La macchina/cinema quando non lusinga è un delitto d’indiscrezione... dissotterra vergogne secolari, denuncia deliri, arroganze, teologie della conservazione e aderisce alla distruzione dei dogmi mercantili sui quali si fonda fin dalla nascita... infrange l’ottimismo degli agonizzanti e invalida tutti i lieto fine nell’arte del ribaltamento di prospettiva di un mondo rovesciato. Bisogna esser fuori dalla vita vera come un angelo o come un idiota per credere che un film come Quando c’era Berlinguer possa portare un’oncia di bellezza o di giustizia là dove la politica PCI ha predicato la rassegnazione e il servaggio, e ha cancellato dall’immaginario della meglio gioventù, l’innocenza del divenire.
Dopo l’assassinio
di Allende in Cile (con l’orchestrazione militare della CIA), Berlinguer
propone alla DC il “compromesso storico”... Andreotti presiede il governo di
unità nazionale (monocolore DC)... le BR rapiscono Aldo Moro (in un bagno di
sangue) e poi viene ucciso. I servizi segreti (deviati?) sono coinvolti in una
vicenda tutta ancora da svelare (ma Veltroni non lo dice). Con la morte di Moro
termina la politica del “compromesso storico”. Il corpo di Moro è lasciato
nella Renault rossa in via Caetani, a due passi dalle Botteghe Oscure, sede
storica del PCI. Berlinguer cambia politica. Sbanda verso i socialisti di
Bettino Craxi. Al congresso del PSI lo investono di fischi e Craxi li approva
aggrappato al microfono. La direzione del PCI mette in minoranza la scelta
politica del segretario... in attesa dei risultati elettorali Berlinguer
intensifica i comizi... a Padova ha un malore, le parole gli escono confuse, lo
portano in albergo ed entra in coma, muore quattro giorni dopo, a 62 anni.
L’addio commosso di centinaia di migliaia di persone a Berlinguer avviene in
piazza San Giovanni, a Roma, correva l’anno 1984. L’Unità riesce persino a fare una buona prima pagina, con
Berlinguer che indossa una giacca incerata bianca da marinaio e scrive ADDIO
stampato in rosso. La frase di Natalia Ginzburg è di rito: “Ognuno ha avuto con
Berlinguer un suo rapporto personale anche se l’ha visto una sola volta”. È
l’inizio della fine del PCI.
Quando c’era Berlinguer è un documentario agiografico mal fatto... il
montaggio di Gabriele Gallo, che in un film come questo doveva essere sovrano,
è di derivazione televisiva, scorcia dove non deve e allunga le ripetizioni
audiovisuali che andavano snellite... le musiche di Danilo Rea sono smielate
addosso a sequenze che sfociano nel patetico, la canzone di Gino Paoli è
piuttosto manierata e non raggiunge l’obiettivo del sentimentalismo da
telegiornale... le inquadrature di Veltroni (non solo degli intervistati ma
anche le scenette costruite a corredo del film) sono poco più che amatoriali e
si vede che il regista è pronto a passare alla realizzazione di una soap-opera per i mercati-tv e i corsi di genuflessione
sindacale... al tempo in cui gli operai invece di occupare le fabbriche dalle
quali sono espulsi in massa, richiedono la benedizione del Papa, un film come
questo bene si attesta alla politica di monopolio che mortifica l’uso pubblico
della ragione. Da dimenticare.


