Caro Pier Francesco [Zarcone] (e cari tutti voi che mi leggete in copia, perché queste discussioni più sono pubbliche e meglio è),
dicevo dunque, caro Pier Francesco,
il tuo commento ragionato alla mia introduzione sul marxismo libertario di Guérin mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Vedi, io leggo e studio con passione le vicende del pensiero anarchico dall'inizio degli anni '70 (da quando ero meno che venticinquenne). Col tempo mi sono fatto una certa preparazione che si è riversata in alcuni libri; ma anarchico nel vero senso della parola non sono mai stato e ormai non lo sarò più (questo se è vera la tesi di Guérin e che entrambi condividiamo, e cioè che sia il marxismo marxista che l'anarchismo anarchico sono storicamente superati dal marxismo libertario, a sua volta bisognoso di essere superato da sintesi superiori che la storia e la lotta di classe a livello internazionale spero ci mostreranno.)
Sottoponendo il mio testo alla valutazione di uno come te che nell'anarchia ci si è formato, che ne conosce profondamente la storia e le varie dottrine, che ha già scritto quattro libri sull'argomento (sono quelli che ho letto, ma forse sono di più) e che è capace allo stesso tempo di scrivere anche su temi non-anarchici (dal bel libro su Gesù rivoluzionario all'attuale contesto dell'economia capitalistica), mi sentivo come uno scolaretto che deve superare l'esame. Se tu mi avessi bocciato, la cosa mi avrebbe dato molto da pensare perché, nonostante la tua simpaticissima modestia, tu rappresenti ormai un'autorità nel settore. Non conosco altri anarchici o presunti tali che abbiano un livello di produzione teorica pari al tuo sia in senso qualitativo sia per ampiezza di interessi. Insomma, io che modesto non sono e che preferisco essere realista anche rispetto a me stesso, penso che tu occupi in campo libertario un ruolo simile a quello che in campo marxista rivoluzionario - sommando la nostra produzione complessiva - occupiamo io, il bravissimo Michele Nobile e Antonella Marazzi messi insieme (con l'ultima che in quanto a modestia ti batte di mille leghe). La cosa, quindi, comincia a farsi interessante. E al diavolo l'umiltà.
Insomma, con la tua entrata in Utopia Rossa (senza abbandonare la Federazione dei comunisti anarchici che forse non si è ancora resa conto della fortuna che le è toccata ad avere tra le proprie file uno come te) si è realizzato un matrimonio teorico con i razzi e i controrazzi. Io lo sospettavo, ma ora ne ho le prove. Quando i compagni leggeranno anche il tuo nuovo volume in corso di stampa (sulle tre rivoluzioni messicane) ne avranno una prova ulteriore.
Quindi, che tu abbia trovato positive le mie sei paginette - in cui con tono bonario decretavo non la fine (attenzione ai termini perché non vi siano equivoci!), ma il superamento positivo sia del marxismo marxista sia dell'anarchismo anarchico nelle loro metodologie concettuali e nell'esperienza storica del marxismo libertario - e il fatto che si aprano nuove prospettive di collaborazione tra noi proprio sul terreno del marxismo libertario, mi sembra uno dei prodotti teorici più belli e più fruttuosi di Utopia Rossa (questo «cenacolo di amici chiacchieroni ed estranei a ogni conflitto sociale», come ci ha gentilmente definito Bernocchi a ottobre del 2008).
Tra i temi da sviluppare in collaborazione, me ne viene in mente uno su cui da tempo rimugino e che qualche compagno (tipo Andrea Furlan) mi sollecita da anni: la questione del partito rivoluzionario. Mi spiego.
Negli ultimi tempi mi è capitato di parlare con vari compagni che condividono ampiamente le 3 (ora 4) frasette di Utopia Rossa, ma trovano uno scoglio insormontabile nella questione del partito.
Quando vedo che non ripetono a scimmietta le quattro frasette del povero Che fare? (che lo stesso Lenin modificò sostanzialmente pochi anni dopo) e sono interessati a capirci qualcosa, propongo il primo indispensabile argomento di riflessione: IL PARTITO BOLSCEVICO NON FU UN PARTITO RIVOLUZIONARIO, MA UN PARTITO CENTRISTA che, sotto la pressione di avvenimenti storici eccezionali, si trovò a co-dirigere un'autentica rivoluzione sociale, operaia e comunista, per tornare immediatamente (a partire da dicembre 1917) a posizioni centriste, poi via via sempre più reazionarie, fino a diventare un vero e proprio partito controrivoluzionario, anticomunista e antilibertario. Le date del processo sono importanti fino a un certo punto. E comunque io ho scritto molto al riguardo e la cosa si può sempre discutere. L'importante è capire che il Partito bolscevico solo per pochi mesi della sua vita e solo in una parte maggioritaria della sua direzione credette alla parola d'ordine di «tutto il potere ai soviet» e alla teoria della rivoluzione permanente. Appena poté, e ancor vivo Lenin, si sbarazzò dell'una e dell'altra cominciando a lottare contro i comitati di fabbrica, contro i soviet e contro i partiti russi che alla rivoluzione avevano collaborato. Lo stalinismo completò l'opera estendendo la guerra all'intero movimento operaio mondiale, mentre Trotsky capì molto poco per gran parte degli anni '20. Dopo il 1933 cambia il discorso, facendosi però più frammentato, più complicato e soprattutto più tragico.
Stabilito questo, propongo in genere un secondo argomento di riflessione: LA RIVOLUZIONE D'OTTOBRE FU NELL'IMMEDIATO UNA RIVOLUZIONE MARXISTA LIBERTARIA. Infatti, essa avvenne perché - pressione o non pressione delle masse e circostanze storiche più o meno eccezionali - almeno tre correnti politiche concordarono su due parole chiave, quelle che resero possibile la rivoluzione: no al governo Kerenskij e sì a TUTTO IL POTERE AI SOVIET (quest'ultima è la parola d'ordine che racchiude l'essenza del marxismo libertario). Le tre correnti furono la maggioranza del partito bolscevico (di ideologia marxista, ma non soviettista a differenza di come era stato Trotsky dal 1905 fino ad allora, che però dopo la vittoria non lo sarà più, e comunque non come lo era stato da giovane), i socialrivoluzionari di sinistra (agraristi, populisti-narodniki, soviettisti un po' confusi) e le 4 principali correnti dell'anarchismo (dai bombaroli fino agli anarcosindacalisti, tutti soviettisti sfegatati).
Di contro, per appoggiare Kerenskij e non dare tutto il potere ai soviet, c'erano stati la minoranza del partito bolscevico (Zinov'ev, Kamenev e altri tra i quali, fino all'arrivo di Lenin, anche Stalin), i menscevichi (anch'essi marxisti, in gran parte soviettisti, ma non più tanto convinti come invece lo erano stati nel 1905), i cadetti ecc. Gruppi particolari, singoli individui ecc. c'erano in entrambi i campi. Bene, ciò ci consente di sfatare il falso sillogismo che siccome il partito bolscevico guidò la rivoluzione, esso fu necessariamente un partito rivoluzionario. No: la guidò insieme ad altre correnti politiche, in alcuni casi molto più coerenti sul terreno del soviettismo e, nel caso degli anarcosindacalisti, molto più coerenti nel rapporto con i comitati di fabbrica, cioè l'anima operaia, l'anima classista della rivoluzione (sappiamo che nel gruppo dirigente del Pcr solo l'Opposizione operaia di Kollontaj-Šljapnikov e il Gruppo operaio di Mjasnikov, continuarono ad essere favorevoli ai comitati di fabbrica, ma persero quasi subito).
Terzo argomento decisivo: NELLA STORIA NON E' MAI ESISTITO UN PARTITO RIVOLUZIONARIO. Ogni volta che sfido qualcuno a farmi un esempio, che si sia d'accordo o no sulla natura centrista del Partito bolscevico, vedo che l'interlocutore sbianca e rimane in genere senza parole: non si era mai effettivamente reso conto che da 150 anni parliamo di qualcosa che non è mai esistito (o, per i più tenaci, è esistito una sola volta); insomma, inseguiamo una chimera che storicamente non si è mai concretizzata. Chi milita nei partitini italiani o esteri risponderebbe che il suo partitino è il nucleo del futuro partito rivoluzionario. Ma anche lì, non so quanti, messi alle strette, sarebbero disposti ad affrontare il ridicolo che deriverebbe da tale affermazione: là dove hanno fallito le tante rivoluzioni sconfitte oppure Marx, Bakunin, Malatesta, Lenin, Rosa [Luxemburg], Trotsky, Bordiga, Gramsci, Naville, le Black Panthers ecc., fino a Che Guevara - che per fortuna nel partito rivoluzionario non ci ha mai creduto - riuscirebbero Tizio, Caio e Sempronio solo perché a un certo punto della loro vita hanno fatto una scissioncina da cui è nato il partitino nazionale o mondiale della rivoluzione in cui al momento militano, paese per paese, impegnati a svolgere una campagna elettorale dopo l'altra.
Gli anarchici ovviamente dichiarano di non voler costruire alcun partito, ma, a parte la Fai che ne è sostanzialmente un'imitazione, vedo ben poco di libertario nel fatto che alcune persone non-rappresentative di alcun movimento di massa, decidano a un certo punto di dar vita a gruppi locali (spesso ultrasettari, quando non addirittura chiusi e sostanzialmente gerarchici) che sembrano in campo anarchico l'equivalente dei partitini marxisti locali o mondiali. Ecco, queste cose bisogna cominciare a dirle seriamente e sistematicamente, alzando il più possibile il livello del confronto teorico, anche perché in questa gruppettistica fine a se stessa si sprecano tante risorse giovanili, anche intelligenze (non molte) che rischiano di essere rimandate a casa per sempre.
Il quarto argomento è di ordine medico ed è in via di elaborazione: potremmo limitarci per ora a indicare il campo d'indagine di quel disturbo della personalità che potremmo definire per ora psicopatologia del partito rivoluzionario, che conosco bene anch'io, essendone stato affetto per un quindicennio della mia vita politica (dal 1966 al 1980).
L'ipotesi di ricerca è che il termine "partito" e il termine "rivoluzione" - che per la prima volta nella storia si accoppiarono dopo il trionfo della Rivoluzione francese - rappresentano l'uno il contrario dell'altra: un'accoppiata a posteriori e contronatura. Se invece provo ad accoppiare "rivoluzione" con "soviet" (cioè "consigli"), con "collettività di produzione", con "autogestione", con "comunità di base" e tutto il resto ancora da sperimentare storicamente, vedo che l'accoppiamento funziona.
A questo punto, caro Pier Francesco, potrei esporti uno schema di libro per la collana Utopia Rossa (facendo appello ai compagni che ci stanno leggendo che per favore non ci rubino l'idea, ma casomai collaborino con noi...).
Titolo: IL PARTITO RIVOLUZIONARIO: UN OSSIMORO. Tu dovresti fare: 1) Il partito nell'Associazione internazionale dei lavoratori (prima e dopo la rottura con gli antiautoritari). Michele Nobile dovrebbe fare: 2) Degenerazione dell'idea di partito nella Seconda internazionale (Roberto Michels) e 3) La polemica contro Lenin (Rosa Luxemburg, Trotsky).
Io farei 4) La natura centrista del Partito bolscevico. Poi - sperando di non doverlo fare io e che qualcun altro si faccia avanti - 5) La natura controrivoluzionaria dei partiti staliniani (Cina e Jugoslavia incluse).
Ancora io: 6) Cuba, rivoluzione originariamente senza partito (con sezione specifica per Che Guevara). Tu faresti 7) L'idea di organizzazione politica nell'anarchia contemporanea (surrogati e cristallizzazioni storiche). E infine spero che Antonella Marazzi ci regali una bella conclusione su 7) Incompatibilità dell'ideale femminista con qualsiasi tipo di gerarchia partitica. Saremmo infine oltremodo grati a qualcuno che ci regalasse una 8) Psicopatologia del partito rivoluzionario, magari da sviluppare insieme a Miguel Martínez che sicuramente potrebbe lavorare sull'aspetto antropologico e sulla questione delle sette, tema di cui è studioso appassionato.
Se poi nel frattempo avrà trionfato la rivoluzione mondiale, potremmo aggiungere un'Appendice a) Come un'umanità affermativa ha realizzato la propria ecumene, senza fare politica e senza guru di sorta, semplicemente rapportandosi all'altro e comunicando umanismo (un lavoro che potrebbe fare Dario Renzi, ma solo a rivoluzione compiuta e ampiamente consolidata). Piero Bernocchi, invece, potrebbe fare una seconda appendice su b) Dal partito al sindacalismo di base, insostituibilità dello strumento «corteo» e interrelazione col social forum (nazionale e mondiale) anche dopo la sua scomparsa.
Che te ne pare, caro Pier Francesco e cari compagni che, spinti da insana curiosità siete giunti fin qui?
Al grido di «sarà una risata che li seppellirà», ti/vi faccio i miei auguri per il 6 gennaio, vale a dire per il compleanno di Osiride, dio del sole nato anch'egli da un vergine.
Tuo e vostro,
Roberto [Massari]
P.S. Da un po' di tempo ho deciso di far circolare più ampiamente parte della riflessione che avviene dentro Utopia Rossa e dintorni. Lo faccio a fin di bene, per socializzare le problematiche e ravvivare l'ambiente culturalmente un po' smorto della ex estrema sinistra. Spero di non molestare nessuno - anche perché non si è obbligati a leggere i testi che ogni tanto invio e che non sono solo miei. Nel caso, senza appellarsi alla legge sulla «privatezza», mi si può chiedere cortesemente di togliere il nome dall'indirizzario. Per aggiungersi all'indirizzario, invece, è un po' più difficile perché, seguendo gli insegnamenti dell'infanzia, cerco di non parlare con gli sconosciuti. Ecco, se uno si presenta, mi dice cosa fa, ma soprattutto cosa desidera nella vita e promette di non scrivermi tutte le settimane, posso, anche provare ad aggiungere il suo nome.
gennaio 2009