di Roberto Massari
Il sig. Paolo Binaco - nuovo Direttore del Museo territoriale di Bolsena e uno dei 7 membri della Commissione amministratrice della Fondazione Faina di Orvieto - ha fatto togliere dalla vendita presso la libreria del Museo il mio libro da poco pubblicato su Volsinii etrusca nelle fonti greche e latine. In piena scorrettezza, non me ne ha spiegato la ragione.
È improbabile che abbia potuto leggere il libro prima di prendere un simile provvedimento, a pochi giorni dall’assunzione della carica; ma nell’azione inquisitoriale era affiancato dal sig. Pietro Tamburini, precedente Direttore dello stesso Museo e membro dell’Assemblea dei Soci della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto. E il sig. Tamburini aveva già compiuto lo stesso gesto, alcuni anni fa, con il bel libro dell’archeologo Angelo Timperi sugli scavi di Volsinii, facendo addirittura scomparire le copie consegnate alla libreria dal distributore Annulli. (È giusto ricordare, a mo’ di presentazione per chi non lo conoscesse, che il sig. Tamburini è tra coloro che datano la costruzione dei circa 6 km di mura ciclopiche bolsenesi al III-II sec. a.C., cioè nel pieno delle guerre puniche: uno sproposito storiografico che neanche al liceo farebbero passare inosservato. E pensare che gli sarebbe bastato consultare Massimo Pallottino che datò quelle mura al VI-IV sec a.C.).
Cos’hanno in comune il libro di Timperi e il mio, tanto da spingere entrambi i Direttori del Museo bolsenese a gesti di così anacronistico oscurantismo?
Semplicemente il fatto che le due ricerche dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la Velzna storica, capitale della Dodecapoli etrusca centroitalica, era stata sempre sita sulle colline bolsenesi, in vista del lago per cui funse da eponimo, e non sulla rocca orvietana, cioè in altra area geografica a circa 23 km di distanza dal lago.
Timperi lo aveva fatto da archeologo, profondo conoscitore del sito e addetto agli scavi, analizzando i reperti architettonici e lapidei della Volsinii arcaica ancora in loco. Io l’ho fatto da storico dotato di determinate capacità filologiche (ma soprattutto libero da condizionamenti materiali o accademici), riportando ed esaminando la testimonianza di tutti e 24 gli autori greci e latini che hanno parlato di una sola Volsinii, a fronte della totale assenza di attestazioni contrarie sia da parte di autori antichi, sia in termini epigrafici, archeologici, numismatici e storico-letterari.
A differenza di Timperi, però, io ho ricostruito anche una parte delle falsificazioni che hanno consentito verso la fine dell’Ottocento di attribuire il nome di Velzna a Orvieto (fino al 264 a.C.) per giungere a una piena e definitiva conferma del falso solo durante il fascismo, apparentemente per fini in primo luogo turistici e di valorizzazione dei reperti asportati da vari siti dell’Etruria. Ma forse c’era anche dell’altro.
Il mio libro dimostra documentatamente che l’ubicazione orvietana dell’antica Velzna/Volsinii - pur essendo stata sostenuta da quasi l’intero gotha accademico dell’etruscologia (con l’eccezione di Pallottino fino al 1984) - è fondata sul nulla teorico. Priva di attestati epigrafici o archeologici, consiste infatti di citazioni false o non verificate, di silenzi sull’opera degli storici latini, ma soprattutto di rimandi reciproci da un autore all’altro.
La verità è che questa falsa ubicazione risponde a interessi materiali e accademici ormai cristallizzatisi. Tanto cristallizzati da richiedere a ogni Direttore del Museo territoriale di Bolsena di togliere dalla vendita i libri che dimostrino il contrario, mentre nelle università si blocca sul nascere la carriera accademica di chi non si uniforma al dettato falsificatorio, ormai condensato nella formula devozionale: «Volsinii (Orvieto)».
Ma se i più solerti difensori di tale mistificazione sono ormai costretti a far scomparire i libri contrari dalle vetrine dei Musei, vuol dire che la falsità della notizia si va diffondendo e che la paura della verità è ormai così forte da spingere a compiere gesti censori come quelli dei sigg. Tamburini e Binaco per il Museo di Bolsena: devono essere veramente disperati se sono ormai costretti a togliere anche il mio libro dalla vendita al Museo di Bolsena...
Nei capitoli finali della mia ricerca (sulla scia di Livio, Tolomeo, Costantino I ecc.), espongo le ragioni per identificare Orvieto (pianoro e piana sottostante) col celebre Fanum Voltumnae, chiarendo che non sono il primo a farlo. Così come non sono il primo a sfatare l'invenzione del trasferimento dell’antica Velzna dopo la presunta distruzione dell'Orvieto etrusca (mai avvenuta). Infatti, oltre ai 24 autori dell’Antichità e altri di epoche successive, ho potuto citare a sostegno di una tesi così evidente anche autori moderni come, tra gli altri, K.O. Müller (nella versione autentica e originaria, e non in quella falsificata dagli studiosi «filorvietani»), G. Dennis, Ch. Bunsen, N. Palma, L. Canina, G.F. Gamurrini, l’orvietano P. Perali, il celebre M. Pallottino(dal 1939 al 1984), R. Bloch, A. Morandi, A. Timperi già ricordato: tutti autori che i nostri due Inquisitori dovrebbero escludere dalla vendita nella libreria del Museo. Oltre a un’ampia lista di studiosi meno celebri, ma le cui indagini in loco e in letteratura contrastano da tempo la falsificazione sulla Bolsena etrusca.
Proibendo l’esposizione del mio libro, l’Inquisitore Binaco cerca di nasconderne l’esistenza ai turisti in visita al Museo. Ma essi possono comunque comprarlo presso il chiosco dei giornali di via Gramsci oltre che in molte librerie della Tuscia grazie alla distribuzione di Annulli. A breve andrà anche nella grande distribuzione di Messaggerie del Libro.
Ma non si sottovaluti la gravità del riprovevole gesto. Esso infatti ha anche lo scopo d’intimidire le autorità municipali bolsenesi (Sindaco Dottarelli e assessori) affinché non solo evitino di valorizzare il mio lavoro (come sarebbe invece loro dovere), ma anche si guardino bene dal rivendicare con orgoglio le origini storiche della propria città, un tempo capitale religiosa e politica della Dodecapoli etrusca. Il senso dell’intimidazione nei loro confronti è evidente e si rischia di rinviare a chissà quando la riparazione del vulnus, della ferita che è stata inflitta ai bolsenesi per oltre un secolo privandoli delle loro radici storico-letterarie.
Questo certamente è il danno maggiore provocato nel passato dal sig. Tamburini e ora dal novello Inquisitore sig. Binaco, giacché nel silenzio o lo scarso entusiasmo delle autorità municipali, l’usufrutto del titolo di «capitale etrusca» continuerà ad andare a Orvieto, assecondando ragioni d’interesse materiale, istituzionale e accademico, ma in totale disprezzo della serietà scientifica e del buonsenso storiografico.
Siamo però nel Terzo millennio e in piena èra internatuica, e il fatto che due direttori del Museo di Bolsena (l’ex e l’attuale) pensino di esorcizzare la verità storica nascondendo i libri scomodi - come facevano i loro predecessori dell’Inquisizione che però i libri li bruciavano - fa solo sorridere. Ma in questo, come in tanti altri casi di disonestà intellettuale che ho dovuto affrontare nella mia vita, io mi conforto ripetendo il noto motto libertario:
«Sarà una risata che li seppellirà»…
Roberto Massari
(Fiera del libro di Tuscania, 18-20 settembre 2020)