L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

ČESKÝDEUTSCHΕΛΛΗΝΙΚÁENGLISHESPAÑOLFRANÇAISPOLSKIPORTUGUÊSРУССКИЙ

venerdì 11 marzo 2022

Ucraina 2: Il DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE SECONDO LENIN

di Roberto Massari


So bene che molti sostenitori (diretti o indiretti) dell’invasione dell’Ucraina non si pongono minimamente il problema del diritto all’autodeterminazione dei popoli in generale e quello dell’Ucraina in particolare. Lo fanno perché sono così affascinati dai tratti dittatoriali della Russia odierna o per semplice ignoranza? Tertium non datur.
Prendiamo per buona la seconda ipotesi - l’ignoranza - e a questa dedichiamo la «lezione» odierna.

I filorussi (che ereditano moralmente i crimini compiuti contro l’autonomia dei popoli dai loro antenati filosovietici e filostaliniani) pensano spesso di essere anche eredi del leninismo. In parte ciò sarebbe anche un po' vero, ma solo per quanto riguarda tutta l’azione antirivoluzionaria di Lenin successiva all’ottobre 1917, passata attraverso la liquidazione dei soviet e dei comitati di fabbrica, e culminata nell’eccidio di Kronštadt contro il sorgere della Terza rivoluzione russa.
Ma non è affatto vero riguardo ai princìpi dell’autodeterminazione dei popoli, da Lenin difesi strenuamente in campo teorico per tutta la sua vita, per lo meno dal 1913 fino all’ultimo messaggio che gli fu concesso di scrivere prima della segregazione e della morte.
Tanta coerenza su un unico tema è difficile da spiegare, se si pensa che Lenin cambiò le proprie idee teoriche in continuazione e su quasi tutto: sul partito, sui soviet, sullo Stato, sull’autonomia dei lavoratori, sull’internazionalismo e addirittura sul marxismo (divenuto hegelismo nell’ultima parte della sua vita). Ma sull’autodeterminazione non cambiò mai ed espresse le idee più avanzate per l’epoca sua che siano mai state formulate in seno al movimento operaio.
Egli arrivò infatti a rivendicare il diritto alla separazione dei popoli, indipendentemente dalla natura di classe che avrebbe assunto tale separazione. Per lui, diritto alla separazione e diritto all’autodeterminazione si identificavano, e lo espresse chiaramente e ripetutamente nei suoi scritti dedicati al tema.
Nel mio libro sull’Antirivoluzione russa che è qui citato alla fine, ho ricostruito abbastanza dettagliatamente l’itinerario di pensiero e azione di Lenin su questo tema. Per economia di spazio, però, ho estratto solo una parte del capitolo e raggruppato i testi fondamentali di Lenin sull’argomento. Chi li ignora, farebbe bene a leggerli prima di parlare. Chi li conosce, ma si trova malauguratamente a negare il diritto all’autodeterminazione per il popolo ucraino, farebbe bene a rileggerli e chiedersi perché questo aspetto dell’opera teorica di Lenin è quello meno ricordato, benché sia l’unico ancor oggi valido.

A luglio 1913 il capo bolscevico scrive le «Tesi sulla questione nazionale» che esordiscono con la frase seguente, perentoria e di sinteticità insolita rispetto al suo stile:

«1. Il paragrafo del nostro programma (sull’autodecisione delle nazioni) non può essere interpretato che nel senso dell’autodecisione politica, cioè del diritto di separazione e di costituzione di uno Stato indipendente.
2. Per la socialdemocrazia russa questo punto del programma socialdemocratico è assolutamente necessario, a) sia in nome dei princìpi fondamentali della democrazia in generale...».

Seguivano i punti b), c) che possiamo tralasciare. Mentre il sottopunto d) si concludeva ripetendo:

«I socialdemocratici russi devono, in tutta la loro propaganda, insistere sul diritto di tutte le nazionalità di costituire uno Stato separato o di scegliere liberamente lo Stato del quale esse desiderano far parte» (p. 89).

Il punto 4. conteneva un’altra affermazione chiara e incontrovertibile: una distinzione, complementare alla dichiarazione generale di principio e che costituiva l’essenza del pensiero leniniano sull’autodeterminazione:

«Se la socialdemocrazia riconosce il diritto di autodecisione per tutte le nazionalità, ciò non significa affatto che essa rinunci a una valutazione autonoma dell’opportunità, in ogni singolo caso, della separazione statale di questa o quella nazione. Al contrario, i socialdemocratici devono dare precisamente un giudizio autonomo [...]».

Traduco in termini schematici per rendere più chiaro il discorso leniniano: 1) i rivoluzionari difendono il diritto all’autodeterminazione di tutti i popoli, senza eccezioni (si tratta quindi di un diritto assoluto); 2) tale diritto ha senso se include il diritto di separazione e di costituzione di un nuovo Stato; 3) i rivoluzionari valutano autonomamente se la separazione sia la soluzione migliore o quale altra prospettiva politica sia valida per l’esercizio del diritto all’autodeterminazione. Fine della traduzione.
Se risulta chiara la differenza tra a) la difesa del diritto assoluto all’autodeterminazione dei popoli - b) separazione inclusa - e c) l’individuazione di una prospettiva politica specifica per la quale si ritiene che vada utilizzato il diritto all’autodeterminazione, si può anche cogliere l’essenza cruciale del pensiero di Lenin sull’argomento. E in tal caso la discussione può proseguire sulla forma di governo o di regime politico che si considera più idonea per realizzare il diritto all’autodeterminazione nazionale anche sul piano sociale, culturale ecc. Senza un accordo preliminare sul punto a) del testo di Lenin tale discussione sarebbe impossibile perché si intreccerebbero (si confonderebbero) in continuazione il livello del principio della libertà dei popoli con quello della forma storica in cui tale principio può esprimersi. 
La posizione sopra citata era esposta in un contesto di Tesi (quindi il massimo di rappresentatività politica). Ma Lenin la chiarisce ulteriormente in una lettera a Stepan Georgievič Šaumjan (1878-1918), a dicembre 1913:

«Noi siamo a favore dell’autonomia per tutte le parti, siamo per il diritto alla separazione (e non per la separazione di tutti). L’autonomia è il nostro piano per la struttura di uno Stato democratico. La separazione non è affatto il nostro piano. Noi non propagandiamo affatto la separazione. In generale siamo contro. Ma [in questo caso (n.d.a.)] siamo per il diritto alla separazione poiché esiste il nazionalismo grande-russo centonero...» (p. 104).

A maggio 1914 Lenin aveva precisato:

«Se vogliamo comprendere il significato dell’autodecisione delle nazioni, senza trastullarci con le definizioni giuridiche, senza “fabbricare” definizioni astratte, ma analizzando i fattori storici ed economici dei movimenti nazionali, arriveremo di necessità a concludere che per autodecisione delle nazioni si intende la loro separazione statale dalle collettività straniere, si intende la creazione di uno Stato nazionale indipendente. Vedremo in seguito per quali altre ragioni è sbagliato considerare il diritto di autodecisione come una cosa diversa dal diritto all’esistenza politica indipendente» (p. 143).

Dopo il 1914, a Lenin stanno a cuore tre grandi questioni politiche:  la guerra, la costituzione di una nuova Internazionale e la crescita della sinistra zimmerwaldiana. Tre obiettivi che possono confluire in uno, senza che ciò lo porti ad alterare le sue posizioni sull’autodeterminazione. Del resto questo è un problema incandescente che la guerra sta riportando all’attualità, soprattutto a causa del risveglio dei popoli asserviti dai due grandi Imperi: l’austroungarico e lo zarista, senza dimenticare anche l’Impero ottomano che si dissolverà a sua volta nel 1922 con la deposizione dell’ultimo sultano, Maometto [Mehmet] VI (1861-1926, centesimo Califfo dell’Islam), ad opera di Mustafa Kemāl Atatürk (1881-1938).
Nel 1916 Lenin torna sul tema, ancora nella forma di Tesi («La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all’autodecisione» [Sotsialističeskaja revoljutsija i pravo natsii no samoopredelenie - Tezisy]). La socialdemocrazia europea si è scissa irrevocabilmente sul voto dei crediti di guerra, si sono svolte le conferenze di Zimmerwald e Kienthal, è andato in stampa L’imperialismo e si comincia a vedere una prospettiva ravvicinata di rivoluzione socialista anche per la Russia. Tempi burrascosi, premonitori di grandi rivolgimenti politici. La problematica leniniana dell’autodeterminazione non poteva non risentirne a sua volta.
E infatti ne risente, in particolare per un tema che si rivelerà discriminante e drammaticamente attuale anche per la crisi che porterà al crollo dell’Urss nel 1991: cosa ne sarà del diritto all’autodeterminazione dei popoli dopo la rivoluzione socialista? La risposta di Lenin non potrebbe essere più chiara e più coerente con quanto affermato sino ad allora:

«Il socialismo vittorioso deve necessariamente instaurare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l’assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche riconoscere il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, cioè il diritto alla libera separazione politica. Quei partiti socialisti i quali non dimostrassero mediante tutta la loro attività - sia oggi, sia nel periodo della rivoluzione, sia dopo la vittoria della rivoluzione - che essi liberano le nazioni asservite e basano [invece] il loro atteggiamento verso di esse sulla libera unione - e la libera unione non è che una frase menzognera senza la libertà di separazione - tali partiti tradirebbero il socialismo» (pp. 210-11).

Questo brano andrebbe letto e riletto perché qui Lenin ci sta dicendo né più né meno che il diritto all’autodeterminazione (alla separazione) va difeso anche quando, dopo un’eventuale rivoluzione, i popoli vorranno separarsi dal regime vittorioso (socialista o quale che sia) e vorranno darsi un regime sociale diverso (capitalistico o quello che sia). È quanto accadrà effettivamente in Russia dopo il 1917 e, bene o male, Lenin manterrà una certa coerenza con tale posizione.

[Breve inciso. Al di là della questione nazionale, devo dire che questo testo del 1916 è molto bello. È profondo e altamente educativo, uno dei suoi migliori. Lenin vi sviluppa liberamente - cioè fuori da condizionamenti statualistici - l’intreccio tra lotta per la democrazia e lotta per il socialismo. In quanto posteri sappiamo che poi violerà le posizioni qui e altrove espresse sulla democrazia (su quella borghese così come sulla democrazia diretta o socialista), ma ciò non toglie che il testo rappresenti uno dei punti più elevati raggiunti dall’elaborazione leniniana, almeno per iscritto, su una problematica destinata ad essere d’attualità per chissà quanto tempo ancora. Chiuso inciso.]

«[...L’umanità] non può giungere all’inevitabile fusione delle nazioni se non attraverso un periodo transitorio di completa liberazione di tutte le nazioni oppresse, cioè di libertà di separazione [...]. Il proletariato deve esigere la libertà di separazione politica delle colonie e delle nazioni oppresse della “sua” nazione. Nel caso contrario, l’internazionalismo del proletariato resterà vuoto e verbale; tra gli operai della nazione dominante e gli operai della nazione oppressa non sarà possibile né la fiducia, né la solidarietà di classe» (pp. 214-16).

A maggio 1917, nel pieno del fermento rivoluzionario in Russia:

«A tutte le nazionalità che fanno parte della Russia dev’essere riconosciuto il diritto di separarsi liberamente e di costituirsi in Stato indipendente. Negare questo diritto e non prendere le misure idonee a garantirne l’applicazione pratica significa sostenere una politica di conquiste o di annessioni» (p. 234).

A pochi giorni dalla presa del potere («Per la revisione del programma del Partito», scritto il 6-8 [16-21] ottobre 1917 e pubblicato in Prosveščenie, nn. 1-2):

«Invece della parola autodecisione, che ha dato più volte motivo a false interpretazioni, io pongo un concetto assolutamente preciso: “il diritto di separarsi liberamente”[...]. Una volta preso il potere, noi riconosceremmo subito e senza condizioni questo diritto alla Finlandia, all’Ucraina, all’Armenia e a qualsiasi nazionalità oppressa dallo zarismo (e dalla borghesia grande-russa). Ma noi, dal nostro canto, non vogliamo assolutamente la separazione [...]. Noi vogliamo una unione libera e dobbiamo perciò riconoscere la libertà di separazione (senza libertà di separazione, l’unione non può essere definita libera). Noi siamo tanto più tenuti a riconoscere la libertà di separazione in quanto lo zarismo e la borghesia grande-russa, con la loro oppressione, hanno lasciato nelle nazioni vicine un’ombra di rancore e di diffidenza verso i grandi-russi in generale» (XXVI, pp. 162-3).

Gi eventi, come è noto, non andranno nel senso teorizzato da Lenin o annunciato nei programmi del Partito bolscevico. Molte delle promesse fatte alle varie nazionalità, dopo la rivoluzione vennero disattese senza esitazioni, così come vennero disattese le nuove speranze emerse dopo la vittoria dell’Ottobre  anche tra le avanguardie politiche attive in varie parti del mondo coloniale o delle nazionalità oppresse.

Tra l’ottobre 1917 e il 1920 si disgrega gran parte dell’Impero zarista e il governo dei Soviet accetta l’indipendenza (separazione) della Finlandia, degli Stati baltici (che verranno annessi di nuovo solo dopo il patto Molotov-Ribbentrop), della Polonia (che rimarrà indipendente fino a settembre 1939, quando verrà invasa dalle truppe di Hitler e Stalin alleate) e della Georgia. Questa era diretta dai menscevichi al momento della separazione, ma in seguito a una rivolta popolare probolscevica entrerà a far parte nel 1921, come repubblica sovietica indipendente, della Repubblica socialista federativa sovietica russa: Российская Совeтская Федеративная Социалистическая Республика (Rossijskaja Sovetskaja Federativnaja Sotsialističeskaja Respublika) [Rsfsr] - la futura Urss.
Erano questi tutti nuovi Stati che, nel distaccarsi dalla neonata Federazione russa, optavano per il ritorno a regimi capitalistici. Il processo non fu lineare, ma si svolse tutto sommato pacificamente (con l’eccezione molto particolare del tentativo bolscevico d’invadere la Polonia nel 1920), dimostrando che ciò che Lenin aveva scritto sul diritto all’autodeterminazione/separazione - da rispettare anche quando esso implichi una rinuncia al «socialismo» da parte della nazione che si separa - venne per il momento sostanzialmente accettato nella pratica.
Non rinunciarono apparentemente a mantenere un regime «socialista» gli altri Stati ai quali venne riconosciuto il diritto all’autodeterminazione e che si organizzarono in Repubbliche sovietiche indipendenti (anche qui con alterne vicende, molto complicate): l’Ucraina, la Bielorussia, l’Azerbaigian, l’Armenia, le Repubbliche di Khiva e Buchara, la Georgia dopo il 1921. È arcinoto invece che negli anni seguenti - morto Lenin e contro il suo parere - tutte queste repubbliche verranno assorbite forzosamente all’interno dell’Unione russa con la politica dei cosiddetti «Trattati». Tale politica fu avviata dal Commissariato alle nazionalità, diretto originariamente da Stalin che, in realtà, riuscirà a ricostituire il vecchio Impero zarista, utilizzando contro le popolazioni metodi violenti ai quali lo stesso zarismo da tempo aveva smesso di far ricorso.
Tutte queste nazioni - più di tutte l’Ucraina, con i suoi milioni di morti - pagheranno prezzi umani e sociali altissimi per il loro rifiuto di farsi snazionalizzare dal nuovo Impero grande-russo sovietico. Ma non riusciranno a riconquistare l’indipendenza fino a dopo il 1989-91, con strascichi, complicanze e successive annessioni delle quali si è parlato abbondantemente sulla stampa internazionale negli ultimi decenni (e in alcuni casi si continua ancora a parlare).
Sulla vicenda drammatica della Georgia occorre invece soffermarsi per capire fino a che punto Lenin credesse veramente nelle posizioni da lui espresse sull’autodeterminazione delle nazioni che si volessero separare dall’Unione grande-russa.
[…]
In uno dei suoi ultimi testi che riesce a far filtrare attraverso le maglie della segregazione che Stalin gli ha imposto, con tono accorato Lenin chiede perdono agli operai russi per non aver vigilato su questo aspetto del programma bolscevico («Sulla questione delle nazionalità o dell’“autonomizzazione”», 31 dicembre 1922):

«A quanto pare sono fortemente in colpa verso gli operai della Russia perché non mi sono occupato con sufficiente energia e decisione della famosa questione dell’autonomizzazione, ufficialmente detta, mi pare, questione dell’unione delle repubbliche socialiste sovietiche [...]. In tali condizioni è perfettamente naturale che la “libertà di uscire dall’unione”, con la quale ci giustifichiamo, si rivela un inutile pezzo di carta, incapace di difendere gli allogeni della Russia dall’invasione di quell’uomo veramente russo, da quello sciovinista grande-russo, in sostanza vile e violento, che è il tipico burocrate russo. Non vi è dubbio che una percentuale insignificante di operai sovietici e sovietizzati affogherà in questa marmaglia sciovinista grande-russa come una mosca nel latte» (pp. 246-7[...]).

C’è un secondo appunto in cui affronta in dettaglio le violazioni che sta subendo la nazione georgiana e in cui indica Stalin, Feliks Edmundovič Džerzinskij (1877-1926) e Grigorij Konstantinovič Ordžonikidze (1886-1937) come i principali responsabili. E c’è l’appunto del 5 marzo 1923 (terzultimo della sua vita) in cui chiede a Trotsky di aiutarlo nella lotta contro Stalin sulla questione della Georgia, cioè proprio su una questione di autodeterminazione nazionale:

«Caro compagno Trotsky, vi pregherei molto di assumervi la difesa della questione georgiana al Cc del partito. La cosa è ora sotto “inquisizione” di Stalin e di Džerzinskij, e non posso fidarmi della loro imparzialità. Tutt’altro. Se voi accettaste di assumervene la difesa, potrei essere tranquillo» (p. 254).

Trotsky rifiutò (per ragioni di salute), come di fatto aveva rifiutato (dopo l’incontro segreto svoltosi ai primi di dicembre 1922) la proposta fattagli da Lenin di condurre una lotta di frazione contro Stalin - e ancora si discute se questi rifiuti abbiano cambiato o no il corso della storia del Novecento...
C’è poi il penultimo biglietto di Lenin (5 marzo 1923) rivolto a Stalin in cui gli chiede di scusarsi per come si è comportato verso Nadežda Krupskaja e per ciò che è stato fatto contro di lui (cioè Lenin), nel quadro della vicenda georgiana, minacciando in caso contrario di «rompere i rapporti» fra loro. E anche questo breve testo dimostra quanta importanza Lenin ancora attribuisse alla questione.
E infine, l’ultimo biglietto (del 6 marzo, p. 255) che riuscì a far trasmettere prima che su di lui calasse per sempre il silenzio tramite il regime di reclusione impostogli dallo stesso Stalin: sono le ultime parole di Lenin in assoluto, quasi l’ultimo grido di un combattente irriducibile. E sono parole dedicate proprio alla questione della Georgia, di fatto alla sua autodeterminazione, in sostanziale coerenza con quanto aveva scritto sull’argomento durante quasi tutta la sua vita:
Rigorosamente segreto
Ai compagni Mdivani, Macharadze e altri.
           Copia ai compagni Trotsky e Kamenev
Cari compagni,
   seguo con tutto il cuore la vostra questione. Sono sdegnato della brutalità di Ordžonikidze e del favoreggiamento di Stalin e Džerzinskij. Preparerò per voi degli appunti e un discorso. Con stima Lenin

Per quanto riguarda i testi che Lenin annunciava di voler scrivere sulla questione georgiana, non sapremo mai se sia riuscito a farlo perché da quel 6 marzo - quando era chiaramente ancora lucido e combattivo - fino alla morte, più di dieci mesi dopo (21 gennaio 1924) Stalin riuscì a impedire qualunque sua ulteriore comunicazione con l’esterno. 
La tragica vicenda della fase finale della vita di Lenin, prigioniero di un meccanismo inumano che egli stesso aveva contribuito a creare, è stata magistralmente ricostruita e documentata nel celebre libro di Moshe Lewin (del 1967): L’ultima battaglia di Lenin (Laterza, 1969).
Sulla questione dell’autodeterminazione dei popoli, le posizioni dell’ultimo Lenin più chiare di così non potrebbero essere. Nessun altro, nella storia del movimento operaio (di qualsiasi tendenza o colore politico) ha mai dedicato alla questione nazionale - meglio detta «autodeterminazione dei popoli» - così tante energie, in così tanti testi, per così tanti anni e attraverso vicende storico-politiche così diverse e drammatiche.
Fu l’unica questione fondamentale su cui Lenin riuscì a mantenere una coerenza teorica pressoché ininterrotta, nonostante i cedimenti nella pratica. E questo pur dovendo fare i conti con il gran numero di Stati che l’immenso Impero zarista aveva tenuto insieme per secoli con la forza. La Repubblica dei soviet li liberava momentaneamente, concedendo formalmente a tutti il diritto all’autodeterminazione (quindi anche alla separazione), pur non condividendo tale scelta. Una contraddizione che lo stalinismo (fino al 1953), il chruscevismo (fino al 1964) e il breznevismo (fino al 1982) risolveranno alla maniera loro... cioè cruenta. Ma l’oppressione delle nazionalità continuerà ad essere talmente esplosiva che nemmeno l’ambiguo regime della perestrojka riuscirà a contenere. Dopo un ultimo disperato tentativo gorbacioviano di reprimere con la forza l’indipendentismo lituano (gennaio 1991), comincerà il crollo definitivo dell’ex Impero sovietico.

(tratto da Roberto Massari, Lenin e lAntirivoluzione russa, Bolsena 2018. Si raccomanda la lettura anche di altre parti del libro come prima introduzione a una comprensione di quanto sta accadendo oggi in Ucraina [r.m.].)


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.