Crisi dolorosissima sul piano umano, complessa dal punto di vista
tecnico/economico e complicata per quanto riguarda le possibilità e modalità di
uscita. Questo aspetto è ovviamente il più importante dal punto di vista
politico.
La scelta peggiore fatta
dalla Grecia
Un osservatore esterno, che conosca un po’ la storia greca, a far tempo
dalla rivolta protottocentesca contro il dominio ottomano, non dovrebbe avere
molte difficoltà a concludere che in epoca contemporanea la peggiore scelta
effettuata dai governanti greci è stata la decisione di aderire all’euro. E i
motivi si sprecano.
Innanzi tutto la creazione di una moneta unica senza le necessarie e
fondamentali premesse politico/istituzionali, senza i meccanismi monetari per
la sua difesa, in più nel quadro dell’ossessione bilancistica del
neoliberalismo e del timor panico (soprattutto tedesco) per qualsiasi spinta
inflazionistica, è metaforicamente paragonabile a un edificio dalle fondamenta
“così così” che abbia subìto una sopraelevazione di pesantezza rilevante. Gli
scricchiolii saranno fisiologici e il finale crollo pure. Tutto questo era noto
– basti ricordare gli ammonimenti inascoltati dell’ex Cancelliere tedesco
Helmut Khol – ma evidentemente il mix
fra interessi materiali e cecità ideologica era troppo forte per arrestarsi.
Nel caso della Grecia infilarsi nella complessa e fragile realtà dell’euro
era cosa proprio da non fare a motivo della sedimentata situazione interna di
questo paese che – spiace dirlo – è definibile solo in un modo, per usare una
volta tanto gli stereotipi: balcanica.
Fin dall’indipendenza l’assetto interno greco è risultato squilibrato in
maniera arcaica, politicamente ed economicamente. Il fatto che in politica, pur
con il mutare dei nomi di battesimo, ricorrano sempre gli stessi cognomi –
Karamanlís, Venizelos, Papandreu – è espressione della persistente egemonia di
clan famigliari tali da ricordare le fittizie alternanze fra realtà similari
che fra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novento ingessarono i
sistemi politici iberici. Tutto questo è aggravato dalla conseguenze di lungo
periodo delle due micidiali repressioni (dal 1944 con la guerra civile, e poi
sotto la “macelleria” dei colonnelli) che nel secolo scorso hanno schiantato i
partiti di sinistra (indipendentemente dal giudizio che se ne dia).
In aggiunta, il sistema politico ha generato – sul piano antropologico
culturale – mancanza di senso civico, mancata percezione di cosa sia la “cosa
comune” e sterili rissosità senza sbocchi. In siffatto contesto in Grecia la
società produttiva (in senso lato) si presenta divisa in due nette fazioni, che
possono solo fare del male al paese: a) coloro che vivono grazie al potere
politico (impiegati pubblici e clientes
partitici); b) quanti vivono sfuggendo al potere, cioè i soggetti attivi di
un’economia sommersa che, secondo stime approssimative, equivarrebbe a 1/3 del Pil
ellenico ed evade tasse e imposte alla grande. Per di più esiste un elevato
grado di corruzione endemica (in Grecia non si parla di bustarella, ma di
“pacchetto”, ma sempre di soldi si tratta).
Che da questo sistema sia potuta venire una colossale falsificazione dei
conti pubblici (col governo di centrodestra di “Nuova Democrazia”), la cui
scoperta ha inaugurato la crisi, diventa quasi “normale”, e in più ha dato ai
severi censori del Nordeuropa (Germania, Olanda, Finlandia) la dimostrazione
che i governanti greci e i loro governati erano rimasti ben lungi dal capire
che l’andazzo non poteva più durare. Da qui anche il riemergere nei nostri
nordici tutti di un pezzo (soprattutto a livello popolare) del complesso che a
suo tempo aveva portato a teorizzare una herrenrasse
(schiatta dei signori) contrapposta agli untermenschen
(sottouomini) dell’Europa meridionale. L’arroganza e l’intento di umiliare con
cui Berlino & C si sono rivolti finora alla Grecia mostra che quanto sopra
non è un’esagerazione retorica.
Vero è che in Grecia si è fatto tutto il possibile per suscitare le ire del
parsimonioso contribuente germanico e per attizzare indignate conversazioni
innanzi a uno spumeggiante boccale di birra: il debito greco è allegramente
arrivato a quasi il 142% del Pil nazionale (il famoso Patto di Stabilità
prevedeva il limite del 60%); fino all’esplosione della crisi la gestione
economico/finanziaria è stata più che allegra, con consumi a man bassa oltre le
possibilità oggettive e con il disinvolto ricorso ai prestiti. Grazie a tutto
ciò i salari della funzione pubblica erano praticamente raddoppiati, ma con le
casse statali vuote.
Inevitabile nell’ottica di Berlino l’imposizione alla Grecia di un
programma detto “di rigore”, ma in realtà di strangolamento economico/sociale,
che ha portato il paese a un’ampia recessione e in un tunnel dal quale con tali
sistemi sicuramente non uscirà. Si calcola che globalmente diritti e
retribuzioni dei lavoratori siano stati retrocessi alla situazione degli anni
’50 del secolo scorso: solo che i prezzi sono del 2012.
Dallo scenario politico
continentale
La posizione europea verso la Grecia appare priva di senso, mentre quella
tedesca forse di sensi ne ha più di uno. Se si vuole salvare la Grecia gli
strumenti usati sono palesemente di segno contrario, ma gli attuali dogmi
economici di un’Unione forse già moribonda non si toccano, anche perché non lo
vuole il padrone tedesco. Ma che si vuole di ulteriore alla Cancelleria di
Berlino dove ci si affanna a dire – nonostante tutto – che la Grecia deve
restare nella zona euro?
Non ci si può limitare a ripetere che la Germania vuole comandare. Bisogna
andare un po’ più in là. Ciò fa emergere il sospetto che la Germania non
consideri la Grecia solo come un’Afghanistan finanziario (lo scrive la stampa
portoghese), ma altresì come un laboratorio per un esperimento di dominazione,
suscettibile di ripetizioni in altri paesi a economia debole (tipo Spagna e
Portogallo - oggi. Domani chissà). In concreto, se la Grecia resta nella zona
euro il suo destino è chiaro: l’attuale occupazione finanziaria diventerebbe
anche scopertamente politica e si avrebbe il primo caso nell’Ue di perdita di
sovranità nazionale senza nemmeno il “conforto” dell’appartenenza a una
confederazione o a una federazione. In più la Germania metterebbe le mani su
quell’ultimo tassello balcanico sfuggito alla massiccia egemonia conquistata
(non lo si dimentichi) con la disgregazione della ex Jugoslavia. Già nelle
librerie iberiche circolano libri aventi a oggetto il Quarto Reich che la
Germania starebbe costruendo senza bisogno di fare la guerra, dopo averne perse
due (e mondiali) con lo stesso obiettivo. Non si dimentichi che per la Germania
la ricetta greca incombe altresì sugli altri paesi a economia debole che
dovessero appellarsi alla “solidarietà” (!) europea.
All’ultima riunione dell’Ecofin è stata captata una conversazione fra il
Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy, il Ministro delle Finanze portoghese
Vítor Gaspar e il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, durante la quale
Rajoy si vantava di aver messo a punto una “riforma” sui licenziamenti che li
rende più veloci e meno costosi. Il commento di Schäuble è stato : «Se è vero è
ottimo, auguri». Un augurio attestante sul piano economico che della tanto
evocata “ripresa economica” non interessa niente a nessuno, né in Grecia né
altrove; e su quello politico conferma che la Germania è alla testa del fronte
che vuole riportare lo stato del lavoro ai primordi del capitalismo.
Sul sopraindicato sospetto grava però un dubbio: che pensa di fare la
Germania della grande quantità di sue esportazioni verso i paesi dell’Europa
meridionale una volta che il potere di acquisto dei cittadini venga ridotto al
lumicino? Molti eminenti economisti se lo chiedono, ma la risposta ancora non
c’è.
Che farà la Grecia a questo
punto?
Porre la domanda è ineluttabile, ma che cosa rispondere? Dall’esito delle
elezioni si capirà, quanto meno, se il peso maggiore sarà per l’opzione del
restare legati all’euro, oppure per quella dell’uscire dalla zona della moneta
unica.
Se alla fine prevalessero in Parlamento i fautori della prima opzione non
ci vuole la palla di vetro per capire che la situazione attuale peggiorerà a
vista d’occhio, con ogni possibile esito se le elezioni dovessero confermare la
situazione monitorata dai primi sondaggi: cioè un grande vittoria dei partiti
delle ale estreme di sinistra e di destra.
L’eventuale uscita dall’euro deve scontare un primo periodo veramente
terribile. I media legati agli interessi capitalistici generalmente mettono
l’accento sulle conseguenze per il resto d’Europa (altro segnale del fallimento
europeo). In questa sede interessa di più la Grecia. Ebbene, ci sarebbe
un’impoverimento/strangolamento generalizzato, e maggiore dell’attuale, per
tutti (privati, imprese e Stato), poiché tutto dovrebbe essere pagato con una
moneta locale dal valore infimo. In un tale contesto ogni scenario è possibile,
anche il solito colpo di stato militare reazionario.
Molti dall’esterno sono colpiti dal fatto che finora ci siano state in
Grecia forti ondate potenzialmente prerivoluzionarie, ma senza sbocchi e con la
tendenza al riassorbimento nella scontentezza rassegnata. Atteggiamento che è
facile criticare, ma verso il quale è meno facile indicare il concreto “che
fare?”. Lo si critica dall’esterno, ma se ci si immerge nela situazione del
paese e si deve concludere che lotte e tumulti non hanno portato a nulla,
allora lo sconforto viene, e la rabbia continua a manifestarsi impotente.
Si parla a volte di situazione propizia per una rivoluzione sociale
ellenica. Astrattamente sì. Ma parlare di fase prerivoluzionaria e di passaggio
a quella rivoluzionaria è mero esercizio verbale fino a quando “tenga”
l’apparato repressivo dello Stato. E fino ad oggi ha tenuto. Di recente in certi
ambienti di sinistra ha acceso qualche fiammella di emozione (oltre ai sondaggi
che danno i partiti di sinistra sopra il 40% alle prossime elezioni) la notizia
dell’Agenzia Reuters secondo cui un sindacato di polizia greco – che
rappresenta i 2/3 dei poliziotti - vorrebbe arrestare i funzionari del Fondo
Monetario e della UE.
Al momento la cosa non va al di là del velleitario, poiché vorrebbe dire
(per coerenza) ammutinamento della polizia una volta che la magistratura
ellenica li metta poi in libertà per mancanza di presupposti giuridici (anche
se la giustizia popolare li vorrebbe fucilati senza processo…). Tuttavia si
tratta della prima interessante manifestazione di malcontento, da parte di un
settore che non ha risparmiato manganelli e gas lacrimogeni. Perché quando si
dice «Qualora continuiate con le vostre politiche distruttive, vi avvisiamo che
non riuscirete a farci combattere contro i nostri fratelli. Ci rifiutiamo di
fronteggiare i nostri genitori, i nostri figli e tutti i cittadini che protestano
e chiedono un cambiamento nelle politiche», la frase ha un oggettivo valore di
monito.
Se i poliziotti dovessero incrociare le braccia, e lasciare i politici
greci alla mercè della folla infuriata, tuttavia, sarebbe ancora presto per
vedere la bandiera rossa sul Partenone: infatti, resterebbe un’incognita, da
tenere presenta anche per il caso di uscita dall’euro guidata da un eventuale
governo di sinistra: l’esercito, sul cui spirito democratico ogni scommessa è
azzardata.
La Grecia comunque segna uno
spartiacque
Restando in attesa dello sviluppo degli eventi, qualche considerazione è
possibile riguardo all’Ue. Comunque vadano le cose in Grecia in Europa la
situazione politica è cambiata. Non sappiamo se l’euro celebrerà l’undicesimo
compleanno, né quanti saranno nel 2013 gli Stati a esso aderenti in caso di sua
sopravvivenza. Sappiamo però che – a parità di situazione - questa Unione
Europea non ha più (che quanti così l’abbiano intesa) il fascino del sogno
politico: al massimo potrà continuare a operare come area di libero scambio, ma
senza anima, sulle macerie di una solidarietà intereuropea rivelatasi un
involucro vuoto. Inoltre diventa sempre più aleatorio – e non per
l’ostruzionismo francese – l’ingresso della Turchia (a meno che non voglia ritrovarsi
sotto la Germania come durante la Grande Guerra) e certo aumenteranno le spinte
locali a non cedere ulteriori pezzi di sovranità nazionale a Berlino, visto
come poi ci si ritrova.
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com