Rosa aveva deciso molto precocemente di dedicare totalmente la propria esistenza alla causa rivoluzionaria.
C’è una frase riportata da Lelio Basso nella sua prefazione al volume che raccoglie le lettere a Leo2, scritta da Rosa a 17 anni sul retro di una fotografia regalata a una compagna di scuola, che è molto significativa per comprendere le motivazioni profonde di questa sua scelta. Rosa scrive:
«Il mio ideale è il regime sociale in cui si potrebbe con tranquilla coscienza amare tutti quanti. Tendendo a questo fine e in suo nome, saprò forse un giorno anche odiare».
Questa giovane di 17 anni, che all’epoca militava già nel gruppo Proletariat, aveva chiaro che per raggiungere quel suo ideale avrebbe dovuto battersi strenuamente, utilizzando le armi della politica rivoluzionaria. Intuiva che per poter praticare quell’amore verso gli altri cui tendeva naturalmente il suo animo, avrebbe dovuto anche forzare la sua vera indole, tendente al buono e all’amore, e usare tutte le sue capacità intellettuali e umane per distruggere la società imperialistica che con il suo barbaro sfruttamento impediva il dispiegarsi di tutte le migliori potenzialità della specie umana.
Rosa la donna
Rosa dunque scelse la sua strada di rivoluzionaria perché sapeva di non avere alternative e lo fece con rara coerenza. Non credo che provasse un piacere particolare nella sua attività di agitatrice, giornalista e teorica. Ciò che faceva lo intendeva come un dovere irrinunciabile verso se stessa e il proprio ideale. Era indubbiamente ambiziosa, ma non amava il potere per il potere. Le sue battaglie nel Spd e nell’Internazionale non erano finalizzate alla carriera o a gratificare il suo ego: ella intendeva il successo delle sue posizioni come un mezzo per diffondere le idee che riteneva giuste e importanti per la causa rivoluzionaria. Voleva acquisire influenza, non conquistare potere.
Ciò lo si evince dal suo rigore teorico, come dalla sua correttezza politica, ma ancor più dalle lettere - in primo luogo a Leo - in cui Rosa palesava i suoi veri stati d’animo. In molti passaggi si intuisce quanto dovesse pesarle la sua attività. La politica era anche una realtà intessuta di intrighi, invidie, carrierismo, tradimenti contro cui, - come afferma Lelio Basso, «s’infrangeva l’idealismo militante» di Rosa3. A proposito del suo idealismo, Rosa, nel 1899 così scrive a Leo:
«la suprema ratio alla quale sono arrivata attraverso la mia esperienza rivoluzionaria polacco-tedesca è quella di essere sempre se stessi, completamente, senza tener conto dell’ambiente e degli altri. Ed io sono e voglio restare un’idealista»4.
Un aspetto importante del suo idealismo era costituito dalla sua tendenza «all’esser buoni» più volte espressa nelle sue lettere e presente sino alla fine della sua vita. Scrivendo ad Hans Diefenbach il 5 marzo del 1917 dal carcere, afferma:
«Del resto tutto sarebbe più facile da sopportare se non mi dimenticassi la legge fondamentale che mi sono prefissa come regola di vita: essere buoni, ecco l’essenziale. Essere buoni, molto semplicemente. Ecco che comprende tutto e che vale di più di tutta la pretesa di avere ragione»5.
Ma non doveva esser facile in politica seguire questo ideale! E infatti, verso gli aspetti più deteriori della politica, Rosa non esita a scrivere, ancora una volta a Leo, nel 1905:
«Ieri ero quasi decisa ad abbandonare “di colpo” tutta questa “dannata politica”, o piuttosto questa parodia cruenta della vita “politica” che conduciamo e mandare al diavolo tutto il mondo»6.
Rosa era un’ottima oratrice, una vera trascinatrice nei suoi comizi, e anche negli interventi polemici all’interno del Spd e dell’Internazionale traspare - dalle testimonianze e da ciò che lei stessa racconta - la carica, l’incisività e la brillantezza del suo pensiero. Tuttavia ciò non doveva essere indolore se spesso nelle lettere si lamenta della fatica fisica e psicologica che accompagnava la sua attività di agitatrice e di teorica.
Soffriva di frequenti e acute emicranie e di disturbi allo stomaco. Con una moderna lettura psicosomatica, tali malesseri si potrebbero intendere come una somatizzazione dovuta allo stress emotivo e psichico che accompagnava il suo lavoro. Credo che, se avesse potuto, si sarebbe dedicata a tutt’altra attività che non quella politica. In una lettera scritta dal carcere a Sonia Liebknecht, moglie di Karl, nel maggio del ‘17, afferma:
«nel mio intimo mi sento molto più a casa mia in un pezzetto di giardino come qui, oppure in un campo tra i calabroni e l’erba, che non... a un congresso di partito...Nonostante tutto io spero di morire sulla breccia: in una battaglia di strada o in carcere. Ma nella parte più intima appartengo più alle cinciallegre che ai “compagni”»7.
Amava la matematica, la botanica, la zoologia, la letteratura, l’arte; le piaceva disegnare e dipingere ed era anche dotata in questo campo. Soprattutto nei suoi periodi di inattività forzata in carcere, si dedicava - per quanto poteva - alla cura e allo studio delle piante, coltivandole e riempiendo erbari. Amava gli animali e sua compagna prediletta era la gatta Mimì di cui si preoccupava costantemente nei periodi di carcerazione. In particolare nelle lettere scritte negli ultimi periodi della sua vita trascorsi in prigione (1915-1918) a Luise Kautsky, Gertrud Zlottko (sua governante), Sonia Liebknecht, Hans Diefenbach, si dilungava a parlare degli uccelli, le api, le formiche, i fiori che vedeva intorno a sé e che spesso accudiva. Così come si soffermava su letteratura, arte, ornitologia, geologia8.
E tuttavia c’era un dovere imprescindibile che le imponeva di mettere da parte la sua vera natura, per assolvere ai compiti rivoluzionari.
Era lo stesso codice etico che governava le sue relazioni interpersonali. Rosa non si concedeva facilmente all’amicizia. Doveva essere certa di poter riporre fiducia completa nelle persone cui apriva il suo animo. Ne è un esempio il suo rapporto con Luise e Karl Kautsky. Con quest’ultimo non ebbe mai un vero rapporto d’amicizia, piuttosto di collaborazione politica, fino alla rottura; ma lo giudicava negativamente sul piano personale. Con Luise per anni, più che di amicizia si trattò di rapporti di buon vicinato, piuttosto formali. Talvolta Rosa sfuggiva gli inviti a casa Kautsky. Tutto ciò traspare dai suoi giudizi espressi a più riprese sulla coppia, nelle sue lettere a Leo9.
Solo più tardi, in particolare dopo la rottura politica con Karl, il suo rapporto con Luise si trasformò in una vera amicizia e le sue lettere diventarono più intime.
Ma nel complesso era una donna riservata, gelosa della propria autonomia e libertà. Aveva bisogno di momenti di silenzio e solitudine, di uno spazio privato in cui poter vivere con se stessa o, al massimo, con Leo.
Rosa concepiva l’amicizia come qualcosa di assoluto, come del resto l’amore. Quando si apriva, lo faceva in modo totale - come sanno farlo spesso le donne - con una sincerità e una franchezza disarmanti e a tutto tondo, senza incertezze. Ma pretendeva la stessa bruciante sincerità dagli altri: perché il suo rigore etico le rendeva insopportabili ambiguità e ipocrisie.
In una lettera a Hans Diefenbach scritta il 7 gennaio del 1917 - a proposito della fine del matrimonio di Clara Zetkin con il secondo marito Friedrich Zundel, al quale la sua amica rifiuta il divorzio sin dopo la guerra - Rosa, molto duramente, afferma:
«Il dramma di Sillenb10 è stato per me un colpo più duro di quello che potete immaginare. Un colpo portato alla mia pace interiore e alla mia amicizia. Mi esorterete alla compassione. Sapete che sento e soffro per ogni creatura [...] Ma, ditemi, perché non dovrei qui provare pietà per l’altra parte, bruciata viva e, in ogni giorno concesso da Dio, obbligata a passare per i sette gironi dell’inferno dantesco? Ma di più, la mia pietà come la mia amicizia hanno dei confini molto netti: finiscono inesorabilmente laddove comincia la meschinità. In effetti i miei amici devono sottomettere alle esigenze più rigorose non soltanto la loro vita ufficiale, ma anche la loro vita privata. Ora enunciare grandi frasi sulla “libertà individuale” e nella vita privata asservire un’anima umana con una passione insensata, questo non lo capisco e non lo perdono. Constato in questo l’assenza di due elementi fondamentali della natura femminile: la bontà e la dignità».
Identico rigore nel comportamento, Rosa pretendeva nel campo dell’amore. In un certo senso, credo che in lei - insieme all’amore per l’uomo amato - fosse contemporaneamente presente anche «l’innamoramento per l’amore in sé»: Rosa, in sostanza era «innamorata dell’amore». In una lettera a Sonia Liebknecht del 24 novembre 1917, in proposito scrive:
«E come capisco che siate innamorata “dell’amore”! Per me, l’amore è stato (o è?...) sempre più importante, più sacro dell’oggetto che lo suscita. Perché permette di vedere il mondo come una fiaba splendida, perché fa emergere dall’essere umano cio che vi è di più nobile e di più bello, perché eleva ciò che vi è di più comune e umile e lo adorna di brillanti e perché permette di vivere nell’ebbrezza, nell’estasi...»11.
Rosa, dunque, non era solo rigorosa, ma anche appassionata ed esigeva nell’altro altrettanta passione. Ciò è evidente soprattutto nel suo rapporto con Leo Jogiches, che fu l’amore della sua vita, il rapporto affettivo più importante.
Si erano conosciuti a Zurigo, nel 1890-91, entrambi rifugiati politici, e il loro amore durò circa 15 anni, fino al 1906, al momento del loro arresto a Varsavia. Erano due personalità profondamente diverse e il loro rapporto fu tanto profondo quanto controverso. Lo possiamo ricostruire solo attraverso le moltissime lettere che ci rimangono di Rosa a Leo (circa 900), perché quelle di Leo sono andate perdute. Indubbiamente queste lettere rappresentano lo strumento migliore per capire la complessità della personalità di Rosa, perché in esse si mescolano i due elementi determinanti del suo rapporto con Leo: l’attività politica rivoluzionaria e l’amore.
Nel suo bisogno costante di assoluto, Rosa desiderava costruire una relazione che fosse espressione di una fusione totale con l’amato; una fusione in cui passione rivoluzionaria e passione amorosa si compenetrassero inestricabilmente. Dalle sue lettere si palesa evidente questo bisogno totalizzante, i suoi tentativi di realizzarlo e, infine, la sua sconfitta. Perché questa tensione binaria si scontra inesorabilmente, e sin dall’inizio, con la personalità di Leo: un uomo introverso, profondamente chiuso e bloccato sul piano emozionale, con una struttura caratteriale difensiva molto compatta, così come ce lo descrive Rosa attraverso i rimproveri e le pressanti richieste che gli rivolge.
Leo era nato nel 1967 a Vilna e sin da giovanissimo si era politicizzato venendo in contatto con l’organizzazione populista e terroristica Narodnaja Volja, poi abbandonata per aderire al marxismo. Da questa primitiva esperienza aveva mediato il metodo cospirativo e clandestino di intendere l’impegno politico, che manterrà come elemento caratteristico di tutta la sua militanza rivoluzionaria. Dotato di ottime qualità organizzative fu - insieme a Rosa che ne era l’ispiratrice teorica - uno dei fondatori del Partito socialdemocratico polacco e poi dello Spartakusbund e del Partito comunista tedesco. Senza il suo inesauribile e capillare lavoro organizzativo nessuno dei partiti summenzionati avrebbe probabilmente visto la luce e potuto operare.
Anche Leo amava Rosa e l’amò per tutta la vita. Ma la sua struttura caratteriale molto introversa e la sua personalità autoritaria e spesso arrogante gli impedivano di esprimere apertamente le proprie emozioni, l’amore, la tenerezza, l’abbandono, come Rosa avrebbe voluto e come lei faceva costantemente nelle sue lettere, rischiando i rimbrotti di lui. In una lettera bellissima e straziante, scritta nella notte del 16 luglio 1897, Rosa mette ancora una volta a nudo il suo animo, rivelando a Leo tutta la sua disperazione per la freddezza di lui e tutto il suo disperato bisogno d’amore. La scrive a un uomo che vive in un’altra casa a poche decine di metri dalla sua, un uomo che l’ha appena lasciata senza capire e accogliere il desiderio di Rosa di un rapporto fisico d’amore con lui. Non ci sono rimproveri e recriminazioni nelle parole che Rosa rivolge a Leo, ma vi è espressa la lucida e straziante consapevolezza di non poter penetrare nell’animo dell’uomo amato e soprattutto di non poter essere accolta nel suo stesso desiderio di amare. Come se la freddezza di Leo rendesse vano l’amore di Rosa. Passeranno gli anni, la loro unione continuerà. Ma non muterà la qualità del loro amore reciproco12.
Nella primavera del 1907 fu Rosa a rompere la loro unione. Le motivazioni vere della loro rottura non sono state chiarite. Il principale biografo di Rosa, P. Nettl, afferma in proposito:
«Il suo amore per Jogiches si concluse bruscamente... quando apprese che alcune porte chiuse per lei erano state aperte a un’altra persona»13.
Ammesso che Leo abbia frequentato brevemente un’altra donna subito dopo la sua fuga dal carcere (febbraio 1907), l’impressione che se ne trae è che il loro rapporto fosse arrivato ad un bivio perché Rosa non sopportava più i silenzi e la freddezza di Leo, le chiusure riguardanti i più intimi sentimenti e le parti più nascoste della sua personalità. Evidentemente il bisogno incessante di sincerità e di fusione totale era divenuto insostenibile o non oltre procrastinabile, a fronte della chiusura di quell’uomo tanto amato e così poco disponibile e denudare il proprio intimo come faceva lei.
Ancora una volta, il rigore etico di Rosa fece diventare la rottura affettiva definitiva. In proposito, credo sia rivelatrice una frase che scrisse a Matilde Jacob in una lettera del 9 aprile 1915, quindi molti anni dopo la rottura:
«Rimango dell’idea che il carattere di una donna si misura non quando un amore comincia, ma quando finisce»14.
Leo non accettò mai la fine del loro rapporto e a più riprese cercò di farle cambiare idea, anche con comportamenti aggressivi e minacce, secondo quanto affermato da P. Nettl15.
Mantenne le chiavi della loro casa comune a Berlino e vi faceva frequenti improvvise incursioni, tanto che alla fine Rosa, nonostante fosse molto affezionata a quella casa, cambiò appartamento.
Tuttavia l’intrasigenza di Rosa si fermò di fronte al loro rapporto politico che continuò inalterato. Ma l’intimità e la complicità erano finite e le lettere che lei scrisse a Leo a partire dal 1907 presentano uno stile assolutamente formale e impersonale, come se si rivolgesse a una persona distante mille anni luce. Solo Rosa conobbe lo strazio e il dolore che dovette costarle il fatto di continuare la propria militanza a fianco di quest’uomo tanto amato un tempo, come se nulla fosse cambiato.
Successivamente ebbe altri rapporti affettivi: con due uomni più giovani e dalla personalità meno forte della sua - Konstantin Zetkin, figlio di Clara, e Hans Diefenbach. Ma l’intensità di queste relazioni non raggiunse mai i livelli della passione assoluta espressa per Leo. Come se Rosa, dopo quest’esperienza, avesse intuito che il proprio desiderio di una fusione esistenziale totale con l’essere amato fosse irrealizzabile.
Nell’ultimo tragico periodo della loro esistenza, questi due esseri tanto dissimili nel carattere quanto identici nella dedizione ai loro ideali, si riavvicinarono. Nella Berlino rivoluzionaria del 1918 Leo accudì e protesse Rosa dentro e fuori dal carcere per quanto poté. Dopo la morte di lei, i suoi ultimi due mesi di vita furono spesi nella ricerca e denuncia degli autori dell’assassinio della sua antica compagna.
Rosa la femminista
Quando Rosa giunse a Berlino nel 1898 e iniziò la sua attività nel Spd, i dirigenti del partito cercarono di indirizzare le sue inesauribili energie e l’ardore rivoluzionario verso il rassicurante e decentrato lavoro fra le donne. Era questo il «destino naturale» delle militanti, non solo nella socialdemocrazia tedesca, ma in tutta l’Internazionale. All’epoca, anche tra i marxisti, ciò che prevaleva nella pratica era un atteggiamento maschilista e paternalistico nei confronti delle donne (difetto, questo, lungi dall’essere scomparso ancor oggi), al di là e nonostante le posizioni teoriche astrattamente a favore dell’emancipazione femminile. Così, la questione femminile era problematica di secondaria importanza, relegata all’attenzione esclusiva delle militanti donne, che difficilmente frequentavano da protagoniste la ribalta politica più generale.
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Clara Zetkin e Rosa nel 1910 |
Del resto, si riteneva - con una ottimistica visione ingenuamente evoluzionistica - che, con la sconfitta del capitalismo, il problema della discriminazione e subordinazione femminile sarebbe stato automaticamente risolto dall’attuazione concreta, sul piano del diritto della parità tra i sessi, nell’ottica di costruzione di una società socialista. Il movimento rivoluzionario della Prima e Seconda internazionale non si pose mai concretamente il problema derivante dal fatto che la discriminazione verso le donne affonda le sue radici nei tempi antichissimi della preistoria umana e che il potere dell’uomo sulla donna si è espresso nella strutturazione di una società in primo luogo patriarcale (e solo successivamente di classe) trasmessasi trasversalmente attraverso i vari tipi di sistemi economico-politico-sociali conosciuti dall’umanità, fino ad approdare - pressoché inalterata - nelle ampie braccia del capitalismo.
La conseguente necessità di una lotta implacabile contro il patriarcato avrebbe forse potuta esser fatta propria dalla Terza internazionale, ma la controrivoluzione burocratica staliniana stroncò - insieme a tante altre cose - anche il possibile affermarsi di un femminismo rivoluzionario in grado di portare, all’interno dell’esperienza rivoluzionaria successiva all’Ottobre russo, i contenuti di una lotta libertaria contro la discriminazione tra i sessi e l’oppressione femminile, per un’effettiva liberazione di tutti, donne e uomini.
Tornando alla socialdemocrazia tedesca, a cavallo tra Otto e Novecento, la politica «vera», quella che si misurava con le problematiche al centro del dibattito della Seconda internazionale - la questione nazionale, il revisionismo, il nazionalsciovinismo, la concezione del partito, la democrazia diretta ecc. - era inesorabilmente dominata dagli uomini e le donne erano perlopiù spettatrici, o al limite comparse che si limitavano a votare le risoluzioni presentate dai compagni maschi (con l’unica altra eccezione di Clara Zetkin).
Al contrario, Rosa irrompe sulla scena e lo fa da protagonista. Rifiuta quindi sdegnosamente il tentativo maschile di relegarla nel «ghetto» delle donne. Di questione femminile non si occuperà mai in prima persona, anche se indubbiamente seguirà le iniziative condotte dall’organizzazione femminile del Spd, alla cui direzione era la sua amica e compagna Clara Zetkin, unica donna ad aver partecipato attivamente, al fianco di Rosa, alla battaglia politica contro la degenerazione sciovinista della socialdemocrazia.
Eppure ritengo che Rosa possa essere considerata a pieno titolo un’autentica femminista rivoluzionaria, al pari di Clara Zetkin e di Alessandra Kollontaj.
Cercherò di motivare qui di seguito tale affermazione.
1. In primo luogo, le scelte della sua esistenza. Ancora adolescente, prende coscienza della barbarie del sistema capitalistico dominante e decide di dedicare la sua esistenza a sovvertirlo. A 18 anni è costretta per motivi politici a fuggire clandestinamente dalla Polonia per rifugiarsi in Svizzera, abbandonando famiglia, affetti, sicurezze. In Svizzera studia e si laurea, cercando di mantenersi economicamente autonoma, contribuisce a fondare il Partito socialdemocratico polacco, si forma come marxista. Nel 1898 decide di trasferirsi in Germania e di svolgere la sua attività rivoluzionaria nell’epicentro della Seconda Internazionale, il Spd, il partito più autorevole e con il maggior seguito di massa. Non esita a lanciarsi nelle polemiche più accese contro i grandi teorici del marxismo (tutti maschi), così come non esiterà a partecipare in prima persona ai movimenti rivoluzionari della sua epoca. Andrà a Varsavia nel dicembre 1905 durante la prima Rivoluzione russa esplosa l’anno precedente; sarà protagonista della Rivoluzione tedesca del 1918 fino a pagare con la vita il suo impegno.
Tutta la sua attività politica fu all’insegna del rigore e della chiarezza teorica e comportamentale. Si tenne lontana dalle meschinerie e dalle grettezze dell’ambiente politico, rifiutando gli aspetti più deteriori del modo di fare politica «maschile», fatto di inganni, tradimenti, voltafaccia, attacchi personali, invidie. Ad essi cercherà di contrapporre uno stile di polemica e di scontro, per quanto duro, corretto sul piano personale e rigoroso su quello teorico. Si misurò da pari a pari con figure considerate le massime personalità del movimento operaio della sua epoca, come Bebel, Bernstein, Kautsky, Bauer, Bucharin, Lenin, Trotsky, Parvus, Radek: ancora e sempre tutte personalità maschili, come si vede.
Si mostrò sicura e decisa nel difendere le proprie posizioni, nella tranquilla consapevolezza del proprio valore, senza arretrare di fronte a un mondo politico prevalentemente maschile che le contrappose il proprio atteggiamento patriarcale e maschilista, arrivando a considerarla spesso come una rompiscatole isterica.
2. Nelle sue relazioni interpersonali - e in primo luogo col compagno della sua vita, Leo Jogiches - tese a costruire rapporti basati sulla reciproca parità e autonomia.
Per quanto riguarda la sua relazione con Leo, soprattutto nei primi anni della loro unione e fino al trasferimento in Germania, Rosa subì indubbiamente l’influenza della personalità di Leo, più vecchio non solo per età ma anche per esperienza rivoluzionaria. Nelle lettere Rosa gli chiede spesso consigli e pareri sulle posizioni assunte e sui contenuti dei suoi articoli e saggi, ma non ne fu mai succube. Fece suoi consigli e opinioni solo se la trovavano d’accordo e non esitò a rifiutarli quando li ritenne sbagliati.
Leo era contrario al suo trasferimento in Germania, probabilmente perché era geloso e temeva di perdere influenza su di lei - in questo dimostrando di essere suddito del proprio maschilismo che tendeva a considerare Rosa una sua proprietà. Lei non lo assecondò, pur manifestandogli costantemente il suo amore e la sua stima. Ma si rifiutò di sottostare ai suoi ricatti affettivi e fece le sue scelte politiche e di vita in autonomia, pur esprimendogli il proprio desiderio di vivergli accanto. Non fece neppure l’errore di riversare gli eventuali dissensi politici sui loro rapporti personali e viceversa. Tanto è vero che al momento della rottura affettiva continuò a collaborare strettamente con lui sul piano politico, come dimostra la sua corrispondenza successiva al 1906.
3. Rosa non rinunciò mai al suo esser donna, al suo carattere impetuoso e appassionato, che sapeva emozionarsi di fronte a un volo d’uccelli o a un acquerello di Turner. Nei suoi rapporti di amicizia e di amore, non si vergognava delle proprie emozioni e le palesava con semplicità e trasparenza superando il naturale ritegno della sua indole riservata. Anche in questo, è testimonianza fedele il carteggio indirizzato alle sue amiche e agli uomini che ha amato. Il fatto di essere diventata ciò che oggi potremmo definire una «donna in carriera» in un mondo prevalentemente maschile, non la indusse ad assumere le modalità di comportamento e di relazione tipiche di tale ambiente - come abbiamo già sottolineato e come purtroppo fa la pressoché totale maggioranza delle odierne donne in carriera (anche politiche), pur volendo apparire nonostante tutto come donne libere.
Non rinunciò alla propria umanità, alla capacità di gioire o di essere disperata, ma anche di continuare ad amare la vita in tutte le sue molteplici manifestazioni, e con essa l’intera specie umana, al riscatto della quale dedicò la sua stessa esistenza.
In definitiva, credo che il femminismo sia pure inconsapevole di Rosa, ma da lei concretamente praticato, si possa ritrovare in questa sua capacità di vivere in piena libertà interiore, facendo di questa sua libertà - sul piano pratico e teorico - lo strumento determinante della sua lotta in favore della più generale liberazione umana dall’oppressione e lo sfruttamento.
Per concludere
Sull’orlo del baratro della distruzione del pianeta verso cui ci spinge a grandi passi la barbarie di questo attuale capitalismo rapace e sfruttatore, ai miei occhi non vi è dubbio che soprattutto alle donne - e alla loro intatta capacità potenziale di ricostruire laddove si distrugge, di accudire e lenire laddove si mortificano e si negano l’umanità e la dignità della specie - siano affidate le speranze di rivolta e di rinascita per l’intera popolazione umana. Come e quando, non so. Ma non vi è più molto tempo.
Nel tentativo di ricostruire un potenziale sovversivo in grado di risollevare le sorti della nostra specie, la prassi e il pensiero rivoluzionario di Rosa, uniti alla sua straordinaria esperienza esistenziale, possono costituire un luminoso punto di riferimento.
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NOTE
1 Per la parte biografica, si veda P. Nettl, Rosa Luxemburg, 2 voll., Milano 1970.
2 Si veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, Milano 1978, p. 10.
3 Ibidem, p. 11.
4 Ibidem, p. 161.
5 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia (1891-1918), Roma 2003, p. 82.
6 R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., p. 246.
7 Ibidem, p. 11.
8 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit.
9 Si veda R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., pp. 176, 211.
10 Sillenbuch, località in cui viveva Clara Zetkin. In R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit., pp. 79-80. Si veda anche G. Badia, Zetkin, femminista senza frontiere, Roma 1994, p. 155.
11 Ibidem, pp. 107-8.
12 R. Luxemburg, Lettere a Leo Jogiches, cit., pp. 68-70.
13 P. Nettl, op. cit., vol. I, p. 42. Sui motivi della rottura, si vedano anche, nel vol. II, le pp. 417-8.
14 R. Luxemburg, Lettere d’amore e d’amicizia, cit., p. 67.
15 P. Nettl, op. cit., vol. I, p. 418.