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Antonio Marchi |
Avevo promesso di
ritornare sulla tomba di Mauro il 26 settembre del 2018 (30° anniversario), ma
l’ho fatto prima, giusto tributo a un compagno morto ammazzato per la libertà e
la giustizia 25 anni fa, non solo perché la vita è imprevedibile (a volte ti
scappa via), ma anche perché, nonostante il lungo processo ancora in corso,
vedo la presenza di un vuoto mediatico di consapevole indifferenza per quello
che Mauro è stato e ha fatto.
Lui ha messo energie
e passione nella vita. Il suo tempo l’ha speso alla ricerca del “sé” migliore, per
rendere migliore la vita degli altri. Lo stesso percorso che ha spinto tanti di
noi a conquistare un pezzo di libertà e di coscienza che rende normale la lotta
e il sacrificio quando c’è un sogno da realizzare; scrutando con fiducia quel
“fine” che si chiama giustizia e libertà, che ha come unici alleati in questo
percorso il coraggio, la solitudine, il silenzio, la morte…
Oggi invece non è
più così: il sacrificio è detestato, il coraggio trasformato in viltà, le
energie buttate come mondezza. Vince la prepotenza e l’arbitrio, a tutti i
livelli, con la complicità di chi è vittima.
Nessuno vuole più porsi
domande, “cercare” se stesso dentro la sofferenza e i drammi del mondo.
L’occasione del
venticinquennale della morte di Mauro mi permetteva di andare oltre il fatto
celebrativo, per legarmi a quelle idee di libertà e di giustizia per le quali
Mauro si è battuto sino alla fine dei suoi giorni, per legarmi a quelle
numerose vite stroncate dal piombo mafioso. Idee che partono dalla resistenza
al Nazifascismo dei padri, dalle nostre lotte del ‘68 che ci hanno formato,
fino a tutte quelle che continuano a formare e forgiare giovani, uomini e donne,
nell’idea di libertà che non si compera, che non è in vendita, ma che si fa
strada nella pratica quotidiana della lotta, dello stare assieme, per migliorarci.
Ricordare è come
ridare vita a quelli che l’hanno sacrificata, trattenerli ancora tra noi. Un
compito e un dovere per chi guarda al mondo non solo come luogo di preghiera o
di divertimento, ma anche d’impegno, di responsabilità e di condivisione. Solo
così vale la pena vivere. Diversamente significherebbe sottostare alle leggi
del capitalismo selvaggio o della società dello spettacolo, condannati alla
dipendenza del mercato, all’indifferenza verso gli “altri” (diversi solo per
colore o fortuna), all’irresponsabilità e al cinismo, al “fai da te”…credendo
che basti badare a se stessi per “salvarsi”.
Perché viaggiare intanto
E’ una
domanda che mi sono da sempre posto e che a cui non mi sono mai curato di dare
una risposta. Se c’è, è dentro il respiro umano dell’individuo che cerca aria,
spazio per respirare, per vivere meglio, per non morire o per morire
diversamente.
Francamente non
saprei. Viaggio perché è bello sentirsi liberi.
Da quando ho
intrapreso il mio primo viaggio con un amico di Villorba, con il quale
condividevo passioni politiche e avventure, la voglia di viaggiare si è cucita
addosso e non mi ha più lasciato...
Ma il viaggio non è
mai la meta, come la mappa non è mai il territorio…Tutto è da vivere, non tanto
e non solo da “pensare”.
Viaggiare è anche
meditare, oltre che stare in compagnia con lo spazio. Se penso al luogo di
partenza e al luogo di arrivo e tralascio lo spazio di mezzo, spreco occasioni,
momenti intensi dove tutto può succedere. Tante cose possono succedere nell’avventura
del viaggio.
Il viaggio che
intraprendo è quasi un pellegrinaggio, denso di moniti e anche di speranze; è
una storia coperta di polvere e di macerie, popolata non soltanto di luoghi, ma
anche di fatti e persone del passato e del presente. E’ un amaro e spesso
doloroso immergermi in una realtà che ha contato nella storia d’Italia, ma che
ora è dimenticata e umiliata. Tra rovine e macerie umane e materiali,
differenti tra loro, i dimenticati dal tempo e dal mondo resistono. Resistono
alla tentazione di dimenticare, di normalizzare la storia, presa com’è fra
revisionismo e negazionismo. Le rovine conservano un barlume di vita, le
macerie no; sono solo polvere di vite vissute… Altari e lapidi e cimiteri
silenziosi “ricordano”, nella solitudine del vento, un mondo di storie passate
(e talvolta) quasi presenti. Mondi
smarriti di un paese, il nostro, che rifiuta la memoria. Spaesati luoghi
d’Italia. Un percorso affettivo che mappa i ricordi di generazioni di uomini e
donne, bambini e vecchi con nome e cognome che sono esistiti e non hanno avuto
scelta. .
Prima dei dettagli del racconto
del giorno per giorno…, ringrazio tutti quelli che mi hanno ospitato nel mio
viaggio, accolto o sostenuto.
Comincio dal nord:
Alberto Fracchetti e
gli amici e amiche del circolo ARCI di Ala-Avio - con l’ospitalità del
bici-grill “Ruota Libera” - che hanno tenuto a battesimo il mio viaggio.
Gualtiero Via e famiglia, che mi
hanno ospitato a Budrio (Bologna).
Renzo e Nicoletta
che mi hanno ospitato a Limite sull’Arno e Silvia di Marcignana-Empoli.
Stefania Lisi di
Montecarotto, donna che resiste dentro la “folla” dei “puri di cuore”.
Germana di Pescara
con la sua bella famiglia di “Libera”.
Nicola Dannoli di
Pomarico che mi mette a disposizione un’intero B&B.
Erica la bella e
gentile poliziotta di Crotone.
Luigi Bianco il
poeta amodale di Squillace.
Tonino Andò, Emanuela,
il sindaco e la comunità di Gerace e la loro generosa accoglienza.
Umberto Santino e
Anna del “Centro Peppino Impastato” di Palermo.
La cara Marta
Cimino di Palermo che resiste alla decadenza del suo corpo con rassegnata
serenità. Peppe Virga e famiglia, Giorgio Zacco e Laura del “Ciao Mauro”di
Valderice-Trapani, perché dove vado io ci sono anche loro con generosità e
amicizia.
Peppe Fontana, organizzatore
del 15° incontro della Fondazione Ernesto Guevara a Selinunte; redivivo, che ha
resistito a un’opprimente storia carceraria durata l’infinito tempo di 17 anni,
combattendola da guerriero senza cedere ai ricatti e alle lusinghe del potere.
Jojò e la sua “La Zabarra”;
ex compagno di Lotta Continua di Selinunte.
Pierangelo Marchi, Giorgio
e tutti i volontari della “Tenda di Abramo”, Raffaele Nogaro (vescovo emerito),
Rita Giaretta e le sorelle di “Casa Rut”, Sergio e Silvana di Caserta.
Silvano Pavan di
Favaro Veneto. Costruttore e meccanico della mia bicicletta di tre giri
d’Italia; appassionato di ciclismo, di politica (rosso-verde) e di buon cibo.
Poi, ringrazio la paziente
attesa di mia moglie Alba, che ha s(u/o)pportato con grazia la mia partenza e
la mia lontananza, i miei figli (Marta e Daniele), i vecchi genitori (Romano e
Filomena), i miei fratelli (Nadia, Bruno e Settimo) che hanno condiviso il
tratto finale da Favaro Veneto (Mestre) a Villorba e tutti quelli (troppi da
nominare) che si sono fatti partecipi prima, durante e dopo il viaggio.
GRAZIE DI CUORE.
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Il dorso della maglia che Antonio Marchi ha portato in giro per l'Italia |
Il racconto
Sono partito il
pomeriggio di mercoledì 11 settembre
dalla Facoltà di Sociologia di Trento con il mezzo più silenzioso ed ecologico
che ci sia - la bicicletta -
ricordando la tragedia del Cile di Salvador Allende (1973) e la strage delle
torri gemelle (2001), dopo aver presenziato alla tesi del compagno Domenico sui
“movimenti della contestazione sociale” con un’appendice su Mauro Rostagno.
Da Trento a
Bologna, Firenze, Cesena, Pescara, Trani e il silenzioso territorio della
Murgia, Matera e poi giù verso lo Ionio fermandomi a Crotone, Squillace,
Gerace, Reggio Calabria. Attraversando lo Stretto di Messina e percorrendo la
bellissima strada panoramica che mi ha portato a Trapani sulla tomba di Mauro;
poi Selinunte (al 15° incontro annuale della Fondazione Che Guevara), Sciacca, Agrigento,
Licata, Gela e tagliando la Sicilia per Catania, Niscemi dove incontro chi
lotta contro il MUOS, Caltagirone, Catania, Messina. Ri-attraversando lo
stretto sbarco a Villa S.Giovanni e
proseguo per la SS 18 per, Scilla, Gioia Tauro, Tropea, Vibo Valentia, Amantea,
Maratea, Sapri, fino ad Agropoli, e poi la splendida Paestum, Salerno, Caserta,
Roma, la favolosa Val d’Orcia, Siena, Empoli, Pistoia, Bologna e le nebbie (già
presenti) della pianura Padana per Ferrara, Venezia e Treviso (le mie radici)
dove mi fermo dopo 4500 km…
La prima tappa mi
ha portato al Bici-grill di Ala-Avio “Ruota libera” dove mi aspetta Alberto e
gli “altri” del Circolo “Arci”. Il pergolato del Bici-grill ci contiene tutti.
Stretti per il freddo e la pioggia che cade abbondante, si ricorda Mauro con
poesie e brani di vita trentina, parlo del motivo e del significato del mio
viaggio, del percorso e delle tappe. Ci tiene bella compagnia la lirica che
esce dal pianoforte di Antonio (musicista di Avio). La sua è grande musica che
scalda i cuori e che fa bella e gradevole la serata che si conclude con
un’abbondante pastasciutta all’interno.
Giovedì 12, devo pedalare sodo
tutto il giorno per arrivare a Budrio. Attraversando tutta la fascia padana giungo
a Bologna e all’incontro con il compagno di Utopia Rossa, Gualtiero Via. La serata tutta in famiglia con
moglie e figli suggella la faticosa giornata con un’ottima cena e tanta
solidale amicizia.
Venerdì 13, mattino presto ripasso
Bologna per la stazione: una sosta per ricordare le vittime della strage del 2
agosto 1980. Continuo per la “Porrettana”, direzione Pistoia, Vinci, Empoli,
Limite sull’Arno. Alloggio dall’amico, ex prete operaio, Renzo Fanfani che con
fatica cerca una rivincita sulla vita.
Sabato 14, attraverso Firenze,
direzione Fiesole. Provo (in compagnia di altri ciclisti) il circuito del
mondiale professionisti (purtroppo perso sfortunatamente da Nibali). Lascio la
compagnia salendo verso Borgo S.Lorenzo e il passo “della Colla”. La discesa mi
porta a Faenza. Proseguo fino a Cesena dove
faccio tappa. La serata è piacevole e fresca. Dopo aver trovato alloggio, mi
distendo in una passeggiata rilassante per la città. Al centro, curiosamente,
m’imbatto in un’assemblea dei “5 Stelle”. Sono in tanti... una leader parla
dell’impresentabilità del parlamento, si sente inutile e “vittima” di un
sistema che impedisce il cambiamento… “ci” rivolge la domanda (che è la verità
del momento): ”ma che ci stiamo a fare”? A me non parve vero rispondere ad alta
voce (chiudendomi però ogni possibilità di replica): appunto, “che ci state a
fare ?”
Fine della serata.
Domenica 15, pedalo lungo
l’adriatica con l’ombra di Marco Pantani al mio fianco, verso Jesi e le
amicizie utopico-ghevariste di Alessandro e Loredana. Nella strada mi
accompagnano altri ciclisti…
Mi accorgo che la mia
maglia UTOPICO-LIBERTARIA desta curiosità ma imbarazzo tra i ciclisti. Faccio
il “succhia ruote” e sto dietro beatamente trascinato fino a Senigallia dove
lascio la compagnia per Jesi.
A Jesi con
Alessandro ed Eleonora parliamo di tante cose che ci uniscono nella vita di
utopia, si aggiunge poi Stefania di Montecarotto che mi ospita per la serata
nella sua casa di campagna.
Mi piace raccontare
un incredibile incontro avvenuto, dopo, nel far visita alla madre di Stefania,
ospite nella casa di riposo del paese. Nell’incontro affettuoso e cordiale con
la madre che mi esprime belle considerazioni e affetto per quello che faccio…,
si aggiunge a sorpresa una visita inaspettata: la ciclista che mi ha
accompagnato fino a Senigallia venuta a fare visita al vecchio padre, si
trovava lì davanti a me stupita per l’inaspettato e piacevole incontro: “ma tu
sei il ciclista che ho lasciato a Senigallia questa mattina?” Si sono proprio
io!. Piacere: io Antonio, io Antonella.
Lunedì 16, ripasso Jesi in
discesa. Il tempo sempre bello e temperatura fresca mi confortano. Il mare alla
sinistra mi accompagna con il rumore delle onde verso Ancona e Pescara dove Stefania
mi ha prenotato una sistemazione da Germana di “Libera” che mi ospita.
Serata piacevole in
famiglia, con discussione vivace e confronto d’idee dentro le dinamiche della
vita associativa: dalle difficoltà del reclutamento alla voglia di resistere al
qualunquismo di chi si lamenta ma non fa niente per cambiare.
Martedì 17, da Pescara a Trani (una
delle tappe più lunghe e faticose) passando per Termoli e Foggia è tutta una
volata aiutato dal vento favorevole e da una nutrita schiera di ciclisti, che occasionalmente
andavano nella mia stessa direzione.
Mercoledì 18, pedalo nel
territorio della Murgia per 60
km di solitudine dove non incontro che qualche rara
automobile in un paesaggio a dune, spoglio di vegetazione e di vita agreste.
Altamura e poi
Matera con i famosi sassi, che meritano una mia lode: Matera che benedetta tu
sia dello splendore che mai vidi. Matera tugurio del passato remoto, di rocce e
di case dentro la roccia…assomigli a un presepe…che splendore, che meraviglia!
Scendo verso
Metaponto per svoltare in sù a Pomarico (salita di 7 km impegnativa), paesetto
dalle radici millenarie che domina la valle sottostante; mi aspetta
l’ospitalità di un Agriturismo ricco di ogni ben di dio: allevamento di cavalli,
di verdura e frutta, di viti e olivi e tanto spazio attorno per vivere una
vacanza. La veduta notturna sulla parte alta del paese è da foto.
Giovedì 19, scendo lungo una
stradina deserta che mi porta sullo Ionio nella statale 106 adriatica.
L’obiettivo
ambizioso della giornata è Crotone che dista più di 200 km. Scendo a Bernalda,
poi Metaponto, Trebisacce, Sibari e Crotone. Arrivo che è quasi notte…che
faticaccia. A Crotone mi aspetta Erica una bella signora calabrese che di
mestiere fa la poliziotta.
Conosciuta lungo le
vie imprevedibili del viaggiare errante, mi omaggia di un alloggio per la notte
ed è di piacevole compagnia per la serata.
Venerdì 20, mi affaccio al balcone. Gli occhi si posano su un mare
stupendo di un azzurro mozzafiato. Un venticello mi spinge a uscire dal guscio.
Salgo verso Capo Rizzuto dove, al gustoso panorama, fanno da contrasto palle
eoliche in grande numero. Un brutto vedere! Capo Rizzuto è un paese lungo la
strada, vive di agricoltura con manodopera africana. Ridiscendo sulla 106
adriatica, destinazione Squillace città. Passo il pomeriggio a spasso per le
vie del paese con l’amico-poeta amodale Luigi Bianco conversando del più e del
meno con un bicchiere in mano, stimolanti stuzzichini e chiacchiere con persone
del posto. La serata finisce in un ristorantino in sua compagnia, insieme a
Antonio Froio e figlia.
Sabato 21, salutato Luigi, mi riporto
sullo Ionio verso la Locride. Un tuffo nel mare trasparente della Calabria dove
la gente non si vede e regna il silente rumore delle onde e dove conviene
irridere al carnaio delle spiagge Riminesi, perché, per fortuna, qui il mare è
pulito e splendido e non m’interessa che non ci siano alberghi o bar o
pizzerie, ma solo io a bagnarmi nudo a godere della natura e delle stranezze
degli uomini.
Mi fermo a Caulonia,
dove nel 2008 ho subìto il furto galeotto della bici, per salutare e
ringraziare dell’aiuto l’amico oste. Mi riconosce ed è lui che mi ringrazia
della cortesia. Mi racconta del suo dispiacere per quello che mi è successo e
del suo insistente prodigarsi alla ricerca della bici.
A Locri mi fermo in
piazza per attendere un gruppo di ciclisti che mi accompagnerà fino a Gerace
dove mi aspetta il sindaco, l’amico Tonino (giornalista della Rai e della
Gazzetta del Sud), Emanuela e tanti amici convenuti per l’occasione. Per la
prima volta incontriamo copiosa la pioggia che non lascia scampo: ci bagna
proprio negli ultimi chilometri di salita verso Gerace. Salgo, ospite speciale,
le scale dell’ufficio del Sindaco Giuseppe Varacalli che cordialmente mi viene
incontro porgendomi i saluti suoi e quelli della città. Mi omaggia di una
“laudatio” letta magistralmente da Emanuela. Non sono i brividi di freddo
dell’abbondante lavata che mi scuotono il corpo, ma l’emozione da festeggiato.
Non mi merito tanto dico… se c’è, va diviso con Mauro. Mi sento lusingato e
pago dello sforzo che sto facendo. La serata finisce in una tavolata ricca di
cibo, libagioni, vino e tanta sincera amicizia. Ci nutre lo sforzo culinario di
Giovanni che si è disinnamorato dell’attività politica ma non dei fornelli e ha
un passato di grande lottatore.
Domenica 22. Verso Reggio
Calabria con l’ansia dello “stretto” (non so gli orari). Reggio è un biglietto
di transito per Messina. Ma a Reggio “la bicicletta non può salire”…nonostante
la protesta, sono costretto a portarmi a Villa S.Giovanni e attendere
l’imbarco. A Messina arrivo all’imbrunire. La
città non mi piace, così cerco, strada facendo, tappa altrove.
Lunedì 23, direzione Palermo. La
strada, panoramica sul mare, è tutto un susseguirsi (e lo sarà per tutta la
Sicilia) di salite e discese che mi rendono meno monotono, anche se più duro,
il pedalare.
A metà strada c’è
S.Stefano di Camastra, gran bel paese dedito storicamente alla lavorazione
della ceramica. Decido di fermarmi in un B&B (“I colori dell’arcobaleno”). Il
proprietario è un giovane del posto che fa l’artigiano ceramista (il paese vive
di questo). Mi parla delle difficoltà del momento, dei giovani senza lavoro e
del futuro incerto di un mestiere che ha storia da sempre.
Martedì 24, Cefalù è un imbuto
di case appiccicate una all’altra. Ha una bella cattedrale in una piazza
barocca.
Il vento sulla
strada spinge al ritorno e mi frena la corsa. Mi fermo incantato a Finale (borgo
di case sul mare) innamorato della bellezza e conservazione di una Torre
Saracena con accanto belle sculture di nudi di uomo, donna e animali
mitologici.
Proseguo per
Termini Imerese, che se non fosse per la parte industriale (mi ricorda
Marghera), è un bel posto con tanto di monumenti, chiese e case ancora in bella
armonia con il paesaggio.
Palermo è caotica
per il traffico. In bicicletta mi sento come una barca in un mare in tempesta.
Cerco rifugio in un B&B in piazza Amendola (“Dolce dormire”) suggeritomi
dal compagno Umberto Santino (Centro Peppino Impastato) che poi ritrovo a sera
con la moglie Anna, ospite in casa loro. Il Centro
Peppino Impastato è una realizzazione e vocazione di Umberto (studioso di
antimafia) e un riferimento per la coscienza civile di Palermo (e non solo) e per
chi lotta contro il malaffare, la corruzione e la mafia.
Mercoledì 25, per uscire da
Palermo, ed essere sicuro sulla direzione per Trapani, impiego 45 minuti.
Breve sosta a
Capaci (che ricorda Falcone) e Cinisi (nella casa museo di Peppino Impastato e
mamma Felicia). La statale 13 che mi porta in direzione di Trapani è quanto di
meglio si può chiedere per un ciclista: quasi del tutto sgombra di auto, buona
pavimentazione e mare accanto.
Dopo Partinico
scelgo di svoltare per Castellamare del Golfo (SS 187), una panoramica
mozzafiato su un mare blu intenso. Lo sguardo fa fatica ad abbracciare tanta
meraviglia.
La strada per
Valderice-Trapani s’impenna per qualche kilometro e mette alla prova i miei
polpacci e il mio cuore. Sono arrivato. Mi aspetta l’amico fraterno Peppe. Avvisato
del mio arrivo, è pronto a trasportarmi a casa sua (costruita con le sue mani) per
una doccia ristoratrice. La sera si passa a S.Vito lo Capo alla festa
intermediterranea del Cus Cus. Una zona geograficamente deserta si è
trasformata in poco tempo in un luogo privilegiato di vacanza e turismo, cresciuta
negli anni grazie alla sua stupenda posizione sul mare, alla sua spiaggia, al
suo clima.
Allieta la serata
Max Gazzè.
Giovedì 26, è il capolinea del
mio viaggio. In 14 giorni ho pedalato ininterrottamente per 2400 km per essere presente
all’appuntamento con Mauro e la sua storia ma ora che dovrei essere contento,
sono triste. Mi cresce dentro un’inquietudine e spero che l’emozione non mi
perseguiti quando Lo ricorderò.
Di buon mattino mi
muovo in bicicletta verso Lenzi all’appuntamento istituzionale, dove un brutto
monumento ricorda il luogo del delitto. E’ già arrivato da Trento l’amico
Vincenzo Calì che è stato direttore del Museo Storico e artefice del Centro
dedicato a Mauro.
C’è il sindaco di
Valderice che spende parole di dignitosa rappresentanza (le sue affermazioni
sono sincere e commuovono le sue citazioni su Mauro morto per l’impegno nella
lotta alla mafia).
Ci sono i ragazzi
della quarta e quinta elementare di una scuola di Trapani, arrivati numerosi in
corriera; accompagnati dalle loro insegnanti recitano versi di poesie, suonano
e cantano canzoni in una coralità armonica di voci e suoni che rendono meno
triste l’incontro.
Interviene anche
l’amico Vincenzo Calì. Parla a nome del Museo Storico di Trento, del Mauro
Italiano ed Europeo prima che Trapanese (quasi in polemica con la frase posta
sul monumento “io sono più trapanese di voi”), della sua lotta che univa il
nord al sud senza distinzioni e sospetti.
L’altro incontro (più carico di emozione e sentimento) si
svolge “su”, nel cimitero di Ragosia (Valderice). La tomba di Mauro è poco
dentro l’entrata del cimitero e si nota per la sua semplicità di fronte alla
pomposità celebrativa del resto cimiteriale. Una piccola folla composita la
circonda come in un abbraccio partecipativo seguendo la splendida recita di una
donna vestita di bianco. La sua voce, che non è voce, ma vento che soffia via
il dolore, cuore e sentimento, sangue e amore, passione e odio… incontra l’uomo
(vestito di bianco) che danza a piedi scalzi. Si respira l’aria di echi lontani
di un’altra voce, appassionata e sorridente che buca lo schermo televisivo,
denuncia misfatti, fa nomi e cognomi, ridà vita al sentimento popolare di chi
patisce il ricatto della povertà e della dipendenza…altri echi di drammi vicini
e lontani, di poveri sbarchi e barconi malandati, grida di aiuto, onde macchiate
di sangue, musica come pianto che giunge dal mare....Difficile trattenere il pianto. Le emozioni salgono in
cielo e si vaporizzano in nuvole sciogliendo le tensioni presenti in un
abbraccio di lacrime.
La Poesia di Luciano della Mea. Bellissima, di un
candore, calore e colore che sarebbe piaciuto a Mauro, la sento mia e, cercando
di ritrovare il respiro, faccio del mio meglio per leggerla.
Per
Mauro Rostagno
(di
Luciano Della Mea)
C'è infine una
tomba non tomba, un'aiuola
contornata da ciottoli
bianchi e neri
levigati da fiumi e
mari di Sicilia,
sono selciato su a
Erice.
In mezzo alla
tomba, meta di pellegrinaggi miti
(morte selvaggia
senza testimoni)
e con effimere
bandiere, addio vera memoria, addio,
c'è un ciuffo di
fiori scombinati
innaffiati da
ragazzi "diversi".
Quella terra è in
un angolo, su curva
fra due piccole strade
fuorimano
di asfalto crepato
e gibboso.
Poco più su c'è un
rilievo:
cipressi, palme,
carrubi, fichi d'india
al di là di viti e
ulivi nani.
Fra le piante un
riflesso di vetri e di cupole grigio-oro,
un po' casa e un
po' chiesa.
Latrati di cani,
nitriti di cavalli,
richiami di pavoni
sono note fisse
fra risate e
improperi perfino sconvenienti
e pianti di bambini
in bizza
al di là dei
frequenti silenzi
di carni e menti
automartoriate
dentro apparenti
parentesi di vita.
Fanno da
impertinente/pertinente girotondo
e se si vuole
frequentisssima eco
alla aiuola/non
tomba, punto fermo di morte,
una, non altra, e
ben covata
dentro una vita
irridente e irrisa
in sacripante danza
cangiante,
ma consueta
l'armonia vitale
dietro un'unica
maschera Gianduia:
verità senza noia e
contro qualsiasi altolà
di bianche e nere
lupare altolocate,
cuposonanti contro
il dispiegarsi
dell'umano
intelletto, per se stesso libero e umano.
Alle spalle
incombente il vecchio Erice,
quasi perennemente
annuvolato
sembra celare
l'antica pace della cima.
Lo si può
immaginare zicchiti/zicchete/zacchete,
con occhio
polifemico a guatare
(lui tutto Venere,
sangue, cenere)
eliche di mulini,
isole, pallide saline;
e dicono, verità o
leggenda, che a volte
arrivi come un'eco
di tamburi e leoni,
laggiù dove fra
rugginoso vento di sabbia
brilla l'Africa a
forma di teschio,
culla del primo
uomo, signore e schiavo.
Tutti quei pochi
fiori dell'aiuola/non tomba,
pur diversi fra
loro per foggia e per colore,
chiamansi Mauro,
sono più vivi,
terra, acqua,
pudicissimo amore,
di quelli su al
loculo in Valderice
morti in un
giorno così come
di Mauro là dentro appassisce
il corpo,
non più
beffardamente gufante,
murato vivo come un
allocco
in torre campanaria
disturbata.
Girano le corolle
come girasoli
verso Trapani o
Paceco o Marsala
(nelle
"Palermo" del giudice Palermo):
pizzava a vuoto il
Mauro? nossignori
tanto che vale ora,
morto in fiore,
il suo non omertoso
scioglilingua d'aiuola:
"La
pezza/della pizza/pazza/e col pizzo/
nella pozza di
sangue/puzza".
Avranno mai
giustizia i fiori, o si passeranno i colori,
a corona di grani
nel rosario?
Di quante morti precoci
è fatto un mondo
ancora indegno di
umana convivenza
dove il morire
null'altro sia
che un reclinar di
fiore non reciso! "
Torre (Lucca),
gennaio 1991
A conclusione
Giorgio Zacco dell’Associazione “Ciao
Mauro” orgogliosamente parla dell’impegno in questi anni tribolati
d’intensa attività, parla della gratuità e autonomia in cui si è mossa
l’Associazione, distante da parentele partitiche; parla del processo in corso e
delle difficoltà di esserne partecipi senza essere polemici per rendere
giustizia a Mauro e alla città di Trapani.
L’amico fraterno,
Renato Curcio, così lo ricorda: “Rostagno
per me rappresenta l’esperienza più che ventennale di un’amicizia autentica e
di un affetto potente, misti al fascino provocatorio della sua intelligenza
polimorfa… la sua morte ha rappresentato la morte di una parte profonda di me
stesso e colpisce anche la parte ancora inquieta della mia generazione, quei
compagni che nonostante tutto ciò che è successo negli ultimi vent’anni, o
forse proprio per questo, sanno ancora andare incontro alla vita con l’immutato
desiderio di imparare, di offrirsi e di sorridere… Continuare a voler bene a
Mauro significa anche riflettere sulle responsabilità che la mia generazione ha
contratto nei confronti della sua morte… un’incapacità diffusa a elaborare la
sconfitta subita, un’incapacità a guardare in faccia il passato e anche il
presente. Così – come dice “Sanatano”- “ognuno tira avanti senza voler essere
troppo disturbato dai fantasmi”. Si tratta di una difficoltà a rivivere, di una
quiete stonata, dove possiamo trovare le ragioni delle assenze che hanno
lasciato senz’acqua Rostagno durante le sue ultime coraggiose battaglie contro
i boss dell’eroina.” (dal libro intervista di Mario Scialoia a Renato
Curcio, Mondadori editore, pp. 30-31)
Il pomeriggio in
piazza “Libera” organizza un incontro sui temi della giustizia e della mafia (“da
Mauro Rostagno a Ilaria Alpi”) al quale partecipo intervenendo. Non molti i
presenti, buono il dibattito. Si nota l’assenza dei giovani, mentre i presenti
sembrano reduci di un passato sepolto nella tomba con Mauro.
I giorni seguenti
li passo a Trapani godendomi del privilegio dell’ospitalità dei compagni
trapanesi (Giorgio, Laura, Peppe e famiglia), del caldo sole e della bellezza
della città. Soffro il trasporto urbano privo di orari pubblici, che chiude i
battenti alle 20.30 di tutti i giorni e riposa la domenica (1). Non posso non
elencare quello che di meraviglioso c’è a Trapani e nei dintorni di Trapani.
C’è Erice che da sola vale un tesoro se non altro per la sua meravigliosa
cattedrale. C’è S.Vito lo Capo e la sua spiaggia dorata (c’è anche la suntuosa
villa del potente Zichicchi!!!!!). Ci sono baie naturali che si presentano al
mio sguardo come luoghi di sosta, di tranquilla vacanza ristoratrice. C’è Custoraci
con la sua splendida cattedrale ricchissima in ogni suo dove. Il suo selciato è
ricamato di sassi di diverso colore che formano fiori di campo. La sua
scalinata, da impero, invita a posare per scatti fotografici.
(1) Al Sindaco di Trapani.
Signor Sindaco,
sono da qualche giorno a
Trapani, venuto da Trento in bicicletta per onorare la memoria di Mauro
Rostagno.
Non è la prima volta. Trapani mi
piace e non è solo il ricordo di Mauro che mi fa giungere, che la fa bella e
grande, ma anche la sua collocazione geografica, la sua storia, i suoi
monumenti. La bellezza che giunge dal mare, che ispira poeti e naviganti è
cucita nei ricordi di chi ha lottato per renderla anche più vivibile e giusta.
In questi giorni di ricordi e di
partecipazione ho potuto constatare quanto difficile sia spostarsi nelle
periferie con i mezzi pubblici. Gli autobus ci sono ma nel luogo dell'attesa,
mancano gli orari. Un forestiero come me non sa quanto tempo deve attendere
prima di salirvi. La sera, poi, le corse terminano verso le ore 21 e per chi
vuol godersi una serata in città, al cinema o in compagnia con amici, gli è
preclusa la possibilità del ritorno. Oggi domenica 29 (per esempio) non vedo
autobus in giro, niente male per me che non sono ancora vecchio, ma i vecchi
anche a Trapani ci sono e pure le donne
con la carrozzina… Chi non ha l'auto, a che santo deve votarsi per raggiungere
il centro storico?
Leggo, tra l’altro, dei grandi
cartelloni pubblicitari che invitano la popolazione a utilizzare l'autobus per rendere
più sana e pulita la città, perché usando l'autobus si inquina meno e ci si
sente, anche, più sicuri...Ma come fare se questi mezzi sono così ridotti,
finiscono di correre al tramonto del sole e la domenica stanno a casa?
Signor sindaco vi ponga rimedio,
perché la sua città e la sua gente lo merita. Grazie.
Cordialmente
Antonio Marchi
Lunedì 30, lascio Trapani per
Selinunte, passando da Marsala, Mazara del Vallo, Castelvetrano. Sono quasi
arrivato, ma a Campobello nuvole galeotte all’improvviso liberano tutto il loro
carico d’acqua.
Non c’è
impermeabile che possa salvarmi. Arrivo a Selinunte come fossi uscito dalla
doccia.
Mi rifugio nel
primo bar del paese (Agorazein) dove
cerco di asciugarmi e rifocillarmi senza sapere che è il locale gestio dal nostro
Peppe Fontana e in cui si svolgerà il 15° incontro annuale della Fondazione
Guevara.
Cerco Jojò e la sua
“La Zabarra” per un incontro atteso e cordiale in riva al mare.
Jojò, ex compagno
di L.C., con Helga e figlio, vive l’impegno di esperto ristoratore in un luogo
magico dal mare splendido e con sullo sfondo la magnificenza dell’Agropoli più
grande d’Europa
(VI° secolo a.c.) Il
mio rifugio nei giorni di “riposo” turistico a Selinunte sarà una casetta di
campagna in compagnia di Paolo e la figlia Marta dove di notte vivo la felice
sorpresa dei suoni e rumori della campagna trevisana di un’infanzia ormai
lontana. Nel mio riposo attivo visiterò in bicicletta Castelvetrano, Salemi,
Partanna, S.Ninfa, Gibellina, Montevago, Menfi, Porto Paolo, la superba Sciacca,
l’inaccessibile e gloriosa Caltabellotta (inespugnabile paese che vanta di
essere stata protagonista di una pace senza resa - in cima ad una salita
interminabile dove lo sguardo si perde nel panoramico silenzio di mare e di
terra senza l’ombra di una presenza umana).
Giovedì 3 ottobre, partenza con
corriera per Palermo da Castelvetrano. Mi accompagna alla stazione Paolo.
Si presenta nel
pomeriggio nella sede della CGIL regionale il libro su Gino Donè, l’italiano del Granma di Katia Sassoni, pubblicato da
Massari editore e già presentato in molte città d’Italia. In mattinata vado a
far visita a Marta Cimino, conosciuta attraverso la storia di Mauro Rostagno.
Marta si è laureata a Trento ed è stata a Palermo sempre in prima linea nelle
lotte dei movimenti sociali e politici dagli anni 70 in poi. Oggi è malata e
inferma e il mio ritrovarla in quello stato, mi ha scosso e raffreddato il
piacere dell’incontro. Nei suoi occhi non ho letto la speranza di un avvenire possibile,
ma una serena e accettata rassegnazione per quello che verrà.
All’appuntamento per
la presentazione del libro su Gino Donè ritrovo Roberto Massari e Antonella
Marazzi. Convocata dall’Anpi e ospitata dalla Cgil, la presentazione si
trasforma in una riflessione a voce alta con alcuni degli intervenuti. A
organizzarla è stata Inés Kainer (argentina stabilitasi in Italia) e la sua
ALAS (Associazione Latinoamerica Sicilia). Il seguito della serata (anche in
memoria di Gino) si vive all’affollata osteria Garibaldi nel centro storico e
antico di Palermo.
Sabato 5, Ritorno a Selinunte in
auto con Roberto e Antonella. L’Agorazein è vestito a festa per il 15° incontro
della Fondazione Ernesto Che Guevara. Peppe Fontana, organizzatore
dell’incontro, ci accoglie come ospiti speciali, parte della sua famiglia e fa
di tutto per rallegrare il nostro soggiorno. Arrivano alla spicciolata gli altri
ospiti partecipanti, tra i quali Andrea Furlan, Alberto Aleandri e moglie
dall’Aquila.
Il locale si
riempie ed è bello da vedersi. Selinunte ha di speciale il mare e i resti di un
passato millenario: ora può fregiarsi anche di aver ospitato l’incontro
nazionale della “Fondazione Ernesto Guevara” che ha per tema, il “Che
libertario”. A Peppe Fontana spetta il
compito di introdurre presentando gli ospiti…In seguito gli interventi di
Michel Antony, David Kunzle, Inés Kainer e Roberto Massari. Michel ha spiegato
(da anarchico) che Ernesto Guevara era “libertario” quando agiva per conto
“proprio”, ma non lo era quando doveva agire per conto dello “Stato”.
Un’ambiguità che era connaturata alle differenti responsabilità del suo ruolo
fino a che Guevara è rimasto a Cuba. Diversa la sua storia da quando, smesso le
vesti “istituzionali”, ha cercato in altri luoghi di accendere la fiamma della
rivolta… Era presente all’incontro, anche lo scrittore Salvatore Mugno (autore
tra l’altro di libri come Mauro Rostagno
Story, Matteo Messina Denaro – un
padrino del nostro tempo, Giangiacomo
Ciaccio Montalto – una targa amara).
Ne è seguito un
dibattito ricco e interessante d’interventi che ha coinvolto il numeroso
pubblico presente e fatto meglio conoscere la complessità della vita del Che
nei suoi compiti e doveri di rivoluzionario e
nelle sue responsabilità di “funzionario” di uno “Stato” nato dalla
rivoluzione.
La serata si è conclusa
degnamente nel ristorante del papà di Peppe (Baffo’s Castle) dove c’era
l’imbarazzo di mettere assieme tanta bontà e varietà di cibo con le limitate e
umane capacità fisiche.
Lascio Selinunte con
un grande abbraccio e ringraziamenti a Peppe Fontana, Jojò e la sua ospitale
“Zabarra”, Paolo e sua figlia Marta (che mi ha ceduto il suo spazio notturno) e
la pioggia che ha voluto liberare nella notte tutte le sue riserve d’acqua, per
lasciarmi continuare, quasi asciutto, il viaggio di ritorno.
Domenica 6, la strada,
nonostante non piova più, è un disastro. Mucchi di sabbia, portati nella notte
dal mare, ne ostruiscono il passaggio anche alle auto, immaginarsi alla
bicicletta. Procedo lentamente e spesso sono costretto a mettere piede a terra.
La pioggia non viene dall’alto ma dal basso dalle gigantesche pozze d’acqua in
strada.
Non piove e il
cielo sembra schiarirsi ma non c’è il sole e le strade rimangono bagnate, sozze
di fanghiglia.
Riprendo fiato ad
Agrigento. Una breve sosta per rifocillarmi e lavarmi il viso. Sono una
maschera di fango dai piedi ai capelli.
Appare un pallido sole che m’invoglia a continuare.
Dopo Agrigento la
strada è migliore. Più panoramica e meno sporca.
Mi fermo tra Licata
e Gela in un B&B lungo il mare. Il posto è bello e c’è tutto quel che mi
serve.
Appena arrivato,
lavato e sistemato in attesa della cena… la pioggia ricomincia a cadere
abbondantemente. Rumoreggiano, spinte dal vento, le onde del mare. Il cielo si
oscura. Lampi disegnano nel cielo spettrali figure, tuoni rompono il silenzio.
Cala il sipario sul giorno e a me sta bene perché sono al coperto, asciutto e
ben nutrito.
Lunedì 7. Gela è un grande arco
di terra piana che poi sale dal mare. Ottimo posto per uno sbarco alleato.
I resti di rifugi, disseminati
qua e là, come oscura memoria di una guerra di liberazione nella quale la
Sicilia non ha avuto molto da dire.
Mi fermo a Caltagirone
che è a metà strada da Catania. Città bella e ricca di monumenti e chiese. Il
suo popolo rivendica un passato orgoglioso di grande prosperità e benessere che
ora si è perso dopo l’annessione all’Italia. Cerco confronto ma non c’è dialogo.
Catania è una
grande città dalle ricchezze inestimabili. L’Etna la sovrasta e, come una
montagna sacra, la protegge dall’alto dei suoi 3000 metri. Basta girarla per
rendersene conto: piazza duomo, l’Università, la varietà e abbondanza di
chiese, di chioschi, di monasteri. La parte vecchia è gran bazar con strade
rotte, traffico disordinato e auto in sosta allineate in doppia fila.
Martedì 8, lascio Catania per
Messina. Il tempo tende al bello, ma verso Taormina una leggera pioggerellina
mi mette in allerta. Dura poco e il resto è strada asciutta fino a Giarre (un
supplizio il ciottolato lungo tutto il paese che mostra il meglio di se al
centro con la cattedrale a doppio campanile).
Riprende a piovere alle porte di Messina. M’imbarco. In 15 minuti sono
già di là a Villa S.Giovanni. Proseguo di buona lena sulla Statale 18 verso
Scilla (troppo bella per non fermarsi e godersela) e poi salita (dura) verso Bugnara
Calabra avvolto nella fitta nebbia e discesa mozzafiato verso Palmi, quartier
di tappa.
Mercoledì 9. La statale 18 è un
su e giù continuo. Ci vogliono buone gambe e polmoni per fare strada e nello
stesso tempo gustarsi il paesaggio marino. Gioia Tauro, Mileto e l’ossessivo stretto
corridoio che separa Vibo Valentia a Lamezia Terme (25 km di strada stretta e
diritta, dove due anni fa morirono investiti da un’auto pirata ben otto
ciclisti sul colpo). A Lamezia c’è Gianni Muraca nella frazione Sanbiase. Lo
cerco al centro del paese ma sembra che nessuno lo conosca. Insisto senza
perdere la pazienza e finalmente trovo la sua bellissima casa. Un restauro fatto
a mano con pazienza artistica. Gianni è
un giovane artista calabrese, pieno d’idee e di voglia di fare; fa l’insegnante
a Nicastro (altra frazione di Lamezia), è sposato con una bellissima moglie e
ha tre figli “esplosivi”.
La serata è molto
partecipata e piacevole, non solo per la cena accuratamente preparata da
Loredana e un vino speciale (produzione casalinga), ma anche per i bambini che mi
tempestano di attenzioni e domande,
curiosi di me e del mio viaggio. La serata si conclude con una passeggiata a
visitare la parte storica del paese Sanbiase e il centro di Nicastro (polmone
economico e culturale della zona).
Giovedì 10. I bambini mi
vogliono veder partire. Scendono tutti e tre accompagnati da Gianni e Loredana
per salutarmi. E’ commovente vedermi salutare con le loro manine, il loro ciao
mi resta per un po’ negli occhi e nelle orecchie. Scendo la lunghissima e
drittissima strada che mi riporta lungo la statale 18 verso la costa calabra: Amantea,
Paola, Scalea, Maratea, Pria di Mare, Sapri (bellissima con il golfo e la sua
storia garibaldina) sono località tutte da vedere con scorci di mare splendido e
di baie dagli orizzonti infiniti di un sole calante. Sono ancora lontano da
Agropoli (fine tappa) quando comincia a piovere. Mi fermo per indossare
l’impermeabile e riparto. Pedalo quasi ininterrottamente per otto ore e
finalmente vedo il cartello stradale con la scritta Agropoli. Era ora, il mio contakilometri si ferma a 235.560
metri…
Venerdì 11. Mi aspettano a Caserta per le 17. Ho tutto il tempo
per correre tranquillo e godermi la giornata.
La panoramica
strada mi porta a Paestum con i suoi templi greci e i suoi lussuosi alberghi e
ristoranti. Tutt’attorno il paesaggio è rigoglioso e verde. Grandi alberi come
sentinelle lungo la strada. Terra fertilissima, piena di odori e profumi di
frutta e ortaggi.
Salerno è un imbuto
tra mare e montagna. Strade dritte in mezzo alle case. Salgo la collina verso la Costa Amalfitana. Il
cielo si fa scuro e mi convinco che non è il caso di andarci. Mi dirigo verso
Nocera Inferiore dove inizia una pioggia torrenziale che non mi lascerà più
fino a Caserta. Le strade diventano torrenti che minacciano la mia stabilità.
Mi fermo spesso. L’intensità della pioggia sembra diminuire per qualche minuto
ma quando riparto siamo daccapo. E’ un calvario accresciuto dall’impossibilità
di alternative possibili. In quel tratto non posso ricorrere ad altro che non
alla mia bicicletta sperando nella clemenza del tempo. Verso Sarno e Nola nuove
complicazioni. La strada da torrente impetuoso si trasforma in lago da guadare
a piedi con bicicletta di fianco. L’acqua mi arriva al ginocchio. La tensione è
alle stelle ma vado avanti. Dal cielo nessuna speranza. Nuvole nere mi seguono
nella direzione di marcia. Finalmente a “Cancello” scorgo un segnale con
l’indicazione Caserta a km. 18. E’ fatta! Maddaloni, che precede Caserta,
mostra i resti del passato impero romano. Mi viene incontro mio fratello sacerdote
per accompagnarmi nella sua “Tenda di Abramo” e poi in Comune a Caserta dove mi
dà il benvenuto il presidente del consiglio comunale, amici e rappresentanti
del comune.
Sabato 12 e domenica 13 a Caserta, ospite di riguardo della “Comunità” con due giorni ricchi di
appuntamenti e incontri: accompagnato da mio fratello Pierangelo vado da
Raffaele Nogaro (vescovo emerito di Caserta) che mi riceve cordialmente nel suo
appartamento con il riguardo che si deve ad un amico speciale. Raffaele è
l’anima spirituale e morale di Caserta. E’ il “padre” buono e generoso con gli
umili e bisognosi, ma tuona contro i potenti. Ha parole di gratitudine e
incoraggiamento per quello che faccio, per il mio spendermi per gli “altri” e
perché non dimentico il sacrificio di chi è morto per le idee di libertà e
giustizia.
Pranzo alla “Tenda di Abramo” che è un luogo di
passaggio dei “tanti” bisognosi che transitano per Caserta alla ricerca di una
vita migliore, ma anche testimonianza e memoria dei preti martiri Don Diana e
Don Puglisi uccisi dalla mafia. Struttura di ospitalità temporanea con stanze
per dormire, mensa, bagni e spazi ricreativi. E’ gestita dai padri Sacramentini
(per ora Pierangelo e Giorgio, domani Mario) con l’apporto di tanti volontari
che si danno il turno.
Una bella realtà in
mezzo ad un mare di problemi.
In questa “oasi” di
pace mi accolgono per il pranzo in molti che formano la “Comunità”.
Una piacevole e
bella tavolata della quale mi onoro di far parte...
Il pomeriggio
visito la città in lungo e largo. Mi piace passeggiare solo guardandomi attorno
e scrutando i volti della gente che passa.
Serata in una
pizzeria del centro, affollatissima, con Anna e Pierangelo. Anna è una brava
volontaria della “Tenda”, si prende cura dei giovani con problemi di disagio
sociale e famigliare.
L’indomani mattina vado
alla messa celebrata da Raffaele. In una “cripta” del suo appartamento si
riuniscono persone di genere ed età diversa. A differenza delle solite messe
domenicali, quella che officia Raffaele Nogaro è una poetica religiosa. Seduti
a semicerchio i convenuti seguono il dialogo
comunicativo del prelato che invita ognuno a portare il proprio
contributo, perché non c’è “messa” senza la partecipazione attiva di chi ne fa
parte.
Prima che ognuno di
noi vada dietro le proprie faccende quotidiane, Raffaele abbraccia tutti i
partecipanti, con il brindisi della buona domenica.
Pomeriggio con Pierangelo
a visitare le periferie di Caserta ricche di fascino e storia, purtroppo poco
evidenziate e curate e lasciate ai margini della città. Un danno economico e
turistico che mal si presta data la situazione disastrosa dei bilanci comunali.
La basilica di S.Angelo in Formis con mosaici e affreschi dell’epoca di Bisanzio
è un balcone sulla città e sul golfo di Napoli, luogo di studio e di culto di
una vicenda storico-religiosa remota. L’Antica “Setteria” dei Borboni a
Belvedere di S.Leucio. Una grande e bella villa circondata da vecchie mura. Una
cittadella nella città, autosufficiente e autonoma. Un “esperimento illuminato”
(dati i tempi) di vita laboriosa e ordinata con case e servizi per la servitù
in basso disposte a semicerchio, proprio giù dalla scalinata della villa, manodopera
sempre pronta a disposizione dei bisogni del lavoro e dei piaceri dei regnanti.
In serata sono a “Casa Rut” da Rita Giaretta e le sue
sorelle laiche. “Casa Rut” è un laboratorio di energie che si mettono al
servizio di chi è sulla strada, di chi non è persona ma merce di scambio da
sfruttare con la prostituzione, pena il rischio ignobile e criminale delle
percosse e della stessa vita. Tante sono le donne riportate alla vita umana e
civile dall’impegno di queste sorelle. Rita l’ha scritto in un libro (Osare la speranza) che è denuncia di
maltrattamenti e sfruttamento, ma nello stesso tempo luce e speranza di vita
migliore.
“Casa Rut” è,
assieme ai “padri Sacramentini”, a Sergio e Silvana (menti raffinate di Caserta
da sempre schierate contro i vizi del potere politico-affaristico che crea nella
popolazione dipendenza e omertà) e a Raffaele Nogaro, la “Speranza” di Caserta.
Lunedì 14 mi faccio dare un passaggio per Frosinone e Roma.
Riprendere la
bicicletta al centro di Roma e passare incolumi la Città eterna non è stato
facile. Roma è fatta per andare solo motorizzati e muniti di grande pazienza e
intuito geografico. Cosa che mi riesce con una certa difficoltà. Dopo ripetuti
tentativi di strade sbagliate, riesco ad imboccare la Cassia e con essa la
direzione verso Viterbo prima e poi Montefiascone, che è un bel borgo, dei
migliori visti fin’ora, poi..
Martedi 15 passo per Bolsena
dove sono di casa Roberto Massari con la sua casa editrice, Antonella, Liben,
Laris e Maruska e dove più volte mi sono cimentato nelle mie scorribande
sportivo-turistiche. Questa volta però non posso fermarmi.
Imbocco la favolosa
Val d’Orcia nella direzione Siena. Il tracciato, dalla pavimentazione pessima, mette
sotto pressione muscoli polmoni e cervello. E’ un continuo salire e scendere
con strappi improvvisi di forte pendenza. Il paesaggio è incantevole. Stradine
s’inerpicano su placidi pendii e finiscono in casolari-ristoro circondati da
alberi.
La terra, di un
marrone leggero, è arata e pronta per le prossime semine autunnali.
Abbadia
S.Salvatore, S.Quirico d’Orcia, Buonconvento…preziosi scrigni di un’Italia
secolare, passaggio obbligato della via dei devoti pellegrini (la via
Francigena) nel cammino verso Roma e poi Siena: che splendore! Siena è talmente
piena, zeppa di turisti provenienti da tutto il mondo che devo scendere dalla
bicicletta e proseguire a piedi per un caffè, nella più bella piazza d’Italia.
Proseguo sempre lungo
la Cassia. Prima di Poggibonsi comincia a piovere ma non posso non concedermi
una visita alla rocca di Staggia (piccolo borgo medioevale tra Monteriggioni e
Poggibonsi), dove ho modo di parlare con la custode del luogo e dei luoghi e
dei tempi remoti (si calcola prima del 1000) di queste costruzioni fortificate,
nidi protetti per uomini in fuga alla ricerca di luoghi sicuri per vivere.
Mercoledì 16. E’ piovuto
abbondantemente tutta la notte e le strade sono fradice. Aspetto a partire che
faccia capolino il sole pallido di questo inizio d’autunno. Empoli è a 60 km e Limite sull’Arno poco
dopo.
Uno scherzo dopo la
sgroppata del giorno prima. A Marcignana (periferia di Empoli) trovo Silvia, donna
di casa ancora giovane e bella, che si diletta in teologia alla ricerca di una
via spirituale per trovare equilibrio e serenità nella vita…mi aspetta a pranzo
in compagnia dei figli.
Il pomeriggio facciamo
visita a Giuseppina, amica di entrambi, vecchia di età ma sempre vigile e attiva,
ricorda con gioia i bei anni trascorsi in compagnia del fratello Pierangelo.
Lascio la piacevole
compagnia e vado a Limite sull’Arno da Renzo (ex prete operaio in pensione) che
non sta in “grazia di dio” ma che resiste alla tentazione dell’infermità.
Lo trovo in
compagnia del cane bassotto (vera novità della casa) e del suo gatto beatamente
straiato a fare le “fusa” pomeridiane. Si accorge della mia presenza perché
armeggio per aprire il cancello. “Caro compagno Toni, che piacere rivederti…”. Passiamo
il pomeriggio assieme. Più tardi arriva il “ciclone” Nicoletta che risveglia
l’ambiente e i sensi. Ci accordiamo per una serata in un ristorante fuori dai
luoghi comuni, in collina, a Montelupo.
Giovedì 17. Parto presto. Verso
Vinci una nebbia, che si taglia con il coltello, non mi lascerà fino a Pistoia.
Scollino il
S.Baronto avvolto in una fitta nebbia. Il sole non riesce a bucarla e nella
discesa verso Pistoia patisco il freddo. L’asfalto è ancora ricoperto da
scritte inneggianti i ciclisti italiani che hanno partecipato al mondiale
fiorentino di fine settembre. A Pistoia, prima della salita per Porretta Terme,
finalmente il sole. E’ con piacere che mi svesto. Il calore del sole e la
salita mi rigenerano. Purtroppo la strada è trafficata come non mai. I
“bisonti” della strada sembra abbiano oggi preferito “questa” alla più comoda
autostrada (il costo del pedaggio comincia a incidere sui bilanci mi dicono…).
Certamente per me è una fatica in più perché oltre alla salita devo sopportare
il vento contro per quella massiccia invasione.
La strada (detta
Porrettana) è lunga per Bologna e quando arrivo ne avrei abbastanza. Pensando
all’ora ancora buona e al giorno dopo, decido di fare un’ulteriore sforzo fino
a Ferrara dove trovo alloggio al S.Romano (coincidenza con il nome di mio
padre).
Ho occasione in
serata di visitare Ferrara come non l’ho mai fatto, nonostante abbia
partecipato a tre maratone. E’ veramente degna di essere considerata
dall’Unesco “città protetta”.
Venerdì 18. La situazione
meteorologica da bel tempo, ma fuori non sembra. Una nebbia m’impedisce quasi
la visuale sui cartelli stradali per Rovigo. Tutt’intorno terra buona che
aspetta giorni migliori.
Pedalo quasi alla
cieca fino ad Adria e poi Cavarzere e Piove di Sacco. Solo sulla riviera del
Brenta, verso Dolo, un pallido sole riesce a disperdere la nebbia e a rendere
bello questo fine viaggio. La riviera è un paesaggio da favola di acqua e case
affrescate. Questo grosso canale che si chiama “Brenta”, nasce in Trentino dal
lago di Caldonazzo, e ha lungo le sue rive il meglio delle ville venete,
capolavori d’arte e spettacolo paesaggistico. Accompagnano il turista barconi
equipaggiati a piccanti ristoranti. Strà, Dolo, Mira e Mestre-porto Marghera,
dove mi aspettano i fratelli (Nadia, Settimo e Bruno), venutomi incontro da
Villorba, Silvano (costruttore di biciclette e presidente della società
ciclistica Favaro Veneto). Il pomeriggio si riparte per Treviso e Villorba lungo
il fiume Sile fuori dai rumori e dai pericoli del traffico, immersi nel
silenzio del fiume e della natura.
Dopo 4.500 km è musica per le
mie orecchie.