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martedì 13 febbraio 2024

SULLA GUERRA FRA HAMAS E ISRAELE

CRITICA A UN ARTICOLO NEL GIORNALE DEI COBAS (N. 18)


di Roberto Massari

 

link all’articolo di Albertani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-1-di-3.html  

link alla risposta di Nobile: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-2-di-3.html  

link alla risposta di Massari: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/discussione-su-israele-parte-3-di-3.html

 link alle risposte di Bernocchi e Giuliani: http://utopiarossa.blogspot.com/2023/12/su-israele-e-palestina-continua-la.html

 

 

Nell’ultimo numero del giornale dei Cobas (n. 18, febbraio 2024) è apparso un lungo articolo - «La negazione del popolo palestinese» (pp. 34-5) - firmato da Giovanni Bruno. Cogliendo l’occasione che vede per sabato prossimo (17 febbraio) il 424° anniversario della morte di un altro G. Bruno, e volendo ribadire posizioni per me irrinunciabili contro l’antisemitismo «di sinistra», già espresse in precedenti articoli di Michele Nobile e miei, propongo le seguenti critiche. (Che non coinvolgono il buon articolo successivo di Roberto Giuliani - «Popoli senza Stato» (pp. 36-7) - che contrasta su un piano più generale con l’articolo di Bruno.)

 

Il sottotitolo già inizia male. Vi si parla di «pulizia etnica sionista», confondendo le vittime provocate da una guerra non voluta da Israele con l’intenzione di cancellare un’etnia. E si dimentica che Hamas ha potuto scatenare la guerra in corso (e per giunta riuscire ancora a resistere) grazie al sostegno indiretto avuto per anni dal governo di Netanyahu, che ha consentito ad Hamas di crescere, di armarsi e di costruire centinaia di km di tunnel sotterranei: alla faccia della pulizia etnica!

Israele non ha mai dichiarato l’intenzione di cancellare i palestinesi e ha sempre cercato di assorbirli nel proprio Stato (sia pure come cittadini di serie B), a differenza dei paesi arabi che per i palestinesi fuggiti nel 1948 hanno creato campi profughi, facendoli vivere in condizioni terribili e rifiutando di assimilarli nei propri Stati. Dopo 77 anni è incredibile che ancora esistano campi profughi palestinesi, anche se ormai in misura molto minore rispetto ai primi anni.

Questa falsità - di considerare Israele impegnato in pulizie etniche antipalestinesi - finge di ignorare una cosa che dopo Norimberga e negli attuali tribunali internazionali è ormai acquisita: il genocidio richiede un’intenzionalità genocida, una volontà di distruggere un popolo. Le guerre purtroppo uccidono e massacrano i civili, ma non è detto che tutti gli aggressori abbiano intenzioni genocide. Qui, tra l’altro, l’aggressore è Hamas che ha dichiarato guerra a Israele il 7 ottobre 2023. Se Hamas si arrendesse - anche per evitare ai palestinesi di Gaza le sofferenze che Israele sta loro infliggendo - la guerra finirebbe e così anche le accuse infondate di genocidio.

(A questo riguardo non posso non provare un brivido nella schiena ogni volta che sento qualcuno presuntamente di sinistra accusare Israele di genocidio: è per me inevitabile sospettare che nella psiche perversa di chi lancia tale accusa ci sia un sottofondo di negazionismo rispetto al vero tragico genocidio dell’Olocausto - e una sorta di sadico autocompiacimento. Questo provo io che non sono ebreo. Non oso immaginare cosa provi un ebreo, specialmente se ha avuto i suoi cari uccisi in mezzo ai circa sei milioni sterminati dal nazifascismo tedesco, italiano, croato, ungherese ecc.) 

 

L’origine dell’attuale guerra tra lo Stato d’Israele e il miniStato di Gaza (ANP di Gaza) viene falsificata da Bruno nella prima riga del suo articolo, in cui scrive: «Dal 7 ottobre si è riaccesa la guerra di Israele al popolo palestinese, in particolare contro la popolazione di Gaza». Falso e Bruno sa, come tutti sanno, che il 7 ottobre è stato Hamas a dichiarare guerra a Israele nella forma di pogrom antiebraico.

E subito dopo Bruno prosegue: «In realtà [la guerra] non si era mai spenta, relegata in un parziale oblio». Se ne deduce che il sionismo genocida, si stava «obliando» di esserlo? Strano modo di fare le pulizie etniche… a intervalli e quando uno se ne ricorda.

 

Viene definito «eterodiretto» l’«atto terroristico organizzato da Hamas» a mitigare le responsabilità di Hamas stessa. Ora Hamas riceve finanziamenti da varie parti, ma le decisioni che prende sono sue. Anche questo è risaputo. E poiché non viene detto in tutto l’articolo chi «eterodirige» l’azione di Hamas - per esempio la decisione di compiere una cosa abominevole come il pogrom del 7 ottobre - rimane la sensazione che si voglia sollevare Hamas da una parte delle sue responsabilità.

 

Si nomina onestamente la «dichiarazione di guerra» degli Stati arabi nel 1948 (cosa che ben pochi fanno nella ex estrema sinistra), ma si aggiunge subito dopo che «la fondazione di Israele è segnata da pulizia etnica». Strano concetto, se si pensa che Israele fu aggredito e non aggressore in quella sciagurata guerra che ha poi segnato tutto il decorso della questione palestinese fino ai nostri giorni. Il termine «pulizia etnica» è abusato anche qui, come già detto: ogni operazione militare con vittime tra i civili diventa genocida, se a farlo sono gli Usa o loro alleati. Ma non lo è se lo fa Putin, che mentre bombarda scuole, città e ospedali dichiara contemporaneamente che gli ucraini non sono un popolo né lo sono mai stati, e che quindi devono scomparire come tali assimilandosi allo Stato russo (granderusso).

Pur non ignorando i dati storici, Bruno non stabilisce alcuna connessione tra l’aggressione araba del 1948 e la risposta di Israele. I palestinesi fuggirono a centinaia di migliaia a causa di quell’aggressione e Israele ne approfittò per liberarsi di parte della popolazione palestinese, ma non vi fu pulizia etnica, bensì repressione antipalestinese (che è cosa diversa dalla pulizia etnica) e soprattutto vi fu furto di terre palestinesi.

 

Segue la parte «teorica» in cui si spiega cosa sia stato il sionismo delle origini, con la sua «“sinistra” socialisteggiante»: «sinistra» Bruno lo mette tra virgolette per far capire che non era un vero socialismo, ma si atteggiava a tale (viene da sorridere pensando ai «veri socialisti» in Italia e in Europa di quell’epoca). Ma le virgolette sono in preparazione del passo successivo sui kibbutzim il cui «“socialismo” era una forma di collettivismo» (e fin qui ha indovinato - vedi il titolo del primo saggio da me scritto in vita mia, nel 1966), ma - prosegue Bruno - i suoi criteri «anticapitalistici» (ohibò, non esagererei che i kibbutzim siano stati addirittura «anticapitalistici»: magari fosse stato vero!) furono «senza basi universalistiche».

E qui non capisco cosa Bruno vuole dirci con questo concetto bello ma incomprensibile di «universalismo». C’erano basi universalistiche nel socialismo o comunismo dei paesi europei o dell’Urss? Penso che in realtà egli stia solo cercando di trovare una scappatoia per parlar male dei primi kibbutzim che, col loro collettivismo - certamente non «anticapitalistico» - erano andati ben oltre il «collettivismo» delle coop italiane nelle regioni rosse. Io fui testimone diretto di quel fantastico esperimento che, senza il conflitto arabo-israeliano sarebbe forse potuto proseguire e svilupparsi in un senso realmente anticapitalistico. Resta il fatto che i kibbutzim di oggi non sono i diretti discendenti dei kibbutzim di allora e quindi è inutile che Bruno cerchi di sminuirne il valore pionieristico che ebbero ancor prima che nascesse lo Stato d’Israele.

 

«La destra fascistoide di Netanyahu» appartiene a un linguaggio abusato per cui non basta mai dire «di destra» o «fanaticamente di destra», ma bisogna «fascistizzare» l'avversario. Del resto per i Cobas fu fascistoide anche il governo Salvini-Conte-Di Maio. Ricordo che negli anni ’90 era fascistoide il governo di Berlusconi, per non riandare indietro nel tempo ai governi di Fanfani, «fanfascistici»: una lista interminabile di governi e regimi fascistoidi in giro per il mondo, tra quali il governo di Netanyahu, che invece è sionista di destra e fortemente condizionato dall’integralismo e fanatismo ebraico (di estrema destra quest’ultimo? diciamolo pure).

 

Poco chiara la parte su Gerusalemme: si rivendica giustamente la risoluzione Onu sull'internazionalizzazione della città (il che presuppone però che si sia d’accordo anche con la risoluzione n. 181/1947 dell'Onu), ma non si dice nulla sulla pretesa palestinese di considerarla terza capitale dell’Islam. Su tale questione ho esposto più volte la mia personale opinione, per cui solo dando credibilità al viaggio di Maometto accompagnato dall’arcangelo Gabriele e alla sua ascensione in cielo (iniziata da Gerusalemme e conclusasi in un solo giorno) si può asserire un tale diritto. Preferirei stendere un pietoso velo sulla questione, ma chi invece rivendica l’islamità di Gerusalemme (islamità, si badi bene, e non semplice palestinità) non può tacere sulla leggenda che ne sta alla base. 

 

Il paragrafo 4 non può fare a meno, mordendosi le labbra, di ammettere che Israele è l’«“unica” democrazia del Medioriente» («unica» sempre tra virgolette a togliere valore all’affermazione), ma poi si attenua questo riconoscimento dicendo che è «una democrazia a scartamento ridotto» (cioè?) e che i parlamentari arabi nella Knesset (quindi almeno Bruno, a differenza dei tanti sostenitori italiani di Hamas, sa che ci sono) vengono «sistematicamente esclusi da responsabilità reali (governative e militari)».

Direi che per un Paese costantemente in stato di allerta militare - visto che tutti i suoi vicini volevano distruggerlo (ora invece soltanto alcuni, tra i quali però il temibile Iran che non è confinante ma è presente con movimenti terroristici) - non c’è male. Io preferisco parlare di democrazia imperfetta o postdemocrazia, ma non dimentico mai in quali condizioni Israele si concede il lusso di tale imperfezione, cioè il lusso di mantenere bene o male una qualche forma di democrazia.

Bruno non se la sente di descrivere i regimi integralisti islamici (alcuni dei quali barbari, medievali e sempre comunque sanguinariamente dittatoriali oltre che ferocemente omofobi e misogini) che arricchiscono il mondo culturale del Medioriente. Forse se lui andasse a vivere in uno di questi paesi e rivendicasse anche solo un decimo delle cose che rivendicano i Cobas, cambierebbe opinione sulla differenza che c’è tra «democrazia a scartamento ridotto» e dittatura islamica.

 

Accusando Israele di non voler costituire uno Stato palestinese, Bruno sembrerebbe dichiararsi implicitamente a favore di due Stati (cosa che Michele ed io abbiamo più volte dimostrato irrealizzabile se non nella forma di due Stati confessionali perennemente in guerra tra loro) e critica l’ipotesi dell’«unico Stato a-confessionale e democratico», cioè la posizione mia e di Michele (ma devo dire anche di tanti altri su scala internazionale che mi hanno espresso il loro consenso con gli articoli apparsi su UR). Questo punto di Bruno comunque non è chiaro: non so se volutamente o no.

 

Bruno si dichiara invece a favore di uno Stato confederale, elencando tutti i benefici che ne discenderebbero. Ma questo è il vizietto inveterato della sinistra: fare liste della spesa, gli elenchi di cosa sarebbe giusto e bello fare, senza porsi il problema dell’effettiva realizzabilità pratica. Si può pensare veramente che con l’esistenza di Hamas, di Hezbollah e dell’Iran, Israele possa permettersi di avere al proprio interno dei miniStati confederali filoiraniani, filo Hamas, filo Hezbollah?

Probabilmente è irrealistica anche la nostra idea dell’assimilazione dei palestinesi rimasti a Gaza e in Cisgiordania (e in Libano) dentro uno Stato d’Israele democratico e aconfessionale, ma certamente lo è meno di tutte le altre alchimie con le quali si sta perpetuando da 77 anni il sacrificio del popolo palestinese rimasto in Palestina-Israele e della sua parte fuggita in altri Stati.

 

Al punto 6 Hamas viene definita «reazionaria e oscurantista». Niente male, ma purtroppo in contraddizione con tutto ciò che è stato detto prima sull’attuale guerra in corso che sarebbe stata scatenata da Israele e non da Hamas. Perché se Bruno ammettesse che è stata una «formazione reazionaria e oscurantista» a scatenare la guerra con il pogrom del 7 ottobre, non saprebbe poi dire che cosa avrebbe dovuto fare uno Stato «democratico a scartamento ridotto» per impedire che tali pogrom avvenissero di nuovo.

 

Buona la sintesi sulle contraddizioni del mondo arabo che usano la questione palestinese per i loro fini. Peccato che si concluda parlando addirittura di «negazione del popolo palestinese da parte del fondamentalismo islamico» e non si accenni mai, né qui né nel resto dell’articolo, che questo fondamentalismo islamico nega invece il diritto di esistere al popolo israeliano e continua a ripetere che gli ebrei d’Israele vanno buttati a mare. Che è poi la stessa posizione, detta forse in termini meno trucidi, di tutti coloro che in questi giorni stanno inneggiando alla resistenza palestinese (cioè Hamas e Hezbollah) e negano il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele. Gli ebrei dei paesi arabi, invece, non si possono buttare a mare perché furono tutti espulsi o costretti a fuggire con la guerra del 1948. 700-800.000 persone che sono state bene o male assorbite nello Stato d’Israele. Ma anche di questo non si parla mai fra le tragiche conseguenze di quella prima aggressione antiebraica.

 

Anche per Bruno, come per il resto della ex estrema sinistra, la rivendicazione della «giusta» lotta di chi ha dichiarato guerra allo Stato d’Israele si accompagna al sostegno all’aggressione russa all’Ucraina rispetto alla quale si parla, in un inciso, di «sconsiderato sostegno militare illimitato all’Ucraina». Un’Ucraina che invece, secondo Bruno, andrebbe abbandonata alle mire colonialistiche di Putin e al suo sogno genocida di annullare la nazione ucraina come nazione a sé.

Si ripete poi che Israele sta compiendo una «pulizia etnica»: una falsità, come ho fatto notare all’inizio, ricordando che i massacri dei civili nelle guerre, per quanto condannabili, non sono equiparabili al genocidio che richiede invece un’intenzione genocida. Lo ripeterò fino alla nausea, visto che ci attende ormai una diffusa confusione su tale questione, dopo che le Nazioni Unite hanno deciso di indagare (il che non vuol dire condannare) Israele per genocidio.

 

Segue la parte dei desideri pii, per il rilancio di una «prospettiva democratica con una nuova leadership palestinese». Eh già, ma come la mettiamo finché esisterà Hamas, col seguito di massa che riscuote tra i palestinesi rimasti a Gaza e ormai anche in Cisgiordania e nel resto del mondo islamico?

 

Concludo ricordando in sintesi le posizioni mie e di Michele Nobile che non implicano necessariamente che in Utopia rossa tutti la pensino così. Da noi, per fortuna, si può ancora dissentire e discutere. E ciò per giunta su scala internazionale.

1) Lo Stato d’Israele ha la legittimità giuridica e morale per esistere (vedi precedenti articoli in UR e «Risposta ad Albertani»). Chi nega agli ebrei il diritto di avere una loro patria - quella che la Storia dopo il 1945 (fine dell’Olocausto) e dopo il 1947 ha affidato loro, è un antisemita, che se ne renda conto o no.

2) Nel 1948 l’aggressione araba al neonato Stato d’Israele costrinse centinaia di migliaia di palestinesi a fuggire, ma permise anche a Israele di liberarsi di loro e di impadronirsi delle loro terre: quell’aggressione e la risposta d’Israele (che vinse militarmente) ha creato le basi per il conflitto cruento che ancora dura.

3) Ad Hamas non andava permesso (dal governo israeliano di Netanyahu) di rafforzarsi, di usare i sussidi economici provenienti dall’Onu e dall’estero per scavare tunnel, armarsi e prepararsi alla guerra. Altro che pulizia etnica!

4) Il 7 ottobre è stato un pogrom antiebraico, quali non se ne vedevano di tali dimensioni dalla fine del nazismo. Chiunque protesta oggi per i morti di Gaza e non ha protestato per quel pogrom è moralmente corresponsabile di antisemitismo, per giunta nella sua versione cruenta.

5) Avendo Hamas dichiarato guerra a Israele e poiché sta chiaramente perdendola con terribili perdite nella propria popolazione civile, avrebbe anche il dovere morale di arrendersi. Tutti coloro che non chiedono ad Hamas di arrendersi, ma anzi la incoraggiano a proseguire, sono corresponsabili dei massacri dei civili di Gaza che sta compiendo il governo di Netanyahu come risposta all’aggressione di Hamas.

6) Chi non lotta per la liberazione degli ostaggi (ostaggi ebrei, per lo più) è corresponsabile moralmente di questo ennesimo affronto al popolo ebraico e alla memoria dell'Olocausto.

7) Se Hamas non si arrende e non restituisce gli ostaggi la guerra non potrà terminare. Israele lotta per la propria sopravvivenza e non ci sono pressioni internazionali (neanche degli Usa) che possano farla retrocedere. L’unica possibilità è per l’appunto la resa di Hamas e la restituzione degli ostaggi.

8) Infine, che non si giochi con l’accusa di genocidio: il genocidio richiede l'intenzione di far scomparire un popolo (Come i nazisti con ebrei e rom, e Stalin con gli ucraini dell’holodomor, i polacchi nel 1939, i tatari di Crimea ecc.). Al momento tale intenzione è dichiarata da Hamas, da Hezbollah e dall’Iran, che ripetono incessantemente che Israele va distrutto e gli ebrei buttati a mare. E certamente lo farebbero se Israele fosse sconfiggibile militarmente. Israele ha tante colpe verso il popolo palestinese, ma non certo di volerlo far scomparire. Senza l’aggressione del 1948, senza l’integralismo islamico e la sua dichiarata volontà di distruggere Israele, il problema si sarebbe risolto pacificamente da tempo. Ora la soluzione sembra quasi impossibile, e comunque, per le ragioni storico-generazionali che ho citato in altri articoli, il popolo d’Israele non può perire senza combattere fino all’ultimo ebreo, figlio o non figlio dell'Olocausto.

Concludo dicendo che dopo aver visto in Italia anche gruppuscoli di una certa serietà teorica entrare nel campo dell’antisemitismo rivendicando «la distruzione dello Stato d’Israele» e dopo aver letto questo articolo dei Cobas (organizzazione alla quale mi sento vicino e della quale sono l’editore), devo concludere sconsolatamente che in Italia sembrerebbe rimasta solo Utopia rossa della ex estrema sinistra a dichiarare necessario che Hamas venga cancellata dalla faccia della terra e che in Iran cada il regime barbaro e medievale che lo tiranneggia. Ciò insieme al sogno (di più oggigiorno non è concesso) che Israele torni alle sue origini di utopismo socialista, laico e democratico, in un Medioriente pacificato e non più minacciato dall’integralismo islamico.

Ma questo, ripeto, è solo un sogno in un momento in cui le voci della politica sono affidate alle armi.


Shalom

Roberto


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

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a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

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b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

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f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

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g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.