ai miei amici
(scritta in Congo in una notte senza luna, la luce di
candela,
con un topino
che danzava sulla zanzariera e un ragno curioso
che entrava in
una scarpa per tessere una tela d’immaginaria bellezza).
“Fotografa
come un poeta maledetto e morirai perseguitato come un bandito di strada,
copia
o fai della fotografia il bordello senza muri della civiltà consumerista e
vivrai felice come un idiota”.
(Dal
taccuino di un fotografo di strada).
È la fotografia
bellezza, e nessuno non ci può fare niente!
Ho
visto ancora un pezzo d’Africa, una parte del Congo, quella più in fiamme...
avevo viaggiato (sovente con la dolcezza nobiliare di Paola che tracciava rotte
degne dell’apostolo dei Gentili, Paolo di Tarso) in Egitto, Tunisia, Sharawi,
Kenya, Etiopia, Uganda, Burkina Faso, Algeria, Palestina, Israele... ovunque ho
trovato popoli assoggettati dall’impiego della forza, dell’astuzia, della forca
(mezzi abituali delle economie criminali, delle multinazionali, dei governi
occidentali e dei regimi comunisti)... dappertutto ho conosciuto uomini
asserviti, schiavizzati, umiliati e non ho mai compreso bene perché il
monopolio della costrizione (il potere politico e del mercimonio globale) continua
a tiranneggiare sull’intera umanità, impunemente. L’uomo è nato libero eppure
ovunque è in catene, diceva. Tuttavia fuochi di resistenza sociale nascono
dappertutto e incrinano la legittimità del dominio. In molti si legano all’idea
libertaria di non volere comandare né essere comandati. Il dolce gusto della
giustizia planetaria passa da qui. La possibilità di essere liberi significa
pensare in libertà.
Così
sono andato in Congo... a sostenere (per quanto posso, con le mie fotocamere) i
progetti di un amico prete (congolese) e un’associazione in difesa dei bambini
(tutta gente perbene)... dalle parti del lago Kivu... la zona infestata dai
“ribelli” rwuandesi e ugandesi (bande armate, mercenari, banditi inclini al saccheggio
e al tiro a segno su quanti circolano da quelle parti, anche se vanno a caccia
di farfalle)... i militari della Repubblica Democratica del Congo che sorvegliano
quei confini non scherzano... in pochi giorni mi hanno arrestato tre volte... e
questo è disagevole per un fotografo di strada che non prende paesaggi, cartoline
illustrate della miseria locale o il
“negretto” che usa il telefonino e ride con le labbra bagnate dal latte in
polvere di una multinazionale diffuse su ridicoli cartelloni pubblicitari... la
galera mi fa male, non la sopporto... ho
bisogno del mio bagno, dei miei libri, di vedere un certo cinema (magari
muto) mentre fumo la pipa con il tabacco alla vaniglia... in galera dovrebbero
metterci quelli che stanno al governo, senza distinzione... le gerarchie
ecclesiastiche... i mercanti di armi... i responsabili della Banca
mondiale, del Debito estero, dell’Onu,
della Croce Rossa, i criminali della finanza globale... non i fotografi in
Utopia che hanno solo l’ardire di lavorare dalla parte degli esclusi, dei
violentati, degli offesi... e cos’è l’Utopia? Nient’altro che camminare in
avanti senza mai raggiungere l’orizzonte del sogno... questa è l’Utopia.
Camminare insieme agli ultimi, a chi non ha voce né volto e accogliere il
diverso da sé, fare della fraternità e dell’uguaglianza un ponte verso una società
di liberi e di uguali.
I
militari congolesi non volevano comprendere perché ero lì a fare un “atlante di
geografia umana”... eppure cercavo di spiegarmi alla meno peggio in italiano
(quel poco che conosco) e loro mi rispondevano in swahili, francese, inglese...
mi chiedevo, ma come è possibile che siano così ignoranti, conoscono solo tre
lingue e non comprendano il dialetto toscano (che tanto fa ridere al mio paese)...
così la prima volta che mi hanno fermato si è risolta con il pagamento di
quattro euro (donati dal mio risoluto accompagnatore, misterioso, dignitoso e
incisivo quanto il capo tribù di un film che non ho mai dimenticato, Le nevi
del Kilimangiaro, tratto dal racconto omonimo di
Ernest Hemingway, diretto da Henry King nel 1952) in
cambio di fotografare la “spiaggia pubblica”. Lì donne e bambini ridevano
ancora, e i giovani pescatori mi lasciavano riprendere i loro volti affogati in
reti blu, bianche e qualcuno mi ha offerto del pesce appena arrostito sul
carbone. Muzungu (bianco) mi ha detto e poi mi ha tirato in faccia un paio di pesci
affumicati... sono cose che non si fanno nemmeno nelle migliori famiglie
borghesi... mi ha sporcato anche la sola maglietta bianca (Lewis) che avevo
portato e quell’olio fritto mi è rimasto addosso per giorni (visto che non era
facile lavarsi senza acqua calda, quando c’era).
La
volta successiva mi hanno sequestrato in un villaggio che si chiama “Rubare”...
insieme al mio amico prete (che è di quelle parti) e ci hanno scortato in una
sorta di Hotel Rwanda (dodici militari armati fino ai denti, due con il bazooka,
e un capitano)... c’era da morir dal ridere se non dalla paura... però è intervenuto
san Bakunin o qualche altro santo, forse Giordano Bruno... comunque il maggiore
(un Watusso alto quanto un fusto di banane) era stato a scuola dal mio amico
prete che aveva insegnato in quel villaggio dimenticato da dio e dagli
uomini... come si sa i buoni allievi non dimenticano mai i bravi maestri e così
siamo stati a parlare per quasi sei ore (senza un filo di luce)... non capivo
niente di quanto dicevano il capitano, il maggiore, il colonnello e il prete
nero-nero (vedevo solo i loro denti bianchi-bianchi, davvero invidiabili)...
guardavo i ragazzi armati che ci circondavano e pensavo che sarebbe stato
davvero un peccato non poter più vedere un film di Buñuel, Vigo o Pasolini...
le stanze in basso erano transitate da ragazze e uomini in camice e occhiali
assurdi (Dolce& Gabbana, Armani, Gucci... tutta roba per sottoproletari con
l’inclinazione all’imitazione divistica dei calciatori o degli attori da
soap-opere mafiose hollywoodiane)... una scala di latta traballante ci ha
portati al piano superiore... lì era il quartier generale... si vedevano le
baracche, i maiali, le capre e i camion affollati di merci, uomini, donne e
bambini che andavano chissà dove)... ovunque c’erano soldati (nemmeno ventenni,
armati di ottimi fucili a ripetizione, con la faccia non proprio di lavoratori
che cantavano la Marsigliese)... abbiamo bevuto non so quante birre, infine li
ho fotografati tutti in pose napoleoniche... ci tenevano che si vedessero i
gradi in giallo... in fondo erano simpatici, nello loro smisurata imbecillità,
tuttavia non mi sentivo a mio agio, mi ricordavano certi nazisti che si
occupavano di “pulizie etniche”...
caricavano gli ebrei senza un filo di grazia sui treni per Auschwitz (che
arrivavano in perfetto orario) e facevano pagare a tutti (zingari, omosessuali,
sovversivi...) il biglietto di sola andata... alla fine della festa ci hanno
scortato nel villaggio del prete, Ntamugenga (Luogo senza capi)... hanno detto
al mio amico che l’intelligence locale era venuta a conoscenza di un agguato
lungo la strada (preparato da alcuni simpatici giovani del villaggio che avevo
anche fotografato) per prenderci i pochi soldi che avevamo e quel che era più
grave, derubarmi della mie fotocamere... ora, siamo d’accordo che fondare un
banca è un atto criminale quanto (e certo più) di rapinarla, come diceva
Bertold Brecht, ma sottrarre le fotocamere a un fotografo di strada è qualcosa
di inaccettabile... roba da andare direttamente all’inferno senza passare dal
tribunale sui crimini contro l’umanità.
L’ultimo
giorno è stato il più difficile... ho fatto una fotografia a delle lavandaie
sul lago Kivu... mi ricordavano certi quadri impressionisti... in un attimo mi
sono trovato circondato da rigidi poliziotti in borghese... poi una piccola
folla vociante mi si è fatta intorno... gridavano in francese, inglese,
swahili... cercavo rispondere in piombinese corsaro... capivo che non
conoscevano la lingua nemmeno qui... cosa imperdonabile nella società della
comunicazione globale (erano proprio degli ignoranti, mi dicevo)... allora ho
chiamato al telefono l’ambasciatore italiano a Torino (che in effetti era mio
figlio) e gli ho detto se spiegava loro che ero lì per una missione umanitaria
(che era vero)... il mio autista tremava come una foglia di fico... la mia
paura era celata bene, credo... mi sudavano anche i coglioni dal terrore, però
facevo finta di essere John Wayne quando sparava negli occhi agli indiani in Sentieri
selvaggi... i poliziotti chiedevano soldi, il passaporto e la fotocamera (ci
risiamo dico dentro di me, si vede proprio che ce l’hanno con la Nikon e i
giapponesi)... volevano che li seguissi in caserma... il capo-manipolo aveva urlato
(in un inglese da baronetto, alla Beatles, per intenderci) nel telefono a mio
figlio-ambasciatore (in effetti lavora come grafico in una grande azienda) che
mi mettevano in galera e dovevano venire a prendermi... porca miseria! Penso...
stai a vedere adesso che mi portano in una cella senza acqua né luce e mi danno
da mangiare qualche patata e un po’ di riso... il che è disdicevole per un
fotografo di “fame internazionale” come sono io (che lavora a un certo grado di
qualità, riconosciuta soprattutto nelle più malfamate osterie di porto, nei
lebbrosari o nei manicomi... e al mio gatto Piff poi chi ci pensa... e Myriam,
i miei nipotini, i duelli al computer
con Pier Paolo, gli spaghetti col peperoncino di Paola, i tramonti malinconici
in Piazza Bovio... il mio covo foderato di libri in via dei gatti in amore... i
miei amici in anarchia... insomma non è davvero possibile che possa passare non
so quanti giorni in una galera che nemmeno conosco (nella mia vita ho
frequentato solo persone che avevano visitato prigioni di mezzo mondo, per
crimini di diritto comune o fatti politici, ho quindi conosciuto soltanto
poveri, poeti e ribelli)... infine un poliziotto si è staccato per andare a
chiamare il camion dei militari dove dovevo salire... ho cominciato a bestemmiare (in toscano stretto) e quando ho visto
passare un ragazzo su una motocicletta... gli ho fatto cenno con gli occhi (che
sono una sorta di esperanto internazionale) e sono saltato in sella... ho
indicato al mio autista di montare sulla moto di un altro ragazzo (ho dovuto
urlare molte volte prima di vederlo salire, voleva aspettare i militari)... e
ho detto al ragazzo — “Caritas” —... in quel momento mi sono scoppiate le
emorroidi e ho cominciato a perdere sangue... ho chiesto “asilo politico” alla
Caritas... quando alla Caritas hanno visto che ero imbrattato di sangue sono
stati caritatevoli e mi hanno aperto le porte del paradiso... il mio autista (temendo
che i militari entrassero nella Caritas) ha cominciato a correre verso il lago
e si è nascosto sotto un cespuglio, poi è scivolato nell’acqua e gli ho
allungato una mano... tremavo dalla paura... ho acceso un sigaro alla vaniglia
in attesa che accadesse qualcosa... poi è venuto il mio amico prete e il
monsignore di Goma e abbiamo pranzato con il pesce del lago (però alcune
verdure mi hanno regalato la diarrea... due padri, non so a quale ordine
appartenessero, mi hanno dato un paio di pastiglie vaticane e ho retto, non
proprio bene, fino al ritorno a casa, avevo comunque in tasca le schede con quasi duemila immagini).
Quell’ultima notte in Congo, bagnato di sudore freddo, ho detto al solito
topino che veniva a giocare tra le mie cose: è
la fotografia bellezza, e nessuno non ci può fare niente!
Il
Congo è territorio di guerra, di saccheggio, di colonizzazione delle potenze
occidentali e dei regimi comunisti... a Goma (una delle principali città del Congo)
non ci sono strade asfaltate né fognature... non c’è illuminazione né rete
idrica... i profittatori, i conniventi, i trafficanti con i criminali governativi
(come in certi paesi dove la mafia siede in parlamento) si fanno case grandi e
belle in mezzo a baracche fatiscenti e tutto senza un minimo di urbanizzazione
accettabile... ci sono tre vulcani e l’ultima volta che uno ha eruttato è stato
nel 2002... molte vittime (naturalmente i poveri) sono ancora seppellite sotto
le pietre con le quali costruiscono le nuove dimore degli arricchiti... tra le
baracche c’è ancora la lava dell’‘800... quando piove, anche se per breve
tempo, tutta una fanghiglia nera compre la città... il traffico è intenso...
non ci sono però auto comuni... solo fuori strada, motociclette o piccoli
pullman... le buche sono profonde... la strada principale è colma di rifiuti,
massi, palazzi diroccati... i morsi della guerra degli anni ’90 sono sempre
evidenti... si respira l’odore di morte che è passato di lì e il genocidio dei
Tusti è nell’aria, sulla pelle e negli occhi dei vecchi... quando alzi la
fotocamera sui bambini, molti si buttano a terra come per ripararsi da un colpo
di fucile... le donne fuggono... i ragazzi offendono o si mostrano in pose derivate dalla società dello spettacolo
(che passa nelle immagini tremolanti dei televisori). La birra e una specie di
liquore ricavato dalle banane e mescolato con altro... sono responsabili di
molte ubriacature e violenze... decine e decine di soldati dell’Onu, Croce
rossa, Fao, comitati internazionali della povertà scarrozzano nel territorio in
camionette, camion, suv... proteggono un popolo che non si sa proteggere,
dicono... tuttavia appare chiaro che sono lì per approfittare della valanga di
soldi che piovono nei loro conti correnti... il solo bianco buono è quello
morto.
Le
donne e i bambini sono la vera speranza del Congo... testimoni di una bellezza
antica, deflorata, annichilita, bastonata, mai vinta però... c’è amore in
quella gente, ricerca del sé, dell’appartenenza a qualcosa che è stato e che
non è più... quando le donne africane
avranno tagliato il cazzo a tutti gli uomini, allora e solo allora
conquisteranno il diritto alla felicità...
e non ad essere comprate per qualche capra e destinate solamente al lavoro nei
campi, a portare l’acqua nelle capanne e alla riproduzione di figli... quando
gli africani prenderanno a calci in culo i bianchi e li butteranno nell’oceano,
allora e solo allora la libertà inciderà senza fine su un presente
interminabile fino agli ultimi passi dell’umanità. I colonizzatori si sono
accorti degli africani soltanto quando è stato sgozzato il primo bianco.
In
quella terra fertile, ricca di molte cose (il Coltan, ad esempio... che come
sappiamo è quasi solamente in Congo e permette la comunicazione delle nuove
tecnologie in tutto il mondo... o i diamanti, merce di scambio dei “signori
della guerra” per nuovi saccheggi del
continente africano), il potere politico impone un sistema di deprivazione e
carcera o uccide l’immaginario sociale... Fabrizio De Andrè aveva compreso
tutto quando cantava: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i
fiori”... la critica radicale del dominio dell’uomo sull’uomo è passata per le
armi... organizzare la vita collettiva diventa difficile... la sovranità del
popolo (ma in ogni parte della terra è la medesima cosa) è seppellita
nell’assassinio dei Lumumba africani e gli uomini (non solo africani) non
potranno conoscere la bellezza della democrazia partecipativa finché tutti i
beni non saranno messi in comune, finché non ci saranno né villani né nobili e
finché con le budella dell’ultimo massacratore non sarà impiccato l’ultimo
padrone. Il raggiungimento di una società di liberi e uguali è tutta qui. Sia
lode ora a uomini di fama.
Congo,
10 volte marzo 2012
Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com