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mercoledì 7 aprile 2021

Il land grabbing delle terre palestinesi

di Andrea Vento

In ricordo dell'uccisione di 6 palestinesi cittadini israeliani avvenuta il 30 marzo 1976 mentre cercavano di impedire l'esproprio delle loro terre in Galilea, ogni anno i Palestinesi, sia dei Territori che all'interno di Israele, celebrano la Giornata della Terra, con manifestazioni e piantumazione di olivi. L'accaparramento delle terre palestinesi già iniziato nel dicembre del 1947, all'indomani dell'approvazione della Risoluzione Onu N. 181, detta "Piano di Partizione della Palestina, è strettamente connesso al processo di "pulizia etnica della Palestina", pianificato, come ricostruito dallo storico israeliano Ilan Pappe[1], tramite il Piano Dalet, nell'intento sionista di conquistare "quanta più terra possibile, col minor numero di palestinesi possibile". 

Successivamente alla Prima Guerra arabo-israeliana del 1948/49, nella quale era riuscito ad espandere il proprio territorio al 78% della Palestina storica rispetto al 56% assegnatogli dalla Risoluzione Onu N. 181, Israele, avvalendosi della Legge degli assenti, ha iniziato a sottrarre terre ai Palestinesi cittadini israeliani che non potevano rientrare nelle loro proprietà, perché costretti a fuggire all'estero o dislocati coattivamente in altre zone del Paese. 

Infine, dopo la vittoria nella Guerra dei 6 Giorni del giugno 1967, con l'occupazione militare, oltre che del Sinai (Egitto) e delle Alture del Golan (Siria), della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, amministrate dopo il 1948 rispettivamente da Giordania ed Egitto, ha attuato un progressivo processo di accaparramento delle terre nei Territori Palestinesi Occupati, avvalendosi anche di altri strumenti normativi.

Il processo di sottrazione delle terre palestinesi, funzionale a quello di colonizzazione ebraica della Palestina, è avvenuto tramite l'utilizzo di strategie e meccanismi legislativi diversificati che la celebrazione della Giornata della Terra ci offre l'opportunità di analizzare.

Carta 1: le tappe dell'espansione israeliana nella Palestina storica



La legge dei "Proprietari assenti"

Il primo meccanismo legislativo adottato dai governi israeliani per l'espropriazione di terre palestinesi è stata la legge dei "Proprietari assenti", inizialmente emanata nel 1950 al fine di impossessarsi dei beni immobili dei profughi palestinesi cacciati dalle proprie abitazioni fra la fine del 1947 e il 1949, le cui  proprietà al termine della I Guerra arabo-israeliana si trovavano all'interno dei confini di Israele. Tale controverso dispositivo normativo, venne successivamente utilizzato, dopo la Guerra dei 6 Giorni, anche per l'accaparramento, in Cisgiordania e, soprattutto, a Gerusalemme Est, di terre e abitazioni possedute da palestinesi, che al momento del censimento del 1967 non si trovavano, non certo per loro volontà, nelle proprie case.

Un rapporto dell'Istituto palestinese Arij per le ricerche applicate, pubblicato il 17 giugno 2013, rivela che "la legge in questione ha subito diverse modifiche, per permettere il sequestro della massima quantità possibile di terreni e immobili palestinesi, a beneficio dei piani di costruzione e espansione coloniale, attuati nei Territori occupati. L’ultima modifica risale al 2004, quando il premier Benjamin Netanyahu ricopriva il ruolo di ministro delle Finanze. In quell’anno, il governo israeliano ha emesso un emendamento che consente all’Amministratore dei Fondi degli assenti di disporre delle terre e cederle alla cosiddetta Autorità di sviluppo, gestita dal Dipartimento delle Terre d’Israele, che a sua volta controlla il 93% della terra nello Stato ebraico. Successivamente, l’Autorità di sviluppo destina i terreni alle imprese di costruzione, come Amidar e Hmenota, attive nella edificazione ed espansione degli insediamenti illegali israeliani, soprattutto a Gerusalemme Est. L’applicazione della legge è un pretesto israeliano per sfruttare, a scopi coloniali, terre e proprietà palestinesi, messe a disposizione delle compagnie di costruzione, sulla base dell’assunto che esse (le terre confiscate) sono di esclusiva proprietà del popolo ebraico"[2].

Questo escamotage normativo è stato utilizzato in particolar modo per la confisca[3]a Gerusalemme, come confermava un report di fine 2012 della Coalizione civile dei gerosolimitani[4], in base al quale il 35% delle proprietà palestinesi nella città erano state sottratte ricorrendo a questa legge. Terre sulle quali all'epoca erano stati edificati 15 insediamenti (definiti quartieri) nel cuore della parte orientale, trasferendovi ben 210.000 coloni israeliani[5].

La colonizzazione ebraica dei Territori Occupati

Le conquiste territoriali ottenute con la Guerra dei 6 Giorni del giugno 1967 viene considerata dalla leadership sionista, la stessa che aveva fondato il Paese, il completamento della Guerra d’Indipendenza del 1948-49.Come confermato dallo storico israeliano Zeev Sternehell: "Nel 1967, come nel 1948 e nel 1937, i leader del paese erano ancora convinti che le frontiere si creano con fatti sul terreno. Dopo la vittoria del 1967, il dibattito nel Mapai (che diverrà Partito Laburista l'anno successivo, ndr) non fu focalizzato sul ritenere che la dottrina della conquista dei territori, ogni volta che ce ne fosse l’opportunità, fosse ancora valida, ma su come, e in che grado, la situazione creata dalla sconfitta araba potesse essere sfruttata".

Gli sviluppi politico-amministrativi successivi alla Guerra dei 6 Giorni in termini di colonizzazione dei Territori conquistati, non tardano ad arrivare. Già il 27 luglio del 1967 il ministro del lavoro Ygal Allon presenta al governo un Piano di annessione della valle del Giordano, Hebron compresa, e delle Alture del Golan che risulterà alla base della politica di colonizzazione implementata dai successivi governi a guida laburista. Dopo solamente sei mesi, il 14 gennaio 1968, lo stesso Allon propone la realizzazione, nei pressi di Hebron, di un insediamento ebraico nei Territori Occupati Palestinesi, denominato Kiryat Arba, toponimo menzionato nella Bibbia ebraica (Genesi 23) come il luogo dove Abramo seppellì Sara, e da allora divenuta una roccaforte dell’estremismo religioso ebraico.

Il processo di colonizzazione dei Territori Palestinesi Occupati prende avvio nonostante l'Onu tramite la risoluzione N. 242 del 22 novembre 1967 intimasse "il ritiro delle forze israeliane dai territori occupati nel corso del recente conflitto", e la "Convenzione di Ginevra (IV) per la protezione dei civili in tempo di pace" del 12 agosto 1949 all'articolo 49 comma 6 avesse stabilito  che "I trasferimenti forzati, in massa o individuali, come pure le deportazioni di persone protette, fuori del territorio occupato e a destinazione del territorio della Potenza occupante o di quello di qualsiasi altro Stato, occupato o no, sono vietati, qualunque sia il motivo"[6].

Accertato il mancato rispetto di entrambe, il Consiglio di Sicurezza ONU nella Risoluzione N. 338, emessa il 22 ottobre 1973  nel tentativo di porre fine alla Guerra del Kippur, ribadisce le disposizioni della N.242 nel passaggio in cui "Richiama le parti in causa affinché immediatamente dopo il cessate il fuoco inizi l'applicazione della Risoluzione N. 242 del Consiglio di Sicurezza, in tutti i suoi punti".

Gli  strumenti normativi di confisca delle terre nei Territori Occupati

Negli anni successivi, incuranti del diritto internazionale, i governi laburisti, in ottemperanza del Piano Allon, hanno iniziato ad edificare insediamenti, sia lungo la zona pianeggiante della valle del Giordano, che nella fascia collinare alle sue spalle, principalmente a scopo militare, concentrandosi sulle aree a bassa densità palestinese. Alla fine del 1976, termine del quasi trentennale ciclo dei governi del sionismo laburista, erano stati realizzati venti insediamenti che accoglievano i primi 3.200 coloni.

Nonostante nel 1975 venga elaborato un nuovo piano ventennale per la colonizzazione della valle del Giordano finalizzato allo sfruttamento delle fertili terre e delle risorse idriche a scopi agricoli, nel 1977 con la prima storica vittoria della destra, il nuovo Primo Ministro del Likud, Menachem Begin, imprime una accelerazione al processo di colonizzazione, estendendolo alle zone montuose della Cisgiordania, ben presto ri-denominate con i biblici toponimi di Giudea e Samaria.

La geografia del processo di colonizzazione viene accuratamente progettata non solo ricercando di impossessarsi dei siti archeologici biblici, ma anche allo scopo di rendere impossibile la continuità territoriale di un ipotetico futuro stato palestinese, circondando le aree urbane e i villaggi con blocchi di insediamenti colonici.

Come riferisce l'organizzazione pacifista israeliana B'Tselem[7]nel rapporto "Terra rubata" "Nel campo della legislazione umanitaria consuetudinaria una forza occupante è obbligata a proteggere le proprietà dei residenti dell’area occupata e non è autorizzata a distruggerle o espropriarle. Nonostante ciò, una forza occupante può temporaneamente prendere possesso di terreni privati e di edifici appartenenti ai residenti dell’area occupata per sistemarvi le sue forze militari e le sue unità amministrative. Tale confisca è per definizione temporanea; di conseguenza la forza occupante non acquisisce diritti di proprietà sulle terre e sugli edifici requisiti e non è autorizzata a venderli ad altri. Inoltre, la forza occupante è obbligata a pagare un compenso ai proprietari per l’utilizzo dei loro beni. Sulla base di questa eccezione, tra il 1968 e il 1979 i comandanti israeliani emisero dozzine di ordini di requisizione di proprietà private in Cisgiordania, sostenendo che tali confische erano “richieste da essenziali ed urgenti esigenze militari”. Durante il periodo sopra menzionato, furono requisiti quasi 47.000 dunam[8](47 kmq) di terre private, la maggior parte dei quali destinati alla creazione di insediamenti". 

L'iniziale strategia di costruzione delle colonie ebraiche su terre palestinesi confiscate in base a “richieste da essenziali ed urgenti esigenze militari”[9], venne successivamente modificata a seguito del ricorso presentato da alcuni proprietari palestinesi e accolto dalla Corte Suprema israeliana nel 1979 con la motivazione che la colonia di Elon Moreh, oggetto della controversia, non era giustificata da ragioni militari, bensì ideologiche. 

I governi israeliani furono, pertanto, costretti ad abbandonare tale pratica, e disattendendo completamente la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu N. 465 del 1 marzo 1980 che chiedeva "di smantellare gli insediamenti, esistenti e, in particolare, di cessare urgentemente la costituzione, la costruzione e la progettazione di insediamenti nei territori arabi occupati dal 1967, inclusa Gerusalemme"[10], hanno proceduto alla requisizione[11]di nuove terre palestinesi ricorrendo al Codice Ottomano della Terra del 1858, con la motivazione che costituivano "Terre di stato". 

Le "Dichiarazioni di terra di stato"[12]sono atti delle autorità israeliane che rendono la terra palestinese non considerata privata, comprese le proprietà collettive di villaggio (musha'a), "di stato" e quindi "legalmente" amministrabile, in base al diritto internazionale, su base temporanea da Israele in qualità di forza occupante. 

L'imponente processo avvenuto in Cisgiordania di dichiarazione della terra come “di stato” origina dall’Ordine Militare n. 59 del 1967 sulle Proprietà di Governo in Giudea e Samaria (toponomastica ebraica), che autorizzava la persona delegata dal comandante dell’esercito israeliano per un determinato territorio a prendere possesso delle proprietà appartenenti ad uno “stato nemico” e di gestirle a propria discrezione. Questo ordine, emesso all'indomani dell’inizio dell’Occupazione, venne ampiamente utilizzato da Israele sino al 1979 per impossessarsi di tre tipologie di terre registrate a nome del governo giordano, amministratore ufficiale della Cisgiordania:

·     terre miri (quelle localizzate vicino agli insediamenti e adatte ad essere coltivate) rimaste incolte per almeno tre anni consecutivi e quindi divenute makhlul; 

·     terre miri coltivate per meno di dieci anni (periodo minimo), per cui il fattore non era ancora proprietario effettivo; 

·     terra considerata mawat (morta) per la sua distanza di almeno mezz'ora dal villaggio più vicino.

L'ultima strategia adottata dai governi israeliani per la requisizione di terre palestinesi nei Territori occupati risulta l'espropriazione[13]per bisogni pubblici che è stata utilizzata per la realizzazione della rete stradale, vietata ai palestinesi, di collegamento fra gli insediamenti e il territorio di Israele, ad eccezione della colonia di Ma'ale Adumin. Quest'ultima, edificata a partire dal 1975, sorge, infatti, a soli 7 km da Gerusalemme lungo l'autostrada 1 che raggiunge l'area metropolitana di Tel Aviv e rappresenta, con i suoi 49 kmq di estensione ed i 38.000 abitanti censiti nel 2019, uno dei principali insediamenti colonici israeliani, al quale venne riconosciuto lo status di città nel 1991[14].

Per i proprietari palestinesi oggetto di ordini di requisizione, la legge israeliana ha introdotto la possibilità di presentare ricorso legale, i cui tempi prolungati ed i costi elevati finiscono, tuttavia, per risultare insostenibili per gli abitanti dei villaggi della Cisgiordania che, consapevoli anche dell'esito quasi sempre avverso, in molti casi hanno optato per la rinuncia[15].   

Dopo il fallimento del tentativo di Camp David, dell'estate del 2000, di giungere in extremis ad un  nuovo e definitivo accordo di pace con i palestinesi, dopo il fallimento di Oslo del 1993, e l’inizio dell’intifada di al-Aqsa, alla fine dello stesso anno, il governo israeliano dette avvio ad una nuova fase di requisizioni attraverso "ordini militari". Terreni privati, infatti, vennero nuovamente sequestrati per costruire nuove strade di collegamento con gli insediamenti in Cisgiordania, definite by-pass road, ad esclusivo uso dell’esercito e dei coloni che sostituissero le vecchie strade o altre nuove giudicate non più sicure.

L'acquisto di terre

L'acquisizione dei terreni sul libero mercato, invece, ha rappresentato storicamente la pratica iniziale, seguita sin dalla prima fase dell'emigrazione ebraica in Palestina a partire dagli anni '20 del secolo scorso, quando i primi coloni ebraici iniziarono ad acquisire proprietà fondiarie dai latifondisti palestinesi, con il supporto finanziario del Fondo Nazionale Ebraico (JNF)[16].

Dopo la Guerra dei 6 Giorni, le forze di occupazione israeliane con l'Ordine militare n. 25 avevano imposto rigide restrizioni alla vendita di terre in Cisgiordania, riservandone l'acquisto solamente al Fondo Nazionale Ebraico. Ma, dal momento che per parte palestinese la legge e le consuetudini vietano di vendere la terra agli Ebrei, Israele aveva ideato dei meccanismi per poter trasferire le proprietà fondiarie, occultandone la vendita per periodi prolungati. 

Le successive modifiche apportate alla legge dai governi del Likud, saliti al potere alla fine degli anni '70, hanno creato le condizioni affinché si verificassero vere e proprie vendite fraudolente a favore di privati ebrei, con numerosi proprietari palestinesi che hanno preso atto di essere stati raggirati solo quando hanno visto i trattori e le ruspe dei coloni al lavoro sulle loro ormai ex terre. 

Queste modifiche normative trovarono riflesso in una decisione nell’aprile 1982 del Comitato Ministeriale per gli Insediamenti che forniva approvazioni in linea di principio per la creazione di insediamenti come “iniziativa privata”. Questa autorizzazione esprimeva l’impegno del governo a consentire agli Ebrei di acquistare terra e di insediarsi in tutta la Cisgiordania, incluse le aree dove la terra non poteva essere dichiarata "di stato" perché registrata col nome del proprietario.

Israele in questa fase ha aiutato e incentivato i suoi cittadini ebrei ad acquistare terra privata palestinese sul libero mercato col proposito di stabilirvi nuovi insediamenti, fino a che, a seguito di numerose compravendite fraudolente e di truffe, anche a danni di potenziali acquirenti israeliani,tale prassi venne formalmente interrotta dal 1985.

Il tentativo della Legge di regolarizzazione

Accanto a questi "tradizionali" meccanismi di appropriazione delle terre palestinesi il parlamento israeliano aveva tentato di introdurre un nuovo strumento normativo. La Knesset, infatti, il 7 febbraio 2017 aveva approvato, dopo un contrastato iter legislativo, la cosiddetta "Legge di regolarizzazione" che avrebbe consentito ai cittadini israeliani di appropriarsi delle terre palestinesi nei Territori Occupati, dietro indennizzo monetario o  in cambio di altro appezzamento agricolo. La legge è stata da più parti considerata anticostituzionale anche per il suo carattere retroattivo che avrebbe legalizzato gli insediamenti considerati "illegali" anche per la legge israeliana (circa 4.000 abitazioni), in quanto costruiti senza autorizzazione su terre private palestinesi, ed ha sollevato aspre critiche anche a destra. Fra queste, autorevoli voci come il più volte ministro del Likud, Dan Meridor, che l'aveva definita "ingiusta e incostituzionale perché va contro i principi della legge israeliana" e il figlio del ex Premier Menachem Begin, Benny, anche lui più volte ministro del Likud e sostenitore della "Eretz Israel", che l'aveva soprannominata "legge sui furti"[17]. Tuttavia, i ricorsi presentati, a partire dal giorno successivo, da Ong palestinesi e israeliane alla Corte Suprema ne avevano in pratica anestetizzato l'applicazione, sino alla sentenza della stessa corte del 10 giugno 2020 che l'ha dichiarata "incostituzionale" perché "viola i diritti di proprietà e di eguaglianza dei palestinesi, mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi" e che non "fornisce sufficiente rilievo" allo status dei "palestinesi come residenti protetti in un'area sotto occupazione militare"[18].

La situazione attuale

Nel rapporto stilato dall’Ufficio centrale di statistica palestinese del marzo 2015, veniva trattato il delicato tema delle terre palestinesi sotto il controllo delle forze di occupazione. Israele attraverso i meccanismi e le strategie sopra individuate è arrivato a possedere più del dell’85% della superficie totale della Palestina storica, estesa per un’area di 27 mila kmq, ripartiti fra i 22.000 di Israele e gli oltre 5.000 dei Territori Occupati, mentre ai Palestinesi ne è rimasta solamente il 15%. In quest'ultima porzione alla formale autonomia di governo dell'Anp è affiancato l'invasivo potere militare israeliano che impone le sue leggi nei Territori Occupati, mentre ai coloni degli insediamenti è applicata la ben più favorevole legge civile israeliana. 

Nel 2019, in Cisgiordania compresa Gerusalemme Est, erano presenti oltre 240 insediamenticon più di 620.000 coloni.Questo pianificato e sistematico processo di colonizzazione tende ad oscurare una serie di verità fondamentali sugli insediamenti. Una di queste è che le colonie non fanno parte dello Stato di Israele, ma sono insediamenti illegali realizzati in Cisgiordania, che dal 1967 è Territorio Occupato sotto amministrazione militare, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Altra verità che si cerca di oscurare è che la “terra di stato” sopra analizzata  è stata confiscata ai residenti palestinesi con procedimenti illegali e scorretti. Infine, altro elemento inoppugnabile è che gli insediamenti sono stati una continua fonte di violazione dei diritti umani nei confronti dei Palestinesi, tra cui il diritto alla libertà di movimento e di proprietà, all’autodeterminazione e al miglioramento delle condizioni di vita. 

Un processo storico avvenuto nel complice silenzio della comunità e delle istituzioni internazionali la cui attività si è limitata a dichiarazioni di condanna dell'operato dei governi israeliani e atti giuridici mai resi operativi, facendo sì che Israele portasse avanti la missione storica del movimento sionista, vale a dire la creazione di un stato ebraico dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, godendo dello status di sostanziale impunità per le continue violazioni del diritto internazionale e delle Risoluzioni Onu. 

Una ferita tutt'ora aperta nel cuore Medio Oriente, nel campo del diritto internazionale e del rispetto dei diritti umani, frutto del fallimento, per non dire della connivenza, della politica e delle istituzioni internazionali che solo la mobilitazione popolare, organizzata e consapevole, potrà invertire facendo pressione sui rispettivi governi nazionali e sulla comunità mondiale. 

 

Andrea Vento - docente di Geografia all'Ite Pacinotti di Pisa

7 aprile 2021

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

  

Carta 2: la colonizzazione della Cisgiordania 2019. Fonte:Ufficio Onu per gli affari umanitari - Ocha





[1]Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina. Fazi Editore 2008.  Capitolo 5: Il programma per la pulizia etnica: il Piano Dalet pag. 112-159

[2]http://www.infopal.it/rapporto-legge-sulle-proprieta-degli-assenti-e-la-piu-grande-rapina-della-storia/

[3][3]La confisca, nel diritto penale, indica l'acquisizione coattiva, senza indennizzo, da parte della pubblica amministrazione, di determinati beni o dell'intero patrimonio di chi ha commesso un reato

[4]Abitanti di Gerusalemme

[5]http://www.infopal.it/legge-sulle-proprieta-degli-assenti-politica-israeliana-di-espulsione-dei-palestinesi/

[6]https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1951/300_302_297/it

[7]  Rapporto: Terra rubata. La politica israeliana di insediamento in Cisgiordania

http://www.operazionecolomba.it/docs/TerraRubata_Btselem_OpCol_2009.pdf

[8]Il dunam o dunum  è una unità di misura terriera adottata a partire dall'età ottomana fino ai nostri giorni in vari paesi un tempo sotto il dominio ottomano per calcolare le superfici terriere. Oggi equivale a 1.000 mq e a 0,001 kmq

[9]Questa è la formula standard che compare negli ordini

[10]http://web.tiscali.it/handala/documenti/Consiglio%20Sicurezza/risoluzione%20465-1980.htm

[11]La requisizione è un atto attraverso il quale una Pubblica Amministrazione può privare una persona del suo diritto di proprietà o di possesso di un bene; ha carattere eccezionale ed è adottata per gravi e urgenti necessità pubbliche, militari o civili.

[12]https://it.qaz.wiki/wiki/Declarations_of_State_Land_in_the_West_Bank

[13]L'espropriazione consiste nella Privazione di proprietà, motivata da ragioni di pubblica utilità. In Italia avviene dietro indennizzo del proprietario. 

[14]https://it.qaz.wiki/wiki/Ma%27ale_Adumim

[15]https://it.qaz.wiki/wiki/Land_expropriation_in_the_West_Bank

[16]https://it.globalvoices.org/2017/02/il-fondo-nazionale-ebraico-e-il-suo-ruolo-in-israele-e-palestina/

[17]https://jfjfp.com/no-defence-for-this-robbery/

[18]http://asianews.it/notizie-it/La-Corte-suprema-boccia-la-legge-sulle-colonie.-Rabb%C3%AC-Milgrom:-%E2%80%98ristabilita-giustizia%E2%80%99-50322.html



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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.