di Roberto Massari
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Risposta a Laris Massari
Caro Laris, la tua lettera è apparsa sul blog e ha provocato varie reazioni, di segno diverso tra loro. Poiché la lettera era rivolta direttamente a me, non posso non risponderti, anche se mi trovo nella curiosa situazione di padre-educatore e polemista allo stesso tempo. Situazione incomoda, ma positiva perché fa sperare che con le nuove generazioni le cose possano andare un po’ meglio di come stanno andando al momento: per lo meno sul piano teorico. E per la mia persona, all’apice di una carriera di polemista tra le più lunghe, continue e combattive che vi siano state in Italia, si tratta di un’esperienza completamente nuova.
Nelle questioni di fondo il tuo testo è in accordo più o meno a quanto è comparso sul blog di UR dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, ad opera non solo mia (Michele Nobile e altri), anche se io ho avuto la parte principale: ho contato 27 miei interventi, quasi tutti apparsi sul blog. La loro quantità mi esime dal ripetere con tutti gli argomenti le mie posizioni e mi consente di rispondere qui in termini schematici.
Provo a riassumere le principali divergenze, sperando di non avere male interpretato.
1) In una frase un po’ telegrafica, e quindi poco chiara, fai riferimento a «l’eccidio - giuridicamente definibile come genocidio, discutibile se sia giusto moralmente definirlo tale» - perpetrato da Israele ai danni del popolo gazawi.
2) Metti sullo stesso piano le colpe di Hamas e quelle del governo israeliano. Questo non lo si coglie tanto chiaramente dal testo, ma dalle nostre conversazioni so che la pensi a questo modo. Di conseguenza ritieni che un termine allo sterminio possano porlo sia Hamas sia Netanyahu.
3) Pensi (non lo dici espressamente, ma lo fai capire) che un paese smette di essere democratico se ricorre a metodi così atroci.
1. Sull’accusa di genocidio ai danni d’Israele, l’aspetto giuridico per il momento è chiaro anche se contraddittorio:
a) la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite (su istigazione del governo sudafricano) ha intimato a Israele di «prendere misure per non compiere atti possibilmente genocidari», ma non ha ordinato la fine delle azioni militari;
b) la Corte penale internazionale ha dichiarato l’ex ministro della difesa Gallant, e Netanyahu, colpevoli di «crimini di guerra» e di «crimini contro l’umanità», e ha spiccato dei mandati di cattura contro di loro.
Ma nessuna di queste due massime istanze giuridiche internazionali ha emesso una sentenza che contenga l’accusa di genocidio contro il governo israeliano. Pertanto, tutti coloro che stanno lanciando questa accusa allo Stato d’Israele lo stanno facendo a titolo personale. E non lo fanno su basi giuridiche, ma ideologiche, per lo più riconducibili a gradi diversi di antisemitismo.
Rimane ovviamente aperta la discussione se effettivamente si tratti di genocidio o no, e spero di interpretare correttamente la tua frase telegrafica, secondo cui tu ritieni «moralmente» infondata questa accusa.
La questione, però, è dirimente - visto che sta alla base della nuova esplosione di massa dell’antisemitismo - e quindi, per eliminare qualsiasi ombra di dubbio a tale riguardo, mi permetto di riassumere alcune considerazioni sulla questione, già espresse in vari altri miei articoli, tra i quali soprattutto «La presunta “pulizia etnica” israeliana» (del 13 febbraio 2024) e la seconda risposta a Claudio Albertani («Non è genocidio, ma massacro di civili», del 6 marzo 2024).
Lo sterminio di un popolo (aggredito o aggressore che sia) è cosa diversa dal genocidio, se non vi è una precisa intenzione di far estinguere un determinato popolo, etnia o classe sociale. Insomma, non è la quantità di morti o la ferocia militare che determinano il crimine di genocidio.
Nella guerra del Vietnam gli Usa fecero morire (anche col napalm) oltre un milione di vietnamiti (più civili che militari), 2-300.000 cambogiani, alcune decine di migliaia di laotiani. Fu certamente un crimine contro l’umanità (e il criminale numero uno fu il texano Lyndon B. Johnson), ma non fu genocidio. Né tale è stato considerato dalla storia.
Chiunque accetti in buona fede la definizione di genocida per il governo israeliano (ufficialmente non attribuita dai due principali organi giudiziari internazionali), dovrebbe chiedersi se vi sia mai stata l’intenzione israeliana di far scomparire il popolo gazawi, prima del 7 ottobre e anche dopo.
Per il prima la risposta è facile: Israele si era ritirato completamente da Gaza nel 1994, proprio per consentirne l’autonomia e la costituzione di un ersatz di Stato indipendente (uno Staterello, lo chiamo io). Netanyahu è considerato addirittura colpevole di aver permesso che ingenti finanziamenti arrivassero ad Hamas e che Hamas usasse questo denaro non per la popolazione, ma per preparare la guerra, i tunnel e instaurare un regime islamista dittatoriale, uccidendo tra l’altro i palestinesi fedeli all’Olp di Abu Mazen.
Per il dopo, come non ricordare tutti gli appelli del governo israeliano al popolo gazawi perché abbandonasse le zone che si accingeva a bombardare, al contrario di Hamas che tentò di impedire l’evacuazione della popolazione civile? Quale governo genocida si preoccupa di avvisare sulle zone che verranno bombardate e anche di far arrivare i rifornimenti alimentari all’etnia che intende annientare?
E non ti far ingannare sulla questione dei rifornimenti alimentari, perché anche lì entra in ballo Hamas e la sua appropriazione dei camion in arrivo, sia per imporre la propria autorità sia per rivendere gli alimenti. Tant’è vero che le Nazioni Unite stanno contrastando la distribuzione «alternativa» di alimenti fatta dalla Ghs (Gaza Humanitarian Foundation: Usa+Israele) perché tale distribuzione viene ora sottratta al controllo di Hamas. Basterebbe questa vergogna a far capire da che parte stia la maggioranza dei funzionari delle Nazioni Unite.
«Genocida» fa rima con «deicida», cioè l’accusa millenaria con cui sono stati perseguitati gli ebrei dalle culture «cristiane». E chi oggi si riempie la bocca con questa nuova «accusa di sangue», prova un brivido di eccitazione, sente il fascino perverso della continuità bimillenaria. Ma soprattutto è una scappatoia per l’Occidente di liberarsi dal senso di colpa nei riguardi dell’Olocausto. Questo rimane a tutt’oggi il più grande esempio storico moderno di genocidio, mentre quello ucraino (holodomor) viene al secondo posto sul piano quantitativo. E l’ironia della storia vuole che oggi siano ancora gli stessi popoli-vittima - ebraico e ucraino - a lottare per la propria sopravvivenza.
Dietro il dilagare del ricorso al termine «genocida», nuova versione della medievale «accusa di sangue», sta crescendo un antisemitismo di massa, in genere fondato sulla cattiva coscienza, sull’ignoranza e sull’imbecillità.
2. Fino al 7 ottobre il governo israeliano non aveva avuto alcuna intenzione di combattere militarmente contro Hamas. Da allora invece è scoppiata una guerra. Riassumiamo le caratteristiche di questa guerra asimmetrica.
Lo Staterello di Gaza (governato dittatorialmente da Hamas) ha dichiarato guerra allo Stato postdemocratico d’Israele (diretto da un governo di destra e di estrema destra) con il pogrom feroce, bestiale, disumano del 7 ottobre. Componente fondamentale di tale eccidio è stata la violenza di genere, quella rivolta a umiliare le donne tramite gli stupri, che però non deve far dimenticare anche il ricorso agli squartamenti. Lo ha fatto coll’esplicito proposito di provocare la reazione d’Israele, oltre che per bloccare il processo di pacificazione con l’Arabia Saudita. Ma dietro la dichiarazione di guerra di Hamas, c’era e continua ad esserci l’Iran.
Hamas ha cercato di impedire che il proprio popolo si mettesse al riparo dai bombardamenti. Hamas ha usato e continua a usare il popolo gazawi come scudi umani. Hamas ha mantenuto i propri miliziani mescolati alla popolazione negli ospedali, nelle scuole,in alcune sedi delle Nazioni Unite. Ma soprattutto, Hamas voleva che Israele avviasse il massacro del popolo gazawi, sperando così di suscitare la reazione di ciò che resta del mondo palestinese in Medio Oriente e non solo dei gruppi armati islamici filoiraniani. Sperava anche di poter soppiantare l’Anp in Cisgiordania, così come l’aveva cacciata con la forza da Gaza.
L’intento è fallito perché la disumana dichiarazione di guerra a Israele non ha coinvolto il resto del mondo palestinese non filoiraniano. In realtà non ha coinvolto nemmeno il popolo gazawi, al di fuori dei miliziani di Hamas: questo lo si vede chiaramente, ma non lo dice nessuno, specie tra gli antisemiti «di sinistra» sostenitori della presunta «resistenza» palestinese. Tra questi, con mio grande dispiacere, devo includere anche i trotskoidi del Segretariato unificato della Quarta internazionale, ormai accesamente filo Hamas. (Se non ci avessero espulsi nel 1975, saremmo dovuti uscirne sicuramente oggi.)
In Cisgiordania - dove ancora vivono arabi-palestinesi non assimilati e che avrebbero solide ragioni per insorgere contro Israele - a parte alcune manifestazini di lugubre gaudio dopo il pogrom del 7 ottobre, non si è poi mosso quasi nulla. Abu Mazen - a differenza dei sostenitori della «resistenza» palestinese - ha definito «cani» i dirigenti di Hamas e, per lo meno lui, ha chiesto la liberazione immediata degli ostaggi onde porre termine allo sterminio dei gazawi.
E qui veniamo al nodo dei nodi: lo sterminio dei gazawi si sarebbe potuto evitare senza la cattura degli ostaggi. Lo stermnio dei gazawi si poteva fermare in qualsiasi momento, semplicemente liberando gli ostaggi. Lo sterminio dei gazawi continua perché Hamas non vuole liberare le ultime decine di ostaggi, poveri esseri umani innocenti, ormai ridotti allo stato di larve.
Solo Hamas e nessun altro può fermare i massacri del governo israeliano. L’azione militare d’Israele non può fermarla nessuno finché tutti gli ultimi ostaggi non saranno stati liberati. Questa è la vera differenza di analisi tra noi due.
Premere su Netanyahu perché cessi le ostilità è una perdita di tempo. Nei casi più «nobili», è un alibi per mettersi a posto con la propria coscienza. Il bersaglio politico è errato e si dovrebbero invece concentrare tutte le energie per costringere Hamas a liberare gli ultimi ostaggi, se veramente si soffre per lo sterminio del popolo gazawi.
Io soffro per tale sterminio e per questo mi pongo il problema delle possibilità concrete per porvi fine. Non vado in giro a predicare la pace - quella che ormai si stava diffondendo in quasi tutto il mondo arabo ormai disposto a convivere con Israele - perché so che Hamas non l’accetterà mai e che continuerà a lottare per il genocidio degli ebrei d’Israele come sta scritto nel suo programma e come ripetono i suoi dirigenti.
La verità è che l’intero mondo civile occidentale si sente in colpa per non aver mai fatto nulla per aiutare veramente Israele a sopravvivere, negli anni in cui l’intero mondo arabo ne voleva la scomparsa dalla carta geografica del Medio Oriente: quando ne voleva in pratica il genocidio.
Che ci piaccia o no, il governo israeliano proseguirà lo sterminio finché Hamas non avrà liberato l’ultimo ostaggio. Giusta o sbagliata (ed è sbagliata, nel senso che dirò avanti) questa è la linea dall’attuale governo israeliano. Nulla può fermarlo: nemmeno gli Usa, anche se Trump volesse provare a farlo. Netanyahu continuerà a uccidere fino alla liberazione dell’ultimo ostaggio e Hamas continuerà ad essere il primo responsabile dello sterminio del proprio popolo: uno sterminio che ha voluto dall’inizio e che continua a volere rifiutando di liberare quella manciata di poveri ostaggi da cui dipendono le vite di migliaia di cittadini gazawi.
(Alla fine dirò quale alternativa esisteva allo sterminio dei gazawi o perlomeno cosa avrei fatto io se fossi stato a capo d’Israele.)
Quindi non puoi metterli sullo stesso piano: Hamas ha voluto lo sterminio e non lo vuole fermare. Il governo di Israele, aggredito e minacciato di genocidio, sta praticando lo sterminio, ma solo come forma sbagliatissima di autodifesa. E si fermerà solo quando l’ultimo ostaggio sarà stato liberato. Colpevoli di crimini contro l’umanità entrambi, ma la scelta di avviare i massacri è stata in primo luogo di Hamas (che non a caso ha cominciato a sua volta con un enorme massacro, sadico e disumano), mentre la realizzazione è responsabilità del governo israeliano. Non vedo come si possano mettere sullo stesso piano i due diversi tipi di crimini contro l’umanità: uno aggressivo e l’altro difensivo.
3. La democrazia interna di paesi capitalistici (in realtà postdemocratici) non è misurabile con le loro azioni di guerra. Gli Usa rimangono il paese più postdemocratico al mondo (e credo che su questo tu non abbia dubbi), secondo solo forse alle postdemocrazie scandinave. Di guerre ne ha fatte tante e anche spietate, come in Vietnam; ma non conduce più guerre coloniali(cioè di conquista di territori) dalla Guerra ispanoamericana del 1898, a differenza del nazifascismo, dello stalinismo, della Cina, della Russia attuale ecc.
Negli Usa si è potuto manifestare a livelli di massa contro quella stessa guerra indocinese e il movimento di protesta ha dato un grosso contributo alla vittoria vietnamita finale. In nessun altro paese capitalistico al mondo, per quel che mi risulta, si è mai permesso di manifestare mentre il paese era in guerra. Unica eccezione è ormai solo Israele, dove anche dopo il pogrom del 7 ottobre vi sono state manifestazioni continue (contro il governo), addirittura uno sciopero generale. E attualmente è in corso un processo contro Netanyahu per passate vicende. Sono esempi di pratiche democratiche impensabili nel mondo dittatoriale di chi vuole il genocidio degli ebrei d’Israele.
Trovami un altro paese che possa permettersi tanto pluralismo politico e istituzionale mentre fa la guerra. Anzi, mentre vive da decenni sotto la minaccia di genocidio: il genocidio degli ebrei israeliani che sta nel programma di Hamas, dell’Iran e dei suoi accoliti, ma che ormai e per fortuna non viene più rivendicato da alcun grande paese arabo.
E anche questo è un segno positivo dei tempi: il mondo arabo, nella sua stragrande maggioranza, ha abbandonato la vecchia posizione del genocidio ebraico-israeliano e ormai questa posizione di antisemitismo islamico (diverso da quello «cristiano» e da quello «di sinistra») è solo dell’Iran.
4. E con l’Iran veniamo al mio punto: cosa avrebbe dovuto fare Netanyahu se fossi stato io. Sì, io, ma con la mia formazione di marxista libertario e rivoluzionario. E lasciamo perdere tutto il prima, giacché io non avrei mai permesso ad Hamas di instaurare la sua dittatura e di usare i sussidi internazionali per preparare la guerra.
a) Dopo il 7 ottobre avrei fatto appello alla comunità internazionale perché mi aiutasse a liberare gli ostaggi: Nazioni Unite, Croce rossa, Tribunali vari, Chiese cristiane varie (la cattolica in primo luogo).
b) Nessuno di costoro si sarebbe mosso, come si poteva facilmente prevedere e quindi non mi sarebbe rimasta altra scelta che passare alle armi. Prima però avrei intimato al governo iraniano di far liberare gli ostaggi, se non voleva subire rappresaglie via via crescenti sul piano militare. (Devo dire che probabilmente avrei fatto lo stesso con il Qatar, dove la direzione di Hamas trova ancora riparo e finanziamenti.)
c) L’Iran ovviamente non avrebbe mosso un dito e quindi avrei cominciato a bombardare alcuni suoi siti strategici, militari soprattutto. A distanza di giorni avrei rinnovato l’ultimatum e allo stesso tempo avrei ampliato le aree da bombardare, con una vera e propria escalation, stando attento il più possibile a non colpire aree di civili.
Un’eventuale reazione militare dell’Iran sarebbe stata benvenuta perché avrebbe aperto la porta finalmente al bombardamento dei suoi siti nucleari: un bombardamento parziale ma non risolutivo, perché la possibilità di distruggerli del tutto sarebbe dipesa da risorse militari che hanno solo gli Usa e che purtroppo sembrano intenzionati a non utilizzare. Ma qualcosa sarebbe stato sempre meglio di niente, dato che l’Iran continua ad arricchire il proprio uranio in vista della creazione della bomba.
Prima o poi il governo iraniano avrebbe dovuto cedere (ordinando ad Hamas di liberare gli ostaggi), ma probabilmente vi sarebbe stata a un certo punto l’insurrezione della sua popolazione che, a maggioranza, non ne può più della dittatura teocratica degli ayatollah.
Sconfitto l’Iran, liberati gli ostaggi, non vi sarebbe stato il massacro dei gazawi e anche Hamas sarebbe finalmente scomparso dalla faccia della Terra.
Il fatto che una posizione analoga sia stata espressa da Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera del 26 maggio) non mi preoccupa. Anzi mi conforta, perché dimostra che in fondo la mia posizione non è così estrema o estremista come può sembrare, se ci è arrivato spontanemaente anche un intellettuale liberaldemocatico, animato da spirito illuministico e da una notevole preparazione teorica.
Per concludere: ti invito a non mettere sullo stesso piano i crimini contro l’umanità di Hamas con quelli dell’attuale governo israeliano. La differenza è qualitativa.
Ribadisco inoltre che solo Hamas può porre termine allo sterminio dei gazawi. Ma anche che le Nazioni Unite, la Chiesa e la Croce rossa non hanno fatto nulla per liberare gli ostaggi. Messi tutti insieme, forse ci sarebbero riusciti e avrebbero salvato decine di migliaia di vite umane. Ma evidentemente il salvataggio degli ostaggi - e quindi anche del popolo gazawi - non interessava loro come pare non interessare gli antisemiti «di sinistra». Nuocere a Israele sembra invece il movente principale di tutti questi organismi internazionali. Se penso che Hamas non è inserito tra i gruppi terroristici, nemmeno dopo ciò che aveva fatto a Gaza (uccisione dei palestinesi fedeli ad Abu Mazen) e poi in territorio israeliano (pogrom del 7 ottobre), mi rendo conto di quanto illusoria fosse fin dall’inizio la speranza di un intervento delle Nazioni Unite.
Infine, rifletti a lungo sull’ipotesi dei bombardamenti crescenti contro l’Iran - oggi il principale nemico della pace nel mondo, più dello stesso regime russo - perché la conseguenza immediata di una tale posizione è che Israele sta combattendo anche per noi e per la salvezza dell’umanità dalla catastrofe nucleare. Questa sicuramente esploderà il giorno in cui il regime fanatico degli ayatollah sarà riuscito a confezionare le sue prime bombe atomiche.
Se vi arriverà, non ho alcun dubbio che le lancerà immediatamente su Israele, consapevole dell’inevitabile rappresaglia nucleare, ma invocando il sacrificio dell’intero popolo iraniano, come Hamas non ha esitato a sacrificare il popolo gazawi. L’integralismo islamico, del resto, prevede l’entrata nel paradiso di Allah di coloro che combattono contro gli infedeli. E lì, come ben sai, ogni maschio è atteso da una settantina di vergini con grossi seni (secondo quanto promette il Corano). Ma niente per le donne.
Indipendentemente da questa mia posizione fondata sul’escalation militare contro l’Iran, sarebbe bello che tu arrivassi a un’altra soluzione, frutto della tua mente e comprensibile per la tua generazione. Ma l’importante è che essa sia pratica, che ne siano indicati i soggetti reali e i tempi di realizzazione, e non sia una semplice petizione di principio - come fanno tutti coloro che invocano la pace, senza tener conto delle forze in gioco.
Alla mia posizione io arrivo avendo alle spalle il mio percorso teorico, figlio di un certo tipo di cultura marxista rivoluzionaria e libertaria, impegnato praticamente dagli anni ‘60 a lottare per l’abolizione del capitalismo (nel senso di un suo superamento e non di regresso a formazioni sociali precapitalistiche o istituzioni predemocratiche). Come ben sai, sono ormai privo di qualsivoglia fiducia nelle istituzioni politiche che dominano il mondo (Nazioni Unite comprese), e sono addirittura sgomento per i processi degenerativi in senso dittatoriale, hitlerocomunistico e antisemitico che sta inducendo la smania di protagonismo digitale anche in molti giovani della tua generazione.
shalom
Babbo