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lunedì 9 giugno 2025

SOLO HAMAS PUÒ FERMARE LO STERMINIO A GAZA

di Roberto Massari


ITALIANO - ENGLISH


Risposta a Laris Massari


Caro Laris, la tua lettera è apparsa sul blog e ha provocato varie reazioni, di segno diverso tra loro. Poiché la lettera era rivolta direttamente a me, non posso non risponderti, anche se mi trovo nella curiosa situazione di padre-educatore e polemista allo stesso tempo. Situazione incomoda, ma positiva perché fa sperare che con le nuove generazioni le cose possano andare un po’ meglio di come stanno andando al momento: per lo meno sul piano teorico. E per la mia persona, all’apice di una carriera di polemista tra le più lunghe, continue e combattive che vi siano state in Italia, si tratta di un’esperienza completamente nuova.

 

Nelle questioni di fondo il tuo testo è in accordo più o meno a quanto è comparso sul blog di UR dopo il pogrom del 7 ottobre 2023, ad opera non solo mia (Michele Nobile e altri), anche se io ho avuto la parte principale: ho contato 27 miei interventi, quasi tutti apparsi sul blog. La loro quantità mi esime dal ripetere con tutti gli argomenti le mie posizioni e mi consente di rispondere qui in termini schematici. 

Provo a riassumere le principali divergenze, sperando di non avere male interpretato.

1) In una frase un po’ telegrafica, e quindi poco chiara, fai riferimento a «l’eccidio - giuridicamente definibile come genocidio, discutibile se sia giusto moralmente definirlo tale» - perpetrato da Israele ai danni del popolo gazawi.

2) Metti sullo stesso piano le colpe di Hamas e quelle del governo israeliano. Questo non lo si coglie tanto chiaramente dal testo, ma dalle nostre conversazioni so che la pensi a questo modo. Di conseguenza ritieni che un termine allo sterminio possano porlo sia Hamas sia Netanyahu.

3) Pensi (non lo dici espressamente, ma lo fai capire) che un paese smette di essere democratico se ricorre a metodi così atroci.

 

1. Sull’accusa di genocidio ai danni d’Israele, l’aspetto giuridico per il momento è chiaro anche se contraddittorio:

a) la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite (su istigazione del governo sudafricano) ha intimato a Israele di «prendere misure per non compiere atti possibilmente genocidari», ma non ha ordinato la fine delle azioni militari;

b) la Corte penale internazionale ha dichiarato l’ex ministro della difesa Gallant, e Netanyahu, colpevoli di «crimini di guerra» e di «crimini contro l’umanità», e ha spiccato dei mandati di cattura contro di loro.

Ma nessuna di queste due massime istanze giuridiche internazionali ha emesso una sentenza che contenga l’accusa di genocidio contro il governo israeliano. Pertanto, tutti coloro che stanno lanciando questa accusa allo Stato d’Israele lo stanno facendo a titolo personale. E non lo fanno su basi giuridiche, ma ideologiche, per lo più riconducibili a gradi diversi di antisemitismo.

Rimane ovviamente aperta la discussione se effettivamente si tratti di genocidio o no, e spero di interpretare correttamente la tua frase telegrafica, secondo cui tu ritieni «moralmente» infondata questa accusa.

 

La questione, però, è dirimente - visto che sta alla base della nuova esplosione di massa dell’antisemitismo - e quindi, per eliminare qualsiasi ombra di dubbio a tale riguardo, mi permetto di riassumere alcune considerazioni sulla questione, già espresse in vari altri miei articoli, tra i quali soprattutto «La presunta “pulizia etnica” israeliana» (del 13 febbraio 2024) e la seconda risposta a Claudio Albertani («Non è genocidio, ma massacro di civili», del 6 marzo 2024).

Lo sterminio di un popolo (aggredito o aggressore che sia) è cosa diversa dal genocidio, se non vi è una precisa intenzione di far estinguere un determinato popolo, etnia o classe sociale. Insomma, non è la quantità di morti o la ferocia militare che determinano il crimine di genocidio.

Nella guerra del Vietnam gli Usa fecero morire (anche col napalm) oltre un milione di vietnamiti (più civili che militari), 2-300.000 cambogiani, alcune decine di migliaia di laotiani. Fu certamente un crimine contro l’umanità (e il criminale numero uno fu il texano Lyndon B. Johnson), ma non fu genocidio. Né tale è stato considerato dalla storia.

Chiunque accetti in buona fede la definizione di genocida per il governo israeliano (ufficialmente non attribuita dai due principali organi giudiziari internazionali), dovrebbe chiedersi  se vi sia mai stata l’intenzione israeliana di far scomparire il popolo gazawi, prima del 7 ottobre e anche dopo.

Per il prima la risposta è facile: Israele si era ritirato completamente da Gaza nel 1994, proprio per consentirne l’autonomia e la costituzione di un ersatz di Stato indipendente (uno Staterello, lo chiamo io). Netanyahu è considerato addirittura colpevole di aver permesso che ingenti finanziamenti arrivassero ad Hamas e che Hamas usasse questo denaro non per la popolazione, ma per preparare la guerra, i tunnel e instaurare un regime islamista dittatoriale, uccidendo tra l’altro i palestinesi fedeli all’Olp di Abu Mazen.

Per il dopo, come non ricordare tutti gli appelli del governo israeliano al popolo gazawi perché abbandonasse le zone che si accingeva a bombardare, al contrario di Hamas che tentò di impedire l’evacuazione della popolazione civile? Quale governo genocida si preoccupa di avvisare sulle zone che verranno bombardate e anche di far arrivare i rifornimenti alimentari all’etnia che intende annientare?

E non ti far ingannare sulla questione dei rifornimenti alimentari, perché anche lì entra in ballo Hamas e la sua appropriazione dei camion in arrivo, sia per imporre la propria autorità sia per rivendere gli alimenti. Tant’è vero che le Nazioni Unite stanno contrastando la distribuzione «alternativa» di alimenti fatta dalla Ghs (Gaza Humanitarian Foundation: Usa+Israele) perché tale distribuzione viene ora sottratta al controllo di Hamas. Basterebbe questa vergogna a far capire da che parte stia la maggioranza dei funzionari delle Nazioni Unite.

«Genocida» fa rima con «deicida», cioè l’accusa millenaria con cui sono stati perseguitati gli ebrei dalle culture «cristiane». E chi oggi si riempie la bocca con questa nuova «accusa di sangue», prova un brivido di eccitazione, sente il fascino perverso della continuità bimillenaria. Ma soprattutto è una scappatoia per l’Occidente di liberarsi dal senso di colpa nei riguardi dell’Olocausto. Questo rimane a tutt’oggi il più grande esempio storico moderno di genocidio, mentre quello ucraino (holodomor) viene al secondo posto sul piano quantitativo. E l’ironia della storia vuole che oggi siano ancora gli stessi popoli-vittima - ebraico e ucraino - a lottare per la propria sopravvivenza.

Dietro il dilagare del ricorso al termine «genocida», nuova versione della medievale «accusa di sangue», sta crescendo un antisemitismo di massa, in genere fondato sulla cattiva coscienza, sull’ignoranza e sull’imbecillità.

 

2. Fino al 7 ottobre il governo israeliano non aveva avuto alcuna intenzione di combattere militarmente contro Hamas. Da allora invece è scoppiata una guerra. Riassumiamo le caratteristiche di questa guerra asimmetrica.

Lo Staterello di Gaza (governato dittatorialmente da Hamas) ha dichiarato guerra allo Stato postdemocratico d’Israele (diretto da un governo di destra e di estrema destra) con il pogrom feroce, bestiale, disumano del 7 ottobre. Componente fondamentale di tale eccidio è stata la violenza di genere, quella rivolta a umiliare le donne tramite gli stupri, che però non deve far dimenticare anche il ricorso agli squartamenti. Lo ha fatto coll’esplicito proposito di provocare la reazione d’Israele, oltre che per bloccare il processo di pacificazione con l’Arabia Saudita. Ma dietro la dichiarazione di guerra di Hamas, c’era e continua ad esserci l’Iran.

Hamas ha cercato di impedire che il proprio popolo si mettesse al riparo dai bombardamenti. Hamas ha usato e continua a usare il popolo gazawi come scudi umani. Hamas ha mantenuto i propri miliziani mescolati alla popolazione negli ospedali, nelle scuole,in alcune sedi delle Nazioni Unite. Ma soprattutto, Hamas voleva che Israele avviasse il massacro del popolo gazawi, sperando così di suscitare la reazione di ciò che resta del mondo palestinese in Medio Oriente e non solo dei gruppi armati islamici filoiraniani. Sperava anche di poter soppiantare l’Anp in Cisgiordania, così come l’aveva cacciata con la forza da Gaza.

L’intento è fallito perché la disumana dichiarazione di guerra a Israele non ha coinvolto il resto del mondo palestinese non filoiraniano. In realtà non ha coinvolto nemmeno il popolo gazawi, al di fuori dei miliziani di Hamas: questo lo si vede chiaramente, ma non lo dice nessuno, specie tra gli antisemiti «di sinistra» sostenitori della presunta «resistenza» palestinese. Tra questi, con mio grande dispiacere, devo includere anche i trotskoidi del Segretariato unificato della Quarta internazionale, ormai accesamente filo Hamas. (Se non ci avessero espulsi nel 1975, saremmo dovuti uscirne sicuramente oggi.)

In Cisgiordania - dove ancora vivono arabi-palestinesi non assimilati e che avrebbero solide ragioni per insorgere contro Israele - a parte alcune manifestazini di lugubre gaudio dopo il pogrom del 7 ottobre, non si è poi mosso quasi nulla. Abu Mazen - a differenza dei sostenitori della «resistenza» palestinese - ha definito «cani» i dirigenti di Hamas e, per lo meno lui, ha chiesto la liberazione immediata degli ostaggi onde porre termine allo sterminio dei gazawi.

E qui veniamo al nodo dei nodi: lo sterminio dei gazawi si sarebbe potuto evitare senza la cattura degli ostaggi. Lo stermnio dei gazawi si poteva fermare in qualsiasi momento, semplicemente liberando gli ostaggi. Lo sterminio dei gazawi continua perché Hamas non vuole liberare le ultime decine di ostaggi, poveri esseri umani innocenti, ormai ridotti allo stato di larve.

Solo Hamas e nessun altro può fermare i massacri del governo israeliano. L’azione militare d’Israele non può fermarla nessuno finché tutti gli ultimi ostaggi non saranno stati liberati. Questa è la vera differenza di analisi tra noi due.

Premere su Netanyahu perché cessi le ostilità è una perdita di tempo. Nei casi più «nobili», è un alibi per mettersi a posto con la propria coscienza. Il bersaglio politico è errato e si dovrebbero invece concentrare tutte le energie per costringere Hamas a liberare gli ultimi ostaggi, se veramente si soffre per lo sterminio del popolo gazawi.

Io soffro per tale sterminio e per questo mi pongo il problema delle possibilità concrete per porvi fine. Non vado in giro a predicare la pace - quella che ormai si stava diffondendo in quasi tutto il mondo arabo ormai disposto a convivere con Israele - perché so che Hamas non l’accetterà mai e che continuerà a lottare per il genocidio degli ebrei d’Israele come sta scritto nel suo programma e come ripetono i suoi dirigenti.

La verità è che l’intero mondo civile occidentale si sente in colpa per non aver mai fatto nulla per aiutare veramente Israele a sopravvivere, negli anni in cui l’intero mondo arabo ne voleva la scomparsa dalla carta geografica del Medio Oriente: quando ne voleva in pratica il genocidio.

Che ci piaccia o no, il governo israeliano proseguirà lo sterminio finché Hamas non avrà liberato l’ultimo ostaggio. Giusta o sbagliata (ed è sbagliata, nel senso che dirò avanti) questa è la linea dall’attuale governo israeliano. Nulla può fermarlo: nemmeno gli Usa, anche se Trump volesse provare a farlo. Netanyahu continuerà a uccidere fino alla liberazione dell’ultimo ostaggio e Hamas continuerà ad essere il primo responsabile dello sterminio del proprio popolo: uno sterminio che ha voluto dall’inizio e che continua a volere rifiutando di liberare quella manciata di poveri ostaggi da cui dipendono le vite di migliaia di cittadini gazawi.

(Alla fine dirò quale alternativa esisteva allo sterminio dei gazawi o perlomeno cosa avrei fatto io se fossi stato a capo d’Israele.)

Quindi non puoi metterli sullo stesso piano: Hamas ha voluto lo sterminio e non  lo vuole fermare. Il governo di Israele, aggredito e minacciato di genocidio, sta praticando lo sterminio, ma solo come forma sbagliatissima di autodifesa. E si fermerà solo quando l’ultimo ostaggio sarà stato liberato. Colpevoli di crimini contro l’umanità entrambi, ma la scelta di avviare i massacri è stata in primo luogo di Hamas (che non a caso ha cominciato a sua volta con un enorme massacro, sadico e disumano), mentre la realizzazione è responsabilità del governo israeliano. Non vedo come si possano mettere sullo stesso piano i due diversi tipi di crimini contro l’umanità: uno aggressivo e l’altro difensivo.

 

3. La democrazia interna di paesi capitalistici (in realtà postdemocratici) non è misurabile con le loro azioni di guerra. Gli Usa rimangono il paese più postdemocratico al mondo (e credo che su questo tu non abbia dubbi), secondo solo forse alle postdemocrazie scandinave. Di guerre ne ha fatte tante e anche spietate, come in Vietnam; ma non conduce più guerre coloniali(cioè di conquista di territori) dalla Guerra ispanoamericana del 1898, a differenza del nazifascismo, dello stalinismo, della Cina, della Russia attuale ecc.

Negli Usa si è potuto manifestare a livelli di massa contro quella stessa guerra indocinese e il movimento di protesta ha dato un grosso contributo alla vittoria vietnamita finale. In nessun altro paese capitalistico al mondo, per quel che mi risulta, si è mai permesso di manifestare mentre il paese era in guerra. Unica eccezione è ormai solo Israele, dove anche dopo il pogrom del 7 ottobre vi sono state manifestazioni continue (contro il governo), addirittura uno sciopero generale. E attualmente è in corso un processo contro Netanyahu per passate vicende. Sono esempi di pratiche democratiche impensabili nel mondo dittatoriale di chi vuole il genocidio degli ebrei d’Israele.

Trovami un altro paese che possa permettersi tanto pluralismo politico e istituzionale mentre fa la guerra. Anzi, mentre vive da decenni sotto la minaccia di genocidio: il genocidio degli ebrei israeliani che sta nel programma di Hamas, dell’Iran e dei suoi accoliti, ma che ormai e per fortuna non viene più rivendicato da alcun grande paese arabo.

E anche questo è un  segno positivo dei tempi: il mondo arabo, nella sua stragrande maggioranza, ha abbandonato la vecchia posizione del genocidio ebraico-israeliano e ormai questa posizione di antisemitismo islamico (diverso da quello «cristiano» e da quello «di sinistra») è solo dell’Iran.

 

4. E con l’Iran veniamo al mio punto: cosa avrebbe dovuto fare Netanyahu se fossi stato io. Sì, io, ma con la mia formazione di marxista libertario e rivoluzionario. E lasciamo perdere tutto il prima, giacché io non avrei mai permesso ad Hamas di instaurare la sua dittatura e di usare i sussidi internazionali per preparare la guerra.

a) Dopo il 7 ottobre avrei fatto appello alla comunità internazionale perché mi aiutasse a liberare gli ostaggi: Nazioni Unite, Croce rossa, Tribunali vari, Chiese cristiane varie (la cattolica in primo luogo).

b) Nessuno di costoro si sarebbe mosso, come si poteva facilmente prevedere e quindi non mi sarebbe rimasta altra scelta che passare alle armi. Prima però avrei intimato al governo iraniano di far liberare gli ostaggi, se non voleva subire rappresaglie via via crescenti sul piano militare. (Devo dire che probabilmente avrei fatto lo stesso con il Qatar, dove la direzione di Hamas trova ancora riparo e finanziamenti.)

c) L’Iran ovviamente non avrebbe mosso un dito e quindi avrei cominciato a bombardare alcuni suoi siti strategici, militari soprattutto. A distanza di giorni avrei rinnovato l’ultimatum e allo stesso tempo avrei ampliato le aree da bombardare, con una vera e propria escalation, stando attento il più possibile a non colpire aree di civili.

Un’eventuale reazione militare dell’Iran sarebbe stata benvenuta perché avrebbe aperto la porta finalmente al bombardamento dei suoi siti nucleari: un bombardamento parziale ma non risolutivo, perché la possibilità di distruggerli del tutto sarebbe dipesa da risorse militari che hanno solo gli Usa e che purtroppo sembrano intenzionati a non utilizzare. Ma qualcosa sarebbe stato sempre meglio di niente, dato che l’Iran continua ad arricchire il proprio uranio in vista della creazione della bomba.

Prima o poi il governo iraniano avrebbe dovuto cedere (ordinando ad Hamas di liberare gli ostaggi), ma probabilmente vi sarebbe stata a un certo punto l’insurrezione della sua popolazione che, a maggioranza, non ne può più della dittatura teocratica degli ayatollah.

Sconfitto l’Iran, liberati gli ostaggi, non vi sarebbe stato il massacro dei gazawi e anche Hamas sarebbe finalmente scomparso dalla faccia della Terra.

Il fatto che una posizione analoga sia stata espressa da Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera del 26 maggio) non mi preoccupa. Anzi mi conforta, perché dimostra che in fondo la mia posizione non è così estrema o estremista come può sembrare, se ci è arrivato spontanemaente anche un intellettuale liberaldemocatico, animato da spirito illuministico e da una notevole preparazione teorica.

 

Per concludere: ti invito a non mettere sullo stesso piano i crimini contro l’umanità di Hamas con quelli dell’attuale governo israeliano. La differenza è qualitativa.

Ribadisco inoltre che solo Hamas può porre termine allo sterminio dei gazawi. Ma anche che le Nazioni Unite, la Chiesa e la Croce rossa non hanno fatto nulla per liberare gli ostaggi. Messi tutti insieme, forse ci sarebbero riusciti e avrebbero salvato decine di migliaia di vite umane. Ma evidentemente il salvataggio degli ostaggi - e quindi anche del popolo gazawi -  non interessava loro come pare non interessare gli antisemiti «di sinistra». Nuocere a Israele sembra invece il movente principale di tutti questi organismi internazionali. Se penso che Hamas non è inserito tra i gruppi terroristici, nemmeno dopo ciò che aveva fatto a Gaza (uccisione dei palestinesi fedeli ad Abu Mazen) e poi  in territorio israeliano (pogrom del 7 ottobre), mi rendo conto di quanto illusoria fosse fin dall’inizio la speranza di un intervento delle Nazioni Unite.

Infine, rifletti a lungo sull’ipotesi dei bombardamenti crescenti contro l’Iran - oggi il principale nemico della pace nel mondo, più dello stesso regime russo - perché la conseguenza immediata di una tale posizione è che Israele sta combattendo anche per noi e per la salvezza dell’umanità dalla catastrofe nucleare. Questa sicuramente esploderà il giorno in cui il regime fanatico degli ayatollah sarà riuscito a confezionare le sue prime bombe atomiche.

Se vi arriverà, non ho alcun dubbio che le lancerà immediatamente su Israele, consapevole dell’inevitabile rappresaglia nucleare, ma invocando il sacrificio dell’intero popolo iraniano, come Hamas non ha esitato a sacrificare il popolo gazawi. L’integralismo islamico, del resto, prevede l’entrata nel paradiso di Allah di coloro che combattono contro gli infedeli. E lì, come ben sai, ogni maschio è atteso da una settantina di vergini con grossi seni (secondo quanto promette il Corano). Ma niente per le donne.

 

Indipendentemente da questa mia posizione fondata sul’escalation militare contro l’Iran, sarebbe bello che tu arrivassi a un’altra soluzione, frutto della tua mente e comprensibile per la tua generazione. Ma l’importante è che essa sia pratica, che ne siano indicati i soggetti reali e i tempi di realizzazione, e non sia una semplice petizione di principio - come fanno tutti coloro che invocano la pace, senza tener conto delle forze in gioco.

Alla mia posizione io arrivo avendo alle spalle il mio percorso teorico, figlio di un certo tipo di cultura marxista rivoluzionaria e libertaria, impegnato praticamente dagli anni ‘60 a lottare per l’abolizione del capitalismo (nel senso di un suo superamento e non di regresso a formazioni sociali precapitalistiche o istituzioni predemocratiche). Come ben sai, sono ormai privo di qualsivoglia fiducia nelle istituzioni politiche che dominano il mondo (Nazioni Unite comprese), e sono addirittura sgomento per i processi degenerativi in senso dittatoriale, hitlerocomunistico e antisemitico che sta inducendo la smania di protagonismo digitale anche in molti giovani della tua generazione.

shalom

Babbo

lunedì 2 giugno 2025

LA STRAGE A GAZA DEVE FINIRE

di Laris Massari


ITALIANO - ENGLISH


Caro papà, dopo le nostre recenti discussioni sull’argomento, non potevo esimermi dal mettere per iscritto i miei dubbi e pensieri.


La strage a Gaza deve finire. Ci sono due modi più evidenti perché ciò avvenga. Che Hamas restituisca gli ostaggi - e su questo siamo d’accordo dall’inizio - o che Israele cessi di essere l’esecutore della strage - che col tempo sta assumendo dimensioni inaccettabili. Hamas è colpevole del macabro 7 ottobre, è colpevole di usare i cittadini di Gaza come scudi umani, di aver utilizzato gli aiuti umanitari per prepararsi alla guerra contro Israele (costruzione dei tunnel ecc.), nonché di avere intenzioni omicide nettamente antisemite.

Detto questo, di cosa è colpevole Israele? Lo vogliamo dire? O facciamo finta di niente? E non mi riferisco alle colpe di Netanyhau precedenti al 7 ottobre che hanno favorito lo sviluppo di Hamas, né alle mire colonialistiche di Israele. A tutto ciò si potrebbe sempre rispondere, senza sbagliare, che Israele lotta sin dagli inizi per la sua sopravvivenza, minacciato costantemente su molteplici fronti.

E anche sulla leggimità dell’esistenza di Israele come Stato siamo d’accordo, come lo siamo sul fatto che chi nega tale leggitimità sta di fatto sostenendo (coscientemente o non) una posizione antisemita. Ma mi riferisco all’eccidio - giuridicamente definibile come genocidio, discutibile se sia giusto moralmente definirlo tale - perpetrato nei confronti del popolo palestinese di Gaza sin dal 7 ottobre. Certo, agli inizi poteva sembrare «solo» una vendetta esagerata - una delle varie della lunga questione israelopalestinese - che la barbarie del 7 ancora fresca in qualche modo poteva attenuare (seppur già eticamente condannabili le morti innocenti). Oltre che apparire come un’azione difensiva, visti i lanci coordinati di missili da circa sei fronti diversi (bloccati dalla difesa aerea israeliana). E siamo d’accordo che Israele sia stato lasciato a se stesso dalle varie organizzazioni mondiali/Stati e da una buona parte dell’opinione pubblica, ma anche che il governo Netanyhau abbia agito troppo repentinamente senza appellarsi alle suddette organizzazioni/Stati e perché no, all’opinione pubblica. 

Uno Stato realmente evoluto, democratico e, diciamo così, dai valori occidentali maturati col tempo - anche grazie alle varie esperienze catastrofiche - non avrebbe agito come sta agendo Israele negli anni Venti del Ventunesimo secolo. La barbarie involuta purtroppo ce la possiamo ancora aspettare dalle organizzazioni terroristiche codarde, da alcuni regimi teocratici fondamentalisti o semplicemente da dittature e totalitarismi. Ma da uno Stato più o meno democratico no, non lo posso accettare, perché è anacronistico. Lo scontro tra civiltà è reale, tangibile, ma per stare «dalla nostra» bisogna esserne degni; non si può usare la stessa ferocia del nemico (dichiaratosi tale). Altrimenti le acque si mischiano. E la confusione cresce a dismisura nelle menti labili umane. 

Israele, che ripetiamo essere stato isolato da molti, ma non da tutti, non sta dando prova di essere degno. Sta dimostrando invece di essere feroce e spietato. Vuoi perché infuriato dalla minaccia reale dell’antisemitismo, vuoi perché spinto dall’istinto di sopravvivenza - da non dimenticare anche la minaccia dell’ideologia fondamentalista ebraica, seppure una minoranza estremista, che però Netanyhau vuole accontentare - ma sta comunque commettendo grandi crimini contro l’umanità. Sta mettendo a rischio la sopravvivenza altrui. E i crimini contro l’umanità, che vanno oltre la legittima difesa naturale, stanno tutti sullo stesso piano, a prescindere da quale parte dell’umanità ne sia la vittima diretta. Sul riconoscere questo si fonda la differenza fra una civiltà più evoluta e una meno.

Vogliamo condannare chiaro e tondo questi crimini? Così come condanniamo chiaro e tondo i crimini di Hamas, degli ayatollah iraniani ecc. ecc.? Condannare significa anche esprimersi e battersi (almeno intellettualmente) perché questi crimini si fermino. Questa non è la soluzione a tutto il problema - la minaccia del terrorismo islamico all’esistenza d’Israele, le mire espansionistiche di quest’ultimo - ma è il modo più sensato e razionale, il più democratico, perché il problema non s’ingigantisca. Che è comunque un modo di risolverlo, il problema, evitare che vada in «metastasi».

E al problema ci aggiungo certamente l’antisemitismo dilagante in crescita, per il quale ad avere grosse responsabilità è anche, paradossalmente, lo stesso Israele. D’altronde, pure il terrorismo islamico non fa che aumentare l’islamofobia, problema diverso, ma anch’esso esistente e impattante sulle prese di posizione. Possibile che non ci si renda conto di stare dandosi «la zappa sui piedi»?

Israele, al momento, si sta e ci sta dando un colpo traumatico, da cui non sarà facile riprendersi, per lo scontro fra civiltà che va (ahimè) delineandosi. Scontro che, se dovrà essere affrontano sul piano di guerra, dovrà essere per scelta del nemico e non nostra. Con ciò non escludo la necessità di azioni preventive: a questo serve lo spionaggio, purché ovviamente i governi siano trasparenti sulle proprie intenzioni con la propria popolazione. A ciò Israele è dovuto ricorrere in passato (vedi la guerra dei 6 giorni), ma non è questo il caso di Gaza al momento.

È vero che Israele è sempre stato un baluardo dell’Occidente e che lotta in prima linea, ma si sta macchiando sempre di più di quella barbarie disumana che noi diciamo di disconoscere, e rischia di non essere più riconoscibile ai nostri occhi, non dico di rivoluzionari, ma almeno di individui coscienti di volere un mondo più giusto. Facciamolo fermare in tempo (se non è già tardi), prima che sia del tutto irrecuperabile e ostile anche alla metà di mondo di cui invece dovrebbe curare gli interessi e i valori più o meno consolidati - un po’ a rischio ultimamente (come da sempre) anche sul fronte interno.

Da che parte vogliamo stare? Io opterei per la parte della Ragione - nel senso di non perdere la razionalità e la lucidità, che è sempre più arduo - unica vera arma per una strategia evolutiva funzionante. Ci sarà sempre qualcuno, da entrambe le parti, che tenderà a semplificare, a generalizzare o a professare il falso. Per i più disparati motivi psichici che vogliamo, probabilmente dovuti all’inaccettabilità della propria impotenza nel controllo degli avvenimenti. Dobbiamo essere scaltri e cercare di selezionare quel poco o tanto di vero che proviene sia dagli uni che dagli altri e farne una posizione intermedia. Avendo anche l’umiltà al bisogno di riconoscere che si tratta di uno di quei grovigli complessi tipici della natura umana, ai quali si può trovare risposta solo accettando che rimarrà sempre una piccola componente indefinibile, intrinsecamente disordinata, che non ci è dato controllare.

Per la salvaguardia della nostra e possibilmente di tutte le altre specie sulla Terra!



ENGLISH

domenica 1 giugno 2025

DIMISSIONI DA UTOPIA ROSSA

di Claudio Albertani


ITALIANO - ESPANOL - ENGLISH 


Lettera aperta alla redazione di Utopia Rossa


Cari amici: per anni ho collaborato con voi, l’associazione Utopia Rossa, perché condivido l’idea di lavorare per l’unità dei movimenti rivoluzionari del mondo in un progetto internazionalista nel quale possano convivere persone di provenienza marxista e libertaria. Tuttavia, le posizioni incredibilmente prosioniste e antipalestinesi che avete assunto negli ultimi tempi mi obbligano a presentarvi le mie dimissioni. 

Io non credo che l’azione di Hamas del 7 ottobre 2023 sia stata un pogrom; penso che sia stata un’azione di guerra contro lo Stato sionista, il che è ben diverso. Sono ateo e non sono d’accordo con nessun fondamentalismo, però penso che i palestinesi abbiano il diritto di resistere alla violenza criminale di Israele. Il terrorismo è un’arma odiosa, senza dubbio, ma ancora più odiosa è la giustificazione del genocidio della popolazione palestinese in nome dell’integrità di Israele, l’ultimo stato apertamente colonialista del ventunesimo secolo. Io sto con gli ebrei che in tutto il mondo gridano «no in nostro nome» e, come Ilan Pappe, Norman Finkelstein e tanti altri, sono convinto che mentre Israele esiste non ci sarà pace in Medio Oriente e nel mondo intero. 

Dopo diciannove mesi di violenza e distruzione, dopo 55.000 morti palestinesi (molti di più secondo fonti indipendenti), in gran parte civili, donne e bambini, avete il coraggio di pubblicare il testo infame di due sionisti sudamericani, Nathan Novik e Edison Zoldan, che cinicamente difendono l’operato dell’esercito israeliano in Gaza e in Cisgiordania e, invece del dialogo, esigono la resa incondizionata di Hamas, il suo disarmo totale e liberazione degli ostaggi. 

Ho aspettato molto a prendere questa decisione e ne sono spiacente, ma credo di aver raggiunto il limite: non posso più tollerare che il mio nome appaia accanto a fiancheggiatori dello Stato sionista. Vi chiedo quindi di pubblicare questa lettera e poi di eliminarmi dalla vostra pagina.


Claudio Albertani


(Città del Messico, 31 maggio 2025)


_____________________________


Claudio, ti ringrazio per la sincerità con cui prendi atto dell’impossibilità di restare nel Comitato di redazione internazionale di Utopia Rossa e più in generale nell’area rossoutopica.

Devo dirti che, dopo il nostro scambio di lettere successive al pogrom del 7 ottobre, mi chiedevo quanto avrei dovuto aspettare perché tu prendessi questa decisione.

Il 12 dicembre 2023, infatti, tu avevi scritto: «Se voi credete nella legittimità dello Stato di Israele, io ammetto di coincidere con le correnti del pensiero ebreo che la negano».

E quando il il 6 marzo 2024 ti scrissi: «Questa ondata di antisemitismo, che purtroppo sembra includere anche te, lascerà tracce profonde nella storia della sinistra reazionaria italiana», tu mi rispondesti: «Se mi vuoi esibire come parte della sinistra reazionaria che sostiene i palestinesi, non ho nessun problema, anzi ne sarei onorato».

Che tu restassi con noi, qiuindi, non aveva più senso. Ma da Utopia rossa si esce solo volontariamente. Quindi ti ringrazio per aver posto termine a una situazione insostenibile: insostenibile almeno per me, visto che non posso parlare a nome degli altri.

Buona fortuna.


Roberto 



ESPANOL

sabato 31 maggio 2025

DECLARACIÓN SOBRE ISRAEL/GAZA

por Nathan Novik y Edison Zoldan


ESPANOL - ITALIANO


1. Contexto del Conflicto y Postura Inicial

 Hemos condenado de forma categórica el ataque perpetrado por Hamas el 7 de octubre de 2023, describiéndolo como un pogromo cruel y planificado con la clara intención de eliminar al Estado de Israel y asesinar judíos, en concordancia a lo que señala su Carta Fundacional. Desde esta perspectiva, este ataque marcó el inicio de la escalada de violencia actual, y toda la cadena de sufrimiento posterior, tiene su origen en ese evento inicial.

 Subrayamos que Hamas no debe quedar impune, y criticamos a quienes exigen a Israel que abandone su defensa sin tomar en cuenta la situación de los rehenes ni la naturaleza del grupo terrorista. Criticamos que se utiliza tanto a los palestinos de Gaza, desoyendo las advertencias de la aviación israelí manteniendo a los palestinos como “carne de cañón” en las plataformas que se han usado para lanzar misiles, de manera de obtener el asesinato de los mismos, así como usar a los rehenes como moneda de cambio en negociaciones que implican liberar a criminales condenados por el terrorismo.

 Además, rechazamos las acusaciones de genocidio y crímenes de guerra contra las Fuerzas de Defensa de Israel (FDI), aunque reconocemos y lamentamos la tragedia del grado de destrucción y del alto número de víctimas civiles en Gaza, considerándolo un hecho muy  trágico, producto de esta guerra. De acuerdo a nuestros antecedentes, sostenemos que no existe evidencia de que haya habido una orden intencionada por parte de líderes israelíes para dañar a civiles de forma deliberada.

 Nosotros atribuimos la responsabilidad fundamental del conflicto actual a Hamas, Hezbolá y principalmente a Irán, quien financia y fomenta el terrorismo. También creemos que esta guerra debería haber concluido en 2024 y debió haber habido una intervención global internacional y autónoma de países amantes de la paz y del respeto a la diversidad que combine diplomacia y fuerza para establecer la paz en la región. La autonomía de esta Fuerza de Paz es fundamental a fin de mantener una visión ecuánime y neutral acerca del conflicto. No existe un Organismo Internacional para este tipo de tarea dado que la ONU muestra, en este conflicto, serías inconsecuencias  en neutralidad y ecuanimidad.

 

  2. Propuesta para un Nuevo Orden en Medio Oriente

 Creemos tener una propuesta esquemática clara para transformar la situación en Gaza y Cisjordania. Y ojalá en medio Oriente y resto del mundo. Nuestra visión incluye la creación de un “nuevo mundo” en Medio Oriente, y ojalá global, libre de terrorismo y basado en el respeto mutuo, la diversidad y la convivencia pacífica. Esta visión se apoya en la colaboración de países árabes (como los que integran los Acuerdos de Abraham) y otras naciones interesadas en la paz y estabilidad regional.

Sostenemos que es urgente alcanzar la paz con el respaldo de una Fuerza Global Internacional, Conjunta, autónoma como la señalada en el punto 1, que asuma el control de Gaza y Cisjordania, en colaboración con los palestinos locales, tanto en la gestión política como en la recuperación social y económica. Con países que consideran que el estado de guerra es insostenible y que debe cesar el lanzamiento de misiles y otros elementos de agresión   desde Gaza y de cualquier otro lado.

Proponemos además una ayuda humanitaria eficaz que garantice la entrega de alimentos y recursos esenciales directamente a la población gazatí, evitando que sean capturados por Hamas. Creemos que es muy probable que muchos palestinos desean convivir en paz con Israel, lo que refuerza la urgencia de aislar a los grupos terroristas del resto de la población.

3. Acciones Concretas y Llamado a la Comunidad Internacional

  A continuación, señalamos esquemáticamente un conjunto de seis acciones urgentes y específicas para contribuir a la resolución definitiva del conflicto:

 

1.     Suspensión de la guerra con Hamas y renovación del liderazgo israelí. Proponemos formar un cuerpo de paz internacional con países que apoyen la paz en Medio Oriente.

2.     Rendición de Hamas, desarme total y liberación incondicional de los rehenes.

3.     Establecimiento de una mesa de diálogo entre Israel y los palestinos dispuestos a vivir en paz, con mediación internacional a fin de generar la autonomía de dos países autónomos uno de mayoría musulmana y otro judía, que prioricen el respeto por la diversidad y la convivencia en paz. El de mayoría musulmana en las zonas de Cis Jordania y Gaza. El de mayoría judía el estado de Israel todo ello con los ajustes terriroriales y/o compensaciones que sean requeridas.

4.     Organización de la  ayuda humanitaria internacional controlada, para evitar que Hamas se apropie de los recursos destinados a la población civil como lo ha venido efectuando hasta ahora

5.     Desarme y reubicación controlada de los miembros de Hamas, bajo mecanismos de identificación y monitoreo, ofreciéndoles una vía hacia la reintegración a una vida pacífica.

6.     Retiro de Israel de Gaza, entregando el control a la Fuerza Global Conjunta en cooperación con representantes palestinos de Cisjordania.

  Estas propuestas buscan no solo cesar el conflicto actual, sino sentar las bases de una paz duradera. Creemos que Netanyahu es políticamente responsable del 7 de octubre. Debe haber un cambio de liderazgo urgente  en Israel que permita una renovación de los métodos diplomáticos y humanitarios.

 Finalmente, hacemos un llamado a la creación de un nuevo pacto civilizatorio, donde el terrorismo nunca más sea aceptado como medio de solución a los conflictos en la Tierra. Apelamos a la responsabilidad ética y política de la comunidad internacional para impulsar un modelo de paz, desarrollo y respeto por los derechos humanos en Medio Oriente y en el mundo y a la renovación de los sistemas socioeconómicos del mundo a fin de que se asegure “mínimos de medios” para vivir en paz  y con sentido existencial..

  Conclusión

 Nos pronunciamos con claridad en contra del terrorismo, condenamos el sufrimiento de civiles y promovemos una solución global e integral para el conflicto en Gaza, y quizás una base para la solución de otros tantos existentes en el mundo. Nuestra postura busca equilibrio:  en este caso, defender el derecho de Israel a existir y protegerse, condenar los abusos de Hamas, y exigir un trato justo y humanitario para los palestinos no involucrados en el terrorismo. Pedimos acciones urgentes, colaboración internacional y una transformación profunda tanto en Israel como en Palestina para evitar que el dolor y la violencia sigan marcando a la región.


ITALIANO

DICHIARAZIONE SU ISRAELE/GAZA

di Nathan Novik ed Edison Zoldan


1. Contesto del Conflitto e Posizione Iniziale

Abbiamo condannato in modo categorico l’attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, descrivendolo come un pogrom crudele e pianificato con la chiara intenzione di eliminare lo Stato di Israele e assassinare ebrei, in conformità con quanto affermato nel suo Statuto Fondativo. Da questa prospettiva, tale attacco ha segnato l’inizio dell’attuale escalation di violenza, e tutta la catena di sofferenza successiva trova origine in quell’evento iniziale.

Sottolineiamo che Hamas non deve restare impunito, e critichiamo coloro che chiedono a Israele di rinunciare alla propria difesa senza considerare la situazione degli ostaggi né la natura del gruppo terroristico. Critichiamo l’uso della popolazione palestinese di Gaza come “carne da cannone”, ignorando gli avvertimenti dell’aviazione israeliana e mantenendoli nelle piattaforme da cui sono stati lanciati i missili, allo scopo di causarne la morte, così come l’uso degli ostaggi come merce di scambio in negoziati che prevedono la liberazione di criminali condannati per terrorismo.

Inoltre, respingiamo le accuse di genocidio e crimini di guerra rivolte alle Forze di Difesa Israeliane (FDI), pur riconoscendo e deplorando la tragedia rappresentata dall’elevato numero di vittime civili a Gaza e dal livello di distruzione, che consideriamo un fatto estremamente tragico, conseguenza di questa guerra. Secondo le nostre informazioni, non vi sono prove che i leader israeliani abbiano dato ordini deliberati di colpire intenzionalmente i civili.

Attribuiamo la responsabilità fondamentale del conflitto attuale ad Hamas, Hezbollah e soprattutto all’Iran, che finanzia e promuove il terrorismo. Crediamo inoltre che questa guerra sarebbe dovuta terminare nel 2024, e che sarebbe dovuta intervenire una forza internazionale e autonoma, composta da paesi amanti della pace e del rispetto per la diversità, in grado di combinare diplomazia e forza per stabilire la pace nella regione. L’autonomia di tale Forza di Pace è fondamentale per mantenere una visione equa e neutrale del conflitto. Attualmente non esiste un Organismo Internazionale adatto a questo compito, poiché l’ONU, in questo conflitto, ha dimostrato gravi incongruenze in termini di neutralità ed equità.

2. Proposta per un Nuovo Ordine in Medio Oriente

Riteniamo di avere una proposta schematica chiara per trasformare la situazione a Gaza e in Cisgiordania — e, si spera, in tutto il Medio Oriente e nel mondo. La nostra visione prevede la creazione di un “nuovo mondo” in Medio Oriente, e auspicabilmente globale, libero dal terrorismo e fondato sul rispetto reciproco, la diversità e la convivenza pacifica. Questa visione si basa sulla collaborazione con paesi arabi (come quelli che hanno aderito agli Accordi di Abramo) e con altre nazioni interessate alla pace e alla stabilità regionale.

Sosteniamo che sia urgente raggiungere la pace con il sostegno di una Forza Globale Internazionale, Congiunta e Autonoma, come indicato nel punto 1, che assuma il controllo di Gaza e Cisgiordania in collaborazione con i palestinesi locali, sia nella gestione politica sia nel recupero sociale ed economico. Con la partecipazione di paesi che ritengono insostenibile lo stato di guerra e che esigono la cessazione del lancio di missili e altre forme di aggressione da Gaza o da altri luoghi.

Proponiamo inoltre un aiuto umanitario efficace che garantisca la distribuzione diretta di cibo e risorse essenziali alla popolazione di Gaza, evitando che queste vengano sequestrate da Hamas. Crediamo sia molto probabile che molti palestinesi desiderino vivere in pace con Israele, il che rafforza l’urgenza di isolare i gruppi terroristici dal resto della popolazione.

3. Azioni Concrete e Appello alla Comunità Internazionale

Di seguito, elenchiamo in forma schematica un insieme di sei azioni urgenti e specifiche per contribuire alla risoluzione definitiva del conflitto:

1. Sospensione della guerra con Hamas e rinnovamento della leadership israeliana. Proponiamo la formazione di un corpo di pace internazionale composto da paesi che sostengano la pace in Medio Oriente.

2. Resa di Hamas, disarmo totale e liberazione incondizionata degli ostaggi.

3. Istituzione di un tavolo di dialogo tra Israele e i palestinesi disposti a convivere pacificamente, con mediazione internazionale per creare due Stati autonomi: uno a maggioranza musulmana (nelle zone di Cisgiordania e Gaza) e uno a maggioranza ebraica (lo Stato di Israele), con gli aggiustamenti territoriali e/o compensazioni che si rendano necessari.

4. Organizzazione di un aiuto umanitario internazionale controllato, per evitare che Hamas si appropri delle risorse destinate alla popolazione civile, come avvenuto finora.

5. Disarmo e ricollocamento controllato dei membri di Hamas, tramite meccanismi di identificazione e monitoraggio, offrendo loro una via di reintegrazione in una vita pacifica.

6. Ritiro di Israele da Gaza, con trasferimento del controllo a una Forza Globale Congiunta, in cooperazione con rappresentanti palestinesi della Cisgiordania.

Queste proposte mirano non solo a porre fine al conflitto attuale, ma a gettare le basi per una pace duratura. Riteniamo che Netanyahu sia politicamente responsabile per quanto accaduto il 7 ottobre. È necessario un cambiamento urgente della leadership in Israele che permetta un rinnovamento dei metodi diplomatici e umanitari.

Infine, facciamo appello alla creazione di un nuovo patto civilizzatorio, in cui il terrorismo non sia mai più accettato come mezzo per risolvere i conflitti sulla Terra. Ci appelliamo alla responsabilità etica e politica della comunità internazionale affinché promuova un modello di pace, sviluppo e rispetto dei diritti umani in Medio Oriente e nel mondo, e alla riforma dei sistemi socioeconomici mondiali affinché si garantiscano “minimi mezzi” per vivere in pace e con senso esistenziale.

Conclusione

Ci esprimiamo con chiarezza contro il terrorismo, condanniamo la sofferenza dei civili e promuoviamo una soluzione globale e integrale per il conflitto di Gaza — che possa forse essere anche una base per risolvere altri conflitti esistenti nel mondo. La nostra posizione cerca l’equilibrio: difendere in questo caso il diritto di Israele ad esistere e a proteggersi, condannare gli abusi di Hamas, ed esigere un trattamento giusto e umano per i palestinesi non coinvolti nel terrorismo. Chiediamo azioni urgenti, collaborazione internazionale e una trasformazione profonda sia in Israele sia in Palestina, per evitare che il dolore e la violenza continuino a segnare la regione.


Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.