di Roberto Massari
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Da qualche tempo ho finito di leggere il libro di Shlomo Sand (The invention of the Jewish people) e mi ripromettevo di scrivere una noticina. (Come farò anche per il libro sulla tratta arabo-musulmana.)
Intanto, va detto che ho avuto la conferma come scrissi a suo tempo che C.A., nel citare quel libro, non era andato oltre il titolo. Se poi lo abbia letto dopo le mie critiche, non mi riguarda.
E in realtà, quel titolo è ingannevole: sarebbe dovuto essere «L’invenzione della razza ebraica», perché il fuoco principale della polemica è rivolto contro la storiografia sionista che ha tentato di stabilire una continuità etnica (e addirittura genetica!) tra gli attuali abitanti d’Israele e l’antico popolo israelitico. Allo scopo - e questa è la parte utile e condivisibile del libro - Sand ricostruisce la vicenda delle tre principali etnie ebraiche esistite fuori della Palestina e successive alla sua Diaspora al termine della Guerra giudaica.
[Diaspora sulla quale Sand dice delle sciocchezze negando che essa sia avvenuta dopo la vittoria romana del 70 per il semplice fatto che essa esisteva anche prima. Che essa esistesse anche prima è risaputo e l’ho scritto a mia volta (in molti punti del mio libro su Gesù e i suoi «cugini»), foss’altro perché ne parla il Nuovo Testamento: Paolo (per es. Rm 13: 6-7, che in varie altre lettere fornisce anche i nomi delle principali città - anatoliche e greche - in cui risiedevano forti comunità ebraiche prima del 70); gli Atti degli apostoli, scritti prima del 63; l’Apocalisse - ma dopo il 70 - con le sue 7 Chiese (tutte anatoliche [Ap 1: 4 e 11]) . È però insopportabile il modo in cui Sand toglie credibilità all’opera storica di Flavio Giuseppe che invece - da contemporaneo partecipante - la Diaspora del dopo-70 la descrive, eccome. Per quanto approssimata sia la cifra di un milione di morti ad opera dei romani, basterebbe semplicemente la logica per stabilire che degli ebrei «non-morti», a molti non restò alternativa che scappare, sfuggendo alle stragi e alla schiavizzazione, andando per lo più a rimpinguare la preesistente Diaspora (anatolica, mediterranea, Roma inclusa).]
Ma per tornare alla parte positiva, le tre grandi etnie ebraiche che Sand descrive (sulla scia di un’enorme letteratura dedicata al tema) sono quella dei Berberi in Nordafrica, dei Khazari nel Caucaso e degli Himiariti nello Yemen. Per cui, il risultato finale di Sand - che se ne renda conto o no - è che non solo egli riconosce l’esistenza di un enorme e variegato popolo ebraico, ma che esso è sorto in periodi diversi e in varie e disparate parti del mondo. Lui dice che nel caso dei Khazari ciò è avvenuto solo per conversione degli abitanti, mentre io dico che i due processi - conversione e immigrazione - si sono per forza intrecciati, perché altrimenti non si vedrebbe chi abbia convertito chi. Da non sottovalutare, poi, come si sono intrecciate le storie delle comunità cacciate dal Nordafrica, quelle cacciate dalla Spagna, per non parlare delle mescolanze avvenute all’interno del mondo slavo, le storie di pogrom e così via.
Ma a differenza di Sand, io non dimentico che un ridotto nucleo «originario» è sempre esitito nella stessa Palestina, sopravvissuto anche all’avvento dell’Islam (nel sec. VII) che convertì forzosamente gran parte della popolazione ebraica ivi rimasta.
Sand ipotizza che quegli ebrei convertiti all’Islam siano i progenitori degli attuali arabi palestinesi. Francamente non vedrei argomenti contrari, anche se non saprei che dire al riguardo e lo stesso Sand non offre grandi pezze di appoggio.
Ma l’ipotesi è plausibile (al di là del nome dei palestinesi, trasformazione dell’arcaico «filistei») e sarebbe un argomento in più per consigliare agli attuali palestinesi cisgiordani e agli attuali palestinesi gazawi di entrare a far parte - come due minoranze nazionali distinte - di uno Stato federale israeliano (in cui tra l’altro già vivono in condizioni dignitose i palestinesi israeliani), invece di continuare a vivere in pessime condizioni economiche, scolastiche, sanitarie e sociali sotto dittature politiche i cui dirigenti si sono formati in Unione Sovietica (dall’egiziano.doc Arafat al galileo Abu Mazen) e non in Palestina.
Il popolo ebraico descritto da Sand ha una ricca storia millenaria; è vissuto in zone del mondo tra le più diverse (dal Maghreb al Caucaso al Don); ha nutrito al proprio interno lingue appartenenti a ceppi linguistici tra loro incompatibili (basti solo pensare alle origini germaniche-slavo-serbe dello yddish); ha sviluppato tradizioni di ogni genere (mescolando quelle proprie e quelle delle zone di esistenza); ma ha mantenuto un’unica fede religiosa, benché anche questa sia stata vissuta in modi diversi, ivi compresi atteggiamenti areligiosi ampiamente diffusi. Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni: il vero elemento «omogenizzatore, che ha invece caratterizzato l’insieme del popolo ebraico (in Asia, Africa, Europa e Russia), sono state le persecuzioni antiebraiche. Ma a questo quasi bimillenario elemento unificatore - che per giunta continua in forma aperta in Mediio Oriente e in forma strisciante anche in regimi democratici come l’Italia - Sand purtroppo non dà l’importanza che merita.
Gli va riconosciuto, però, di aver scritto nella Prefazione: «Non nego il diritto dello Stato d’Israele a esistere» - che ha il suo valore per il fatto di esser detto da uno studioso appartenente all’area degli storici antisionisti dominata da quell'Ilan Pappé divenuto l’idolo di molti moderni adepti dell’antisemitismo/ antiebraismo intellettuale. Proprio per questo citai la dichiarazione di Sand in polemica con C.A. che negava tale diritto apertamente, ma varrebbe per tutti coloro che lo negano implicitamente, rifiutando a Israele il diritto di difendersi dalle aggressioni che ha subìto e continua a subire dal 1948 ad oggi. Fermo restando il diritto di dissentire su quali siano i modi migliori per Israele di difendersi e per portare la pace in tutta l’area mediorientale, escludendo l’Iran, finché lì dominerà il regime più sanguinario e reazionario esistente oggigiorno al mondo.
shalom
Roberto
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