Scritto nell’estate del 1973 e reso pubblico ad ottobre (poi ripubblicato nel volume Il centrismo sui generis, del 2006), questo testo fu elaborato da Antonella Marazzi nel quadro della polemica contro la direzione italiana della sezione italiana della Quarta internazionale che all’epoca rifiutava di impegnarsi nel movimento di liberazione delle donne per limiti di ingenuo operaismo. Il testo porta i segni del tempo trascorso, ma siamo felici di presentarlo alle nostre lettrici e ai nostri lettori nell’occasione di questo 8 marzo, come antidoto contro la ritualità che ormai caratterizza l’anniversario e come testimonianza storica del primo documento italiano in cui la “nuova” questione femminile veniva formulata in termini rivoluzionari (marxisti libertari). [la Redazione]
La forte ondata di radicalizzazione che ha investito dalla metà degli anni ‘60 molte delle società a capitalismo avanzato, ha avuto come suo non secondario prodotto la rinascita della «questione femminile». L’oppressione femminile, che gli stessi Marx ed Engels non esitarono a definire come la forma più antica, antecedente a ogni altra oppressione di classe, paradossalmente è stata anche l’ultima sulla quale ci sia stata una presa di coscienza da parte delle stesse donne che ne sono l’oggetto direttamente in causa. Lo stesso movimento delle suffragette che era l’espressione della prima presa di coscienza politica al livello di massa dell’oppressione femminile, non nasce che ai primi anni del secolo [del Novecento].
Ciò è dovuto essenzialmente alla natura composita di questa oppressione, che ha contenuti non solo economici, ma anche psicologici e più in generale culturali. D’altra parte, le donne oppresse nella loro totalità (anche se a volte con sfumature diverse) in quanto «sesso debole», non sono neppure definibili globalmente in termini di classe. Esse appartengono come «altro sesso» a tutte le classi esistenti e quindi sono più o meno oppresse e sfruttate nella misura in cui lo sono le classi di cui fanno parte.
Tuttavia, a queste forme fondamentali di sfruttamento e oppressione che dividono con il resto delle masse oppresse, si aggiunge per tutte l’oppressione data dal loro essere donne. Di tale oppressione è ovviamente possibile una presa di coscienza nella misura in cui essa si accompagna ad altre contraddizioni e situazioni di disagio. Per tale motivo le donne della borghesia possono prendere coscienza della propria condizione, molto più difficilmente delle piccolo-borghesi e delle lavoratrici. È necessario tenere costantemente presente tali specificità per poter comprendere a fondo il fenomeno della radicalizzazione delle donne espressasi nella maniera più compiuta con la formazione dei movimenti di liberazione femminile. Tali specificità sono in ultima analisi l’elemento che rende importante e necessaria la creazione di un movimento politico di massa che esprima la radicalizzazione femminile in termini esplicitamente anticapitalistici.
La sola presa di coscienza non è sufficiente a superare d’un balzo un modo di vivere, di pensare, di fatto tutta una tradizione culturale radicatasi nei millenni, che da sempre (o quasi) ha visto la donna in posizione «naturalmente» subordinata, dipendente. Lo stesso movimento operaio di ispirazione staliniana e socialdemocratica non è andato mai oltre le petizioni di principio. Tutti i paesi che hanno visto la realizzazione di una rivoluzione socialista non hanno assistito a un’automatica liberazione delle donne a tutti i livelli, da quello economico a quello sessuale, da quello ideologico a quello sociale. Lo sciovinismo maschile, che altro non è se non l’espressione della cultura borghese nei rapporti tra i sessi, tende a rimanere presente praticamente anche quando in teoria l’eguaglianza dei sessi è sancita ufficialmente.
Per tali motivi le lavoratrici e le donne radicalizzate hanno la necessità storica di gestire la propria lotta «autonomamente», rifiutando anche gli schemi semplicistici fatti propri dal movimento operaio tradizionale, tendenti a predicare l’inutilità di una simile autoconduzione attiva e militante delle donne, nell’ambito di una visione che considera la liberazione femminile automatica con l’avvento di una rivoluzione socialista. Il problema, come dimostrano le esperienze dirette, è più complesso e l’uso di una gestione autonoma favorirà non solo la crescita collettiva, ma evidenzierà più profondamente (nella misura in cui saranno le stesse donne a farlo) tutte le implicazioni di natura ideologica, economica, e politica presenti nell’oppressione femminile.
D’altra parte, le profonde contraddizioni cui sono soggette le donne in una società a capitalismo avanzato, in cui il loro ruolo subalterno e dipendente non si esprime in forme dirette come nelle società precapitalistiche e contadine - bensì è mediato e camuffato dalla «nuova posizione» che è ad esse affidata nel mondo del lavoro, dalla falsa emancipazione (in cui continueranno a essere ancora oggetto e non soggetto attivo) - non possono non favorire una profonda radicalizzazione.
Essa si esprime non solo con una presa di coscienza diretta della propria oppressione, ma soprattutto con l’individuazione della portata oggettivamente rivoluzionaria delle loro esigenze; queste infatti non investono solo l’ambito economico, ma tendono a scalzare le strutture stesse del sistema, nella misura in cui il movimento riesce a individuare i presupposti dell’oppressione nella famiglia, nell’autoritarismo, nell’ideologia della femminilità, nell’esistenza dei rapporti di sfruttamento, nel mito della concorrenza ecc.
Conseguenza immediata e insieme necessaria di questo processo di maturazione è la creazione di un movimento autonomo femminile che organizzi la massa delle donne radicalizzate, analizzi le cause della loro oppressione, conduca la lotta su obiettivi generalizzanti che investano l’insieme del movimento e lo facciano crescere in senso anticapitalistico.
Se può essere difficoltoso provocare un’ampia maturazione femminile sui temi politici più generali (difficoltà che trova la sua causa prima nella volontà del potere borghese di relegare le donne nel ghetto dell’indifferenza e della spoliticizzazione, per farne un importante fattore frenante per la maturazione politica delle masse) la molla principale potrà invece essere la consapevolezza dell’oppressione di cui le donne sono oggetto, non solo in quanto operaie o sottoproletarie o piccolo-borghesi insoddisfatte, ma in quanto donne, cioè in quanto individui di seconda categoria, relegati in ruoli subalterni indispensabili per l’equilibrio del sistema. Partendo da questa base esclusivamente «femminile», la maturazione potrà crescere e investire strati sociali diversi; sarà poi compito del movimento far crescere il livello di consapevolezza politica, individuare nel sistema le cause principali dell’oppressione, coordinare la lotta a fianco degli operai, degli studenti radicalizzati, delle minoranze oppresse ecc. In questo senso, compito principale dei rivoluzionari sarà quello di costruire un movimento politico di massa delle donne radicalizzate, che si inserisca nel più ampio fronte anticapitalistico e si ponga in una prospettiva rivoluzionaria di abbattimento del potere borghese.
Un elemento che accomuna tutte le organizzazioni per la liberazione della donna presenti nei vari paesi (Usa, Inghilterra, Olanda, Francia, Italia ecc.) è il tipo di composizione sociale del movimento che vede una forte presenza di strati piccolo-borghesi (intellettuali, professioniste, insegnanti, studentesse ecc.) cui fa riscontro una scarsa partecipazione delle donne operaie. È questo un elemento da tenere costantemente presente.
Da un lato, esprime tutte le difficoltà oggettive che inibiscono la maturazione su questa problematica soprattutto degli strati più oppressi; dall’altro, rivela un limite intrinseco del movimento di liberazione della donna nel suo complesso, il cui superamento a nostro avviso è condizione necessaria e inevitabile per una sua crescita complessiva dalla reale portata rivoluzionaria. Le donne operaie infatti, proprio per il loro ruolo di lavoratrici, che le vede inserite nel processo produttivo, costituiscono potenzialmente il settore più esplosivo di tutto il movimento. La loro oppressione femminile si aggiunge allo sfruttamento in fabbrica, acuito dalla posizione di inferiorità che continua a essere presente nel lavoro stesso.
Le donne [lavoratrici] sono sottopagate, relegate a lavori anch’essi di seconda categoria (è questo un elemento comune nel mondo del lavoro in generale), non hanno salari equivalenti a quelli degli operai, la loro presenza nei settori produttivi è considerata da sempre transitoria (il vero posto della donna è la famiglia di cui è l’angelo tutelare) e secondaria.
Marx ed Engels giustamente avevano rilevato l’enorme importanza che avrebbe avuto per l’emancipazione, l’entrata delle donne nel mondo del lavoro; ciò avrebbe non solo favorito l’uscita dal ghetto famigliare, il contatto con la realtà sociale esterna e quindi una sensibilizzazione ai problemi e ai contrasti sociali presenti, ma anche acuito al massimo le difficoltà e le contraddizioni insite nel loro ruolo di «eterne oppresse» ora non più solo in famiglia, ma esplicitamente in tutta la società. In questo senso il ruolo delle donne operaie nel processo di radicalizzazione è indispensabile. Non a caso Trotsky scriveva nel Programma di transizione:
«Tutte le organizzazioni opportuniste per loro stessa natura concentrano la loro attenzione principalmente sugli strati superiori della classe operaia e quindi ignorano sia i giovani sia le donne lavoratrici. Nella fase del suo declino il capitalismo sferra i colpi più duri alle donne, come operaie e come donne di casa. Le sezioni della Quarta internazionale devono ricercare l’appoggio degli strati più oppressi della classe operaia e quindi delle donne lavoratrici».
Il movimento deve trovare il momento unificante tra le donne della classe operaia e degli altri strati radicalizzati: la presenza delle donne operaie dev’essere massiccia nel movimento di liberazione delle donne. I compiti di tale movimento saranno in primo luogo quelli di potenziare la sindacalizzazione e la maturazione politica delle donne lavoratrici (in Italia, per esempio, i livelli di sindacalizzazione sono bassissimi e gli stessi sindacati nulla fanno per ovviare a questa situazione che favorisce ulteriormente l’uso, da parte dei padroni, delle donne come massa di riserva sottocosto da usare anche contro le stesse rivendicazioni della classe operaia nel suo complesso).
La mobilitazione dovrà vertere in primo luogo sulla parità di salario a parità di lavoro (che presuppone, ovviamente, anche l’esistenza di corsi professionali gratuiti, aperti alle donne lavoratrici e compresi nell’orario di lavoro), mettendo in risalto la dequalificazione femminile presente a tutti i livelli e battendosi per la sua eliminazione, tenendo presente il nesso esistente tra le due rivendicazioni.
Il compito di unificare su obiettivi generalizzanti tutte le donne radicalizzate, siano esse operaie, professioniste o casalinghe, potrà essere facilitato dal tipo di comune oppressione che esse soffrono nell’ambito della famiglia, dal punto di vista della limitazione della libertà individuale a tutti i livelli, da quella dell’uso del proprio corpo, a quella implicita nel loro ruolo di moglie-madre lavoratrice a tempo pieno, a completa disposizione della famiglia, costretta a lavori alienanti e ripetitivi non-retribuiti che essa deve fare necessariamente a prescindere dal suo stato di semplice «casalinga» o casalinga-lavoratrice.
Aborto libero e gratuito, anticoncezionali gratuiti distribuiti dallo Stato, libera propaganda per il controllo delle nascite, asili nido gratuiti e autogestiti e altri obiettivi che il movimento verrà scoprendo nel corso della sua lotta, possono essere parole d’ordine unificanti che contribuiscano non solo a una prima parziale liberazione, ma a una maturazione complessiva che riesca a individuare il nemico da abbattere, la necessità di portare avanti lo scontro di classe al fianco delle altre componenti del fronte anticapitalistico per l’attuazione della rivoluzione socialista, unico valido presupposto per la realizzazione di una vera completa liberazione della donna.