di Roberto Savio
Negli ultimi anni, una delle grandi mobilizzazioni popolari in vari Paesi del mondo, è stata protagonizzata dalle donne, che hanno sfilato in milioni per le strade chiedendo che si rispettassero i loro diritti e la loro dignità. Andiamo a vedere cifre e dati, per avere una visione obbiettiva del fenomeno. E poi, alla fine, svilupperemo delle considerazioni.
Secondo l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (Nazioni Unite), nel mondo le donne hanno il 20% in meno di possibilità di entrare nel mondo del lavoro e si ritrovano spesso ai livelli più bassi della scala economica. Se prendiamo le 500 maggiori società del mondo, le donne che ricoprono la carica di Amministratore Delegato sono 32. Ancora oggi il salario delle donne è inferiore di circa il 20% a quello degli uomini, a parità di lavoro. Sono più esposte alla violenza e alle molestie sul lavoro. Da qui le marce per protestare contro la violenza fisica (ogni anno si contano nel mondo 16.500 donne uccise, di cui una terza parte violentate). Ogni giorno donne famose denunciano le violenze che hanno subìto, ed è chiaro che le donne, come dice il rapporto della OIL, “sono sempre più arrabbiate”.
Le donne rappresentano il 52% della umanità. Ha senso che la loro partecipazione non sia piena, per una società efficiente e giusta? Specie se, come abbiamo visto, è un fenomeno mondiale e che tocca i Paesi cosiddetti “avanzati” come quelli in “via di sviluppo”. Prendiamo il più grande e sviluppato Paese europeo, la Germania. Ha fatto scalpore che il marito della ministra degli Affari Esteri, Annalena Baerbok, si sia dimesso da un incarico importante nelle Poste, per dedicarsi completamente alle cure delle due figlie e della casa, per lasciare la moglie libera nel suo lavoro, che fra l’altro la porterà a fare molti viaggi. Eppure, i pregiudizi contro le “Rabenmütter”, le “madri corvo”, che abbandonano i figli per fare carriera, pesano ancora molto in Germania, e molte donne sacrificano il lavoro per stare dietro ai bambini. Uno studio statale mostra che il 69% delle madri con figli sotto i tre anni non lavora, ma che solo il 27% di loro lo ha scelto. E che dieci anni dopo la nascita del primo figlio, guadagna in media il 61% in meno di quanto guadagnava prima del parto, perché molte riducono l’orario di lavoro. E che il 66% delle donne occupate con almeno un figlio sotto i 18 anni, lavorano a tempo parziale, contro l’8% dei padri.
Negli Stati Uniti i dati sono ancora peggiori, mentre migliorano nei Paesi Nordici, dove per legge le donne sono presenti nei posti importanti del governo e dell'industria. Ma il commento generale è che questo è possibile, perché si tratta di Paesi di pochi milioni di abitanti... E in Italia?
L’ ISTAT ci dice che il tasso di occupazione femminile è nettamente inferiore a quello maschile: nel 2020 risultavano occupate solo 40 donne su 100, contro una percentuale dell’87% degli uomini. Nel Mezzogiorno la situazione peggiora ancora con l’occupazione delle donne che arriva al 30%. Tra le principali cause va citata l'indisponibilità per motivi famigliari, motivazione quasi inesistente per la popolazione maschile. E il 18% delle donne dichiara di aver lasciato il lavoro per la nascita del primo figlio: ma quasi il 10% sono state licenziate o messe in condizione di lasciare il lavoro, perché in gravidanza.
Le statistiche europee ci dicono anche che le donne italiane sopportano i carichi famigliari molto più che nel resto dell’Europa. Gli uomini italiani sono i meno attivi del continente nel lavoro famigliare, dedicando a tali attività appena 1h 35 minuti della propria giornata. E il 76,2% del lavoro famigliare della coppia è ancora a carico della donna. Ed è ovvio che se si somma il tempo di lavoro retribuito a quello domestico, la donna italiana lavora più dell’uomo: realtà difficile da assimilare per molti!
La diseguaglianza si vede anche nelle retribuzioni, soprattutto nel settore privato. Se, ad esempio, nel 2004 il reddito complessivamente percepito dagli uomini era superiore del 7% a quello percepito dalle donne, nel 2010 il divario era arrivato al 20%. Questo perché l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro si concentra su lavori a più bassa retribuzione.
Nell’amministrazione pubblica, a parità di funzioni, gli stipendi sono eguali. E le donne sono un po’ più della metà del totale, grazie al ruolo che giocano nella scuola, soprattutto di base. Ma di nuovo, se andiamo ai ruoli superiori, ogni 100 direttori generali si contano solo 11 donne
Passiamo alle considerazioni. Oggi le italiane sono più istruite degli uomini con il 57% delle lauree e il 63 delle licenze nelle scuole superiori. Di conseguenza cresce il loro sentimento di ingiustizia e negli ultimi decenni sono fiorite numerose correnti di pensiero femminista, che si sono collegate ai movimenti per una diversa identità sessuale, lesbiche, gay, transessuali.
Queste correnti femministe variano anche in funzione dei Paesi, con differenze culturali e sociali importanti. Ma esiste consenso che viviamo in una società patriarcale, basata cioè sul ruolo dell’uomo come dotato di privilegi che vengono dalla storia (il Pater familiae romano, che aveva diritto di vita e di morte sui suoi famigliari), ma che oggi non hanno alcun senso in una società moderna, nella quale tutti gli individui debbono godere degli stessi diritti ed essere soggetti agli stessi doveri. Lo sviluppo tecnologico ha eliminato la superiorità fisica dell’uomo come elemento di vantaggio, anche se le donne continuano a indirizzarsi verso i lavori meno onerosi, evitando i turni notturni ove possibile, anche se ormai sono presenti in tutti i settori dell'attività produttiva.
Una seconda considerazione è che le donne sono più longeve degli uomini. Oggi mediamente vivono 5,6 anni più degli uomini. Questo distacco è destinato a durare, perché è fisiologico. In un altro capitolo parliamo dell’invecchiamento della società, e della riduzione del numero dei giovani. E quindi dei votanti giovani. Quali saranno le scelte di una società di anziani, in cui le votanti avranno più peso dei votanti? Non verrà forse il momento in cui le donne, grazie alla demografia, potranno dirigere le scelte della politica? Ed è saggio che, come dice la OIL, ci arrivino “arrabbiate”?
Una terza considerazione è che esiste una diffusa opinione (un pregiudizio?) che vede le donne come meno capaci nel campo delle scienze e della matematica. Bill Gates, dall’alto del suo Impero informatico, si è fatto eco di vecchie teorie, secondo le quali le donne hanno meno attitudine scientifica dell’uomo, osservando che il mondo dei programmatori è fatto tutto di uomini. Ma le cose stanno cambiando rapidamente. Ad esempio, nella scuola di Ingegneria di Trento, fino a cinque anni fa gli iscritti erano tutti uomini. Oggi le donne sono il 20% e con votazioni sopra la media. Forse è ora di abbandonare questo luogo comune, che si è trasformato in un handicap per le donne, che vedono come una carriera nei campi scientifici venga resa difficile da questo pregiudizio.
Molte altre considerazioni sono possibili. Ma una è fondamentale: il patriarcato è parte delle vecchie generazioni o si sta trasmettendo alle nuove generazioni?
La gran parte degli studi su questo tema sono unanimi. Rare sono le persone oggi che teorizzano la superiorità dell’uomo sulla donna, e tendono ad essere soprattutto persone anziane. Ma la cultura del patriarcato viene da molto lontano e spesso uomini (ma anche donne), la subiscono senza darsene conto. Vi sono vari esempi di questo fenomeno. Ad esempio, tutti i test farmacologici sono fatti soprattutto su uomini, bianchi, e non sono realmente rappresentativi per le donne e per i neri: ecco un esempio di come la cultura patriarcale e il razzismo rientrano dalla finestra.
Un buon esempio è quello della pornografia. Oggi è il secondo campo di consultazione in Internet. E la pornografia riprende i cliché tradizionali della donna oggetto e dell’uomo invece soggetto attivo, educando inconsciamente alla cultura del patriarcato chi la guarda. Ha fatto grande scalpore l'intervista di una famosa cantante americana, Billie Eilish, che ha confessato ai avere grandi problemi nei rapporti sessuali, perché condizionata dalla cultura della pornografia, che aveva cominciato a vedere a 11 anni. Ed è contradittorio vedere ragazze che mandano foto sexy di se stesse ai compagni, quando stanno studiando per una propria carriera nella vita...
Qual è la conclusione su questo capitolo della diseguaglianza femminile? Che non si tratta in realtà di un problema della donna, ma di tutta la società e che si risolverà solo quando l’uomo prenderà coscienza della superiorità di una società integrata e paritaria, su una sbilenca e che esprime solo una parte di se stessa. Ma su questo è importante che la donna giochi il suo ruolo, cosciente e maturo, perché la cultura patriarcale ha spesso derive incoscienti. Una società che non si basi sulla giustizia, su eguali opportunità e riconoscimenti, non sarà mai esente da tensioni e da scontri. Sarebbe assurdo che nascesse adesso una guerra dei sessi....