di Michele Nobile
1. La seconda onda di Covid-19 e il contagio per aerosol
2. La specificità del rischio di contagio per via aerea e la prevenzione
3. Le ragioni per cui l’Oms e i governi non riconoscono conseguentemente il ruolo della via aerea nella trasmissione di SARS-CoV-2
1. La seconda onda di Covid-19 e il contagio per aerosol
[Termino di scrivere questo articolo il 9 ottobre, giorno in cui i nuovi positivi a SARS-CoV-2 sono 5.372, in aumento sul giorno precedente (4558), quasi il doppio della media della settimana precedente, cinque volte il livello medio della prima settimana di settembre. Evidentemente la tempesta sta arrivando. Ci allineiamo all’Europa, dicono, come se in questo caso sia cosa bella e buona. Era previsto, dicono ancora. Appunto: ma questa non è una tempesta che in qualche misura non si potesse contenere. Forse saremmo ancora in tempo, ma si continua a tergiversare. Si parla di maschere obbligatorie all’aperto, che è da tempo cosa ovvia, ma non del rischio maggiore: quello da aerosol, specialmente negli ambienti interni chiusi, affollati o molto frequentati, poco ventilati: ad esempio trasporti, uffici pubblici, scuole, supermercati; oppure di quei luoghi e situazioni in cui occorre togliersi la protezione: al ristorante, durante l’aperitivo, a qualsiasi ora, anche e specialmente a mezzogiorno. Sulla scuola in particolare, a destra e a sinistra si fanno discorsi che poco o nulla hanno a che fare con la realtà e molto con interessi economici e con la falsa coscienza ideologica. Nell’articolo spiego perché ignorare il contagio tramite aerosol è in contrasto con il principìo di prudenza e perché questo ha molto a che fare con gli interessi privati e di bilancio, anteposti alla salvaguardia della salute pubblica. Occorreva agire con ben altri criteri, anche per evitare che ancora una volta il coronavirus diventi incontrollabile.]
Covid-19 è solo l’ultima delle oramai numerose nuove malattie infettive. In circa nove mesi la pandemia ha mietuto almeno un milione di vittime, che saranno in effetti molte di più e concentrate nelle città e negli slums dei Paesi emergenti e sottosviluppati dell’America latina, dell’Asia e dell’Africa. Morti che s’aggiungono al peso delle malattie endemiche e non contagiose.
Proprio per la novità di queste nuove malattie, la comunità scientifica internazionale ha bisogno di tempo per chiarirne i diversi aspetti. Non c’è dunque nulla di sorprendente nel fatto che la precisazione delle diverse modalità di trasmissione del coronavirus e della loro relativa importanza siano oggetto di controversia. Tuttavia, quella dei modi di trasmissione non è questione confinabile nel dibattito scientifico tra specialisti: ha immediate e gravi conseguenze per le misure adottate al fine di preservare la salute pubblica. Ed è questione che con l’approssimarsi dell’inverno diventa sempre più urgente.
Nel caso di Covid-19 la discussione si pone in questi termini. O, come l’Oms e i governi nazionali, si afferma che al di fuori di determinate procedure mediche che generano aerosol la trasmissione di SARS-CoV-2 avviene esclusivamente per contatto, cioè mediante goccioline respiratorie (droplets) con traiettoria balistica, che ricadono verso terra entro pochi secondi nel raggio di 1-2 metri. Oppure, come parte consistente della comunità scientifica internazionale, si ritiene che a fianco della prima modalità di contagio se ne dia un’altra: per via aerea, tramite sospensione di particelle infettive in una nuvola di aerosol, che si muove a distanze superiori a 2 metri e può «galleggiare» nell’atmosfera da decine di secondi a ore, a seconda delle dimensioni e dei flussi d’aria.
La netta distinzione tra le due modalità di trasmissione e il limite posto alla via aerea ha avuto e ha grandi conseguenze sulle misure di prevenzione. Se la trasmissione avviene solo per contatto, allora quarantena, distanziamento fisico e igiene sono misure necessarie e sufficienti. Se può darsi anche per via aerea quelle precauzioni sono necessarie ma non sufficienti.
Un tempo si credeva che la tubercolosi, che era importantissima causa di morte e invalidità, si trasmettesse per contatto: occorsero decenni per dimostrare che il contagio avviene per via aerea. Anche per malattie emerse di recente come la Sars la discussione continua, da quasi vent’anni, ma come cittadini non possiamo attendere che la controversia scientifica sia definitivamente risolta, fra mesi o anni. Per quanto si possano ritenere non conclusive, le prove di vario tipo dell’importanza della trasmissione per aerosol sono consistenti: quel che si chiedono diversi scienziati è: nel mezzo di una pandemia, quale livello di prova si esige ancora per attuare politiche coerenti che tengano conto sia della trasmissione per contatto sia per via aerea?
Ad agosto l’Institute for health metrics and evaluation dell’università di Washington stimava che entro il primo dicembre si sarebbero verificate negli Stati Uniti altre 168 mila morti per Covid-19 (portando il totale a 300 mila), ma affermava anche che si potevano risparmiare almeno 66 mila vite introducendo l’obbligo di indossare una maschera in tutti gli Stati, invece di praticare una politica oscillante come montagne russe1.
Tra i primi giorni d’agosto e quelli ottobre, nei soli Stati Uniti i decessi sono stati oltre 70 mila: al di là della precisione assoluta delle stime è chiaro che sono in gioco decine di migliaia di vite. Quante in Italia e nel resto del mondo? Lo stesso Istituto prevede ora per il mondo 2,8 milioni di morti a causa del nuovo coronavirus - in conseguenza della stagione invernale nell’emisfero nord - ma la possibilità di salvare 770 mila vite con l’utilizzo universale di maschere chirurgiche.
Per quanto riguarda la decisione politica, al fine della protezione della salute pubblica è necessaria l’applicazione del principio di prudenza: che, almeno come possibilità, si assuma la trasmissione del nuovo coronavirus per via aerea come aerosol e che si mettano in atto le misure conseguenti. Questo sulla base di quattro considerazioni elementari.
La prima è che, se è vero che nella comunità scientifica non c’è consenso unanime, sono oramai numerosi i casi di studio e le prove sperimentali che attestano non solo la realtà della trasmissione per via aerea di SARS-CoV-2 (fin dall’inizio riconosciuta nei contesti ospedalieri), ma anche un ruolo molto probabilmente più importante di questa modalità rispetto a quella per contatto.
La seconda considerazione è che nella linea dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dei governi nazionali sono presenti ambiguità, contraddizioni, oscillazioni, dalla Cina agli Stati Uniti all’Europa. La posizione di base che ispira le misure di salute pubblica è che il contagio avvenga esclusivamente per contatto, ad eccezione di determinate procedure mediche. In questa linea di pensiero le maschere sono indispensabili solo quando non sia possibile rispettare la distanza di sicurezza, ad esempio al chiuso, ma la distinzione tra situazioni all’aria aperta e ambienti chiusi è rilevante soltanto al fine del distanziamento. Ad esempio, le linee guida cinesi stabiliscono che «le principali modalità di trasmissione sono tramite goccioline e contatto diretto. La possibilità di trasmissione di aerosol esiste in ambienti relativamente chiusi con esposizione ad alte concentrazioni di aerosol per un lungo periodo di tempo»2.
Tuttavia, quando si impone d’indossare protezioni individuali all’aperto o si dà indicazione di ventilare gli ambienti, si presume implicitamente anche la possibilità di contagio per via aerea.
Se si ammette l’importanza dell’aerosol, allora la maschera chirurgica è sempre necessaria ma, a questa condizione, non ha senso limitare la libertà di movimento, a meno che non si intenda circoscrivere il perimetro di un focolaio. In questo caso non si tratta solo di corretti comportamenti individuali: diventa fondamentale la distinzione tra aria aperta e ambienti chiusi e l’attenzione si sposta verso condizioni strutturali. Se si ammettesse esplicitamente il contagio per via aerea adottare le conseguenti misure specifiche avrebbe però notevoli conseguenze sul piano dei costi per tutte le attività in ambienti chiusi e affollati, in particolare, per settori come i trasporti, l’istruzione, la ristorazione. Il problema non sarebbero gli incontri tra amici e neanche la movida in sé, ma tutto ciò che richiede o promuove comportamenti che fanno a meno della protezione individuale, oppure che comportano lunga permanenza in luoghi chiusi, affollati o molto frequentati, e/o in cui si parla molto e ad alta voce, come le aule scolastiche.
La terza considerazione è che sta iniziando la stagione più fredda, propizia non solo alla diffusione di normali virus influenzali ma di SARS-CoV-2, quando più frequenti e lunghe saranno le attività in ambienti chiusi, in edifici e trasporti pubblici, scuole, negozi e centri commerciali. La trasmissione per aerosol è di particolare importanza per gli infetti asintomatici e presintomatici, che non tossiscono o starnutiscono.
La quarta considerazione è che non solo continua a crescere la curva globale delle infezioni - in modo marcato in Francia, Spagna, Regno Unito, Grecia, Olanda, Portogallo, Brasile, Argentina, Messico, Stati Uniti, India, Corea del sud, Giappone - ma, per quanto nel complesso la situazione italiana sia migliore di quella d’altri Stati europei, in diverse regioni le curve dei nuovi positivi hanno superato i picchi di marzo-aprile, mostrando un andamento che può dirsi poco meno che esponenziale, ad essere ottimisti. Dal primo agosto al 5 ottobre gli attualmente positivi sono passati da 39 a 2326 in Sardegna, da 281 a 3358 in Sicilia, da 97 a 583 in Calabria, da 112 a 2956 in Puglia, da 50 a 403 in Basilicata, da 397 a 7709 in Campania, da 950 a 8142 in Lazio, da 24 a 706 in Umbria; nello stesso arco di tempo il totale dei positivi dall’inizio dell’epidemia è più che raddoppiato in Lazio, Sicilia, Basilicata, più che triplicato in Sardegna, quasi triplicato in Campania, quasi raddoppiato in Puglia e in Umbria, di molto aumentato in Calabria. In altri termini, considerando i nuovi contagi, la situazione di queste regioni è peggiore che nel periodo di marzo-aprile. Con la logica d’allora dovrebbero già essere in lockdown: un punto che si presta a valutare sia la politica passata che presente. Perché allora sì e ora no? Ora come dai primi d’aprile non è più sicuro e socialmente meno dannoso distinguere tra diverse situazioni e tendenze regionali e provinciali? Il coronavirus è presente su tutto il territorio nazionale, ma per la prevalenza (casi per 100 mila abitanti) esiste un’enorme differenza tra Lombardia da una parte e, ad esempio, Basilicata Sicilia e Calabria; ora però il tasso di crescita dei contagi è molto più alto nelle regioni meridionali, nel Lazio, in Umbria. Nelle regioni meridionali ospedalizzazioni e terapie intensive sono al livello di marzo e in crescita. Non c’è sovraccarico del sistema sanitario, i numeri sono relativamente piccoli, ma queste tendenze devono preoccupare seriamente perché potrebbero peggiorare in poche settimane. L’unico aspetto positivo è che non c’è proporzionale crescita della mortalità. Per ora, perché tra infezioni e decessi corre circa un mese. I dati italiani ed europei sulla crescita dei ricoveri in unità di cura intensiva e sulla percentuale dei positivi sui test effettuati dicono che non si tratta meramente del fatto che si fanno più test3.
I contagi possono crescere per la sinergia di diversi fattori: della minore ventilazione, della diffusione nelle scuole, dell’affollamento di autobus, metropolitane e treni, del clima, dell’aumento dell’inquinamento atmosferico che, con ogni probabilità, contribuisce alla diffusione di Covid-194.
Tra agosto e settembre molti Paesi hanno iniziato a sperimentare quella che appare come una seconda onda di crescita delle infezioni giornaliere (Francia, Regno Unito, Belgio, Svizzera, Spagna, Russia, Canada). Questa volta è l’Italia ad aver avuto più tempo, in gran parte già sprecato. Ad esempio, è giustissimo rivendicare più investimenti nella scuola, necessari da decenni: ma se al personale si sarebbe potuto e dovuto provvedere prima dell’inizio dell’anno scolastico, altri tipi d’investimento in strutture fisiche e ristrutturazioni richiedono comunque tempo. Di questo si deve chiedere conto ma, con il freddo in arrivo, al fine della prevenzione è indispensabile sviluppare la consapevolezza dei rischi inerenti all’attività scolastica e al lavoro in altri ambienti affollati. Della trasmissione per via aerea si parla, ma a volte senza piena consapevolezza della sua specificità rispetto al contatto e delle rilevanti conseguenze: la questione che metto a fuoco di seguito.
2. La specificità del rischio di contagio per via aerea e la prevenzione
La distanza è ovviamente il primo pilastro per limitare sia il contagio per contatto che quello per via aerea. Al fine di prevenire la trasmissione per contatto la letteratura indica una distanza di sicurezza di 1-2 metri, entro la quale le goccioline respiratorie (droplets) seguono una traiettoria balistica per poi depositarsi. In pratica si può però dire che «Paese che vai, distanza che trovi»: in Italia la distanza di sicurezza è di 1 metro, in Germania e Australia 150 cm, negli Stati Uniti è di sei piedi, ovvero 182 centimetri, nel Regno Unito e in Canada di 2 metri. Ovviamente, l’igiene di superfici e mani è utile solo per evitare il contagio per contatto. Pur restando nell’ambito della trasmissione per contatto, la critica che si può e si deve fare a chi considera un metro misura adeguata è che questo è esattamente il margine assoluto minimo di sicurezza. Tuttavia, perché il distanziamento fisico sia rispettato bisogna presumere che i soggetti siano immobili come mummie o addestrati al movimento come fanti di linea prussiani del XVIII secolo. Alla distanza minima di un metro la maschera chirurgica dovrebbe essere sempre obbligatoria.
L’utilizzo di una protezione individuale dell’apparato respiratorio è il secondo pilastro della prevenzione. Bisogna però essere consapevoli del fatto che se si ragiona esclusivamente in funzione della distanza allora si rimane entro la sola trasmissione per contatto e che, in tal caso, l’utilizzo della mascherina non è affatto necessario purché si rispetti la distanza minima prescritta (1-2 m.). Tanto è vero che l’Oms ha iniziato a raccomandarla fuori dai contesti ospedalieri soltanto dal 5 giugno, «laddove la trasmissione è diffusa ed è difficile il distanziamento fisico». Il che è stato motivo di critiche all’organizzazione; lo statunitense Centers for diseases control and prevention le aveva già raccomandate il tre aprile, nelle aree di forte diffusione del contagio, e così era pure in altri Paesi.
Se si ammette anche la trasmissione per via aerea, per cui non tutte le goccioline si depositano nelle immediate vicinanze della loro fonte e il movimento delle nuvole di aerosol può spingersi anche a 7-8 metri, allora la distanza di sicurezza 1-2 m. salta e l’utilizzo della protezione individuale diviene quindi sempre necessaria (tranne in luoghi isolati o non affollati) e indiscutibile in ambienti chiusi5.
Si deve inoltre ricordare che le mascherine chirurgiche sono efficaci per droplets di grandi dimensioni e per le goccioline più piccole (in questo caso grazie al moto browniano che ne permette la cattura da parte delle fibre) ma non per quelle medie, anch’esse trasportate nell’aerosol, che possono muoversi in modo da aggirare le fibre. Per bloccare queste ultime servono protezioni di tipo K95-Ffp2, capaci di esercitare un effetto elettrostatico che le trattiene (effetto compromesso dall’utilizzo per la pulizia di alcol o di altri liquidi, mantenuto da sterilizzazione con raggi ultravioletti). Tuttavia pare che queste maschere non siano testate per resistere a nuvole di aerosol con forte velocità: quelle emesse da uno starnuto possono raggiungere velocità di 10-30 m/s.
Questa però non è l’unica ragione per cui la trasmissione aerea impone l’uso di protezioni individuali. Ve ne sono anche altre, che si possono visualizzare nel diagramma, che ho tratto da un intervento pubblicato in agosto nel British medical journal.
da Nicholas R. Jones et al., «Two metres or one: what is the evidence for physical distancing in covid-19?», 25 agosto 2020 |
Preciso perché per la trasmissione per via aerea ha la massima importanza la distinzione tra ambienti aperti e chiusi, che è invece secondaria per la trasmissione per contatto che, coerentemente, considera il rispetto della distanza minima e la scrupolosità dell’igiene misure di prevenzione necessarie e sufficienti. Negli ambienti aperti l’aerosol si diluisce rapidamente ed è soggetto all’azione dei raggi ultravioletti. Negli ambienti chiusi l’aerosol può diffondersi in pochi minuti, accumularsi e persistere anche per ore6. È molto probabile che la maggior parte delle infezioni avvenga proprio in questi ambienti, pur quando si rispettano distanze e misure precauzionali. È inoltre probabile che le infezioni durante le conversazioni ravvicinate (e non solo quando un infetto tossisce e starnutisce) siano dominate dall’aerosol diretto verso il volto di chi è di fronte (più che da droplets con traiettoria balistica). In questo quadro occorre considerare anche specifici flussi d’aria che spingono l’aerosol in una determinata direzione (frontalmente o lateralmente alla fonte dell’emissione); l’altezza a cui si dispongono i volti delle persone; il volume complessivo delle emissioni d’aria; umidità e temperatura dell’aria, la cui secchezza favorisce l’aerosol; posizione e tipo di condizionatori o ventilatori d’aria; eventualmente il carico virale di chi fosse infetto che, a quanto pare è maggiore nella fase asintomatica o di inizio dei sintomi. Una indicazione è dunque questa:
«Pertanto, negli scenari interni devono essere prese tutte le precauzioni possibili contro la trasmissione per via aerea. Le precauzioni includono un aumento del tasso di ventilazione, l’utilizzo della ventilazione naturale, evitare il ricircolo dell'aria, evitare di rimanere nel flusso d’aria diretto di un’altra persona e ridurre al minimo il numero di persone che condividono lo stesso ambiente (Qian et al. 2018)» 7.
Occorre poi considerare il tipo di attività svolta, la forza e la frequenza delle emissioni d’aria, non solo nel canto e negli sforzi fisici: anche nel parlare ad alta voce.
Infine, entra in gioco la durata dell’esposizione: tanto più è lunga, tanto più alta è la probabilità di entrare in contatto con l’agente patogeno e di inalarne una dose consistente, che può portare a una forma grave della malattia.
Riassumendo: nell’ambito scientifico il ruolo del contagio per trasmissione aerea tramite aerosol è oggetto di discussione, come avviene da anni per altre malattie. Esistono però buoni argomenti per pensare che esso svolga un ruolo importante, probabilmente maggiore di quello della trasmissione per contatto, sia a distanza di 1-2 m. che superiore. Dunque, se si ammette la trasmissione per via aerea - non fosse altro che per il princìpio di prudenza - ne consegue che oltre a distanza, igiene e mascherine occorre tener conto di altre importanti variabili: le probabilità di trasmissione del patogeno tramite aerosol sono infatti maggiori in ambienti chiusi, affollati, poco o per nulla ventilati, tanto più se si canta, si fa sforzo fisico o si parla ad alta voce per lunghi periodi.
E se si ammette la trasmissione per via aerea, il problema della prevenzione non si riduce a quello del corretto comportamento degli individui (rispettare il distanziamento, indossare la mascherina): questione fondamentale e ineludibile è quella delle condizioni obiettive imposte dal lavoro svolto.
Diritti fondamentali come quelli di manifestazione e della salute pubblica possono trovare un equilibrio se i manifestanti hanno protezione individuale e mantengono una distanza di sicurezza; ed è ipocrita criminalizzare la cosiddetta movida senza intervenire sulle attività commerciali che giustificano l’aggregazione e certi comportamenti. Tuttavia, è molto più comodo scaricare le responsabilità sugli individui: il limite del cosiddetto biopotere è il libero esercizio del commercio e dello sfruttamento dei lavoratori, anche in condizioni che non ne garantiscono la sicurezza della salute. Non c’era bisogno di Mago Merlino per prevedere cosa sarebbe accaduto d’estate, né è necessario per prevedere cosa accadrà - sta già accadendo - nella stagione invernale, quando il grande problema sono gli ambienti chiusi, mentre non ha senso sanzionare chi si muova senza mascherina in una via poco frequentata o in un luogo deserto.
La questione cruciale non è quella di scenari fantascientifici per cui i cervelli sarebbero cablati o il capitale voglia i lavoratori isolati nelle loro case, ma il contrario: una volontà di presenza fisica anche quando la sicurezza lo sconsiglia, possibilmente evitando gli investimenti necessari, come l’impiego di filtri ad altissima efficienza di filtrazione (filtri Hepa, High efficiency particulate air filter).
Da questo punto di vista anche la questione della didattica a distanza, che a me pare discussa in modo molto ideologico quando non del tutto fantasioso, assume un altro aspetto. Perché un’aula con 25 studenti, ventilazione scarsa, permanenza di 5-6 ore è un rischio sanitario per docenti e personale scolastico, discenti e famiglie, per milioni di persone, altro che movida. Sarebbe opportuno alternare didattica a distanza e in presenza, anche per ridurre l’affollamento dei trasporti, evitare orari assurdi, ridurre una tensione psicologica che vanifica molte delle ragioni per cui la relazione faccia a faccia è indiscutibilmente la forma normale dell’insegnamento. Preparandosi alla didattica a distanza qualora la situazione peggiori.
3. Le ragioni per cui l’Oms e i governi non riconoscono conseguentemente il ruolo della via aerea nella trasmissione di SARS-CoV-2
La presenza di un patogeno nelle goccioline (droplet) normalmente emesse nella respirazione e disperse a una distanza di 1-2 metri venne dimostrata nel 1897 dal batteriologo tedesco Carl Flügge. Studiando la tubercolosi negli anni Trenta, William Wells distinse tra goccioline di grandi e piccole dimensioni: le prime si depositano prima dell’evaporazione, contaminando le superfici vicine alla fonte; le altre evaporano, nel passaggio dall’ambiente caldo e umido dell’esalazione a quello più freddo e secco, dando luogo a particelle secche (nuclei di droplet), ovvero aerosol. Benché non si richieda contatto fisico tra persone, il contagio a distanza ravvicinata viene fatto rientrare nella trasmissione per contatto mediante droplets di dimensioni maggiori di 5 micrometri (1 µm = 1 milionesimo di metro, un millesimo di millimetro).
Questa distinzione è stata irrigidita in modo da determinare una netta dicotomia fra trasmissione dei patogeni per contatto o per via aerea, per cui da anni si trascinano discussioni sulla rilevanza dell’aerosol. È comprensibile che tra i più convinti sostenitori della via aerea figurino anche specialisti di dinamica dei fluidi: è quel che è necessario perché questa modalità di trasmissione sia studiata e modellizzata.
Nel comunicato dell’Oms del 27 marzo 2020 si legge che «secondo le prove esistenti, il virus di COVID-19 è trasmesso tra le persone attraverso goccioline respiratorie (respiratory droplets) e per le vie di contatto»; le goccioline hanno un diametro > 5-10 μm (micrometri o micron) e la trasmissione «può avvenire per contatto diretto (direct contact) con persone infettate e per contatto indiretto con superfici nelle immediate vicinanze o con oggetti utilizzati sulla persona infetta». Si afferma poi che la trasmissione per via aerea (airborne transmission) «è possibile in circostanze e ambienti specifici in cui vengono eseguite procedure che generano aerosol», a cui segue un elenco di precise procedure mediche8. La questione cruciale è l’affermazione che il contagio avviene soltanto per contatto diretto (direct contact) e non per via aerea (airborne transmission), se non per particolari situazioni ospedaliere. Durante l’estate le linee guida dell’Oms si sono in parte modificate, senza però giungere ad una affermazione coerente a riguardo dell’aerosol. Il cinque giugno il Direttore generale dell’Oms si decise prescrivere le mascherine quando non è possibile il distanziamento dichiarando:
«Ecco cosa c’è di nuovo:
Nelle aree a trasmissione diffusa, l’OMS consiglia maschere mediche a tutte le persone che lavorano nelle aree cliniche di una struttura sanitaria, non solo ai lavoratori che si occupano di pazienti con COVID-19.
In secondo luogo, nelle aree con trasmissione di comunità, consigliamo alle persone di età pari o superiore a 60 anni, o con condizioni di base, di indossare una mascherina medica in situazioni in cui non è possibile il distanziamento fisico.
Terzo, l'OMS ha aggiornato anche le sue indicazioni sull’uso delle maschere da parte del pubblico in generale nelle aree con trasmissione comunitaria.
Alla luce dell’evoluzione delle evidenze, l’OMS consiglia ai governi di incoraggiare il pubblico in a indossare maschere laddove la trasmissione è diffusa ed è difficile il distanziamento fisico, come sui trasporti pubblici, nei negozi o in altri ambienti ristretti o affollati» (corsivi miei)9.
Qui il Direttore pone l’utilizzo delle maschere in relazione alla distanza, non all’aerosol.
La critica della netta dicotomia tra goccioline grandi-piccole e trasmissione per contatto-per aerosol non è recente, ma si è accentuata nel corso della pandemia. Ad esempio, lo studioso di aerosol Jose-Luis Jimenez, ha dichiarato con un certo sarcasmo che se le particelle di 5 µmcadessero alla velocità presunta dalla Oms «non dovremmo preoccuparci che la polvere del Sahara raggiunga la Florida, perché gran parte della massa di polvere è composta da aerosol in questo raggio di dimensioni» e che il polline ha dimensioni tra 15 e 200 µm, ragion per cui «se gli aerosol di polline, che sono più grandi di 5 μm, cadessero effettivamente a terra entro 1-2 metri, neanche le allergie ai pollini sarebbero un problema»10. Jimenez è tra coloro che hanno studiato il caso delloSkagit Valley Chorale dello Stato di Washington: dopo la prova del 10 marzo, durata due ore e mezza, su 61 partecipanti, 33 risultarono positivi, 20 fortemente sospetti, due morirono per Covid-19, nonostante tutti avessero mantenuto la distanza di sicurezza e non risultino possibilità di contagio per contatto. Questo è uno dei casi di studio che dimostrano la trasmissione di SARS-CoV-2 per via aerea11.
Fin dall’inizio della pandemia è enorme la produzione di studi pubblicamente disponibili sui suoi più vari aspetti (l’Oms dichiara di esaminarne anche 500 o 1000 al giorno). Sono numerosi anche quelli che insistono sull’importanza dell’aerosol per la diffusione di Covid-19: sia descrittivi di determinati eventi infettivi, sia sperimentali, sia teorici, sia di confronto tra SARS-CoV-2 con altri agenti patogeni trasmessi per via aerea12. È stato anche fatto notare che mentre la trasmissione per contatto è data per scontata, è quella per aerosol che è stata effettivamente studiata.
Il primo aprile, a nome dei colleghi delle Accademie nazionali degli Stati Uniti, Harvey V. Fineberg rispose così a una domanda dell’Office of science and technology policy della Casa bianca circa il ruolo dell’aerosol nella pandemia: è necessario studiare ancora il comportamento e l’infettività del bioaerosol di SARS-CoV-2, ma «i risultati degli studi disponibili sono coerenti con l’aerosolizzazione del virus dalla normale respirazione»13. Da questo la raccomandazione del Cdc sull’uso delle maschere in pubblico, specialmente quando non possibili altre modalità di distanziamento fisico. Posizione in contrasto con le indicazioni della Oms di tre giorni dopo, per cui le maschere dovevano essere riservate al solo personale medico, mantenendo la distanza di almeno un metro14.
L’importanza della trasmissione aerea è stata evidenziata in studi sull’influenza, sulla Mers, sulla Sars e perfino per il virus Ebola in animali in laboratorio15. Un caso famoso è quello del complesso di edifici residenziali Amoy gardens in Hong Kong: dei 187 casi iniziali di Sars del 2002, 99 vivevano nell’edificio E insieme al caso indice. L’infezione si diffuse da un appartamento verso quelli superiori attraverso i condotti d’aria; l’analisi epidemiologica, dei venti e simulazioni al computer di questi primi casi anche in alcuni appartamenti di altri edifici del complesso esclude che il contagio sia avvenuto per contatto, a differenza dei successivi16. È ben documentata la presenza di aerosol negli ospedali di Wuhan, specialmente nelle aree dedicate al personale medico; a marzo Liu Yuan et al.concludevano il loro studio affermando che «SARS-CoV-2 abbia il potenziale per essere trasmesso attraverso l’aerosol»17.
L’aerosol mette in discussione la distanza di 1-2 m. ma non si deve affatto pensare che sia meno rilevante a distanza ravvicinata. Al contrario, diversi scienziati ne sostengono il ruolo predominante entro i 2 metri: secondo uno studio recente, di ricercatori delle università di Hong Kong e Hangzhou, la trasmissione aerea è dominante oltre i 20 cm. nel parlare e i 50 cm. nella tossire18. Anche in questo caso, quel che conta non è la precisione del centimetro ma quel che la ricerca indica: che, oltre che al possibile contagio su una distanza maggiore di 2 m. e al ristagno in ambiente chiuso, un getto di aerosol infetto può dirigersi direttamente verso l’apparato respiratorio di una persona suscettibile alla distanza di una normale conversazione. Che sia proprio questo quel che spesso accade lo suggerisce un fatto che non è controverso: ovvero, che la maggior parte del contagio si dia da individui asintomatici o presintomatici, che non tossiscono né starnutiscono, che non sono individuabili. Questo fatto è molto più significativo della principale obiezione portata contro la centralità della trasmissione per via aerea di SARS-CoV-2: che il suo numero riproduttivo di base sia troppo piccolo. Come se questa modalità di trasmissione non possa conoscere livelli intermedi tra la (relativamente) bassa infettività per solo contatto e quella molto alta del contagio aereo di malattie come il morbillo. Ma l’aerosol può spiegare sia eventi di superdiffusione in circostanze non usuali - come quello della prova del coro della Skagit Valley o attraverso una «piuma» che risale i condotti dell’aria condizionata - quanto gli eventi molto più frequenti del contagio a distanza ravvicinata da parte di un individuo apparentemente non infetto.
Quanto alla tosse, questa può produrre circa 3000 droplets e 40.000 uno starnuto, la maggior parte delle dimensioni 1–10 μm; nella respirazione normale, l’80-90% delle goccioline hanno dimensione inferiore a 1 μm e sono aerosol19. A seconda delle dimensioni le particelle di aerosol possono depositarsi in tratti diversi dell’apparato respiratorio (faringe e laringe; trachea e bronchi; alveoli polmonari), quelle più grandi prevalentemente nel tratto superiore, quelle più piccole, dai 10 μm, possono penetrare fino ai polmoni causando le forme più gravi di malattia. Anche a prescindere dalla ricerca specifica su SARS-CoV-2, i diversi percorsi delle goccioline respiratorie sono ben noti e utilizzati nella costruzione dei dispositivi che producono aerosol con differenti caratteristiche da impiegare nella cura di differenti malattie, nonché per la fabbricazione e classificazione delle maschere di protezione.
Nuvola da starnuto, da Bouroiba 2020 |
L’insoddisfazione nei confronti dell’Oms è culminata nell’appello di Lidia Morawska e Donald K. Milton del 6 luglio, «It is time to address airborne transmission of COVID-19», sottoscritto da altri 237 specialisti di malattie infettive, epidemiologi, ricercatori nel campo degli aerosol:
«Facciamo appello alla comunità medica e agli enti nazionali e internazionali competenti affinché riconoscano il potenziale di diffusione per via aerea della malattia da coronavirus 2019 (COVID-19). Esiste un significativo potenziale di esposizione per inalazione del virus in microscopiche (microgocce) goccioline respiratorie a distanze medio-brevi (fino a diversi metri, o sulla scala di una stanza), e noi sosteniamo l’uso di misure preventive per mitigare questa via di trasmissione aerea»20.
Gli autori affermano che le goccioline di 5 micrometri possono muoversi a distanza di decine di metri e protestano contro il fatto che l’Oms e le altre istituzioni competenti non riconoscano la generale importanza di questa via di trasmissione del contagio. Ritengono particolarmente grave il rischio negli spazi sovraffollati dei trasporti e degli edifici pubblici.
Il giorno successivo, durante una conferenza stampa la dirigente tecnica dell’unità operativa dell’Oms per il controllo delle infezioni - Benedetta Allegrenzi - rispose così a una domanda circa l’appello di Morawska e Milton
«Riconosciamo che emergono prove in questo campo, come in tutti gli altri campi riguardanti il virus di COVID-19 e la pandemia e quindi riteniamo di dover essere aperti a queste prove e comprenderne le implicazioni per quanto riguarda le modalità di trasmissione e anche per quanto riguarda le precauzioni che occorre adottare» (and understand its implications regarding the modes of transmission and also regarding the precautions that need to be taken; i corsivi sono miei)21.
Il nove luglio l’Oms aggiornò le linee guida per la prevenzione. Dopo aver citato una serie di studi che sostengono la trasmissione per via aerea il documento commentava:
«In questi eventi, non è possibile escludere la trasmissione di aerosol a corto raggio, in particolare per un periodo di tempo prolungato con persone infette in specifici luoghi interni, come spazi affollati e non adeguatamente ventilati. Tuttavia, indagini dettagliate suggeriscono che la trasmissione da uomo a uomo all'interno di questi cluster potrebbe spiegarsi anche con la trasmissione da goccioline e fomiti. Inoltre, gli ambienti di stretto contatto di questi gruppi possono aver facilitato la trasmissione da un piccolo numero di casi a molte altre persone (un evento di superdiffusione), specialmente se non è stata mantenuta l’igiene delle mani e non sono state utilizzate le maschere quando è venuto meno il distanziamento fisico» (corsivi miei).
E questa è l’ultima e la più ampia delle raccomandazioni:
«evitare luoghi affollati, ambienti in cui si è a stretto contatto e spazi ristretti e chiusi con scarsa ventilazione; per proteggere gli altri, indossare maschere di tessuto quando ci si trova in spazi chiusi e sovraffollati; e garantire una buona ventilazione ambientale in tutti gli ambienti chiusi e un’adeguata pulizia e disinfezione dell’ambiente»22.
Nel corso di sei mesi o poco più, la posizione dell’Oms circa le modalità di contatto ha avuto una lenta e modesta evoluzione: è partita da un’eziologia basata esclusivamente sul contatto ed è approdata a dare un’indicazione - circa la ventilazione di ambienti chiusi - più coerente con la limitazione del rischio da aerosol che da contatto. Tuttavia, pur elencando alcuni dei più importanti studi sulla via aerea, questi sono ridimensionati non con una critica nel merito ma con l’affermazione che i contagi potrebbero spiegarsi anche tramite contatto. Dunque, con l’eccezione dei contesti ospedalieri, la trasmissione per via aerea è ammessa solo come una possibilità. Come si spiega questo linguaggio ambiguo?
La risposta dell’Oms è che occorre ancora indagare, ma chi attira l’attenzione sul rischio da aerosol non sostiene certo il contrario o che non si diano limiti alle ricerche già svolte sull’aerosol. Anche per malattie delle vie respiratorie emerse anni fa, come l’influenza aviaria e la Sars, esiste incertezza circa l’importanza relativa delle vie di trasmissione: è ovvio che ciò valga anche per Covid-19, che ha solo pochi mesi. Il punto è che esistono analisi di episodi di contagio che non si spiegano con la via del contatto diretto - se non ipotizzando un’improbabile serie di coincidenze non note - ma che invece si spiegano bene con la trasmissione aerea. Dire «potrebbe essere così, ma anche in questo altro modo» pare un arrampicarsi sugli specchi.
Il punto è che l’Oms non basa le proprie decisioni su argomenti esclusivamente sanitari: deve sempre valutarne l’impatto economico e politico (per quanto riguarda i flussi commerciali e i trasporti questo è esplicito nel Regolamento sanitario internazionale), è soggetta a critiche e pressioni da parte dei governi e ha una propria diplomazia. Ad esempio, l’Oms venne duramente criticata dal Consiglio europeo (e non solo) per aver esagerato la pericolosità dell’influenza suina del 2009 e per aver quindi frettolosamente deciso la sua prima dichiarazione di Emergenza sanitaria pubblica internazionale (Pheic); viceversa, è stata criticata per aver tardato nel dichiarare una Pheic a proposito dell’epidemia di Ebola in Africa occidentale (2014-6) e di Covid-19.
Attribuire un ruolo significativo alla trasmissione aerea anche al di fuori delle procedure mediche implica interventi importanti, diversi dall’isolamento e dalla quarantena, ma che hanno costi alti e possono interferire ulteriormente con lo svolgimento delle attività economiche e sociali, come le lezioni in presenza. Forse è questo il motivo politico della reticenza ad adottare in modo coerente ed esplicito una linea di prudenza a riguardo dell’aerosol, che altrimenti sarebbe conseguenza logica del rischio evidenziato da prove sperimentali, modelli teorici e casi di studio.
Dal punto di vista della prudenza, pur concedendo che le prove per la trasmissione aerea non siano conclusive, esse sono sicuramente abbastanza consistenti e preoccupanti per quel che implicano per il contagio in ambienti chiusi. In una situazione pandemica, causata da un patogeno per cui non esiste vaccino, sottovalutare la via di trasmissione aerea può avere conseguenze drammatiche: in questo caso l’experimentum crucis può essere costituito da centinaia di migliaia di morti evitabili.
Note
Consiglio di fare attenzione alle date di pubblicazione degli studi. Dicono molto circa la differenza tra i tempi scientifici e quelli politici nella pandemia: i secondi sono quelli di un lumacone.
1 Institute for health metrics and evaluation (Ihme): «New IHME COVID-19 forecasts see nearly300,000 deaths by december 1», http://www.healthdata.org. Da notarsi: «il modello presuppone inoltre che il 50% dei distretti scolastici in ogni Stato opterà per l'istruzione online solo per l’anno scolastico 2020-2021».
2 National health commission of the People’s Republic of China. Protocol for prevention and control of COVID-19 (Edition 6), https://covid-19.chinadaily.com.cn/a/202003/27/WS5e7c2586a310128217282335.html.
3 Database dell’European centre for disease prevention and control, https://www.ecdc.europa.eu/en
4 L. Setti-F. Passarini-G. De Gennaro, et al., «SARS-Cov-2 RNA found on particulate matter of Bergamo in Northern Italy. First evidence», Environmental research, vol. 188, 30 maggio 2020: «L’RNA di SARS-CoV-2 è stato trovato su particolato aerodisperso (PM) ottenuto in un periodo di 3 settimane da un sito industriale di Bergamo»; già on line in MedRxiv il 24 aprile.
5 Ad esempio: «Le velocità di espirazione massime possono giungere a 33 a 100 piedi al secondo (10-30 m/s), creando una nuvola che può estendersi approssimativamente da 23 a 27 piedi (7-8 m)»: Lydia Bourouiba, «Turbulent gas clouds and respiratory pathogen emissions. Potential implications for reducing transmission of COVID-19», JAMA, 2020, online dal 26 marzo 2020, col filmato: https://www.youtube.com/results?search_query=Turbulent+gas+clouds+and+respiratory+pathogen+emissions; anche: L. Bourouiba, et al. «Violent expiratory events: on coughing and sneezing», Journal of fluid mechanics, vol. 745, 2014. Un altro filmato sui flussi d’aria in diverse situazioni di ventilazione della Technische Universiteit Delft (TU Delft): https://www.youtube.com/watch?v=PLIOeu9Ic4Q&feature=youtu.be
6 , «Aerosol and surface stability of SARS , et al.‐CoV‐2 as compared with SARS‐CoV‐1», The New England Journal of Medicine, vol. 382, n. 16, 16 aprile2020: «SARS-CoV-2 è rimasto vitale negli aerosol per tutta la durata del nostro esperimento (3 ore), la trasmissione da aerosol e fomite di SARS-CoV-2 è plausibile, poiché il virus può rimanere vitale e infettivo negli aerosol per ore e su superfici fino a giorni».
7 Lidia Morawska-Cao Junji, «Airborne transmission of SARS-CoV-2: The world should face the reality», Environment international, 139, 2020; il rimando è a H. Qian-X. Zheng, X., «Ventilation control for airborne transmission of human exhaled bio-aerosols in buildings», Journal of thoracic disease, 10, 2018. Si veda anche Nicholas R. Jones et al., «Two metres or one: what is the evidence for physical distancing in covid-19?», British medical journal, 370, 25 agosto 2020; Peter V. Nielsen-Liu Li, «The influence of air distribution on droplet infection and airborne cross infection», Department of Civil Engineering, Aalborg University, DCE technical memorandum, n. 77, 2020. Purtroppo pare che non basti aprire le finestre. Il problema è la direzione del flusso d’aria: questo può provocare la mescolanza degli aerosol e la loro più veloce diffusione nell’ambiente interno. È quel che si legge in Olga B. Kudryashova et al., «Propagation of viral bioaerosols indoors», medRxiv preprint, 30 settembre 2020, altro studio che ribadisce l’importanza dell’aerosol. L’unica alternativa praticabile nella maggior parte dei contesti resta dunque tenere spalancate lefinestre il più a lungo possibile.
8 World Health Organization, Modes of transmission of virus causing COVID-19. Implications for IPC precaution recommendations: scientific brief, 27 March 2020; No. WHO/2019-nCoV/Sci_Brief/Transmission_modes/2020.1
9 WHO Director-General's opening remarks at the media briefing on COVID-19 - 5 June 2020, https://www.who.int/dg/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-media-briefing-on-covid-19---5-june-2020
10 Jose-Luis Jimenez «COVID-19 data dives. Why arguments against SARS-CoV-2 aerosol transmission don't hold water», Medscape, 30 luglio 2020.
11 Shelly L. Miller et al., «Transmission of SARS-CoV-2 by inhalation of respiratory aerosol in the Skagit Valley Chorale superspreading event», medRxiv preprint, 18 giugno 2020.
12 Alcuni articoli che trattano degli studi sul ruolo dell’aerosol nella pandemia di Covid-19: Tang Song et al., «Aerosol transmission of SARS-CoV-2? Evidence, prevention and control», Environment international, 144, 2020; Elizabeth L. Anderson-Paul Turnham-John R. Griffin-Chester-C. Clarke, «Consideration of the aerosol transmission for COVID-19 and public health», Risk analysis, vol. 40, n. 5, 2020; Kimberly A. Prather-C. Chia C. Wang-Robert T. Schooley, «Reducing transmission of SARS-CoV-2», Science, vol. 368, n. 6498, 26 giugno 2020.
13 National Academies of sciences, engineering, and medicine, Rapid expert consultation on the possibility of bioaerosol spread of SARS-CoV-2 for the COVID-19 pandemic (april 1, 2020), The National Academies Press, Washington, DC, 2020. https://doi.org/10.17226/25769.
14 Who, Advice on the use of masks in the context of COVID-19. Interim guidance, 6 aprile 2020.
15 Una breve rassegna del ruolo dell’aerosol per influenza, morbillo, varicella, vaiolo, tubercolosi, Ebola, Sars, Mers: aymond «Recognition of aerosol transmission of infectious agents. A commentary», BMC Infectious diseases, 19, 101, 2019.
16 Yu et al., «Evidence of airborne transmission of the severe acute respiratory syndrome virus»,New England journal of medicine, 350, 2004.
17 Liu Yuan et al., «Aerodynamic analysis of SARS-CoV-2 in two Wuhan hospitals», Nature, 582, 2020; lo studio fu sottoposto a Nature il 14 marzo. Si vedano anche Guo Zen-Dong et al., «Aerosol and surface distribution of severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 in hospital wards, Wuhan, China, 2020», Emerging infectious diseases, vol. 26, n. 7, luglio 2020, studio svolto tra il 19 febbraio e il 2 marzo, rintraccia aerosol fino a 4 metri nelle unità di cura intensive; per un ospedale negli Stati Uniti: Joshua L. Santarpia et al., «Transmission potential of SARS-CoV-2 in viral shedding observed at the university of Nebraska medical center», medRxiv preprint, 26 marzo 2020.
18 Wenzhao Chen et al., «Short-range airborne route dominates exposure of respiratory infection during close contact», Building and environment, vol. 176, giugno 2020, online il 10 aprile 2020.
19 Lidia Morawska et al., «Size distribution and sites of origin of droplets expelled from the human respiratory tract during expiratory activities», Journal of aerosol science, 40, 2009.
20 Lidia Morawska-Donald K. Milton, «It is time to address airborne transmission of COVID-19», Clinical Infectious disease, on line il 6 luglio 2020.
21 Who, COVID-19. Virtual Press conference 7 July 2020, https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/transcripts/virtual-press-conference---7-july---covid-19.pdf?sfvrsn=6d4b4eb7_2
22 Who, Transmission of SARS-CoV-2: implication for prevention precautions, Scientific brief, 9 luglio 2020.