. cit. 

11        Sulla collaborazione economica tra Unione Sovietica e Terzo Reich durante la guerra: Edward E. Ericson, Feeding the German eagle. Soviet economic aid to nazi Germany, 1933-1941, Praeger, New York 1999.    

12        Sui problemi economici del riarmo del Terzo Reich e il rapporto con la strategia militare: Adam Tooze, The wages of destruction. The making and breaking of the nazi economy, Allen Lane, London 2006; trad. ital. Il prezzo dello sterminio. Ascesa e caduta dell'economia nazista, Garzanti, Milano 2008.           

13        Claudia Weber, Il patto. Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale 1939-41, Einaudi, Torino 2021, p. 177. Weber cita da Bernhard Bayerlein, Der Verräter, Stalin, bist Du! Vom Ende der Linken Solidarität Komintern und kommunistiche Parteien im Zweiten Weltkrieg 1939-41, Berlino 2008. 

14        Sulla conquista, la politica sovietica e le deportazioni da Ucraina e Bielorussia occidentali: Jan T. Gross, Revolution from abroad. The Soviet conquest of Poland’s Western Ukraine and Western Belorussia, Princeton University Press, Princeton 1988; Keith Sword, (a cura di), The Soviet takeover of the polish eastern provinces, 1939-41, Macmillan, Basingstoke 1991; Claudia Weber, Il patto. Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale 1939-41, op. cit.

15     Mi soffermo sul punto perché la storiografia sovietica e russa presentano una visione mitologicamente «autarchica» della Seconda guerra mondiale, al punto che per molto tempo fornì cifre sottostimate delle perdite umane, parte dell’operazione d’occultamento delle responsabilità di Stalin e soci e di riaffermazione della grandezza dello Stato sul popolo sovietico. Infine e a carissimo prezzo, l’Armata rossa sconfisse la Wehrmacht sul fronte orientale ma senza l’aiuto degli Stati Uniti è molto probabile che nel 1942 la Wehrmacht avrebbe schiacciato l’Unione Sovietica. Mark Harrison, studioso dell’economia sovietica, in particolare per quel che riguarda la sua capacità militare prima e durante la Seconda guerra mondiale, ha scritto che «Non possiamo misurare la distanza dell'economia sovietica dal punto di collasso nel 1942, ma sembra fuori dubbio che il collasso fosse vicino. Senza Lend-Lease, sarebbe stato più vicino. Lo stesso Stalin lo riconobbe, sebbene si esprimesse in modo più diretto. Disse più volte a Chruščëv che l’Unione Sovietica aveva subito perdite così pesanti che senza l’aiuto degli alleati avrebbe perso la guerra», «The USSR and total war. Why didn’t the soviet economy collapse in 1942?», in RogerChickering-Stig Förster-Bernd Greiner, (a cura di), A World at total war. Global conflict and the politics of destruction, 1937-1945, Cambridge University Press, Cambridge 2004, p. 155. Harrison si riferisce alle memorie di Nikita Chruščëv; il Lend-Lease Act era la legge per cui gli Stati Uniti fornivano materiale bellico agli alleati, per l’Unione Sovietica stimati pari al 5% del suo Prodotto interno nel 1942 e al 10% nel 1943 e nel 1944. Altri lavori sull’argomento sono più perentori di Harrison. Ovviamente, il fatto che la Wehrmacht fosse tanto duramente impegnata a Est e che il popolo sovietico resistesse a un prezzo umano enorme, a cui si deve tutto l’onore possibile, permise agli Stati Uniti di arruolare un minor numero di operai, così indirettamente contribuendo alla crescita della produzione bellica nordamericana.

16        Statement on the War in Ukraine by scholars of genocide, nazism and World War IIhttps://docs.google.com/document/d/1Lg3p8A3XtedJSIScgDDLlPY45FVFzxpK0pxOoeUh_MI/edit  

17        Si veda l’articolo di Timofei Sergeitsev, progetto totalitario per la «rieducazione» della società ucraina, vista come «nazificata». In russo: «Что Россия должна сделать с Украиной», sito di RIA Novosti, 3 aprile 2022, https://ria.ru/20220403/ukraina-1781469605.html; testo in inglese: https://medium.com/@jkmuf1861/a-russian-plan-for-the-genocide-of-the-ukrainian-people-8c866bed9c63      

18        Valerie Sperling, Sex, politics, and Putin, Oxford University Press, Oxford 2015, p. 306.

 

Le puntate precedenti sull’Ucraina in questo blog:

 

Ucraina 14: CONQUISTA DELL’UCRAINA E STORIA DELL’IMPERIALISMO RUSSO, di Zbigniew Marcin Kowalewski

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/05/ucraina-14-conquista-dellucraina-e.html

Ucraina 13: LA CONQUÊTE DE L’UKRAINE ET L’HISTOIRE DE L’IMPÉRIALISME RUSSE, par Zbigniew Marcin Kowalewski

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/05/ucraina-13-la-conquete-de-lukraine-et.html#more

Ucraina 12: L’IPOCRISIA DEL PACIFISMO-NEUTRALISMO, di Roberto Massari

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/04/lipocrisia-del-pacifismo-neutralismo.html

Ucraina 11: LA SINISTRA REAZIONARIA, di Michele Nobile

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/04/ucraina-11-la-sinistra-reazionaria-e.html#more

Ucraina 10: GLI OBIETTIVI DI PUTIN. CONSOLIDARE LA SFERA D’INFLUENZA ESTERA E IL REGIME INTERNO, di Michele Nobile

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-10-gli-obiettivi-di-putin.html

Ucraina 9: L’INDIPENDENTISMO UCRAINO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, di M.J. Geller-A.M. Nekrič

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-9-lindipendentismo-ucraino.html

Ucraina 8: IL DISARMO NUCLEARE UNILATERALE DELL’UCRAINA, di Michele Nobile

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-8-il-disarmo-nucleare.html

Ucraina 7: L’ALLEANZA NAZISOVIETICA E L’HITLEROCOMUNISMO, di Roberto Massari

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-7-lalleanza-nazisovietica-e.html 

Ucraina 6: LE CIFRE DEL GENOCIDIO IN UCRAINA, di Robert Conquest

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-6-le-cifre-del-genocidio-in.html

Ucraina 5: MACHNO E LA MACHNOVŠČINA, di Daniel Guérin

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-5-machno-e-la-machnovscina.html

Ucraina 4: FERMIAMO LA GUERRA, FUORI LE TRUPPE RUSSE DALL’UCRAINA, della Confederazione COBAS

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-4-fermiamo-la-guerra-fuori-le.html

Ucraina 3: CON LA RESISTENZA UCRAINA, CONTRO L’AGGRESSIONE IMPERIALE DI PUTIN, di Michele Nobile 

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-3con-la-resistenza-ucraina.html

Ucraina 2: Il DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE SECONDO LENIN, di Roberto Massari

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-2-il-diritto.html

Ucraina 1. IL GENOCIDIO DIMENTICATO, di Ettore Cinnella

http://utopiarossa.blogspot.com/2022/03/ucraina-1-il-genocidio-dimenticato.html

 

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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.