di Riccardo Petrella
Sta trionfando la mercificazione d’ogni forma di vita. Il valore della vita è principalmente determinato dalla sua utilità di scambio nel mercato. La comunità internazionale (III Vertice Mondiale della Terra, 2012) ha approvato il principio della monetizzazione della natura.
La proprietà ha cambiato di natura: essa non porta più essenzialmente sulle «cose» (la res) ma sulle «relazioni» sulle «conoscenze del funzionamento vitale» degli oggetti, cui anche gli esseri umani sono stato ridotti in quanto «risorse umane». Da qui, l’importanza strategica assunta dalla proprietà privata sulla conoscenza, esplosa con il diritto privato di brevettare il vivente (specie vegetali, animali, microbiche, geni..) a scopo di lucro sancito nel 1980 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti e poi nel 1998 dall’Ue.
SI STIMANO (Ompi) a più di 100.000 i brevetti sul vivente e sull’intelligenza artificiale. Oggi, iI veri proprietari della vita sono le imprese agrochimiche, sementierie,farmaceutiche, informatiche, i fondi finanziari mondiali. La finanziarizzazione dell’economia è caratterizzata da una dissociazione /autonomizzazione della finanza rispetto all’economia reale dei beni e dei servizi, come testimonia la finanza al milionesimo di secondo.
LA MONETA, essa stessa, non è più pubblica, oggetto della sovranità dello Stato, dei poteri pubblici, ma dei grandi gruppi multinazionali globali privati. Il vangelo della competitività mondiale regna sovrano di pari passo alla «sicurezza detta nazionale», cioé la sicurezza degli interessi delle oligarchie dominanti nei vari paesi.
Non si parla più di governo pubblico, ma di governanza, che rappresenta una forma efficace di privatizzazione del potere politico. La grande « questione sociale » non è più la lotta tra capitale e lavoro ( ai livelli nazionali), ma tra capitale e vita ( a livello planetario).
Tutto ciò ha provocato degli sconquassi profondi nel mondo dei diritti umani «universali » sempre più limitati, spappolati, negati.
VENENDO MENO la giustizia, lo Stato di diritto e lo Stato del welfare, cioé lo Stato della res publica fondato sul legame tra diritto di/ed alla vita e beni comuni e beni pubblici, è stato frantumato, è a pezzi.
Il ruolo di questi beni per la salvaguardia e la sicurezza della vita per tutti è stato sbriciolato. Non si salvano le foreste, ma le banche. Non si condannano le imprese e la finanza spoliatrici della vita ma i cittadini che tentano di impedirne la predazione.
DI FRONTE A QUESTO stato di cose, le proposte contenute nel Disegno di legge delega Commissione Rodotà «beni comuni, sociali e sovrani », sono certamente apprezzabili. Paiono però piuttosto limitate ed insufficienti in merito agli aspetti cruciali. Limitate, perché esse sostengono che la questione centrale per una politica dei beni comuni e dei beni pubblici è di assicurare che la loro valorizzazione si faccia in maniera da garantire la destinazione comune e pubblica dei beni. Il regime di proprietà dei beni non rappresenta, per loro, il fattore discriminante determinante. I titolari dei beni comuni possono essere soggetti pubblici e soggetti privati. Lo stesso vale per i beni pubblici, anche quelli «ad appartenenza pubblica necessaria»: possono fare oggetto, a certe condizioni, di concessione/delega a soggetti di diritto privato.
Secondo il Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni «Stefano Rodotà », bisogna liberarci dall’ideologia proprietaria. Lo strumento risolutivo più efficace, oltre ad alcune procedure giuridico-istituzionali-amministrative restrittive sarebbero le Società cooperative di Mutuo Soccorso ad Azionariato Popolare Intergenerazionali. Sono piuttosto perplesso. Non si può evacuare il problema della proprietà, proprio quando, come abbiamo visto, è diventato ancor più pregnante e cruciale.
NON È PENSABILE che si possa contrastare il furto della vita operato dal capitale privato senza modificare alla base il sistema finanziario esistente ma unicamente istituendo, all’interno del sistema, nuovi istituti finanziari di mutuo soccorso addirittura di diritto privato. Le nuove tecnologie d’informazione possono aiutare a far proliferare le nuove cooperative e facilitare la partecipazione popolare (vedi i lavori di Michel Bauwens), ma è altrettanto certo che il loro peso e la loro efficacia saranno molto limitati se il contesto generale resterà dominato dalle logiche della capitalizzazione privata.
LE PROPOSTE sono insufficienti, perché non scardinano i principi fondatori su cui il furto dei beni comuni e dei beni pubblici ha potuto svilupparsi, soprattutto il principio della brevettabilità del vivente e dell’intelligenza artificiale. Nella proposta di legge non v’è alcun riferimento diretto all’incompatibilità strutturale tra il diritto di proprietà intellettuale privata e i beni comuni e beni pubblici (e il loro governo partecipativo).
LUNGI dal mescolare i beni ed i soggetti, oggi abbiamo bisogno di lottare per affermare il primato della proprietà/responsabilità pubblica. Abbiamo bisogno di ripubblicizzare lo Stato, la società.
C’è bisogno di promuovere nuove visioni di generazione di diritti e di responsabilità fondati su forti processi istituzionali pubblici partecipativi a livello mondiale. Da qui la centralità della lotta per la creazione di Consigli di Sicurezza dei Beni Comuni e Pubblici Mondiali partendo dall’acqua, le sementi e la conoscenza. Sono d’accordo con la proposta di Azzariti.
Che gli amici del Comitato Stefano Rodotà accettino la costituzione di un tavolo di condivisione per definire un progetto politico comune per i beni comuni e i beni pubblici. Penso di poter dire, a nome dell’Agorà degli Abitanti della Terra, che noi ci stiamo.
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