L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

PER SAPERNE DI PIÙ CI SONO UNA COLLANA DI LIBRI E UN BLOG IN VARIE LINGUE…

ČESKÝDEUTSCHΕΛΛΗΝΙΚÁENGLISHESPAÑOLFRANÇAISPOLSKIPORTUGUÊSРУССКИЙ

domenica 14 gennaio 2024

LA RUSSIA COME IMPERIALISMO AGGRESSIVO

UN CONFRONTO COL TERZO REICH E L’UNIONE SOVIETICA 1939-40

di Michele Nobile

 

Questo articolo riprende il discorso del precedente «Gli obiettivi di guerra di Putin e la Grande guerra patriottica 1941-5», http://utopiarossa.blogspot.com/2023/08/gli-obiettivi-di-guerra-di-putin-e-la.html 

 

1. È giustificabile il confronto fra la politica estera nazista e quella di Putin?

2. Estendere il confronto: il Patto Hitler-Stalin come base delle aspirazioni geopolitiche sovietiche.

3. Hitler, Stalin, Putin: catastrofi geopolitiche e genocidio.

4. L’utilizzo strumentale dei «compatrioti» e la colpevolizzazione delle vittime. 

 

1. È giustificabile il confronto fra la politica estera nazista e quella di Putin?

Dopo l’invasione russa, nel 2022 il socialista ucraino Taras Bilous scrisse che,

                                                 

«Piaccia o no, la Russia oggi ha più cose in comune con il Terzo Reich che con l’Unione Sovietica. Non considero fascista il regime di Putin, ma in questo caso è davvero difficile evitare parallelismi. In entrambi i casi abbiamo un impero che perse il confronto globale, con il quale, dopo la vittoria, il nemico si comportò in modo arrogante e in cui si radicarono sentimenti revanscisti. Una società che non accettò le perdite territoriali e sostenne l’uso della forza militare bruta per riconquistare territorio.

Nonostante il suo autoritarismo, le deportazioni e i massacri, l’Unione Sovietica offrì al mondo un preciso progetto progressista. Il regime di Putin promuove solo il conservatorismo, il nazionalismo aggressivo e la divisione del mondo in sfere di influenza delle “grandi potenze”. In questo senso, nonostante tutte le differenze, il Terzo Reich è l’analogia più vicina alla Russia di Putin»1

 

Ovviamente, accostare la politica di Putin a quella di Hitler ha un immediato valore polemico. Ad esempio, per caratterizzare il regime russo, in Ucraina hanno coniato il termine rašizm (раши́зм) che combina la pronuncia inglese di Russia con fascismo (фашизм), evocando così non solo il fascismo russo (російський фашизм) ma anche il razzismo. Il che è pure ironico, considerando che l’aggressione all’Ucraina iniziò con l’invasione e l’occupazione della Crimea nel 2014, in risposta a quello che il Cremlino definiva un «colpo di Stato» messo in atto da «neonazisti». Tuttavia, al di là della rabbia e della polemica, esistono motivi reali per cui possa essere utile mettere a confronto Russia e Terzo Reich? 

Oltre che nella propaganda bellica russa contro l’Ucraina, l’uso strumentale degli epiteti «fascista» e «nazista» è assai frequente nella propaganda di giustificazione degli interventi militari occidentali del dopo-guerra fredda. Tuttavia, per caratterizzare come fascista o nazista un regime o un partito non bastano militarismo, nazionalismo e autoritarismo, altrimenti le categorie fascismo e nazismo perdono significato e si degradano a meri insulti. 

Al fine della comparazione storica non si può prescindere da una costellazione di fenomeni che furono peculiari del fascismo e del nazismo, così distinguendoli da altre tipologie di regimi autoritari, passati e presenti. Ad esempio, perché si possa ragionevolmente parlare di fascismo è come minimo necessario che esistano un movimento politico «nero» paramilitare, extraistituzionale e «sovversivo» dell’ordine costituzionale, la violenta contrapposizione di questo ai «rossi» e alla minaccia di un movimento rivoluzionario dei lavoratori, la radicalizzazione e mobilitazione della piccola borghesia, una gravissima crisi di consenso dei partiti tradizionali al governo. Ebbene, prima e dopo l’avvento al potere di Putin, tutti questi fattori furono e sono assenti in Russia3. Benché quella di Putin sia oramai la prima dittatura reazionaria apparsa in Europa dopo la caduta del regime salazarista in Portogallo, di quello dei colonnelli in Grecia e di quello franchista in Spagna (tutti regimi caduti nel 1974-5), non si tratta di dittatura fascista2. Il che non la rende meno pericolosa, perché combina tratti neo-zaristi e alcuni aspetti (origini del personale politico, retorica della Grande guerra patriottica, armamento nucleare, aspirazioni geopolitiche) del tardo totalitarismo sovietico brezneviano. 

Sottolineo che, al contrario di altri commentatoriBilous non sostiene che il regime di Putin sia fascista. Dunque, la comparazione fra Terzo Reich e Russia non riguarda la politica interna ma la politica internazionale, pur alludendo anche a un rapporto fra le due. Soggettivamente, il paragone esprime il punto di vista di un popolo aggredito ma poggia su una constatazione di fatto, argomentata estesamente qui di seguito: che, pur con le ovvie differenze derivanti dal contesto storico, la Russia contemporanea svolge sulla scena internazionale un ruolo analogo a quello del Terzo Reich, che eserciti una violenta azione revisionista del sistema internazionale degli Stati al fine di ricostruire una propria sera d’influenza imperiale, anche mediante la guerra e calpestando il diritto autodeterminazione dei popoli. Nel caso della Russia di Putin questo è palese almeno dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina nel 2014, a maggior ragione dopo l’aggressione totale iniziata nel febbraio 2022. 

Una ulteriore considerazione è che il motivo fondamentale della guerra di Putin contro l’Ucraina - quello che racchiude e giustifica gli obiettivi di guerra esplicitati - è definire l’identità della cittadinanza russa come nazionale-imperiale, al fine di consolidare il regime interno. Esiste dunque un nesso fra politica estera aggressiva e politica interna autoritaria, la cui sottovalutazione può condurre al grave errore di pensare che Putin sia interessato a una soluzione diplomatica e di compromesso della guerra con l’Ucraina. Non è così. 

Tra le potenze imperialiste, l’élite politica e culturale russa al potere è l’ultima a non avere ancora superato l’obsoleta visione del mondo dell’imperialismo territoriale e coloniale, che fu propria dell’impero zarista ma che riemerse in forma nuova e intrinsecamente contraddittoria nell’Unione Sovietica staliniana e post-staliniana. Questo, a sua volta può ricondursi al fatto che la Russia non ha mai sperimentato un sistema politico democratico e alla peculiare articolazione di potere economico e politico che caratterizza il capitalismo russo. 

Dunque, se sono d’accordo con la valutazione comparativa di Bilous, ritengo tuttavia che essa vada precisata e ampliata. Per comprendere il regime di Putin e la sua politica estera occorre mettere a fuoco le cause della disgregazione dell’Unione Sovietica, i motivi che hanno spinto tanti ex Stati satelliti ed ex sovietici a volontariamente chiedere l’ingresso nella Nato e nell’Unione Europea e, quindi, definire continuità e discontinuità fra due diverse specie d’imperialismo: quello burocratico e non-capitalista sovietico e quello capitalistico della Federazione Russa. Di questo tratterò estesamente in altro articolo. In questo mi propongo un’operazione preliminare: estendere il confronto fra Terzo Reich e Russia contemporanea all’Unione Sovietica del 1939-40. Anche da questo si possono trarre alcune lezioni. 

 

2. Estendere il confronto: il Patto Hitler-Stalin come base delle aspirazioni geopolitiche sovietiche.

Il confronto con la politica sovietica nel 1939-40 è suggerito dall’insistenza dello stesso Putin su quelli che ritiene i «sacri» risultati geopolitici della Grande guerra patriottica contro l’invasore tedesco. Che in conseguenza della guerra antinazista l’Unione Sovietica estese il proprio territorio, costruì una sfera di Stati satellite ed emerse come potenza mondiale è banale constatazione. Meno banale è riflettere sul fatto che il primo passo in quella direzione e la definizione minima degli obiettivi di guerra vennero definiti non contro ma in accordo con il Terzo Reich. 

Poiché nella propaganda sovietica e russa la guerra 1941-45 in Europa orientale è trasfigurata in un mito di redenzione e vittoria, coesione nazionale e nobiltà del sacrificio, la mitografia di regime si sovrappone e strumentalizza l’esperienza reale e la memoria di quella guerra, tremenda ma ben più complessa e contraddittoria di quanto risulti nella narrazione e nei riti ufficiali: in questi non può esserci posto per eventi e questioni che ne sminuiscono l’eroica sacralità. La stessa periodizzazione della Grande guerra patriottica evade la razionale considerazione delle conseguenze del Patto di non-aggressione fra Germania e Unione Sovietica del 23 agosto 1939, che viene presentato come un risultato imposto dall’appeasement anglo-francese (che era già in crisi subito dopo la Conferenza di Monaco - 30 settembre 1938 - e la Kristallnacht tra il 9 e il 10 novembre 1938 - e terminò con l’invasione nazista della Cecoslovacchia nel marzo 1939) anziché per quel che realmente fu, in assoluto la peggiore fra le alternative allora esistenti: un’alleanza di fatto fra Hitler e Stalin, che fu la condizione strategica che permise a Hitler di invadere la Polonia il primo settembre, così dando inizio alla Seconda guerra mondiale. Quella decisione portò sciagura al mondo e fu la ragione prima del disastro che colpì l’Armata rossa quando la Wehrmacht invase l’Urss e dell’enorme prezzo di sangue pagato dai popoli sovietici nella guerra contro l’invasore. S’intende la tenacia con cui prima le autorità sovietiche e poi quelle russe abbiano negato e continuino a negare ragioni reali e gli effetti del Patto Hitler-Stalin per i popoli europei e sovietici: altrimenti crollerebbe la mitografia patriottica che da molti decenni è diventata la prima fonte di legittimazione del potere di chi occupa il Cremlino.  

La vera sostanza politica di quel sedicente Patto di non-aggressione era il Protocollo segreto ad esso allegato, che delineava la spartizione della Polonia (che allora comprendeva l’Ucraina occidentale e la Bielorussia occidentale) fra Terzo Reich e Unione Sovietica e le rispettive sfere d’influenza, attribuendo Paesi Baltici, Bessarabia e Finlandia alla sfera sovietica4. Conseguentemente, agendo su sollecitazione nazista e in modo concorde con la Wehrmacht, l’Armata Rossa invase la Polonia il 17 dello stesso mese, non per combattere la l’esercito tedesco ma per disarmare e imprigionare centinaia di migliaia di militari polacchi, combattendo contro di essi anche alcune battaglie. Poi, Stalin impose una serie di trattati ai Paesi Baltici, minacciandoli d’invasione: prima all’Estonia il 28 settembre 1939, lo stesso giorno del nuovo Trattato d’amicizia con il Terzo Reich e di due nuovi Protocolli segreti che precisavano i confini delle sfere d’influenza, il trasferimento di popolazioni, la collaborazione nella repressione dell’«agitazione polacca»; poi alla Lettonia, il 5 ottobre, e alla Lituania il 10 dello stesso mese. Al ricatto seguirono l’invasione e l’annessione dei Paesi Baltici all’Unione Sovietica, tra il 14 e il 21 giugno 1940; nello stesso mese le truppe sovietiche occuparono la Bessarabia e la Bucovina settentrionale, regioni della Romania. Stalin attuò queste operazioni in modo opportunistico, al traino della vittoria nazista in Occidente e col consenso di Hitler: sconfitta, la Francia firmò l’armistizio con la Germania il 22 giugno. Nel frattempo, a fine novembre 1939 l’Unione Sovietica aveva già attaccato la Finlandia, che aveva rifiutato le richieste di Stalin: la «guerra d’inverno» durò fino a marzo 1940. 

Non c’è dubbio che nel 1939-40, in alleanza di fatto con il Terzo Reich e sulla base di accordi formali, l’Unione Sovietica contribuì a rivoluzionare l’assetto geopolitico dell’Europa centrale e orientale. I regimi nazista e staliniano furono entrambi revisionisti ma per ragioni diverse quanto differenti erano le società della Germania (un totalitarismo capitalista) e dell’Unione Sovietica (un totalitarismo pseudosocialista). Sulle finalità e sui metodi dell’imperialismo sovietico si può ragionare a lungo ma ora interessa ribadire il fatto, retrospettivamente paradossale, che fu durante l’alleanza di fatto fra Hitler e Stalin nel 1939-41 e la collaborazione militare, diplomatica, economica e poliziesca fra Unione Sovietica e Terzo Reich, non con la guerra antinazista, che vennero poste le fondamenta delle aspirazioni geopolitiche sovietiche.

Infatti, quando poi Hitler si rivolse contro l’ex alleato sovietico, il primo ed irrinunciabile degli obiettivi di guerra avanzati da Stalin nei confronti dei nuovi alleati liberali anglosassoni fu il riconoscimento come confini dell’Unione Sovietica dei territori conquistati durante la fase della collaborazione sovietico-nazista, a cui egli aggiunse la rivendicazione di basi militari in Finlandia, Bulgaria e Romania, come già aveva richiesto a Hitler durante la visita di Molotov a Berlino nel novembre 1940

A seconda delle oscillazioni della situazione militare, nel corso del conflitto variarono i termini esatti delle rivendicazioni territoriali sovietiche e i toni con cui venivano avanzate agli alleati anglo-americani. Ad esempio, dopo la vittoria a Stalingrado e specialmente dopo quella della battaglia di Kursk, i diplomatici sovietici in Svezia fecero dei sondaggi circa la disponibilità dei nazisti a una pace separata; con lo stesso obiettivo, ma questa volta sperando in un colpo di Stato militare che eliminasse Hitler, in Urss vennero costituiti due comitati che avrebbero potuto fare da ponte con gli eventuali golpisti tedeschi: prima il Comitato nazionale per la Germania libera, di cui erano membri comunisti tedeschi e ufficiali della Wehrmacht e poi, più importante per la composizione tutta tedesca, la Lega degli ufficiali tedeschi, di cui era presidente il generale Walther von Seydlitz-Kurzbach e il cui più notevole membro fu il feldmaresciallo Friedrich Paulus, che aveva comandato l’armata tedesca durante la battaglia di Stalingrado. I sondaggi con i nazisti non portarono a nulla ma, nel timore si realizzasse a un nuovo accordo fra Stalin e i tedeschi (con o senza Hitler), queste mosse contribuirono a rendere britannici e americani più disponibili nei confronti degli obiettivi territoriali sovietici, tra cui il riconoscimento delle frontiere date al 22 giugno 1941, risultati dalla collaborazione fra Stalin e Hitler.5

Quando le sorti della guerra si volsero contro il Terzo Reich, Stalin non solo mantenne le sue aspirazioni geopolitiche del 1939-40 ma le estese. Il risultato fu che la guerra di liberazione contro il nazismo assunse anche il carattere dell’occupazione militare dei Paesi liberati e dell’imposizione del controllo sovietico sul loro futuro, ben oltre quanto britannici e statunitensi avessero previsto o concordato nelle trattative circa l’amministrazione dei territori liberati da ciascuno degli alleati. Questa fu la parte di responsabilità sovietica nella divisione dell’Europa post-bellica e nella genesi della guerra fredda, frutto della rivalità fra l’imperialismo capitalistico e l’imperialismo non-capitalistico sovietico. Il punto è importante non solo per smascherare la retorica pseudo-antifascista di Putin ma anche perché un ragionamento sulle caratteristiche dell’attuale imperialismo russo non può prescindere dal confronto con il suo immediato antecedente sovietico e sui modi con cui venne costruito e gestito il blocco sovietico, organizzato nel Consiglio di mutua assistenza economica (Comecon) e nel Patto di Varsavia.

Putin evoca la Grande guerra patriottica, tuttavia in realtà l’invasione dell’Ucraina non è affatto assimilabile al momento difensivo della guerra anti-nazista. Al contrario, si può comparare alla logica revisionista e imperiale dell’alleanza fra Stalin e Hitler, dell’invasione della Polonia e dell’aggressione alla Finlandia. 

 

3. Hitler, Stalin, Putin: catastrofi geopolitiche e genocidio

Negli anni Venti e Trenta del secolo scorso la «riunificazione» del popolo tedesco era obiettivo della destra nazionalista, infine realizzato dal regime nazista con l’Anschluss dell’Austria, l’annessione dei Sudeti, l’invasione della Cecoslovacchia e, infine, l’invasione della Polonia. Il disegno hitleriano andava però ben oltre il pangermanesimo. La nuova identità della Germania doveva definirsi attraverso la costruzione di un vasto impero dominato dalla razza superiore. La demografia della Polonia, dell’Ucraina e di altri territori sovietici conquistati doveva essere drasticamente modificata per far posto ai coloni germanici. L’ideologia e gli interessi materiali della politica colonizzatrice del regime nazista richiedevano lo sterminio degli ebrei d’Europa, in gran parte concentrati proprio nei territori orientali, la cui popolazione andava comunque affamata e asservita. 

Di fatto, Putin vede la Russia odierna in modo simile a come un nazionalista tedesco concepiva la Repubblica di Weimar a confronto con il Kaiserreich d’anteguerra. Per i nazionalisti tedeschi la caduta dell’Impero tedesco era stata colpa della «pugnalata alla schiena» inferta allo sforzo bellico dal movimento operaio e dalla rivoluzione del novembre 1918, dagli odiatissimi Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Così tradita la sacra patria, continuava il discorso, con il Trattato di Versailles le potenze occidentali vincitrici non solo avevano imposto alla Repubblica di Weimar pesanti riparazioni di guerra, strettissimi limiti alle forze armate e lo smantellamento dell’impero coloniale ma, ridisegnando i confini della stessa Germania, avevano escluso milioni di tedeschi dalla loro madrepatria. E questa Germania, innocente della guerra ma territorialmente ridimensionata e militarmente impotente, si ritrovava anche «accerchiata» da potenziali nemici. 

Quel che per gli imperialisti russi contemporanei corrisponde al trauma della sconfitta e del Trattato di Versailles è, come disse Putin nel 2005, «la più grande catastrofe geopolitica del secolo» (nel testo russo: крупнейшей геополитической катастрофой века)6 ovvero il collasso dell’Unione Sovietica, la frammentazione del «mondo russo» e l’espansione della Nato e dell’Unione Europea in quella che, dal loro punto di vista, sarebbe la naturale sfera d’influenza competente alla Santa Russia. Non manca neanche l’equivalente della «pugnalata alla schiena», i cui effetti si sarebbero però fatti sentire a distanza di molti decenni. Infatti, secondo Putin la causa prima della disgregazione dell’Unione Sovietica furono la fermezza di Lenin sul diritto di autodeterminazione dei popoli e, quindi, sulla struttura federale dell’Unione, costituita da distinte Repubbliche nazionali, con diritto di secessione (riconosciuto nelle Costituzioni del 1924, 1936 e 1977, rispettivamente agli artt. 4, 17 e 72). In realtà diritti nazionali e struttura federale furono calpestati da Stalin, che per questo nei manuali scolastici russi contemporanei è rivalutato come «riunificatore» delle terre dell’Impero zarista7 e, fino all’esplosione finale, rivendicare diritto delle Repubbliche alla separazione conduceva direttamente alla morte, o al Gulag o al manicomio.

Nel 1939 sia Hitler che Stalin intesero giustificare la concordata invasione della Polonia con l’argomento della protezione dei rispettivi connazionali. È ben noto come i nazisti trattarono i polacchi e come iniziarono la ghettizzazione e lo sterminio della popolazione ebraica. Da parte sua Stalin invocò la necessità di proteggere ucraini e bielorussi dalle conseguenze del «crollo» dello Stato polacco in cui risiedevano, non condannando l’invasione nazista - ovvero la causa del «crollo» - ma anzi dando il colpo di grazia alla Polonia, che venne spartita per la quarta volta. L’argomento era falso e ipocrita: nel 1938 Stalin aveva sciolto d’autorità i Partiti comunisti polacco, bielorusso occidentale e ucraino occidentale (caso unico nella storia del Comintern) e fatto massacrare alcune migliaia di militanti comunisti di quei partiti, che in Unione Sovietica avevano fatto carriera o che vi si erano rifugiati, una goccia nel mare di ucraini sovietici fatti morire di fame durante la carestia del 1930-2 - il genocidio noto come Holodomor - e di polacchi massacrati e deportati durante il Grande terrore. E, appena occupate le parti occidentali dell’Ucraina e della Bielorussia, i sovietici iniziarono immediatamente le deportazioni di massa e instaurarono un regime di gran lunga più oppressivo di quello autoritario e nazionalistico polacco8In Unione Sovietica, durante il Grande terrore del 1937-8 le «operazioni di massa» furono affiancate dalle «operazioni nazionali» che segnarono una novità: il passaggio dalla persecuzione vagamente fondata su criteri di classe e politici (gli ex-kulak, veri o presunti; i funzionari del vecchio regime; oppositori veri o presunti, filatelici e via elencando) al criterio della nazionalità. Infatti, da allora l’enfasi della repressione cadde sempre più su interi gruppi nazionali, perseguitati perché in quanto tali considerati politicamente pericolosi. Durante la Seconda guerra mondiale vennero deportati in massa: tedeschi del Volga e finlandesi, calmucchi, carachi, ceceni, ingusci, balcari, turchi della Meschezia, chemscini (armeni sunniti), curdi e Tatari di Crimea, questi ultimi - certo non i russi - vera nazionalità titolare della Crimea. Se nel complesso nel solo Grande terrore vennero assassinate quasi 700 mila persone (senza contare i decessi nel Gulag), la mortalità delle «operazioni nazionali» fu più elevata di quella delle «operazioni di massa»: più di 247 mila assassinati, quasi il 74% dei condannati in queste operazioni. Se la motivazione di queste «operazioni nazionali» era la «sicurezza» anziché l’esplicito razzismo sterminatore dei nazisti nei confronti dei «sub-umani», anch’esse rientrano nella categoria del genocidio. Questa perversa di criminalizzazione genocida di interi gruppi nazionali in nome di un falso antifascismo è il precedente illustre della criminalizzazione come «nazista» dell’intero popolo ucraino9 

In tutte le moderne guerre totali, in cui sembra evaporare la distinzione fra civili e combattenti, si presentano tratti genocidi. Relativamente all’atrocità di altre guerre imperialistiche, in quella di Putin all’Ucraina c’è però un di più che è importante cogliere. Non si tratta solo di crimini di guerra e di condotte che possono rientrare nella definizione di genocidio della Convenzione internazionale come, ad esempio, il forzato trasferimento di bambini ucraini in Russia e la loro adozione da parte di famiglie russe. Consideriamo la definizione originale di genocidio di Raphael Lemkin (colui che coniò il termine e si batté perché venisse creata questa fattispecie criminale) più ampia di quella del diritto internazionale (che «salvò» i genocidi delle potenze coloniali ma anche quelli sovietici): 

«Parlando in generale, genocidio non significa necessariamente l’immediata distruzione di una nazione, tranne quando compiuta mediante uccisioni di massa di tutti i membri di una nazione. Vuole piuttosto significare un piano coordinato di diverse azioni volte alla distruzione di fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali, con lo scopo di annientare i gruppi stessi. Gli obiettivi di un tale piano sono la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e dell’esistenza economica dei gruppi nazionali, e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino della vita degli individui appartenenti a tali gruppi. Il genocidio è diretto contro il gruppo nazionale come entità e le azioni coinvolte sono dirette contro gli individui, non nella loro capacità individuale, ma come membri del gruppo nazionale. (...) Il genocidio ha due fasi: una è la distruzione del modello nazionale del gruppo oppresso; l’altra, è l’imposizione del modello nazionale dell'oppressore»10

 

         Ebbene, la negazione di una nazionalità ucraina distinta e autonoma rispetto a quella russa (gli ucraini come «piccoli russi» nella mistica unità nazional-trinitaria), l’annullamento dell’identità ucraina in quelle che lo sciovinismo russo considera «storiche terre russe», la distruzione del patrimonio culturale ucraino e infine la pretesa di «denazificare» l’Ucraina, con la implicita criminalizzazione e de-umanizzazione del popolo d’Ucraina, sono tutti motivi che spingono verso il genocidio nel senso della definizione di Lemkin e che spiegano le atrocità nei confronti dei civili, le dichiarazioni genocide e i programmi totalitari di repressione e indottrinamento forzato apparsi nelle televisioni e nella stampa russa, fatti che esprimono ciò che Putin non può azzardarsi a dire pubblicamente. Fra tutti gli orrori attuati dalle grandi potenze imperialiste dopo la Seconda guerra mondiale, quello della guerra di Putin all’Ucraina spicca non per il numero di vittime civili ma per il suo carattere programmaticamente totalitario e genocida di un’identità nazionale.

 

4. L’utilizzo strumentale dei «compatrioti» e la colpevolizzazione delle vittime. 

Con finalità e metodi simili a quelli utilizzati da Hitler per l’Austria, i Sudeti, la Slesia polacca e Danzica, Putin utilizza strumentalmente la politica di «protezione» dei «compatrioti all’estero» nelle Repubbliche ex sovietiche, che costituiscono quel che dice il «mondo russo», la cui più recente definizione è del 28 novembre 2023, offerta in occasione del Consiglio mondiale del popolo russo, che val la pena citare per esteso:  

 

«Il mondo russo abbraccia tutte le generazioni dei nostri predecessori e dei nostri discendenti che vivranno dopo di noi. Il mondo russo significa l’antica Rus’, lo zarato della Moscovia [Московское царство nel testo russo, la Moscovia o Regno russo 1547-1721], l’impero russo [Российская империя], l’Unione Sovietica e la Russia moderna che sta rivendicando, consolidando e accrescendo la propria sovranità come potenza globale. Il mondo russo unisce tutti coloro che sentono un’affinità spirituale con la nostra Patria, che si considerano di lingua russa e portatori della storia e della cultura russa, indipendentemente dalla loro etnia o religione

Ma vorrei sottolineare che il mondo russo e la stessa Russia non esistono e non possono esistere senza i russi come etnia, senza il popolo russo. Questa dichiarazione non contiene alcuna pretesa di superiorità, esclusività o scelta. Questo è semplicemente un fatto, proprio come la chiara definizione della nostra Costituzione dello status della lingua russa come lingua dei popoli che costituiscono lo Stato»11.  

Questa citazione compendia la visione nazional-imperiale dell’identità russa e anche la sua interna contraddizione. Innanzitutto, non solo riprende l’ideologia imperiale zarista («l’antica Rus’») - su cui non mi dilungo - ma rivendica la continuità fra la Russia odierna e l’Impero zarista, passando attraverso l’Unione Sovietica, qui implicitamente intesa non come Stato «socialista» ma come «riunione» delle «terre russe» sotto Stalin, fatto che è chiarissimo ai russi, ma non ai putiniani antiamericanisti pseudoantimperialisti esteri. Con questo Putin rimuove tranquillamente secoli di conquiste coloniali e di oppressione nazionale sui popoli dell’Impero. Si noti poi la vaghezza del «mondo russo», inteso come una unità spirituale che trascende confini e nazionalità («unisce tutti coloro che sentono un’affinità spirituale»): il che pone una potenziale minaccia esistenziale a tutte le Repubbliche ex-sovietiche. In terzo luogo, affiora la contraddizione latente in questa visione imperiale, già presente ai tempi sia dello zarismo sia dell’Urss: da una parte, la pretesa di trascendere etnie e religioni, la molteplicità dei popoli e delle nazionalità (massimamente espressa nella fantasia del nuovo «uomo sovietico»); dall’altra si afferma la centralità - in effetti la posizione dominante - del popolo russo, della lingua russa, della cultura russa. Su questa contraddizione naufragarono l’Impero zarista e l’Unione Sovietica. E rischia di schiantarsi anche la Russia di Putin, non senza provocare grande dolore. 

La politica del «mondo russo» e dei «compatrioti all’estero» non è volta a difendere una minoranza nazionale oppressa, cosa che specialmente nel caso dell’Ucraina è una assurdità, quando si consideri che l’uso corrente del russo non significa essere russi e men che mai volere l’adesione alla Russia e quando si conosca il peso politico che l’oligarchia del Donbas ha avuto nel governo e nella Presidenza dell’Ucraina, fino alla rivolta democratica contro Janukovyč nel 2014. La sedicente «protezione» è in realtà l’utilizzo dei militanti nazionalisti delle minoranze russe - o che sono «spiritualmente» legate alla Russia - per influenzare politicamente i governi dell’«estero vicino» e del «mondo russo». Parte integrante della politica dei «compatrioti all’estero» è la promozione di divisioni politiche su base etnico-culturale e l’ingerenza nei problemi interni, anche mediante l’assimilazione di reali differenze regionali a una immaginaria nazionalità russa, come in Ucraina già durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2004. 

Questa politica segue diversi stadi e tecniche12. Una di queste tecniche è la concessione di massa di passaporti russi a cittadini stranieri, in modo da creare una situazione di doppia cittadinanza e pretendere si tratti di propri cittadini che la Russia ha la responsabilità di «proteggere». L’ultimo stadio della progressione d’ingerenze è l’intervento armato, come quello del 2008 durante il conflitto tra la Georgia e le regioni secessioniste dell’Abcazia e dell’Ossezia del Sud (che non sono per nulla russe ma rientrano comunque nel «mondo russo») e del 2014 in Ucraina. Le tattiche della politica dei «compatrioti» si sono concretizzate in modi differenti nei diversi Paesi ex-sovietici: è stata decisamente più aggressiva in quelli occidentali, ma ha i suoi problemi anche con quelli dell’Asia centrale (in particolare in Kazakistan, Turkmenistan e Uzbekistan) e del Caucaso (Azerbaigian, ancor più con la Georgia). Quanto sia pericolosa la politica che fa leva sui «compatrioti» nel sedicente «mondo russo» si vede bene in Ucraina, nella subordinazione della Bielorussia, nella guerra con la Georgia, nella formazione di una Repubblica secessionista della Transnistria in Moldavia. La dottrina della protezione dei russofoni può condurre a un disastro in Kazakistan dove, al momento dell’indipendenza, kazaki e russi si equivalevano (un effetto della colonizzazione russa e sovietica); ora i russi sono circa un quarto della popolazione ma molto concentrati nei distretti e nelle città settentrionali. Intanto, in cerca di carne da cannone gli immigrati non-russi sono spinti con ricatto ad arruolarsi nell’esercito russo, mentre dilaga la xenofobia russa, anche contro gli immigrati non-russi. 

Perché l’invasione apparisse come reazione difensiva, alla fine d’agosto 1939 i nazisti inscenarono alcuni falsi attacchi polacchi (il più noto è l’assai macabro «incidente» della stazione radio di Gleiwitz). Il carnefice Hitler cercò di scaricare la responsabilità della guerra sulla vittima e sui suoi alleati occidentali. 

Quanto a Putin, in quel mistificatorio pasticcio postmoderno che sono le ricostruzioni «storiografiche» di cui si serve per giustificare l’imperialismo russo, egli combina argomenti simili a quelli nazisti con altri della tradizione imperiale zarista e, specialmente, della retorica sovietica della Grande guerra patriottica, mettendo in scena una perversa farsa dell’antinazismo. Come già Hitler nel 1939, Putin trasforma la vittima in aggressore ma, come Stalin, attribuisce a chi resiste all’espansionismo del Cremlino la patente di fascista al servizio delle ostili potenze occidentali, che nella delirante logica complottistica punterebbero addirittura a smembrare la Russia. Per cui egli fa interamente ricadere la responsabilità d’aver provocato la guerra sulle élite occidentali e, naturalmente, sull’attuale regime di Kiev», di «terroristi» e «neonazisti» al servizio di potenze straniere che perseguono la stessa «politica revanscista» (реваншистской политики) del «progetto anti-Russia» degli anni Trenta: «dirigere l’aggressione verso est, scatenare una guerra in Europa ed eliminare i concorrenti per mano d’altri» (направить агрессию на Восток, разжечь войну в Европе, чужими руками устранить конкурентов)13. E anche: 

 

«Non è un’esagerazione affermare che il percorso dell’assimilazione forzata, la formazione di uno Stato ucraino etnicamente puro, aggressivo nei confronti della Russia, nelle sue conseguenze è paragonabile all’uso di armi di distruzione di massa contro di noi. Come risultato di una così crudele e artificiale divisione tra russi e ucraini, il popolo russo nel suo insieme potrebbe ridursi di centinaia di migliaia o addirittura milioni»14

 

Questo è uno spudorato rovesciamento della verità, degno della propaganda di un Goebbels ma anche della tradizionale polemica sovietica durante la Guerra fredda. Nel 2014 come nel 2022 non fu l’Ucraina a invadere la Russia o a minacciarne l’integrità e la sovranità. Fu invece la Russia che invase e occupò la Crimea e che negli oblastdi Donetsk e di Luhansk promosse e sostenne con le proprie truppe la rivolta armata dei separatisti nostalgici dell’Impero dello zar. Eppure, Putin ha l’ipocrita ardire di sostenere che «Ora stiamo combattendo non solo per la libertà della Russia ma per la libertà del mondo intero» e che «la russofobia e altre forme di razzismo e neonazismo sono quasi diventate l’ideologia ufficiale delle élite dominanti»15

Questa volta il complotto revanscista delle potenze straniere non sarebbe rivolto contro il totalitarismo «socialista» dell’Unione Sovietica, ma contro una Russia capitalista e oligarchica la cui peculiare «civiltà» è fondata dalla tradizione reazionaria della Chiesa ortodossa e del nazionalismo imperiale grande-russo. Tuttavia, per il contenuto della sua retorica, l’argomento di Putin ricorda anche il discorso di Molotov al Soviet supremo del 31 ottobre 1939, lo stesso in cui attribuiva la responsabilità della continuazione della guerra continentale ai governi di Francia e Regno Unito mentre, al contrario, la Germania nazista e la «socialista» Unione Sovietica proclamavano – in un comunicato congiunto - la loro comunanza d’interessi e la necessità di una conferenza di pace, che altro non sarebbe stato che la ratifica delle loro conquiste, date per irrinunciabili. Secondo Molotov la Polonia indipendente non era altro che un «cagnolino da compagnia delle democrazie occidentali» incapace di vita autonoma16. Oggi, mentre gli uctaini combattono e muoiono per la loro libertà, Putin continua ad affermare che la Russia sarebbe l’unica garanzia dell’indipendenza dell’Ucraina. 

Il nocciolo della questione è che Putin e il nazionalismo grande-russo considerano uno Stato indipendente ucraino una creazione «artificiale» (come già la Polonia) e il popolo ucraino non come una nazione autonoma ma solo una parte della mistica nazionalità (imperiale) russa una e trina (di grande-russi, bielorussi e piccolo-russi, cioè gli ucraini). Questa idea nazional-imperiale zarista è stata da Putin ribadita pubblicamente più volte, recentemente il 28 novembre, innanzitutto rivolgendosi a Cirillo I, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, e ad altri religiosi presenti: 

 

«ma le persone di tutte le etnie che vivono oggi, anche quelle nate nel XXI secolo, stanno ancora pagando, dopo decenni, per gli errori di calcolo fatti in quel momento [con congiunto e confuso riferimento alla rivoluzione del 1917 e alla disgregazione dell’Urss]: l’indulgenza nelle illusioni separatiste, la debolezza dell’autorità centrale e una politica di artificiale e forzata divisione di questa grande nazione russa, una trinità di russi, bielorussi e ucraini» (corsivo mio)17.  

 

Per questa mistica imperiale della nazionalità trinitaria la difesa dell’indipendenza politica e culturale dell’Ucraina diventano «assimilazione forzata» e un «forzato cambiamento dell’identità» del popolo ucraino, che sarebbe stato indotto a rinnegare le sue radici storiche. E quindi, poiché tutto ciò costituirebbe automaticamente un’aggressione alla stessa esistenza della Russia, con le parole di Putin in occasione dell’annessione degli oblastucraini: occorre «ripristinare la nostra storica unità» (чтобы восстановить наше историческое единство) e combattere per la «grande Russia storica» (За большую историческую Россию). Un generale zarista non avrebbe potuto dirlo meglio. Per il Presidente si tratta di difendere «la forza spirituale del popolo russo» e di paternamente proteggere «i nostri figli, nipoti e pronipoti ... dalla schiavitù, da esperimenti mostruosi volti a paralizzare le loro menti e le loro anime». Con ciò intendendo la salvaguardia dei millenari valori patriarcali, autoritari e imperiali dell’ortodossia russa, da imporre non solo ai cittadini russi ma anche a chi russo non è18.

Rovesciare l’aggressione in atto d’autodifesa e colpevolizzare la vittima è tattica antica e ubiqua, ma nel caso della Russia il discorso di giustificazione della guerra ha una dimensione geografica, una profondità pseudostorica e un grado di sfrontata ipocrisia la cui combinazione è confrontabile solo a quella con cui Hitler e Stalin giustificarono l’invasione della Polonia nel 1939. Non è un caso perché, come nel 1939, la politica estera e le guerre di Putin costituiscono un tentativo di ridisegnare la carta politica dell’Europa orientale e del Caucaso. 

Come nel Terzo Reich, nella Russia postsovietica la saldatura tra politica interna e politica estera è il rilancio del nazionalismo imperiale: con la feroce guerra in Cecenia, l’invasione della Georgia nel 2008, il secessionismo della Transnistria in Moldavia, l’intervento armato dal 2014 negli oblast ucraini di Done’c e Luhansk a sostegno degli indipendentisti grande-russi, fino al culmine dell’aggressione alla totalità dell’Ucraina nel 2022. Questa guerra deve essere inquadrata in un progetto più ampio, maturato all’inizio del secondo decennio del XXI secolo: la ricostituzione di una sfera d’influenza eurasiatica della Russia.  

Putin denuncia l’ipocrisia degli imperialismi occidentali e il colonialismo, perfino si dichiara orgoglioso del fatto che nel XX secolo «il nostro Paese guidò il movimento anticoloniale», in effetti riferendosi all’Unione Sovietica, non alla sua Russia del capitalismo oligarchico e imperiale. Queste parole sono contraddette non solo dalle sue azioni ma anche da quelle immediatamente seguenti. Dopo aver affermato che «una delle ragioni della secolare russofobia, è la palese malizia di queste élite occidentali nei confronti della Russia», disse «durante il periodo delle conquiste coloniali non ci siamo lasciati derubare, costringendo gli europei a commerciare per reciproco vantaggio» e «creando un forte stato centralizzato in Russia»19Come sempre, Putin rivendica la bontà della costruzione imperiale zarista rimuovendo le guerre di conquista, la resistenza e le rivolte dei popoli dell’Impero. Putin si atteggia a combattente della lotta contro il colonialismo occidentale, ma il suo linguaggio è esattamente quello di un funzionario della Russia zarista, imperiale e coloniale, di quegli Dzeržimorda denunciati da Lenin per tutta la sua vita, fino all’ultimo. Al termine della sua vita Lenin considerava Dzeržimorda Stalin e i suoi seguaci. Nella Russia del capitalismo oligarchico, dell’imperialismo neozarista e della dittatura reazionaria nei manuali scolastici Stalin è riabilitato come statista unificatore di «tutte le Russie», organizzatore dell’industrializzazione e fautore della potenza e della grandezza della Russia nel mondo. Sua colpa furono però gli «eccessi» compiuti per realizzare quel mirabile disegno, che in Italia è come dire che, nonostante alcuni «eccessi» e l’errore d’allearsi a Hitler, Mussolini fu un grande statista, creatore dell’Impero e di città, magnifico bonificatore e virile agricoltore. Negli stessi manuali Putin è pure presentato come un grande statista, sulla scia di Stalin ma migliore del baffuto perché non cade negli stessi errori ed «eccessi».

 

Con l’annessione degli oblast ucraini - illegale per il diritto internazionale - Putin ha volutamente posto una barriera insuperabile a un compromesso diplomatico; e anche recentemente, nel discorso del 14 dicembre 2023, ha ribadito gli stessi obiettivi massimi indicati all’inizio dell’invasione: «Ci sarà pace quando raggiungeremo i nostri obiettivi, che avete menzionato. Ora, lasciatemi tornare su questi obiettivi: non sono cambiati. Vorrei ricordarvi come li abbiamo formulati: denazificazione, smilitarizzazione e status neutrale per l’Ucraina»20.  

Putin insiste sul fatto che questi obiettivi non sono territoriali ma politici. Egli ha necessità di sottomettere il popolo d’Ucraina, non per presunti motivi di sicurezza (da questo punto di vista, con l’estensione e la rivitalizzazione della Nato, l’aggressione all’Ucraina è un fallimento totale) ma politici ed economici. Una soluzione negoziata potrà emergere o da una grave sconfitta militare (ad esempio, dalla rottura della continuità fra la Crimea e gli altri oblastucraini occupati) o da disordini interni o da una combinazione di questi fattori. Sospendere gli aiuti militari all’Ucraina non è pacifismo: è cadere nella trappola propagandistica di Putin e - inconsapevolmente o coscientemente - fare un favore alla guerra di conquista contro il popolo d’Ucraina. 

La Russia di Putin sta svolgendo lo stesso ruolo di violenta destabilizzazione che nel 1939 fu del Terzo Reich hitleriano e dell’Unione Sovietica staliniana. Non si deve sottovalutare la pasticciata ideologia con cui il dittatore russo giustifica l’aggressione all’Ucraina. Questa non solo confonde le acque, riuscendo a mettere insieme fascisti e sovranisti, antiamericanisti e praticanti dell’unilaterale «antimperialismo degli imbecilli». Il punto è che indica un vero obiettivo, ad un tempo interno e internazionale: costruire un’identità russa nazional-imperiale e una sfera d’influenza dell’imperialismo russo nel cosiddetto «mondo russo». 

Tuttavia, su questa strada non ha incontrato solo l’imperialismo «occidentale». La questione cruciale è che il disegno imperiale di Putin si scontra innanzitutto con la testarda volontà d’indipendenza del popolo d’Ucraina. La resistenza dell’Ucraina all’aggressione di Putin può svolgere il ruolo che avrebbe potuto essere quello della Spagna nel 1936-9: di ridimensionare l’aspirazione di un imperialismo aggressivo di costruire una propria sfera d’influenza continentale. I reazionari di destra e di sinistra stanno dalla parte dell’imperialismo russo e di Putin. Come nel 1936-9, i democratici e i socialisti del mondo sanno quale sia la parte giusta. 

 

Note

1       Taras Bilous, «The war in Ukraine and the Global South», 14 marzo 2022, https://commons.com.ua/en/vijna-v-ukrayini-ta-globalnij-pivden/Preciserei che a causa del terrore di massa, del totalitarismo politico e ideologico e dell’introduzione del lavoro schiavistico del Gulag, a confronto delle formazioni sociali capitalistiche avanzate l’Urss staliniana costituiva non un progresso ma un reale regresso. Inoltre, il sostegno sovietico alle lotte di liberazione nazionale era finalizzato all’estensione della propria sfera d’influenza, in condominio con quella dei Paesi imperialisti «occidentali».

2       Putin era un anonimo ex ufficiale del KGB che aveva fatto carriera al servizio del sindaco di Pietroburgo e nella squadra presidenziale di El’cin: come vice capo nella gestione delle proprietà della Presidenza, che si occupava dei benefici per pochi privilegiati (tra gli altri dacie, voli aerei, assistenza medica), poi come vice capo dello staff del Presidente. Posto a capo del Fsb nel luglio 1998, nomina straordinaria per chi aveva raggiunto solo il grado di tenente colonnello, divenne membro del Consiglio di sicurezza della Federazione. El’cin lo designò proprio successore e Putin divenne Presidente ad interim quando il suo protettore si dimise. 

La costituzione formale e quella materiale della Russia era già stata alterata da El’cin nel 1993, con l’attacco militare all’opposizione barricata nel Soviet supremo e poi con il referendum costituzionale che rafforzò i poteri della presidenza. Grazie agli introiti dell’esportazione di energia Putin non ha fatto altro che consolidare e rafforzare la centralizzazione già iniziata dal suo padrino. Dunque, non solo la carriera del dittatore russo fu interamente interna al sistema di El’cin, ma esiste una continuità nello sviluppo istituzionale. Il partito di Putin - Russia unita - non nacque fuori e contro l’élite tradizionale al potere - con intenti pseudo-rivoluzionari -, ma si formò dalla fusione del partito di El’cin - Unità - con un altro partito di potere, Patria-Tutta la Russia. In più, relativamente a El’cin, Putin ha regolato a favore dello Stato i rapporti con i gruppi oligarchici del capitalismo russo, dando anche vita a una nuova frazione oligarchica radicata in quella parte del settore energetico che è stata nazionalizzata. E benché in Russia prosperi l’estrema destra in varie tonalità, nazional-imperiale, fascistoide ed eurasianista (e partiti e organismi sovranisti, antieuropeisti e pseudopopulisti di destra sono i referenti privilegiati dei finanziamenti russi), queste correnti non hanno fatto alcuna «rivoluzione» e sono in parte subordinate al regime di Putin, in parte tenute a distanza. 

3       Mi sono occupato dell’abuso dei termini fascismo e nazismo in «Perversione putiniana dell’“antinazismo”», 19 febbraio 2023, http://utopiarossa.blogspot.com/2023/02/ucraina-22-lucraina-e-la-perversione.html

4       Fra i testi più recenti sull’argomento rimando a: Claudia Weber, Il patto. Stalin, Hitler e la storia di un’alleanza mortale 1939-41, Einaudi, Torino 2021; Antonella Salomoni, Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia, Il Mulino, Bologna 2022; Michele Nobile, Invasioni russe. Polonia 1939-Ucraina, Massari editore, Bolsena 2022. 

5       Vojtech MastnyRussia’s road to the cold war. Diplomacy, warfare, and the politics of communism, 1941-1945, New York, 1979, pp. 73-103.

6       Discorso del Presidente all’Assemblea federale del 24 aprile 2005, trascrizione nel sito del Presidente della Russia, en.kremlin.ru. 

7       Tra gli studi sui manuali scolastici russi di storia ne segnalo alcuni che prestano particolare attenzione alla rappresentazione della Grande guerra patriottica: David Wedgwood Benn, «Russian historians defend the Molotov-Ribbentrop Pact», International affairs, vol. 87, n. 3, 2011; Todd H. Nelson, «History as ideology. The portrayal of Stalinism and the Great Patriotic War in contemporary Russian high school textbooks», Post-Soviet affairs, vol. 31, n.1, 2015; Tatyana Tsyrlina-Spady e Alan Stoskopf, «Russian history textbooks in the Putin era. Heroic leaders demand loyal citizens», in Joseph Zajda-Tatyana Tsyrlina-Spady-Michael Lovorn, a cura di, Globalisation and historiography of national leadersSymbolic representations in school textbooks, Springer, 2017; Jonathan Brunstedt, The Soviet myth of World war II. Patriotic memory and the Russian question in the USSR, Cambridge University Press, Cambridge 2021. Un articolo dell’agosto 2023 in Meduza segnala la totale riscrittura dei capitoli che coprono il periodo dal 1970 ad oggi di una nuova serie di manuali, che giungono a giustificare l’«operazione speciale» contro l’Ucraina: «“Such unique times are rare in history”. Russian authorities unveil new high school history textbook that includes section on war in Ukraine»Meduza7 agosto 2023, https://meduza.io/en/

8       Jan T. Gross, Revolution from abroad. The Soviet conquest of Poland’s Western Ukraine and Western Belorussia, Princeton University Press, Princeton 1988.  

9       Per le «operazioni di massa» e le «operazioni nazionali» si vedano di Nicolas Werth, Les opérations de masse de la Grande Terreur en URSS, 1937-1938, Bulletin de l’IHTP n. 86, 2006 e Nemici del popolo. Autopsia di un assassinio di massa. Urss 1937-1938, Il Mulino, Bologna, 2011; anche Terry Martin, «The origins of Soviet ethnic cleansing», The Journal of Modern History, dicembre 1998; Nobile, Michele, «L’“operazione polacca” nel quadro del grande terrore di Stalin, 1937-1938», 20 gennaio 2012, articolo per il blog di Utopia Rossa, http://www.utopiarossa.blogspot.com/2012/01/loperazione-polacca-nel-quadro-del.htmlStando a dati ufficiali, le esecuzioni nel 1937-1938 furono 681.692 o, sulla base di una stima più alta degli arresti, 752/741 mila, a cui aggiungere centinaia di migliaia di decessi durante gli interrogatori e le deportazioni. Gli arresti durante le diverse «operazioni nazionali» ammontarono a 1/5 del totale di quelli effettuati durante il Grande terrore; le esecuzioni nel quadro «operazioni nazionali» furono 247.157, il 36%. Le «operazioni nazionali» furono eccezionalmente letali: per l’insieme delle «operazioni nazionali» il rapporto tra arresti ed esecuzioni fu il 73,7%. Precisamente: il 79% per l’«operazione polacca» (111 mila su 140 mila); il 76% per l’«operazione tedesca» (42 mila su 55 mila); il 65% per l’«operazione di Čarbin» (21.200 su 33 mila lavoratori cinesi); al 10 settembre 1938 il rapporto giustiziati/condannati era dell’84% per l’«operazione greca» (9.450 su 11.261), 81,5% per l’«operazione finlandese» (5.724 su 7.023), 82% per l’«operazione estone» (4.672 su 5.680), 64% per l’«operazione romena» (4.021 su 6.292).

10      Raphael Lemkin, Axis Rule in occupied Europe. Laws of occupation. Analysis of government. Proposals for redress, Carnegie Endowment for international peace, Division of international law, 1944, p. 79.         

11      Vladimir Putin, Plenary session of the World Russian People’s Council,http://www.en.kremlin.ru/events/president/news/72863, corsivi miei; per il testo russo: http://kremlin.ru/events/president/news/72863.

12      Per queste tecniche nei Paesi ex sovietici: Agnia Grigas, Beyond Crimea. The new russian empire, Yale University Press, New Haven e Londra 2016.  

13      Vladimir Putin, Presidential Address to Federal Assembly21 febbraio 2023.  

14               Vladimir Putin, «On the historical unity of Russians and Ukrainians», 21 luglio 2021, http://en.kremlin.ru/events/president/news/66181

15      Vladimir Putin, Plenary session of the World Russian People’s Council,http://www.en.kremlin.ru/events/president/news/72863

16      Il discorso di Molotov è in Soviet documents on foreign policy, vol. III: 1933-1941, a cura di Jane Degras, Oxford University Press, Londra 1953, pp. 388-400. Vjačeslav Michajlovič Molotov (1890-1986) era allora Presidente del Consiglio dei commissari del popolo, il governo dell'Urss, e commissario agli Affari esteri. Si veda anche Michele Nobile, «Il discorso di Molotov del 31 Ottobre 1939 che e proclama la volontà di pace di Hitler», 26 dicembre 2016, http://utopiarossa.blogspot

17      Vladimir Putin, Plenary session of the World Russian People’s Council,http://www.en.kremlin.ru/events/president/news/72863

18      Signing of treaties on accession of Donetsk and Lugansk people’s republics and Zaporozhye and Kherson regions to Russia, 30 settembre 2022, http://en.kremlin.ru/events/president/news/69465.  

19      Dal discorso di Putin in occasione dell’annessione degli oblast ucraini, 30 settembre 2022, kremlin.ru. Il testo in russo della citazione: «Подчеркнучто одна из причин многовековой русофобиинескрываемой злобы этихзападных элит в отношении России как раз и состоит в томчто мы не дали себя обобрать в периодколониальных захватовзаставили европейцев вести торговлю к взаимной выгоде».

20      Results of the Year with Vladimir Putin, 14 dicembre 2023, http://en.kremlin.ru/events/president/news/72994#.

 

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.