L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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lunedì 13 ottobre 2014

JERSEY BOYS (Clint Eastwood, 2014), di Pino Bertelli

«C'erano tre modi per uscire dal quartiere: entravi nell'esercito e magari finivi
ucciso; diventavi mafioso e magari finivi ammazzato; o diventavi famoso».
da Jersey Boys (2014) di Clint Eastwood


I. L’ispettore Callaghan balla (male) a Broadway
Il cinema nel suo insieme, quello hollywoodiano specialmente, è una baracconata per iloti o critici incompresi dove — da sempre — un regista o una star valgono quanto ha incassato il loro ultimo film... sfuggire al mercato, va detto, significa evitare di apparire là dove esso organizza la messinscena dei suoi riti, autocelebrazioni e autocompiacimenti... chiamarsi fuori da festival, rassegne, televisioni, convegni... dove NON si parla di cinema come strumento di decostruzione dell’identico e del conforme, dove il crimine politico ha sempre una sua giustificazione... significa disertare l’idiozia mercantile che devasta tutto al suo passaggio e opporre una visione radicale libertaria che denuda la soggezione degli sguardi e passa dalla critica velinara asfissiante a una critica di resistenza e insubordinazione.
Il solo cinema buono è quello che mangia l’anima alla cultura dell’ostaggio... il cinema che affabula il rifiuto puro e semplice di ogni forma di comunicazione dogmatica, intollerante, irragionevole e promuove un cinema dei fatti, dei valori, delle diversità... respinge l’arte del cinema nel negativo che la abita e inserisce i film del disagio, della gioia o della bellezza liberata in una rivoluzione estetica che rifiuta la stupidità a favore dell’eresia. Il cinema che ha cessato di resistere deve essere offeso, sostituito da un cinema che resisterà.
L’utopia è di quelle forti... tuttavia per chi come noi è stato allevato nella pubblica via e cresciuto tra le seggioline e l’odore di petrolio dei cinema di periferia... non ha mai smesso di sognare che un giorno arrivano i Sioux e scalpano il generale Custer come si deve. Ogni arte ha i suoi teatri... ma nessuna arte ha un qualche valore se viene compresa, recuperata e poi sistemata in fondazioni bancarie e replicata per i centri commerciali. Le folle invocano il padrone che dà loro la parola solo il giorno delle elezioni... poi le relega in una miseria atavica fino all’inedia... sino a quando, s’intende, l’odio affilato di minoranze insorte contro ogni forma di potere, torna ad illuminare l’inverno dei nostri scontenti e la fa finita con la “sinistra al caviale” e i simulacri della società consumerista. “I simulacri dell’arte abbondano quando l’arte vera fa difetto” (Dalmazio, nipote di Costantino I, ucciso nelle purghe di potere nel 337). In un pianeta devastato dal mercato neoliberista, dalla finanza criminale, dalla politica corrotta... l’uomo in rivolta resta l’uomo del no!, che mostra un comportamento, uno stile di vita, un temperamento e rifiuta tanto di obbedire quanto di ordinare... l’uomo in rivolta è colui che fa della propria vita libertaria un’opera d’arte.


Clint Eastwood è forse un buon attore, un buon regista, certo un fervente esponente dei valori destrorsi americani... autore di film qualche volta notevoli, interprete monocorde di altri non proprio eccezionali, come quelli di Sergio Leone... il quale, come sappiamo, diceva di Eastwood: “Ha solo due espressioni, una col sigaro e una senza sigaro”. Tutto vero. Il successo nel pubblico italiano (e quello dei mercati asiatici) non poteva mancare. Gli animali da cortile sono fedeli a chi procura loro la zuppa. Eastwood, dicevamo, ha firmato un film (uscito in piena estate), Jersey Boys, tratto da un musical di Marshall Brickman, scritto da John Logan e Rick Elice (vincitore ai Tony Awards nel 2006) che ha avuto un notevole successo a Broadway... e malgrado abbia ricevuto i soliti elogi della critica italiana e un certo seguito di pubblico... resta un brutto film, una cosa da dimenticare.

Eastwood ha trattato in altri film il rapporto tra la musica e le radici della cultura americana. Bird o Honkytonk Man, ne sono un esempio, ma Jersey Boys non esce dal guscio del film-biografico per famiglie catto-democratiche... il regista statunitense snocciola le canzoni di Frankie Valli e The Four Season (Sherry, Big Girls Don't Cry, Can't Take My Eyes 0ff You e altre hit degli anni ’60) in una specie di contenitore che esalta il “sogno americano”, dove tutti posso arrivare in cima alla scala sociale a danno di molti che restano confinati nel sottoscala della storia.

L’ispettore Callaghan balla (male) a Broadway e senza pistole fumanti non riesce a raccontare, con una certa lucidità espressiva, l’ascesa (per quanto vera) allo show businnes da quattro ragazzi del New Jersey. Il film, sotto ogni aspetto architetturale, è privo di carattere e a ben vedere, anche l’intero assetto descrittivo è slavato nei luoghi comuni... la pop music e la brillantina non sono nelle corde del vecchio leone... nemmeno l’intreccio filmico funziona e Eastwood non si è neanche reso conto che la vita, come il cinema, è da un’altra parte.


II. Jersey Boys
La storia (molto italo-americana) di Jersey Boys  è quella di Frankie Valli e The Four Seasons... la loro scalata alle vette del mercato internazionale della pop music degli anni sessanta... lo scioglimento del gruppo, lo spettacolare ritorno dei vecchi miti rimasterizzati per la scatola televisiva. C’è da dire che Valli, come solista, interpreterà brani che entreranno nell’immaginario musicale/popolare delle nuove generazioni (Cant’ Take My Eyes off You, My eyes adore, Grease). Frankie e Tommy sono nati nel Jersey... tirano avanti con piccoli furti... Frankie lavora da un barbiere ed entra nelle simpatie del boss mafioso Gyp De Carlo. Insieme a Bob e Nick formano The Four Seasons, sono tra i primi a comprendere ed usare (sovente anche con balletti risibili) gli ascolti delle nascenti stazioni televisive.
I protagonisti di Jersey Boys proprio non bucano lo schermo... i loro volti non si ricordano... l’attorialità resta sempre a margine del discorso filmico... anche Christopher Walken, interprete notevole di molti film, qui risulta manierizzato e sfiora il ridicolo quando si mette a piangere mentre canta il giovane Frankie. Il tempo del musical è surgelato nella colorazione delle scenografie e gli amori, i sogni, le ambizioni della band si sgretolano in inquadrature che non rimandano né a passati splendori né al romanzo di una vita.
Eastwood (il repubblicano di ferro, sostenitore di un insostenibile presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan... ammesso e non concesso che ci siano presidenti di qualsiasi nazione sostenibili, se non alzati per i piedi con le loro puttane a qualche cancello dei giardini pubblici) non riesce nemmeno nella restaurazione della nostalgia hollywoodiana... il suo film dice che i mafiosi sono sentimentali e per arrivare in cima alla vetta dello spettacolare integrato, basta saper usare la pistola, entrare in politica o scrivere canzonette di una qualche levatura, ben collocate nel progetto di domesticazione sociale della civiltà consumerista.

Jersey Boys intreccia vicende private, l’ebbrezza dei primi in classifica (non importa quale sia la ragione) e la rovina economica del gruppo per la disinvolta gestione di uno dei componenti. Naturalmente è il capo mafioso Di Carlo a redimere i dissapori. All’inizio degli anni ’90, Valli e The Four Seasons si riuniscono per una serata da stars, i fan sono in lacrime, il finale è in puro musical-retrò... nella strada del quartiere tutti gli attori, i comprimari, anche il boss Di Carlo, cantano e ballano per la gioia del pubblico. La noia ormai è arrivata alla sgradevolezza e sono tentato di dare fuoco allo schermo, poi penso che è meglio fare un giro in bicicletta e andare a bere del buon vino in una taverna di porto, tra puttane dabbene, il pazzo del villaggio e guardare i ragazzi tirare con la fionda ai pesci-rondine che volano sul mare. Va detto. Le vetrine della benevolenza certificano il primato della merce sull’uomo e se da un lato la creatività del cinema non c’entra, dall’altro il flusso di spettatori al box-office è assicurato. Là dove gli artisti denudavano il potere, ora regnano i mercanti. Sullo schermo e dappertutto, dove impera il diritto della forza occorre combattere con la forza del diritto.

La direzione attoriale di Eastwood è opaca e Jersey Boys, malgrado le intenzioni di rifare il musical-MGM alla Vincente Minnelli, non va oltre una tronfia biografia di Valli e The Four Seasons. John Lloyd (Frankie Valli) ha una bella voce, ma non ha la statura del personaggio. Erich Bergen (Bob Gaudio) sembra uscito da un fotoromanzo a puntate. Vincent Piazza (Tommy DeVito) sciorina una serie di mossette da bullo che lo proiettano in un altro film. Michael Lomenda (Nick Massi) è sempre sotto tono, grigio, inadeguato. Christopher Walken fa il mafioso, male, sovra le righe, come in una comica finale. Freya Tingley (Francine Valli) è una moglie-mamma da copertina di Variety. Joseph Russo scimmiotta il giovane Joe Pesci, l’imbarazzante manager della band. La sceneggiatura di Elice e Logan affastella canzoni e siparietti quotidiani con disinvolta mediocrità. Si vede che i produttori (tra i quali spiccano i nomi di Bob Gaudio e Frankie Valli) mirano al sodo... la superficialità e il consenso vanno sempre d’accordo. La fotografia (Tom Stern), il montaggio (Joel Cox, Gary D. Roach) e i costumi (Tina Dowd, Suzanne Pakier) ruminano nel cattivo edonismo e mostrano che un film hollywoodiano senza la fame del successo sarebbe noioso quanto uno zoo senza iene.

Jersey Boys è un film mancato per tutto questo ed altro ancora... c’è dentro una filosofia del fatalismo o esaltazione della fama come uscita dalla miseria ordinaria che colloca il delirio di onnipotenza al di sopra di ogni arte, dimenticando che l’arte non si figura in ciò che un artista sente ma in ciò che vive. Per un regista che opera a un certo grado di qualità, cambiare i registri del proprio operato è pericoloso quanto per un boia cambiare la corda. Eastwood non ha compreso che un’opera d’arte, quando è autentica, ha più peso degli dèi e i cattivi registi sono sempre superiori ai loro film, specie se sanno ridere delle loro incaute scelte o cadute creative. A vedere quello che la macchina/cinema dispensa ai quattro venti della terra, sentiamo fortemente che i film immortali ci stanno alle spalle, quello che non sappiamo è la portata della devastazione del cinema-merce sul destino comune.

Il cinema-merce è l’elusione della creatività, della passione, della sovversione non sospetta dell’immaginario liberato e in nome del profitto abbrutisce la conoscenza del mondo. Non basta sopportare le promesse del mercimonio, bisogna anche amarle... la responsabilità, la colpa, il peccato, il rimorso... sono le pietre dell’ordine stabilito, l’estetizzazione della civiltà liquida/spettacolare è la museruola che i persuasori occulti del dominio operano sulla collera dei popoli. Quelli che non hanno capito sono un’orda d’ignoranza ben gestita e, come sappiamo, nelle filosofie orientali l’illusione è ignoranza... quelli che hanno capito sono solo una manciata di ribelli a tutto e legano la loro esistenza al rovesciamento di prospettiva di un mondo rovesciato. Il ribelle muta di rabbia (come il serpente di pelle) ma resta sempre se stesso... ha il talento dell’improvvisazione, la frenesia dionisiaca che respinge sepolcri e resurrezioni istituzionalizzate... lascia le sue sciabolate a ricordo degli ultimi, degli indifesi, dei “quasi adatti”... la sola cosa che cerca è la felicità sulla terra. “Chi non sa dire grazie non merita favori” (Friedrich W. Nietzsche). Famiglia, lavoro, patria, dio... sono un’invenzione dei privilegiati... sono loro che attraverso gli strumenti del comunicare fabbricano buoni servi, lavoratori, clienti, soldati, cittadini proni alle loro morali e fedi... più di ogni cosa preme loro continuare la secolarizzazione delle lacrime ed impedire i processi di realizzazione di un’umanità meteca che rivendica per il maggior numero il diritto alla felicità. Elogio dell’utopia: le forme sociali più belle e più estreme devono ancora essere inventate, ma solo attraverso l’accoglienza, la solidarietà, la fraternità tra gli uomini si può accendere la tempesta libertaria che crea legami sociali, rompe frontiere, divieti e limiti e porta l’immaginazione fino alle stelle. 

Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, dieci volte settembre 2014.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.