L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

ČESKÝDEUTSCHΕΛΛΗΝΙΚÁENGLISHESPAÑOLFRANÇAISPOLSKIPORTUGUÊSРУССКИЙ

mercoledì 6 marzo 2019

Una breve introduzione all’Islam

di Gualtiero Via



Premessa

Queste note non sono accademiche, non sono polemiche, non sono giornalistiche, non sono apologetiche. Le potremmo definire didattiche, o se si vuole divulgative. Esse hanno visto la luce, in effetti (in una prima stesura) in contesto scolastico, per colmare delle lacune gravi, di natura storica, in una classe terza di scuola superiore.
Quello che verrà riassunto qui è in effetti un capitolo, potremmo dire, di storia medievale del Vicino Oriente e del Mediterraneo. Non verrà mai sottolineato abbastanza il fatto che almeno trattando di storia antica e altomedievale, le varie religioni -e ciò non vale solo per i monoteismi- hanno rappresentato aspetti estremamente importanti della cultura e delle mentalità collettive delle società umane.
Il calo di “presa” e prestigio delle religioni, la “secolarizzazione”, come viene chiamata, che ha investito con forza apparentemente inarrestabile la maggior parte dell’Europa e dell’America dalla fine del Settecento a gran parte del Novecento (semplificando qui moltissimo un fenomeno che semplice non è stato), può facilmente far dimenticare come e quanto, invece, la religione sa stata per millenni un fattore ineliminabile della mentalità, dell’èthos, della società umana, un fattore, potremmo dire “transculturale”. Che si stiano leggendo l’Iliade e l’Odissea, o Virgilio, o gli Atti deli Apostoli, o Dante, se noi dimentichiamo questo noi capiremo solo in parte -e magari in piccolissima parte- quello che stiamo leggendo. Questo è un concetto generale, che è bene tenere a mente.

Ora, quale che sia la posizione soggettiva di ciascuno in materia religiosa, noi possiamo assolutamente parlare di ebraismo, o di zoroastrismo, o di cristianesimo, o di islam, come di fenomeni storici, fenomeni che possiamo indagare con strumenti razionali, esattamente come si indaga ogni altro fenomeno storico. 



L’argomento

Si vuole offrire un’introduzione all’Islam. Nelle righe che seguono verranno tratteggiati alcuni aspetti, soprattutto, inerenti due importanti argomenti, che sono considerati qui preliminari per qualunque possibilità di capire l’islam come fenomeno storico, umano, reale. Questi i due argomenti:
1- Il contesto storico-sociale nel quale crebbe il profeta Maometto, e nel quale poi egli avviò la sua predicazione, fino al formarsi, alla Mecca, di un piccolo nucleo di suoi seguaci, che subito prese a ingrandirsi.
2- Lo straordinario e rapido successo dell'Islam poco dopo la morte di Maometto. Questo successo verrà commentato con alcune considerazioni di tipo storico-sociale e culturale.

Il contesto d’origine

Con la predicazione di Maometto e soprattutto con il successo della sua predicazione, la penisola Arabica conobbe un fondamentale cambiamento nelle sue condizioni sociali, giuridiche, ovviamente religiose e politiche.
L’Arabia in cui nacque e crebbe Maometto viveva, secondo un punto di vista statuale, una condizione di grande frammentazione, perché non esisteva un potere centrale e la società era strutturata in “clan”. Il clan era un gruppo di famiglie, al cui interno i componenti erano legati reciprocamente da vincoli molto forti, cementati da rapporti sia parentali (matrimoni) che di interesse comune (commercio carovaniero, cura degli animali -fondamentale era il cammello, l’animale grazie al quale era possibile viaggiare attraverso i deserti). All’interno di ogni clan comandava il capofamiglia della famiglia più forte. Questo capoclan era il maschio adulto, sposato, circondato dalle mogli (era comunissima la poligamia), dai figli e dagli altri parenti (es.: fratelli/sorelle non coniugati/e, vecchi) e dalla servitù. 
Alla famiglia più potente e forte, quella del capo clan, tutti i membri del clan dovevano un certo rispetto. Al capoclan tutte le decisioni più importanti dovevano essere sottoposte. Non vigevano leggi scritte. Il diritto, cioè, era non formalizzato, e dipendeva, sì, da usanze e tradizioni, ma era amministrato all’interno della singola famiglia dal capofamiglia, e per l’insieme delle famiglie di uno stesso clan, dal capoclan. 
A questa frammentazione giuridico-sociale si univa la caratterizzazione religiosa: l’Arabia era politeista. Le due religioni monoteiste mediterranee, ebraismo e cristianesimo, erano note, certo, ma erano esterne, per così dire, appartenevano a contesti socio-culturali diversi. Non necessariamente lontane, ma altre. Le città, cristianizzate da secoli, dell’impero bizantino, non erano molto lontane, e con esse si commerciava regolarmente. Nelle stesse città (poche) dell’Arabia si ha notizia, sia pure occasionalmente, di cristiani o ebrei di passaggio (probabilmente per commercio). 

La rottura del particolarismo clanico

La predicazione di Maometto cosa introduce nella vita di chi ne accetta il messaggio? Certo, introduce innanzitutto una intima e specifica scelta di fede, col ripudio del politeismo e l’adozione del monoteismo e dell’obbedienza all’Unico Dio (“Onnipotente, Unico, Increato, Giusto, Misericordioso”, sono solo alcuni degli attributi con cui Allah viene nominato nel Corano). Ma questa non è la sola cosa su cui soffermarsi -né, da un punto di vista razionale e storico, la più importante.
Dobbiamo fermarci a considerare che l’avvento dell’Islam non comportò solo il passaggio dal politeismo al monoteismo: se fosse stato così il cambiamento sarebbe stato unicamente religioso. 

L’Islam rappresentò anche un profondo e rivoluzionario messaggio di giustizia, universalismo e unità. Questa affermazione è razionale e oggettiva, e va così intesa. L’Islam spezza il particolarismo clanico estremo, ed introduce un messaggio a tutti gli effetti e intimamente universalista. Ovviamente l’universalismo non va inteso nel senso che rappresenti sempreuna garanziadi giustizia-parliamo sempre, ricordiamolo, di definizioni e concezioni umane, che storicamente si costituiscono e si determinano- ma certamente rappresenta sempre una promessadi giustizia. Se e quanto la giustizia implicita e promessa nella e dalla rivelazione, sia anche giustizia attuata, questo è un problema aperto, della e nelle comunità dei credenti (ma è così, potremmo dire, per tutti gli “annunci”, che siano essi trascendenti oppure no, è così per i programmi rivoluzionari, è così per le utopie sociali, eccetera).

Quindi, Maometto denuncia come sbagliata e da abbandonare la vita governata dal politeismo e dalla consuetudine clanica. Allo storico, al semplice lettore, scettico, non credente o di credo ritenuto incompatibile con l’Islam, può interessare poco lo specifico messaggio monoteistico di Maometto, ma non può non interessare, come fatto dalle conseguenze sociali e storiche decisive, come l’universalismo islamico metta un’ipoteca fondamentale sul particolarismo clanico. Fino ad allora il singolo arabo, se protagonista di un conflitto, era alla mercé del giudizio del suo capo clan, senza alcuna possibilità di adire ad istanze altre. Ognuno aveva le prerogative, i poteri e i doveri e gli obblighi propri del posto che occupava nella famiglia, e quindi nel clan. Il messaggio religioso dell’Islam, che si rivolge a tutti i componenti della società, rompe la gabbia del particolarismo clanico.  
Dio (Allah nel Corano) parla a tutti e tutte, e a tutti e tutte chiede fedeltà e obbedienza. Nel rapporto con Dio, cioè, perdono significato i legami di clan, e i pilastri della nuova fede devono valere senza alcuna barriera familiare o clanica. Questo è un messaggio universalista.


Unità religiosa e sociale, base di una prossima unità statuale

Il sistema clanico non viene cancellato, si badi bene: ma viene sussunto in un ordine superiore, che non solo lo contiene, ma ha il potere di condizionarlo. Il messaggio di Maometto, e il Corano che lo veicolava -anche questo è bene precisarlo- non contenevano un sistema di norme legali più o meno coerenti e codificate come noi le intendiamo, o come già erano comparse da tempo nelle varie civiltà urbane antiche, prima in Mesopotamia e poi in Egitto, Grecia, Roma eccetera. Contenevano, comunque, un complesso di prescrizioni che allora almeno, apparvero chiare, concrete e obbliganti. Le più importanti erano cinque, e vennero dette “i cinque pilastri dell’Islam”. Essi, validi tuttora per il fedele musulmano, sono i seguenti:
1- la professione di fede (shahāda), 2- la preghiera (salāt), 3- l'elemosina legale (zakāt), 4- il digiuno (ṣawm o ṣiyam) nel mese di Ramadan, 5- il pellegrinaggio (ḥajj) alla Mecca.

Non c‘è il tempo e il modo, in queste note del tutto introduttive, di soffermarsi su ognuno di questi “pilastri”. E’ però importante notare, dal punto di vista storico che è quello che ci interessa ora, che con Maometto e la sua predicazione compaiono per la prima volta degli obblighi morali-rituali-sociali universalistici, ripetiamo, dotati cioè della presunzione di validità per ogni singolo appartenente alla società. L’accoppiata monoteismo + universalismo formava un tutto, come messaggio e annuncio etico-morale-sociale, profondamente incompatibile con le basi stesse, familistiche e pagane, del sistema clanico. 
Prima di Maometto l’Arabia era un’unità -approssimando- in senso geografico, etnico e linguistico, ma era una somma di particolarità clanico-familistiche e idolatriche dal punto di vista sociale e religioso, e un non-ente dal punto di vista statuale.
L’avvento dell’Islam aggiunse abbastanza rapidamente un elemento di unità religiosa e sociale, che se non fu subito anche unità statuale, della statualità gettò delle basi fondamentali, creando l’éthos favorevole, la realtà già operante, potremmo dire, di una legge obbligante per ciascuno e per tutti.


La diffusione

E’ difficile immaginare ora, a distanza di circa tredici secoli, la novità straordinaria che rappresentò l’Islam per l’Arabia. Possiamo accostarvi esperienze storiche precedenti che con l’Islam abbiano qualche elemento comune? In certa misura possiamo farlo -certo, ricordando che ogni epoca e ogni processo storico hanno sempre una loro fondamentale originalità. Tuttavia, quello di cercare di iniziare a comprendere il nuovo accostandovi il già noto più simile (o meno dissimile) è procedimento antico che usato con buon senso non è mai inutile. E lo possiamo applicare, tentando un paragone fra Cristianesimo delle origini e Islam delle origini.

Chi ha presente il carattere dirompente e “scandaloso” della predicazione del cristianesimo delle origini nel contesto dell’Impero Romano, e come la conversione si presentasse come un ribaltamento radicale della propria vita, può iniziare a farsi un’idea della forza dell’Islam delle origini.
Il sentimento, intimo, di appartenenza ad un tutto, molto più grande di noi, che prima di noi c’era e dopo di noi è destinato a restare, può dare molta forza. Pur togliendo il prima e il dopo di noi, questo sentimento di appartenenza effusiva è quello che molto studiosi hanno rilevato, e indagato e discusso, nello studiare i movimenti sociali, e specialmente quelli di contestazione e/o quelli religiosi. Poche altre esperienze sociali mostrano la potenza in atto della forza del numero, della cooperazione e della stretta condivisione, come avviene nei movimenti di protesta al loro esplodere. Almeno un poco di quello che si è scritto e osservato su questi movimenti -che si trattasse dei sanculotti francesi nell’89 o degli operai e soldati russi nel ’17, degli studenti in rivolta a Roma, Pisa, Torino o alla Sorbona o dei “no global” del G8 di Genova, 2001- può essere applicato, mutatis mutandis, anche ai movimenti religiosi. 
E’ possibile -è probabile anzi- che per estendere questo paragone alla prima diffusione dell’Islam in Arabia e poi oltre, siano necessarie specificazioni e aggiunte, ma di certo non è un paragone infondato. Verificarlo varrebbe certamente la pena -anche ove poi lo si dovesse accantonare, tutto considerato.

Il Corano: alcune considerazioni
    
Quasi nulla abbiamo detto finora del Corano, il Libro. Avrebbe poco senso voler dire qualcosa su un libro simile senza conoscere l’arabo. Si diranno pochissime cose, non tanto come introduzione (per questo il lettore italiano ha una scelta ampia, sia di studiosi italiani che tradotti: Paolo Branca, Massimo Campanini, Farid Adly, Tarik Ramadan sono solo alcuni nomi), ma perché siano evitati gli approcci più fuorvianti.
E’ noto come l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam siano accomunati, oltre che con l’aggettivo di religioni “abramitiche” (discendenti da Abramo), anche con la formula “le religioni del Libro”. Sono, cioè, religioni “rivelate”: si basano sulla parola ispirata (ma nel Corano, più esattamente, “dettata”) direttamente da Dio, per mezzo dei suoi profeti. I libri (ispirati) sono la raccolta di queste “parole di Dio”:  la Torah (la nostra “Bibbia”, più o meno) per gli ebrei (che non usano mai il termine Antico Testamento), la Bibbia (o Antico Testamento), compreso il Nuovo Testamento (Vangeli + Atti degli Apostoli e Lettere) per i cristiani, e infine il Corano per i musulmani.

Il Corano venne composto, in una versione scritta e stabilita, poco dopo la morte di Maometto (nei primi 10-20 anni dalla sua morte).
Ma cosa rappresentò, concretamente, il Corano? 
Consideriamo che in Arabia, con l’estendersi dell’adesione all’Islam, compaiono per la prima volta degli obblighi morali con pretesa di validità universale, al di là di confini di clan, e compare un testo letterario, scritto, di universale validità e di uso quotidiano per tutti(la preghiera rituale doveva avvenire cinque vote al giorno).

Quindi, quello che prese l’avvio e fu veicolato dalla predicazione di Maometto e poi dall’espansione dei suoi seguaci, fu un processo, basato su di un messaggio di fede, di unificazione universalistica religiosa, letteraria, rituale, giuridica e in certo modo anche politica.
Ai lettori di oggi, laici, guidati da interesse ma non da fede, che possano restare perplessi ad una lettura, in traduzione ovviamente, del Corano, credo sia saggio ricordare che il Corano non va visto solo per ciò che dice, ma anche (o forse, prima) per il ruolo che si trovò a svolgere. Il Corano, per tutti i motivi, sociali e storici fin qui ricordati, fu insieme un simbolo e un concretissimo, quotidiano fattore di unità.
In un certo senso, prima ancora che il Corano venisse redatto e “prodotto” materialmente, morto già Maometto da almeno un decennio, era in atto un processo storico-collettivo di espansione, ed esso stesso contribuì a determinare la forza e la fortuna del Corano -questo, sempre, storicamente, e senza nulla togliere allo specifico e unico messaggio divino che nel Corano leggono i credenti musulmani.

Dopo quelle ellenistica e poi, romana, una nuova unità (nuova società)

Quello che nella storia del mondo antico Mediterraneo e del Vicino Oriente aveva richiesto millenni -la comparsa di strutture giuridico-culturali-politiche capaci di unificare interi popoli e mettere in comunicazione grandi aree- l’Islam in Arabia lo fece in pochi decenni. Non fu creato, o non subito di certo, un vero e proprio “stato”, questo no: né da Maometto né dai suoi primi seguaci, ma fu creata una “società”. Una società dotata di una grande forza interiore -oggi si direbbe da una “visione” e da una “mission”.  Una “società”, o forse meglio, un movimento nascente, militante, che fu capace di lanciarsi alla conquista delle città, dei popoli, e ben presto degli imperi confinanti.

La storia di queste successive conquiste non è meno importante e meno spettacolare di quella del successo in Arabia di Maometto. La tappa senz’altro più importante, storicamente, dopo le conquiste di Gerusalemme e di Damasco, prime grandi città fuori dall’Arabia conquistate dalla cavalleria musulmana, fu la conquista di Ctesifonte. Ctesifonte era la prima capitale imperiale, e soprattutto, la prima non araba, a diventare musulmana. Per la prima volta la minoranza vittoriosa arabo-musulmana si trovava a confrontarsi con una cultura già millenaria, quella persiana, dotata di grande spessore letterario, scientifico e statuale. Ma anche Ctesifonte e i persiani divennero abbastanza presto musulmani, come e più di quanto non fosse già avvenuto a Damasco coi siriani. La sintesi che ne nacque, nel giro di non poi tante generazioni, fra cultura persiana -sia letteraria che giuridica e scientifica- e cultura arabo-islamica, è una delle pagine più affascinanti, ricche e complesse dell’intera storia medievale. 
Le opere di al-Gazali (1058-1111) e di Averroè (1126-1198), disponibili in edizioni recenti a cura di uno studioso come Massimo Campanini (Utet), sono lì, a disposizione di chiunque, per rendersi conto di come quel “continente” conoscitivo e spirituale che chiamiamo Medio Evo non sarebbe stato lo stesso senza la civiltà e cultura arabo-islamica (sarebbe solo  uno, questo, degli approcci possibili, per farsi un’idea di cosa voglia dire l’espressione “epoca d’oro islamica”, e di quanto ampia sia da tracciare la parabola entro cui si colloca la storia musulmana, da Maometto ad oggi).
Ovviamente al Corano si affiancarono, col tempo, altre fonti, come i “detti del Profeta” e i commenti. Tutta una tradizione di aneddotica, e l’embrione, quindi il corpus, di un apparato giuridico. Prende forma la Sunna, la tradizione (o consuetudine), e affianca il Corano come fonte del diritto.
Avevamo fatto cenno, a mo’ di approssimativo paragone, a qualche punto di contatto col Cristianesimo delle origini. Ora è il caso di indicare una differenza. Il Cristianesimo come complesso di pensiero prese forma anche confrontandosi con la precedente civiltà ellenistica e con le sue conquiste, diciamo, giuridiche e filosofiche. L’Islam, a differenza del Cristianesimo -devo l’osservazione al professor Demetrio Giordani, che ringrazio- dovette ricercare nelle sue fonti la teologia e il diritto, perché prima di allora nella storia araba non ve n’era traccia.   
Tanto, tanto altro si potrebbe e dovrebbe dire ancora, ma sarebbe troppo per uno scopo immediatamente informativo, e troppo poco per l’avvio di uno studio vero e proprio.

Alcune considerazioni conclusive

Molti pensano -e molti, io credo, in buona fede- che nell’Islam contemporaneo vi sia una minaccia per le democrazie europee. Credo sia un’idea errata. Credo, però, che si possa essere d’accordo che una minaccia esiste negli estremismi, nella violenza politica e nel terrorismo. Una parte della violenza terroristica e dell’estremismo che oggi minacciano il nostro mondo si presenta come “islamica”. Quello che sostengo è che non si tratta, in questo caso, di “islam”, ma di estremismo politico-religioso wahabita. Un estremismo, sostenuto da pochi, individuati stati, alcuni dei quali -ahimè- influenti, e alleati del nostro principale alleato, gli USA. Queste tristi, molto prosaiche e terrene cose, con la fede non hanno nulla a che vedere. Nulla. Giornalisti indipendenti come Fulvio Scaglione o Alberto Negri, gli studi del centro Oasis International, fondato dal Cardinale Scola, a Milano, studiosi come Paolo Branca e Massimo Campanini, già citati, o l’assai più noto Franco Cardini, possono tutti offrire validi approfondimenti, sotto vari aspetti.
Tutto ciò detto, credo che solo chi crede nei propri valori possa difendersi validamente da aggressioni esterne. Ebbene, io credo che nulla come la nostra Costituzione, coi suoi principi di democrazia, tolleranza, giustizia sociale e pace, offra i motivi e gli argomenti per opporsi alla violenza e all’intolleranza. A ogni violenza e ogni intolleranza: quelle di chi vuole negare un luogo di culto a una minoranza come quella di chi nega il lavoro, la salute, l’istruzione gratuita a masse intere. 

Budrio, 2 marzo 2019.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.