Da Dotremont allo scioglimento
Per questa mostra su CoBrA ci possiamo risparmiare l'immancabile frase benaugurale, e cioè che l'iniziativa romana è venuta a colmare una grave lacuna ecc. ecc. (come, però, è stato detto da alcuni), giacché a fine 2010/inizio 2011 un'istituzione prestigiosa come la GNAM di Roma aveva organizzato una mostra su analogo tema, intitolata per l'appunto CoBrA e l'Italia - avvalendosi tra l'altro del contributo di importanti istituzioni belghe. Che poi il movimento sia pressoché sconosciuto in Italia, è un dato di fatto: ma l'asserzione non vale solo per CoBrA e varrà ancora per chissà quanto tempo.
Della mostra attuale, invece, è giusto dire che è ammirevole per la quantità e la rappresentatività dei quadri posti in visione, per la sistemazione del percorso espositivo, per la qualità del Catalogo. Questo, a sua volta, si distingue per la fedeltà cromatica nelle riproduzioni dei quadri, i materiali di corredo (biografie, cronologia delle esposizioni, bibliografia) e alcuni testi introduttivi abbastanza lineari, quindi comprensibili e meritoriamente utili per un approccio non solo divulgativo, ma anche di approfondimento riguardo alla traiettoria del movimento.
Da notare in particolare l'introduzione storico-geografica di Francesco Poli («La grande avventura di CoBrA», pp. 19-41), che prende avvio dal carattere realmente e geneticamente internazionale del movimento, ricordando quanto tale aspetto fosse considerato essenziale e prevalente dal suo fondatore, il poeta e pittore belga Christian Dotremont (1922-1979).
Questi, formatosi nell'Accademia di Louvain, aveva già creato in Belgio, nel 1947, il gruppo Surréalisme révolutionnaire, avendo alle spalle (al momento della fondazione di CoBrA, nel 1948) testi letterari, poetici e saggistici, oltre a uno spiccato interesse per le scritture ideografiche orientali. Esempi di questa insolita passione artistica sono presenti nella mostra (e nel Catalogo, pp. 206-10, ma anche p. 213 in coppia con Pierre Alechinsky) con una serie di chine su carta montata su tela e costituiscono un'autentica sorpresa per il lettore/visitatore.
Alla figura poliedrica e affascinante di Dotremont dedicò anni fa uno studio ampio e dettagliato Giovanni Buzi (1961-2010), pittore e scrittore nativo di Vignanello (sui monti Cimini nel Viterbese), attivo in Belgio e morto prematuramente. Nella sua Tesi di laurea inedita (Gruppo Cobra: 1948-1951, La Sapienza, Roma 1991) egli dimostrava la «stretta connessione» tra le idee del Surrealismo rivoluzionario (rifiutate da Breton) e i fondamenti teorici della Critique de la vie quotidienne, elaborati da Henri Lefebvre nel suo celebre testo apparso in primo volume nel 1947.
Il confronto con Lefebvre è ripreso da Poli (p. 27), che accenna all'esistenza di «un retroterra marxista e libertario» (p. 18) anche in CoBrA, e che a sua volta ricostruisce i termini della rottura da parte dei fondatori col surrealismo bretoniano
«da cui sono inizialmente influenzati per ciò che riguarda vari aspetti come l'automatismo, il fascino per la dimensione irrazionale inconscia, l'interesse per la creatività primitiva, infantile e degli alienati. Questi aspetti vengono rielaborati in una inedita chiave di sperimentazione spontanea e materialista, e in stretta connessione con la dimensione dell'immaginario collettivo popolare» (p. 21).
È importante sottolineare questo processo di rottura/continuità col principale (certamente il più celebre e prolifico) movimento artistico d'avanguardia tra le due Guerre. A nostro avviso, infatti, da parte di CoBrA non vi fu invenzione radicale, bensì rielaborazione originale (se non vera e propria esasperazione) di contenuti che avevano intessuto l'esperienza del movimento surrealista. Contenuti che, a loro volta e in larga misura, provenivano per esclusione e/o superamento - almeno in àmbito delle arti figurative - da quanto in quegli anni andavano producendo in Europa i principali esponenti delle avanguardie artistiche e pittoriche. Poli ricorda giustamente i nomi di Kandinskij (quando era ancora espressionista e affascinato dall'arte popolare russa), Miró, Klee, Dubuffet, Munch, Ensor e Nolde. Ma non avrebbe sbagliato ad aggiungere Schiele.
Spontaneità, rifiuto di norme stilistiche, «sfogo espressivo delle pulsioni del desiderio, enfatizzazione anarchica delle energie dell'immaginario» (p. 21), immediatezza della creatività (popolare, infantile o demenziale), ricorso al grottesco, «esplosive accensioni cromatiche e figurazioni provocatorie», bestiari mitici o fantastici (a partire dal nome stesso del movimento, che evoca un rettile e che in forma di serpente o di spirale compare in vari quadri quasi come un logo) - sono alcuni dei tratti distintivi che accomunano i vari artisti e consentono di ricondurli a un principio ispiratore comune e originario.
Poli ricostruisce la rete di gruppi o singoli artisti precorritori di CoBrA e lo fa dettagliatamente per ciascuno dei tre Paesi «fondatori» (Danimarca, Belgio e Olanda, ma avrebbe potuto aggiungere Francia, Svezia, Germania, Gran Bretagna e tutto sommato anche gli Stati Uniti), dopo aver ripercorso i primi passi del movimento: dalla fondazione l'8 novembre 1948 a Parigi - presenti Dotremont e Jorn, il belga Joseph Noiret (1927-2012), gli olandesi Karel Appel (1921-2006), Corneille (1922-2010) e Constant Nieuwenhuys (1920-2005 - quest'ultimo destinato a svolgere un ruolo importante e contrastato nell'Internazionale situazionista) - alla «Prima esposizione internazionale d'Arte sperimentale» nello Stedelijk Museum di Amsterdam (nov. 1949), con la «Seconda esposizione internazionale d'Arte sperimentale» nel Palais des Beaux-Arts di Liegi (ott.-nov. 1951), fino al prematuro scioglimento nel corso dello stesso anno.
Questa brusca conclusione fu determinata, oltre che da ragioni economiche e organizzative, anche dal ricovero di Dotremont e Jorn nello stesso sanatorio danese di Silkeborg (sede attuale di un Museo Jorn), entrambi per tubercolosi. Ma l'autoscioglimento più o meno formale segna anche l'inizio della diffusione del movimento in altri paesi europei e negli Usa.
Tema che viene affrontato da Hilde de Bruijin, in «CoBrA e il mondo contemporaneo» (pp. 65-79), con entusiasmo un po' eccessivo e spirito un po' troppo «militante». Resta tuttavia da accogliere il suo invito finale - che a sua volta lei riprende da Jelena Stojanović (nell'antologia curata da B. Stimson-G. Sholette, Collectivism after modernism: the art of social imagination, Minneapolis 2007) - ad assumersi
«un compito immenso e utopico: quello di re-immaginare una soggettività collettiva, cioè di ridefinire la nozione stessa di utopia nell'era della guerra fredda, un periodo in cui la "colonizzazione del quotidiano" era diventata per la prima volta un fenomeno onnipervasivo» (p. 77).
La ricostruzione storico-cronologica di Poli, già ricordata, ripercorre anche le tappe attraverso le quali prese forma la produzione della rivista del gruppo, denominata ovviamente Cobra e diretta da Dotremont - la dizione completa essendo Organe du front international des artistes expérimentaux d'avant-garde. Aggiungiamo noi che l'affiancarono il bollettino Petit Cobra (4 nn.), e una specie di fogli volanti, Tout petit Cobra (14 nn.). Il primo fascicolo è del marzo 1949, il decimo e ultimo è del settembre 1951. (L'intera collezione è stata edita in fac-simile dalle Éditions Jean-Michel Place, Paris 1980, 350 pp.).
Nella rivista viene descritta la vicenda che portò alla realizzazione dell'unico film sperimentale prodotto da CoBrA (estate 1950): Perséphone, regia di Luc Zangrie (pseudonimo di Luc de Heusch, 1927-2012), con versi di Jean Raine (1927-1986), letti da Jacques Jeannet, attore di futuro successo.
La poesia
Nel Catalogo il compito più ingrato è assolto da Jean-Clarence Lambert, che affronta il tema di «CoBrA e la poesia» (pp. 51-63) col proposito di stabilire una connessione tra l'espressione figurativa dello spirito CoBrA e il relativo mondo di ispirazione poetica. Tentativo destinato a fallire perché tale connessione, a nostro avviso, è priva di fondamento.
Ciò che di originale e creativo si può ritrovare nella poesia di Dotremont e degli altri artisti del gruppo - come i belgi Jean Raine, Joseph Noiret, Marcel Havrenne (1912-1957) - risale bene o male all'esperienza surrealista bretoniana: un dato di fatto che viene riconosciuto molto onestamente anche da Lambert. Tra le righe questi deve ammettere che non esiste una specifica forma di espressività poetica riconducibile a caratteristiche particolari di CoBrA o a un suo patrimonio genetico di creatività letteraria. Esiste invece una separazione - forse addirittura voluta in termini di visione estetica - che in parte è teorizzata o è ricavabile implicitamente da Dotremont, con la sua teoria dell'«interspecialismo». Questo concetto un po' nebuloso si risolve in pratica in un «antispecialismo» teorico, ma non sembra aver influenzato sensibilmente la pratica della loro produzione artistica: a fronte di una meritoria unità di intenti, una separatezza di realizzazioni.
Va anche tenuto conto del fatto che, a parte Dotremont e gli altri belgi citati, i principali poeti del gruppo furono danesi (Jens August Schade /1903-1978, Jørgen Nash /1920-2004, Carl-Henning Pedersen /1913-2007, Uffe Harder /1930-2002) e olandesi (i giovani detti «Vijftigers», Gerrit Kouwenaar /1923-2014, Lucebert /1924-1994, Bert Schierbeek /1918-1996, Jan Elburg /1919-1992). Per evidenti ragioni linguistiche le loro opere hanno avuto scarse possibilità di circolare fuori dai rispettivi Paesi e di essere apprezzate nella loro stesura originaria.
Interessanti infine, raccontati da Peter Femfert, i «Ricordi dei miei incontri con alcuni artisti del gruppo CoBrA» (pp. 95-105), tra i quali annovera: Corneille (a Macerata), Lucebert, Karel Appel (tra Firenze e Siena) e Carl-Henning Pedersen, il belga Pierre Alechinsky (1927), il tedesco Karl Otto Götz, ormai ultracentenario (1914).
L'itinerario artistico di quest'ultimo è ricostruito da Rissa, nel saggio «K.O. Götz, CoBrA e l'informale» (pp. 81-93).
I quadri
Una valutazione estetica e critica dei quadri esposti non rientra tra i propositi di questa presentazione. Ma un accenno è doveroso, con l'ovvia premessa che il giudizio di chi scrive non è necessariamente da condividere trattandosi di un fatto individuale, cioè il prodotto di un percorso di studi, affinamento del gusto e pratica pittorica per l'appunto «individuali».
I quadri più significativi a noi sono sembrati Giant Robber (olio su tela di Lucebert, 1962), in cui si realizza un equilibrio (dinamico e non necessariamente voluto) tra una sapiente tavolozza cromatica e l'armonica scomposizione della forma ivi raffigurata (nonostante e forse proprio per la sua ambiguità tra l'umano e l'animalesco), e, sempre del 1962, Blå Univers II (olio su compensato della danese Else Alfelt, 1910-1974), che dimostra notevole padronanza del tonalismo monocromatico (celeste/azzurro), in un quadro serenamente informale, cioè senza forzature ideologiche o intenti di épater le bourgeois - come invece affiora ingenuamente da molti dei quadri esposti.
Volendo capovolgere la graduatoria, potremmo dire che i quadri meno significativi, peggio concepiti, malamente realizzati e francamente impresentabili sono quelli di Constant (tutti e nove, ma in particolare Concentratiekamp, 1950, e De Stier, 1952). Non siamo in grado di stabilire quanto vi sia di voluto (appunto per l'ingenua motivazione soggiacente di «scandalizzare il borghese») e quanto sia dovuto realmente a insufficienze tecniche, cioè a una mancata formazione dell'autore in campo pittorico, per non parlare di una vera e propria scarsa familiarità con i pennelli… Nella scheda biografica si legge che «dopo la fine di CoBrA, per una decina di anni abbandona la pittura e si dedica all'architettura, progettando la costruzione di una città utopistica» (p. 265) - a conferma del fatto che Constant con la pittura ebbe ben poco a che vedere, checché ne dicano i critici di comodo o simpatetici. Ricordiamo, comunque, che il suo impegno in campo architettonico si svolgerà in àmbito situazionistico, dove però il teorico vero dell'urbanismo antireificante (antispettacolare) sarà l'ungherese Attila Kotányi.
Dare un giudizio su altri lavori presenti nella mostra è difficile, perché in alcuni casi occorre compiere un grande sforzo mentale (forzatamente ideologico) per cogliere l'essenza della raffigurazione e l'intento dell'autore. E questo perché la materia pittorica non sempre riesce a trasmettere l'eventuale contenuto. Spesso si avverte che la forte volontà (a volte vera e propria rabbia) di trasmettere un messaggio dissacratore prevarica i limiti materici della tela, dei colori e delle forme (soffocandole).
Del resto non mancano le «croste», cioè quadri in cui è assente una qualsiasi dimensione compositiva, e le pennellate date a caso, sporcando i colori (come si dice in gergo) - forse allo scopo di mortificare il piacere dell'occhio - sembrano esprimere una voglia di estraniazione visiva da parte dell'autore.
Con altri si ha l'impressione che l'incapacità dell'autore nell'esprimere le proprie idee attraverso il tratto grafico o soluzioni cromatiche si riversi nell'adozione di titoli strampalati (ancora una volta per épater le bourgeois), nel tentativo di far dire alle parole ciò non si è riusciti a rappresentare con la pittura. Un procedimento molto ingenuo, che non nasce con CoBrA, che accomuna da decenni tanta spazzatura pittorica contrabbandata per «avanguardia», «informale» ecc. e che fa leva sulla complicità di critici d'arte compiacenti o timorosi di non apparire sufficientemente à la page.
In pratica, stiamo dicendo che tra le buone intenzioni eversive del movimento CoBrA - che avrebbero dovuto lastricare la strada verso un totale rinnovamento dell'arte, dell'individuo, della collettività e del sistema - e la loro realizzazione pratica in forma di manufatti pittorici esiste uno iato, una fessura profonda e insanabile: e che comunque non fu sanata.
L'autore che realizza la propria rivoluzione estetica a spese di chi osserva - e sembra dire a costui che è uno sciocco a credere che si possano ancora esprimere delle emozioni con la tela, i pennelli e i colori - è convinto probabilmente di realizzare il sogno ultimo di molte avanguardie del Novecento: il superamento dell'arte attraverso il suo dissolvimento materico. Ma in realtà sta solo dando nuova veste all'impotenza congenita dell'individuo (compreso il grande artista) di fronte agli «eterni» e angosciosi interrogativi dell'umanità, sulle ragioni dell'esistenza, la morte, l'amore, la solitudine, l'io più profondo…
«Se rappresento la morte della pittura è perché tu rappresenti la morte della società borghese» - sembrerebbe l'intimazione ultima di CoBrA, inavvertito serpente che si mangia la coda e che sembra appagato del proprio rinchiudersi a spirale.
1 Qui vale la pena solo di ricordare che in tempi recenti una ripresa di tematiche postsituazionistiche ha visto la convocazione di un primo non-convegno - Punto della Situazione n. 1 - proprio in Liguria, a Sesta Godano (La Spezia) nel settembre 2014, con proseguimento in un secondo non-convegno tenutosi nella storica Galleria Peccolo di Livorno (Punto della Situazione n. 2, nel luglio 2015).