L’associazione Utopia Rossa lavora e lotta per l’unità dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo in una nuova internazionale: la Quinta. Al suo interno convivono felicemente – con un progetto internazionalista e princìpi di etica politica – persone di provenienza marxista e libertaria, anarcocomunista, situazionista, femminista, trotskista, guevarista, leninista, credente e atea, oltre a liberi pensatori. Non succedeva dai tempi della Prima internazionale.

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martedì 5 novembre 2013

VIAGGIO IN RICORDO DI MAURO ROSTAGNO, ammazzato dalla mafia a Lenzi (Trapani) il 26 sett. 1988, di Antonio Marchi

Antonio Marchi
Avevo promesso di ritornare sulla tomba di Mauro il 26 settembre del 2018 (30° anniversario), ma l’ho fatto prima, giusto tributo a un compagno morto ammazzato per la libertà e la giustizia 25 anni fa, non solo perché la vita è imprevedibile (a volte ti scappa via), ma anche perché, nonostante il lungo processo ancora in corso, vedo la presenza di un vuoto mediatico di consapevole indifferenza per quello che Mauro è stato e ha fatto.
Lui ha messo energie e passione nella vita. Il suo tempo l’ha speso alla ricerca del “sé” migliore, per rendere migliore la vita degli altri. Lo stesso percorso che ha spinto tanti di noi a conquistare un pezzo di libertà e di coscienza che rende normale la lotta e il sacrificio quando c’è un sogno da realizzare; scrutando con fiducia quel “fine” che si chiama giustizia e libertà, che ha come unici alleati in questo percorso il coraggio, la solitudine, il silenzio, la morte…
Oggi invece non è più così: il sacrificio è detestato, il coraggio trasformato in viltà, le energie buttate come mondezza. Vince la prepotenza e l’arbitrio, a tutti i livelli, con la complicità di chi è vittima.
Nessuno vuole più porsi domande, “cercare” se stesso dentro la sofferenza e i drammi del mondo.
L’occasione del venticinquennale della morte di Mauro mi permetteva di andare oltre il fatto celebrativo, per legarmi a quelle idee di libertà e di giustizia per le quali Mauro si è battuto sino alla fine dei suoi giorni, per legarmi a quelle numerose vite stroncate dal piombo mafioso. Idee che partono dalla resistenza al Nazifascismo dei padri, dalle nostre lotte del ‘68 che ci hanno formato, fino a tutte quelle che continuano a formare e forgiare giovani, uomini e donne, nell’idea di libertà che non si compera, che non è in vendita, ma che si fa strada nella pratica quotidiana della lotta, dello stare assieme, per migliorarci.
Ricordare è come ridare vita a quelli che l’hanno sacrificata, trattenerli ancora tra noi. Un compito e un dovere per chi guarda al mondo non solo come luogo di preghiera o di divertimento, ma anche d’impegno, di responsabilità e di condivisione. Solo così vale la pena vivere. Diversamente significherebbe sottostare alle leggi del capitalismo selvaggio o della società dello spettacolo, condannati alla dipendenza del mercato, all’indifferenza verso gli “altri” (diversi solo per colore o fortuna), all’irresponsabilità e al cinismo, al “fai da te”…credendo che basti badare a se stessi per  “salvarsi”.

Perché viaggiare intanto

E’ una domanda che mi sono da sempre posto e che a cui non mi sono mai curato di dare una risposta. Se c’è, è dentro il respiro umano dell’individuo che cerca aria, spazio per respirare, per vivere meglio, per non morire o per morire diversamente.
Francamente non saprei. Viaggio perché è bello sentirsi liberi.
Da quando ho intrapreso il mio primo viaggio con un amico di Villorba, con il quale condividevo passioni politiche e avventure, la voglia di viaggiare si è cucita addosso e non mi ha più lasciato...
Ma il viaggio non è mai la meta, come la mappa non è mai il territorio…Tutto è da vivere, non tanto e non solo da “pensare”.
Viaggiare è anche meditare, oltre che stare in compagnia con lo spazio. Se penso al luogo di partenza e al luogo di arrivo e tralascio lo spazio di mezzo, spreco occasioni, momenti intensi dove tutto può succedere. Tante cose possono succedere nell’avventura del viaggio.
Il viaggio che intraprendo è quasi un pellegrinaggio, denso di moniti e anche di speranze; è una storia coperta di polvere e di macerie, popolata non soltanto di luoghi, ma anche di fatti e persone del passato e del presente. E’ un amaro e spesso doloroso immergermi in una realtà che ha contato nella storia d’Italia, ma che ora è dimenticata e umiliata. Tra rovine e macerie umane e materiali, differenti tra loro, i dimenticati dal tempo e dal mondo resistono. Resistono alla tentazione di dimenticare, di normalizzare la storia, presa com’è fra revisionismo e negazionismo. Le rovine conservano un barlume di vita, le macerie no; sono solo polvere di vite vissute… Altari e lapidi e cimiteri silenziosi “ricordano”, nella solitudine del vento, un mondo di storie passate (e talvolta) quasi presenti.  Mondi smarriti di un paese, il nostro, che rifiuta la memoria. Spaesati luoghi d’Italia. Un percorso affettivo che mappa i ricordi di generazioni di uomini e donne, bambini e vecchi con nome e cognome che sono esistiti e non hanno avuto scelta. . 

Prima dei dettagli del racconto del giorno per giorno…, ringrazio tutti quelli che mi hanno ospitato nel mio viaggio, accolto o sostenuto.
Comincio dal nord:
Alberto Fracchetti e gli amici e amiche del circolo ARCI di Ala-Avio - con l’ospitalità del bici-grill “Ruota Libera” - che hanno tenuto a battesimo il mio viaggio.
Gualtiero Via e famiglia, che mi hanno ospitato a Budrio (Bologna).
Renzo e Nicoletta che mi hanno ospitato a Limite sull’Arno e Silvia di Marcignana-Empoli.
Stefania Lisi di Montecarotto, donna che resiste dentro la “folla” dei “puri di cuore”.
Germana di Pescara con la sua bella famiglia di “Libera”.
Nicola Dannoli di Pomarico che mi mette a disposizione un’intero B&B.
Erica la bella e gentile poliziotta di Crotone.
Luigi Bianco il poeta amodale di Squillace.
Tonino Andò, Emanuela, il sindaco e la comunità di Gerace e la loro generosa accoglienza.
Umberto Santino e Anna del “Centro Peppino Impastato” di Palermo.
La cara Marta Cimino di Palermo che resiste alla decadenza del suo corpo con rassegnata serenità. Peppe Virga e famiglia, Giorgio Zacco e Laura del “Ciao Mauro”di Valderice-Trapani, perché dove vado io ci sono anche loro con generosità e amicizia.
Peppe Fontana, organizzatore del 15° incontro della Fondazione Ernesto Guevara a Selinunte; redivivo, che ha resistito a un’opprimente storia carceraria durata l’infinito tempo di 17 anni, combattendola da guerriero senza cedere ai ricatti e alle lusinghe del potere.
Jojò e la sua “La Zabarra”; ex compagno di Lotta Continua di Selinunte.
Pierangelo Marchi, Giorgio e tutti i volontari della “Tenda di Abramo”, Raffaele Nogaro (vescovo emerito), Rita Giaretta e le sorelle di “Casa Rut”, Sergio e Silvana di Caserta.
Silvano Pavan di Favaro Veneto. Costruttore e meccanico della mia bicicletta di tre giri d’Italia; appassionato di ciclismo, di politica (rosso-verde) e di buon cibo.

Poi, ringrazio la paziente attesa di mia moglie Alba, che ha s(u/o)pportato con grazia la mia partenza e la mia lontananza, i miei figli (Marta e Daniele), i vecchi genitori (Romano e Filomena), i miei fratelli (Nadia, Bruno e Settimo) che hanno condiviso il tratto finale da Favaro Veneto (Mestre) a Villorba e tutti quelli (troppi da nominare) che si sono fatti partecipi prima, durante e dopo il viaggio.
                                                  GRAZIE DI CUORE. 
 
Il dorso della maglia che Antonio Marchi ha portato in giro per l'Italia
Il racconto

Sono partito il pomeriggio di mercoledì 11 settembre dalla Facoltà di Sociologia di Trento con il mezzo più silenzioso ed ecologico che ci sia - la bicicletta - ricordando la tragedia del Cile di Salvador Allende (1973) e la strage delle torri gemelle (2001), dopo aver presenziato alla tesi del compagno Domenico sui “movimenti della contestazione sociale” con un’appendice su Mauro Rostagno.
Da Trento a Bologna, Firenze, Cesena, Pescara, Trani e il silenzioso territorio della Murgia, Matera e poi giù verso lo Ionio fermandomi a Crotone, Squillace, Gerace, Reggio Calabria. Attraversando lo Stretto di Messina e percorrendo la bellissima strada panoramica che mi ha portato a Trapani sulla tomba di Mauro; poi Selinunte (al 15° incontro annuale della Fondazione Che Guevara), Sciacca, Agrigento, Licata, Gela e tagliando la Sicilia per Catania, Niscemi dove incontro chi lotta contro il MUOS, Caltagirone, Catania, Messina. Ri-attraversando lo stretto sbarco a Villa S.Giovanni  e proseguo per la SS 18 per, Scilla, Gioia Tauro, Tropea, Vibo Valentia, Amantea, Maratea, Sapri, fino ad Agropoli, e poi la splendida Paestum, Salerno, Caserta, Roma, la favolosa Val d’Orcia, Siena, Empoli, Pistoia, Bologna e le nebbie (già presenti) della pianura Padana per Ferrara, Venezia e Treviso (le mie radici) dove mi fermo dopo 4500 km…
La prima tappa mi ha portato al Bici-grill di Ala-Avio “Ruota libera” dove mi aspetta Alberto e gli “altri” del Circolo “Arci”. Il pergolato del Bici-grill ci contiene tutti. Stretti per il freddo e la pioggia che cade abbondante, si ricorda Mauro con poesie e brani di vita trentina, parlo del motivo e del significato del mio viaggio, del percorso e delle tappe. Ci tiene bella compagnia la lirica che esce dal pianoforte di Antonio (musicista di Avio). La sua è grande musica che scalda i cuori e che fa bella e gradevole la serata che si conclude con un’abbondante pastasciutta all’interno.
Giovedì 12, devo pedalare sodo tutto il giorno per arrivare a Budrio. Attraversando tutta la fascia padana giungo a Bologna e all’incontro con il compagno di Utopia Rossa, Gualtiero Via. La serata tutta in famiglia con moglie e figli suggella la faticosa giornata con un’ottima cena e tanta solidale amicizia.
Venerdì 13, mattino presto ripasso Bologna per la stazione: una sosta per ricordare le vittime della strage del 2 agosto 1980. Continuo per la “Porrettana”, direzione Pistoia, Vinci, Empoli, Limite sull’Arno. Alloggio dall’amico, ex prete operaio, Renzo Fanfani che con fatica cerca una rivincita sulla vita.
Sabato 14, attraverso Firenze, direzione Fiesole. Provo (in compagnia di altri ciclisti) il circuito del mondiale professionisti (purtroppo perso sfortunatamente da Nibali). Lascio la compagnia salendo verso Borgo S.Lorenzo e il passo “della Colla”. La discesa mi porta a Faenza. Proseguo fino a Cesena  dove faccio tappa. La serata è piacevole e fresca. Dopo aver trovato alloggio, mi distendo in una passeggiata rilassante per la città. Al centro, curiosamente, m’imbatto in un’assemblea dei “5 Stelle”. Sono in tanti... una leader parla dell’impresentabilità del parlamento, si sente inutile e “vittima” di un sistema che impedisce il cambiamento… “ci” rivolge la domanda (che è la verità del momento): ”ma che ci stiamo a fare”? A me non parve vero rispondere ad alta voce (chiudendomi però ogni possibilità di replica): appunto, “che ci state a fare ?”
Fine della serata.
Domenica 15, pedalo lungo l’adriatica con l’ombra di Marco Pantani al mio fianco, verso Jesi e le amicizie utopico-ghevariste di Alessandro e Loredana. Nella strada mi accompagnano altri ciclisti…
Mi accorgo che la mia maglia UTOPICO-LIBERTARIA desta curiosità ma imbarazzo tra i ciclisti. Faccio il “succhia ruote” e sto dietro beatamente trascinato fino a Senigallia dove lascio la compagnia per Jesi.
A Jesi con Alessandro ed Eleonora parliamo di tante cose che ci uniscono nella vita di utopia, si aggiunge poi Stefania di Montecarotto che mi ospita per la serata nella sua casa di campagna.
Mi piace raccontare un incredibile incontro avvenuto, dopo, nel far visita alla madre di Stefania, ospite nella casa di riposo del paese. Nell’incontro affettuoso e cordiale con la madre che mi esprime belle considerazioni e affetto per quello che faccio…, si aggiunge a sorpresa una visita inaspettata: la ciclista che mi ha accompagnato fino a Senigallia venuta a fare visita al vecchio padre, si trovava lì davanti a me stupita per l’inaspettato e piacevole incontro: “ma tu sei il ciclista che ho lasciato a Senigallia questa mattina?” Si sono proprio io!. Piacere: io Antonio, io Antonella.
Lunedì 16, ripasso Jesi in discesa. Il tempo sempre bello e temperatura fresca mi confortano. Il mare alla sinistra mi accompagna con il rumore delle onde verso Ancona e Pescara dove Stefania mi ha prenotato una sistemazione da Germana di “Libera” che mi ospita.
Serata piacevole in famiglia, con discussione vivace e confronto d’idee dentro le dinamiche della vita associativa: dalle difficoltà del reclutamento alla voglia di resistere al qualunquismo di chi si lamenta ma non fa niente per cambiare.
Martedì 17, da Pescara a Trani (una delle tappe più lunghe e faticose) passando per Termoli e Foggia è tutta una volata aiutato dal vento favorevole e da una nutrita schiera di ciclisti, che occasionalmente andavano nella mia stessa direzione. 
Mercoledì 18, pedalo nel territorio della Murgia per 60 km di solitudine dove non incontro che qualche rara automobile in un paesaggio a dune, spoglio di vegetazione e di vita agreste.
Altamura e poi Matera con i famosi sassi, che meritano una mia lode: Matera che benedetta tu sia dello splendore che mai vidi. Matera tugurio del passato remoto, di rocce e di case dentro la roccia…assomigli a un presepe…che splendore, che meraviglia!
Scendo verso Metaponto per svoltare in sù a Pomarico (salita di 7 km impegnativa), paesetto dalle radici millenarie che domina la valle sottostante; mi aspetta l’ospitalità di un Agriturismo ricco di ogni ben di dio: allevamento di cavalli, di verdura e frutta, di viti e olivi e tanto spazio attorno per vivere una vacanza. La veduta notturna sulla parte alta del paese è da foto.
Giovedì 19, scendo lungo una stradina deserta che mi porta sullo Ionio nella statale 106 adriatica.
L’obiettivo ambizioso della giornata è Crotone che dista più di 200 km. Scendo a Bernalda, poi Metaponto, Trebisacce, Sibari e Crotone. Arrivo che è quasi notte…che faticaccia. A Crotone mi aspetta Erica una bella signora calabrese che di mestiere fa la poliziotta.
Conosciuta lungo le vie imprevedibili del viaggiare errante, mi omaggia di un alloggio per la notte ed è di piacevole compagnia per la serata.
Venerdì 20, mi affaccio al balcone. Gli occhi si posano su un mare stupendo di un azzurro mozzafiato. Un venticello mi spinge a uscire dal guscio. Salgo verso Capo Rizzuto dove, al gustoso panorama, fanno da contrasto palle eoliche in grande numero. Un brutto vedere! Capo Rizzuto è un paese lungo la strada, vive di agricoltura con manodopera africana. Ridiscendo sulla 106 adriatica, destinazione Squillace città. Passo il pomeriggio a spasso per le vie del paese con l’amico-poeta amodale Luigi Bianco conversando del più e del meno con un bicchiere in mano, stimolanti stuzzichini e chiacchiere con persone del posto. La serata finisce in un ristorantino in sua compagnia, insieme a Antonio Froio e figlia.
Sabato 21, salutato Luigi, mi riporto sullo Ionio verso la Locride. Un tuffo nel mare trasparente della Calabria dove la gente non si vede e regna il silente rumore delle onde e dove conviene irridere al carnaio delle spiagge Riminesi, perché, per fortuna, qui il mare è pulito e splendido e non m’interessa che non ci siano alberghi o bar o pizzerie, ma solo io a bagnarmi nudo a godere della natura e delle stranezze degli uomini.
Mi fermo a Caulonia, dove nel 2008 ho subìto il furto galeotto della bici, per salutare e ringraziare dell’aiuto l’amico oste. Mi riconosce ed è lui che mi ringrazia della cortesia. Mi racconta del suo dispiacere per quello che mi è successo e del suo insistente prodigarsi alla ricerca della bici.
A Locri mi fermo in piazza per attendere un gruppo di ciclisti che mi accompagnerà fino a Gerace dove mi aspetta il sindaco, l’amico Tonino (giornalista della Rai e della Gazzetta del Sud), Emanuela e tanti amici convenuti per l’occasione. Per la prima volta incontriamo copiosa la pioggia che non lascia scampo: ci bagna proprio negli ultimi chilometri di salita verso Gerace. Salgo, ospite speciale, le scale dell’ufficio del Sindaco Giuseppe Varacalli che cordialmente mi viene incontro porgendomi i saluti suoi e quelli della città. Mi omaggia di una “laudatio” letta magistralmente da Emanuela. Non sono i brividi di freddo dell’abbondante lavata che mi scuotono il corpo, ma l’emozione da festeggiato. Non mi merito tanto dico… se c’è, va diviso con Mauro. Mi sento lusingato e pago dello sforzo che sto facendo. La serata finisce in una tavolata ricca di cibo, libagioni, vino e tanta sincera amicizia. Ci nutre lo sforzo culinario di Giovanni che si è disinnamorato dell’attività politica ma non dei fornelli e ha un passato di grande lottatore.
Domenica 22. Verso Reggio Calabria con l’ansia dello “stretto” (non so gli orari). Reggio è un biglietto di transito per Messina. Ma a Reggio “la bicicletta non può salire”…nonostante la protesta, sono costretto a portarmi a Villa S.Giovanni e attendere l’imbarco. A Messina arrivo all’imbrunire. La città non mi piace, così cerco, strada facendo, tappa altrove.
Lunedì 23, direzione Palermo. La strada, panoramica sul mare, è tutto un susseguirsi (e lo sarà per tutta la Sicilia) di salite e discese che mi rendono meno monotono, anche se più duro, il pedalare.
A metà strada c’è S.Stefano di Camastra, gran bel paese dedito storicamente alla lavorazione della ceramica. Decido di fermarmi in un B&B (“I colori dell’arcobaleno”). Il proprietario è un giovane del posto che fa l’artigiano ceramista (il paese vive di questo). Mi parla delle difficoltà del momento, dei giovani senza lavoro e del futuro incerto di un mestiere che ha storia da sempre.
Martedì 24, Cefalù è un imbuto di case appiccicate una all’altra. Ha una bella cattedrale in una piazza barocca.
Il vento sulla strada spinge al ritorno e mi frena la corsa. Mi fermo incantato a Finale (borgo di case sul mare) innamorato della bellezza e conservazione di una Torre Saracena con accanto belle sculture di nudi di uomo, donna e animali mitologici.
Proseguo per Termini Imerese, che se non fosse per la parte industriale (mi ricorda Marghera), è un bel posto con tanto di monumenti, chiese e case ancora in bella armonia con il paesaggio.
Palermo è caotica per il traffico. In bicicletta mi sento come una barca in un mare in tempesta. Cerco rifugio in un B&B in piazza Amendola (“Dolce dormire”) suggeritomi dal compagno Umberto Santino (Centro Peppino Impastato) che poi ritrovo a sera con la moglie Anna, ospite in casa loro. Il Centro Peppino Impastato è una realizzazione e vocazione di Umberto (studioso di antimafia) e un riferimento per la coscienza civile di Palermo (e non solo) e per chi lotta contro il malaffare, la corruzione e la mafia. 
Mercoledì 25, per uscire da Palermo, ed essere sicuro sulla direzione per Trapani, impiego 45 minuti.
Breve sosta a Capaci (che ricorda Falcone) e Cinisi (nella casa museo di Peppino Impastato e mamma Felicia). La statale 13 che mi porta in direzione di Trapani è quanto di meglio si può chiedere per un ciclista: quasi del tutto sgombra di auto, buona pavimentazione e mare accanto.
Dopo Partinico scelgo di svoltare per Castellamare del Golfo (SS 187), una panoramica mozzafiato su un mare blu intenso. Lo sguardo fa fatica ad abbracciare tanta meraviglia.
La strada per Valderice-Trapani s’impenna per qualche kilometro e mette alla prova i miei polpacci e il mio cuore. Sono arrivato. Mi aspetta l’amico fraterno Peppe. Avvisato del mio arrivo, è pronto a trasportarmi a casa sua (costruita con le sue mani) per una doccia ristoratrice. La sera si passa a S.Vito lo Capo alla festa intermediterranea del Cus Cus. Una zona geograficamente deserta si è trasformata in poco tempo in un luogo privilegiato di vacanza e turismo, cresciuta negli anni grazie alla sua stupenda posizione sul mare, alla sua spiaggia, al suo clima.
Allieta la serata Max Gazzè.
Giovedì 26, è il capolinea del mio viaggio. In 14 giorni ho pedalato ininterrottamente per 2400 km per essere presente all’appuntamento con Mauro e la sua storia ma ora che dovrei essere contento, sono triste. Mi cresce dentro un’inquietudine e spero che l’emozione non mi perseguiti quando Lo ricorderò.
Di buon mattino mi muovo in bicicletta verso Lenzi all’appuntamento istituzionale, dove un brutto monumento ricorda il luogo del delitto. E’ già arrivato da Trento l’amico Vincenzo Calì che è stato direttore del Museo Storico e artefice del Centro dedicato a Mauro.
C’è il sindaco di Valderice che spende parole di dignitosa rappresentanza (le sue affermazioni sono sincere e commuovono le sue citazioni su Mauro morto per l’impegno nella lotta alla mafia).
Ci sono i ragazzi della quarta e quinta elementare di una scuola di Trapani, arrivati numerosi in corriera; accompagnati dalle loro insegnanti recitano versi di poesie, suonano e cantano canzoni in una coralità armonica di voci e suoni che rendono meno triste l’incontro.
Interviene anche l’amico Vincenzo Calì. Parla a nome del Museo Storico di Trento, del Mauro Italiano ed Europeo prima che Trapanese (quasi in polemica con la frase posta sul monumento “io sono più trapanese di voi”), della sua lotta che univa il nord al sud senza distinzioni e sospetti.
L’altro incontro (più carico di emozione e sentimento) si svolge “su”, nel cimitero di Ragosia (Valderice). La tomba di Mauro è poco dentro l’entrata del cimitero e si nota per la sua semplicità di fronte alla pomposità celebrativa del resto cimiteriale. Una piccola folla composita la circonda come in un abbraccio partecipativo seguendo la splendida recita di una donna vestita di bianco. La sua voce, che non è voce, ma vento che soffia via il dolore, cuore e sentimento, sangue e amore, passione e odio… incontra l’uomo (vestito di bianco) che danza a piedi scalzi. Si respira l’aria di echi lontani di un’altra voce, appassionata e sorridente che buca lo schermo televisivo, denuncia misfatti, fa nomi e cognomi, ridà vita al sentimento popolare di chi patisce il ricatto della povertà e della dipendenza…altri echi di drammi vicini e lontani, di poveri sbarchi e barconi malandati, grida di aiuto, onde macchiate di sangue, musica come pianto che giunge dal mare....Difficile trattenere il pianto. Le emozioni salgono in cielo e si vaporizzano in nuvole sciogliendo le tensioni presenti in un abbraccio di lacrime.
La Poesia di Luciano della Mea. Bellissima, di un candore, calore e colore che sarebbe piaciuto a Mauro, la sento mia e, cercando di ritrovare il respiro, faccio del mio meglio per leggerla.

Per Mauro Rostagno
(di Luciano Della Mea)

C'è infine una tomba non tomba, un'aiuola
contornata da ciottoli bianchi e neri
levigati da fiumi e mari di Sicilia,
sono selciato su a Erice.
In mezzo alla tomba, meta di pellegrinaggi miti
(morte selvaggia senza testimoni)
e con effimere bandiere, addio vera memoria, addio,
c'è un ciuffo di fiori scombinati
innaffiati da ragazzi "diversi".

Quella terra è in un angolo, su curva
fra due piccole strade fuorimano
di asfalto crepato e gibboso.
Poco più su c'è un rilievo:
cipressi, palme, carrubi, fichi d'india
al di là di viti e ulivi nani.
Fra le piante un riflesso di vetri e di cupole grigio-oro,
un po' casa e un po' chiesa.
Latrati di cani, nitriti di cavalli,
richiami di pavoni sono note fisse
fra risate e improperi perfino sconvenienti
e pianti di bambini in bizza
al di là dei frequenti silenzi
di carni e menti automartoriate
dentro apparenti parentesi di vita.
Fanno da impertinente/pertinente girotondo
e se si vuole frequentisssima eco
alla aiuola/non tomba, punto fermo di morte,
una, non altra, e ben covata
dentro una vita irridente e irrisa
in sacripante danza cangiante,
ma consueta l'armonia vitale
dietro un'unica maschera Gianduia:
verità senza noia e contro qualsiasi altolà
di bianche e nere lupare altolocate,
cuposonanti contro il dispiegarsi
dell'umano intelletto, per se stesso libero e umano.

Alle spalle incombente il vecchio Erice,
quasi perennemente annuvolato
sembra celare l'antica pace della cima.
Lo si può immaginare zicchiti/zicchete/zacchete,
con occhio polifemico a guatare
(lui tutto Venere, sangue, cenere)
eliche di mulini, isole, pallide saline;
e dicono, verità o leggenda, che a volte
arrivi come un'eco di tamburi e leoni,
laggiù dove fra rugginoso vento di sabbia
brilla l'Africa a forma di teschio,
culla del primo uomo, signore e schiavo.

Tutti quei pochi fiori dell'aiuola/non tomba,
pur diversi fra loro per foggia e per colore,
chiamansi Mauro, sono più vivi,
terra, acqua, pudicissimo amore,
di quelli su al loculo in Valderice
morti in un  giorno così come
di Mauro là dentro appassisce il corpo,
non più beffardamente gufante,
murato vivo come un allocco
in torre campanaria disturbata.

Girano le corolle come girasoli
verso Trapani o Paceco o Marsala
(nelle "Palermo" del giudice Palermo):
pizzava a vuoto il Mauro? nossignori
tanto che vale ora, morto in fiore,
il suo non omertoso scioglilingua d'aiuola:
"La pezza/della pizza/pazza/e col pizzo/
nella pozza di sangue/puzza".

Avranno mai giustizia i fiori, o si passeranno i colori,
a corona di grani nel rosario?
Di quante morti precoci è fatto un mondo
ancora indegno di umana convivenza
dove il morire null'altro sia
che un reclinar di fiore non reciso! "

Torre (Lucca), gennaio 1991

A conclusione Giorgio Zacco dell’Associazione “Ciao Mauro” orgogliosamente parla dell’impegno in questi anni tribolati d’intensa attività, parla della gratuità e autonomia in cui si è mossa l’Associazione, distante da parentele partitiche; parla del processo in corso e delle difficoltà di esserne partecipi senza essere polemici per rendere giustizia a Mauro e alla città di Trapani.

L’amico fraterno, Renato Curcio, così lo ricorda: “Rostagno per me rappresenta l’esperienza più che ventennale di un’amicizia autentica e di un affetto potente, misti al fascino provocatorio della sua intelligenza polimorfa… la sua morte ha rappresentato la morte di una parte profonda di me stesso e colpisce anche la parte ancora inquieta della mia generazione, quei compagni che nonostante tutto ciò che è successo negli ultimi vent’anni, o forse proprio per questo, sanno ancora andare incontro alla vita con l’immutato desiderio di imparare, di offrirsi e di sorridere… Continuare a voler bene a Mauro significa anche riflettere sulle responsabilità che la mia generazione ha contratto nei confronti della sua morte… un’incapacità diffusa a elaborare la sconfitta subita, un’incapacità a guardare in faccia il passato e anche il presente. Così – come dice “Sanatano”- “ognuno tira avanti senza voler essere troppo disturbato dai fantasmi”. Si tratta di una difficoltà a rivivere, di una quiete stonata, dove possiamo trovare le ragioni delle assenze che hanno lasciato senz’acqua Rostagno durante le sue ultime coraggiose battaglie contro i boss dell’eroina.” (dal libro intervista di Mario Scialoia a Renato Curcio, Mondadori editore, pp. 30-31)

Il pomeriggio in piazza “Libera” organizza un incontro sui temi della giustizia e della mafia (“da Mauro Rostagno a Ilaria Alpi”) al quale partecipo intervenendo. Non molti i presenti, buono il dibattito. Si nota l’assenza dei giovani, mentre i presenti sembrano reduci di un passato sepolto nella tomba con Mauro.
I giorni seguenti li passo a Trapani godendomi del privilegio dell’ospitalità dei compagni trapanesi (Giorgio, Laura, Peppe e famiglia), del caldo sole e della bellezza della città. Soffro il trasporto urbano privo di orari pubblici, che chiude i battenti alle 20.30 di tutti i giorni e riposa la domenica (1). Non posso non elencare quello che di meraviglioso c’è a Trapani e nei dintorni di Trapani. C’è Erice che da sola vale un tesoro se non altro per la sua meravigliosa cattedrale. C’è S.Vito lo Capo e la sua spiaggia dorata (c’è anche la suntuosa villa del potente Zichicchi!!!!!). Ci sono baie naturali che si presentano al mio sguardo come luoghi di sosta, di tranquilla vacanza ristoratrice. C’è Custoraci con la sua splendida cattedrale ricchissima in ogni suo dove. Il suo selciato è ricamato di sassi di diverso colore che formano fiori di campo. La sua scalinata, da impero, invita a posare per scatti fotografici.

 (1) Al Sindaco di Trapani. 
Signor Sindaco,
sono da qualche giorno a Trapani, venuto da Trento in bicicletta per onorare la memoria di Mauro Rostagno.
Non è la prima volta. Trapani mi piace e non è solo il ricordo di Mauro che mi fa giungere, che la fa bella e grande, ma anche la sua collocazione geografica, la sua storia, i suoi monumenti. La bellezza che giunge dal mare, che ispira poeti e naviganti è cucita nei ricordi di chi ha lottato per renderla anche più vivibile e giusta.
In questi giorni di ricordi e di partecipazione ho potuto constatare quanto difficile sia spostarsi nelle periferie con i mezzi pubblici. Gli autobus ci sono ma nel luogo dell'attesa, mancano gli orari. Un forestiero come me non sa quanto tempo deve attendere prima di salirvi. La sera, poi, le corse terminano verso le ore 21 e per chi vuol godersi una serata in città, al cinema o in compagnia con amici, gli è preclusa la possibilità del ritorno. Oggi domenica 29 (per esempio) non vedo autobus in giro, niente male per me che non sono ancora vecchio, ma i vecchi anche a Trapani ci sono e pure  le donne con la carrozzina… Chi non ha l'auto, a che santo deve votarsi per raggiungere il centro storico?
Leggo, tra l’altro, dei grandi cartelloni pubblicitari che invitano la popolazione a utilizzare l'autobus per rendere più sana e pulita la città, perché usando l'autobus si inquina meno e ci si sente, anche, più sicuri...Ma come fare se questi mezzi sono così ridotti, finiscono di correre al tramonto del sole e la domenica stanno a casa?
Signor sindaco vi ponga rimedio, perché la sua città e la sua gente lo merita. Grazie.
Cordialmente
Antonio Marchi

Lunedì 30, lascio Trapani per Selinunte, passando da Marsala, Mazara del Vallo, Castelvetrano. Sono quasi arrivato, ma a Campobello nuvole galeotte all’improvviso liberano tutto il loro carico d’acqua.
Non c’è impermeabile che possa salvarmi. Arrivo a Selinunte come fossi uscito dalla doccia.
Mi rifugio nel primo bar del paese (Agorazein) dove cerco di asciugarmi e rifocillarmi senza sapere che è il locale gestio dal nostro Peppe Fontana e in cui si svolgerà il 15° incontro annuale della Fondazione Guevara. 
Cerco Jojò e la sua “La Zabarra” per un incontro atteso e cordiale in riva al mare.
Jojò, ex compagno di L.C., con Helga e figlio, vive l’impegno di esperto ristoratore in un luogo magico dal mare splendido e con sullo sfondo la magnificenza dell’Agropoli più grande d’Europa
(VI° secolo a.c.) Il mio rifugio nei giorni di “riposo” turistico a Selinunte sarà una casetta di campagna in compagnia di Paolo e la figlia Marta dove di notte vivo la felice sorpresa dei suoni e rumori della campagna trevisana di un’infanzia ormai lontana. Nel mio riposo attivo visiterò in bicicletta Castelvetrano, Salemi, Partanna, S.Ninfa, Gibellina, Montevago, Menfi, Porto Paolo, la superba Sciacca, l’inaccessibile e gloriosa Caltabellotta (inespugnabile paese che vanta di essere stata protagonista di una pace senza resa - in cima ad una salita interminabile dove lo sguardo si perde nel panoramico silenzio di mare e di terra senza l’ombra di una presenza umana).
Giovedì 3 ottobre, partenza con corriera per Palermo da Castelvetrano. Mi accompagna alla stazione Paolo.
Si presenta nel pomeriggio nella sede della CGIL regionale il libro su Gino Donè, l’italiano del Granma di Katia Sassoni, pubblicato da Massari editore e già presentato in molte città d’Italia. In mattinata vado a far visita a Marta Cimino, conosciuta attraverso la storia di Mauro Rostagno. Marta si è laureata a Trento ed è stata a Palermo sempre in prima linea nelle lotte dei movimenti sociali e politici dagli anni 70 in poi. Oggi è malata e inferma e il mio ritrovarla in quello stato, mi ha scosso e raffreddato il piacere dell’incontro. Nei suoi occhi non ho letto la speranza di un avvenire possibile, ma una serena e accettata rassegnazione per quello che verrà.
All’appuntamento per la presentazione del libro su Gino Donè ritrovo Roberto Massari e Antonella Marazzi. Convocata dall’Anpi e ospitata dalla Cgil, la presentazione si trasforma in una riflessione a voce alta con alcuni degli intervenuti. A organizzarla è stata Inés Kainer (argentina stabilitasi in Italia) e la sua ALAS (Associazione Latinoamerica Sicilia). Il seguito della serata (anche in memoria di Gino) si vive all’affollata osteria Garibaldi nel centro storico e antico di Palermo.
Sabato 5, Ritorno a Selinunte in auto con Roberto e Antonella. L’Agorazein è vestito a festa per il 15° incontro della Fondazione Ernesto Che Guevara. Peppe Fontana, organizzatore dell’incontro, ci accoglie come ospiti speciali, parte della sua famiglia e fa di tutto per rallegrare il nostro soggiorno. Arrivano alla spicciolata gli altri ospiti partecipanti, tra i quali Andrea Furlan, Alberto Aleandri e moglie dall’Aquila.
Il locale si riempie ed è bello da vedersi. Selinunte ha di speciale il mare e i resti di un passato millenario: ora può fregiarsi anche di aver ospitato l’incontro nazionale della “Fondazione Ernesto Guevara” che ha per tema, il “Che libertario”.  A Peppe Fontana spetta il compito di introdurre presentando gli ospiti…In seguito gli interventi di Michel Antony, David Kunzle, Inés Kainer e Roberto Massari. Michel ha spiegato (da anarchico) che Ernesto Guevara era “libertario” quando agiva per conto “proprio”, ma non lo era quando doveva agire per conto dello “Stato”. Un’ambiguità che era connaturata alle differenti responsabilità del suo ruolo fino a che Guevara è rimasto a Cuba. Diversa la sua storia da quando, smesso le vesti “istituzionali”, ha cercato in altri luoghi di accendere la fiamma della rivolta… Era presente all’incontro, anche lo scrittore Salvatore Mugno (autore tra l’altro di libri come Mauro Rostagno Story, Matteo Messina Denaro – un padrino del nostro tempo, Giangiacomo Ciaccio Montalto – una targa amara).
Ne è seguito un dibattito ricco e interessante d’interventi che ha coinvolto il numeroso pubblico presente e fatto meglio conoscere la complessità della vita del Che nei suoi compiti e doveri di rivoluzionario e  nelle sue responsabilità di “funzionario” di uno “Stato” nato dalla rivoluzione.
La serata si è conclusa degnamente nel ristorante del papà di Peppe (Baffo’s Castle) dove c’era l’imbarazzo di mettere assieme tanta bontà e varietà di cibo con le limitate e umane capacità fisiche.
Lascio Selinunte con un grande abbraccio e ringraziamenti a Peppe Fontana, Jojò e la sua ospitale “Zabarra”, Paolo e sua figlia Marta (che mi ha ceduto il suo spazio notturno) e la pioggia che ha voluto liberare nella notte tutte le sue riserve d’acqua, per lasciarmi continuare, quasi asciutto, il viaggio di ritorno.
Domenica 6, la strada, nonostante non piova più, è un disastro. Mucchi di sabbia, portati nella notte dal mare, ne ostruiscono il passaggio anche alle auto, immaginarsi alla bicicletta. Procedo lentamente e spesso sono costretto a mettere piede a terra. La pioggia non viene dall’alto ma dal basso dalle gigantesche pozze d’acqua in strada.
Non piove e il cielo sembra schiarirsi ma non c’è il sole e le strade rimangono bagnate, sozze di fanghiglia.
Riprendo fiato ad Agrigento. Una breve sosta per rifocillarmi e lavarmi il viso. Sono una maschera di fango dai piedi ai capelli.  Appare un pallido sole che m’invoglia a continuare.
Dopo Agrigento la strada è migliore. Più panoramica e meno sporca.
Mi fermo tra Licata e Gela in un B&B lungo il mare. Il posto è bello e c’è tutto quel che mi serve.   
Appena arrivato, lavato e sistemato in attesa della cena… la pioggia ricomincia a cadere abbondantemente. Rumoreggiano, spinte dal vento, le onde del mare. Il cielo si oscura. Lampi disegnano nel cielo spettrali figure, tuoni rompono il silenzio. Cala il sipario sul giorno e a me sta bene perché sono al coperto, asciutto e ben nutrito.
Lunedì 7. Gela è un grande arco di terra piana che poi sale dal mare. Ottimo posto per uno sbarco alleato.  
I resti di rifugi, disseminati qua e là, come oscura memoria di una guerra di liberazione nella quale la Sicilia non ha avuto molto da dire.
Mi fermo a Caltagirone che è a metà strada da Catania. Città bella e ricca di monumenti e chiese. Il suo popolo rivendica un passato orgoglioso di grande prosperità e benessere che ora si è perso dopo l’annessione all’Italia. Cerco confronto ma non c’è dialogo.
Catania è una grande città dalle ricchezze inestimabili. L’Etna la sovrasta e, come una montagna sacra, la protegge dall’alto dei suoi 3000 metri. Basta girarla per rendersene conto: piazza duomo, l’Università, la varietà e abbondanza di chiese, di chioschi, di monasteri. La parte vecchia è gran bazar con strade rotte, traffico disordinato e auto in sosta allineate in doppia fila.
Martedì 8, lascio Catania per Messina. Il tempo tende al bello, ma verso Taormina una leggera pioggerellina mi mette in allerta. Dura poco e il resto è strada asciutta fino a Giarre (un supplizio il ciottolato lungo tutto il paese che mostra il meglio di se al centro con la cattedrale a doppio campanile).  Riprende a piovere alle porte di Messina. M’imbarco. In 15 minuti sono già di là a Villa S.Giovanni. Proseguo di buona lena sulla Statale 18 verso Scilla (troppo bella per non fermarsi e godersela) e poi salita (dura) verso Bugnara Calabra avvolto nella fitta nebbia e discesa mozzafiato verso Palmi, quartier di tappa.
Mercoledì 9. La statale 18 è un su e giù continuo. Ci vogliono buone gambe e polmoni per fare strada e nello stesso tempo gustarsi il paesaggio marino. Gioia Tauro, Mileto e l’ossessivo stretto corridoio che separa Vibo Valentia a Lamezia Terme (25 km di strada stretta e diritta, dove due anni fa morirono investiti da un’auto pirata ben otto ciclisti sul colpo). A Lamezia c’è Gianni Muraca nella frazione Sanbiase. Lo cerco al centro del paese ma sembra che nessuno lo conosca. Insisto senza perdere la pazienza e finalmente trovo la sua bellissima casa. Un restauro fatto a mano con pazienza artistica.  Gianni è un giovane artista calabrese, pieno d’idee e di voglia di fare; fa l’insegnante a Nicastro (altra frazione di Lamezia), è sposato con una bellissima moglie e ha tre figli “esplosivi”.
La serata è molto partecipata e piacevole, non solo per la cena accuratamente preparata da Loredana e un vino speciale (produzione casalinga), ma anche per i bambini che mi tempestano di attenzioni e  domande, curiosi di me e del mio viaggio. La serata si conclude con una passeggiata a visitare la parte storica del paese Sanbiase e il centro di Nicastro (polmone economico e culturale della zona).
Giovedì 10. I bambini mi vogliono veder partire. Scendono tutti e tre accompagnati da Gianni e Loredana per salutarmi. E’ commovente vedermi salutare con le loro manine, il loro ciao mi resta per un po’ negli occhi e nelle orecchie. Scendo la lunghissima e drittissima strada che mi riporta lungo la statale 18 verso la costa calabra: Amantea, Paola, Scalea, Maratea, Pria di Mare, Sapri (bellissima con il golfo e la sua storia garibaldina) sono località tutte da vedere con scorci di mare splendido e di baie dagli orizzonti infiniti di un sole calante. Sono ancora lontano da Agropoli (fine tappa) quando comincia a piovere. Mi fermo per indossare l’impermeabile e riparto. Pedalo quasi ininterrottamente per otto ore e finalmente vedo il cartello stradale con la scritta Agropoli.  Era ora, il mio contakilometri si ferma a 235.560 metri…
Venerdì 11. Mi aspettano a Caserta per le 17. Ho tutto il tempo per correre tranquillo e godermi la giornata.
La panoramica strada mi porta a Paestum con i suoi templi greci e i suoi lussuosi alberghi e ristoranti. Tutt’attorno il paesaggio è rigoglioso e verde. Grandi alberi come sentinelle lungo la strada. Terra fertilissima, piena di odori e profumi di frutta e ortaggi.
Salerno è un imbuto tra mare e montagna. Strade dritte in mezzo alle case.  Salgo la collina verso la Costa Amalfitana. Il cielo si fa scuro e mi convinco che non è il caso di andarci. Mi dirigo verso Nocera Inferiore dove inizia una pioggia torrenziale che non mi lascerà più fino a Caserta. Le strade diventano torrenti che minacciano la mia stabilità. Mi fermo spesso. L’intensità della pioggia sembra diminuire per qualche minuto ma quando riparto siamo daccapo. E’ un calvario accresciuto dall’impossibilità di alternative possibili. In quel tratto non posso ricorrere ad altro che non alla mia bicicletta sperando nella clemenza del tempo. Verso Sarno e Nola nuove complicazioni. La strada da torrente impetuoso si trasforma in lago da guadare a piedi con bicicletta di fianco. L’acqua mi arriva al ginocchio. La tensione è alle stelle ma vado avanti. Dal cielo nessuna speranza. Nuvole nere mi seguono nella direzione di marcia. Finalmente a “Cancello” scorgo un segnale con l’indicazione Caserta a km. 18. E’ fatta! Maddaloni, che precede Caserta, mostra i resti del passato impero romano. Mi viene incontro mio fratello sacerdote per accompagnarmi nella sua “Tenda di Abramo” e poi in Comune a Caserta dove mi dà il benvenuto il presidente del consiglio comunale, amici e rappresentanti del comune.
Sabato 12 e domenica 13 a Caserta, ospite di riguardo della “Comunità” con due giorni ricchi di appuntamenti e incontri: accompagnato da mio fratello Pierangelo vado da Raffaele Nogaro (vescovo emerito di Caserta) che mi riceve cordialmente nel suo appartamento con il riguardo che si deve ad un amico speciale. Raffaele è l’anima spirituale e morale di Caserta. E’ il “padre” buono e generoso con gli umili e bisognosi, ma tuona contro i potenti. Ha parole di gratitudine e incoraggiamento per quello che faccio, per il mio spendermi per gli “altri” e perché non dimentico il sacrificio di chi è morto per le idee di libertà e giustizia.
Pranzo alla “Tenda di Abramo” che è un luogo di passaggio dei “tanti” bisognosi che transitano per Caserta alla ricerca di una vita migliore, ma anche testimonianza e memoria dei preti martiri Don Diana e Don Puglisi uccisi dalla mafia. Struttura di ospitalità temporanea con stanze per dormire, mensa, bagni e spazi ricreativi. E’ gestita dai padri Sacramentini (per ora Pierangelo e Giorgio, domani Mario) con l’apporto di tanti volontari che si danno il turno.
Una bella realtà in mezzo ad un mare di problemi.
In questa “oasi” di pace mi accolgono per il pranzo in molti che formano la “Comunità”.
Una piacevole e bella tavolata della quale mi onoro di far parte...
Il pomeriggio visito la città in lungo e largo. Mi piace passeggiare solo guardandomi attorno e scrutando i volti della gente che passa.
Serata in una pizzeria del centro, affollatissima, con Anna e Pierangelo. Anna è una brava volontaria della “Tenda”, si prende cura dei giovani con problemi di disagio sociale e famigliare.
L’indomani mattina vado alla messa celebrata da Raffaele. In una “cripta” del suo appartamento si riuniscono persone di genere ed età diversa. A differenza delle solite messe domenicali, quella che officia Raffaele Nogaro è una poetica religiosa. Seduti a semicerchio i convenuti seguono il dialogo  comunicativo del prelato che invita ognuno a portare il proprio contributo, perché non c’è “messa” senza la partecipazione attiva di chi ne fa parte.
Prima che ognuno di noi vada dietro le proprie faccende quotidiane, Raffaele abbraccia tutti i partecipanti, con il brindisi della buona domenica.
Pomeriggio con Pierangelo a visitare le periferie di Caserta ricche di fascino e storia, purtroppo poco evidenziate e curate e lasciate ai margini della città. Un danno economico e turistico che mal si presta data la situazione disastrosa dei bilanci comunali. La basilica di S.Angelo in Formis con mosaici e affreschi dell’epoca di Bisanzio è un balcone sulla città e sul golfo di Napoli, luogo di studio e di culto di una vicenda storico-religiosa remota. L’Antica “Setteria” dei Borboni a Belvedere di S.Leucio. Una grande e bella villa circondata da vecchie mura. Una cittadella nella città, autosufficiente e autonoma. Un “esperimento illuminato” (dati i tempi) di vita laboriosa e ordinata con case e servizi per la servitù in basso disposte a semicerchio, proprio giù dalla scalinata della villa, manodopera sempre pronta a disposizione dei bisogni del lavoro e dei piaceri dei regnanti.
In serata sono a “Casa Rut” da Rita Giaretta e le sue sorelle laiche. “Casa Rut” è un laboratorio di energie che si mettono al servizio di chi è sulla strada, di chi non è persona ma merce di scambio da sfruttare con la prostituzione, pena il rischio ignobile e criminale delle percosse e della stessa vita. Tante sono le donne riportate alla vita umana e civile dall’impegno di queste sorelle. Rita l’ha scritto in un libro (Osare la speranza) che è denuncia di maltrattamenti e sfruttamento, ma nello stesso tempo luce e speranza di vita migliore.
“Casa Rut” è, assieme ai “padri Sacramentini”, a Sergio e Silvana (menti raffinate di Caserta da sempre schierate contro i vizi del potere politico-affaristico che crea nella popolazione dipendenza e omertà) e a Raffaele Nogaro, la “Speranza” di Caserta.
Lunedì 14 mi faccio dare un passaggio per Frosinone e Roma.
Riprendere la bicicletta al centro di Roma e passare incolumi la Città eterna non è stato facile. Roma è fatta per andare solo motorizzati e muniti di grande pazienza e intuito geografico. Cosa che mi riesce con una certa difficoltà. Dopo ripetuti tentativi di strade sbagliate, riesco ad imboccare la Cassia e con essa la direzione verso Viterbo prima e poi Montefiascone, che è un bel borgo, dei migliori visti fin’ora, poi..
Martedi 15 passo per Bolsena dove sono di casa Roberto Massari con la sua casa editrice, Antonella, Liben, Laris e Maruska e dove più volte mi sono cimentato nelle mie scorribande sportivo-turistiche. Questa volta però non posso fermarmi.
Imbocco la favolosa Val d’Orcia nella direzione Siena. Il tracciato, dalla pavimentazione pessima, mette sotto pressione muscoli polmoni e cervello. E’ un continuo salire e scendere con strappi improvvisi di forte pendenza. Il paesaggio è incantevole. Stradine s’inerpicano su placidi pendii e finiscono in casolari-ristoro circondati da alberi.
La terra, di un marrone leggero, è arata e pronta per le prossime semine autunnali.
Abbadia S.Salvatore, S.Quirico d’Orcia, Buonconvento…preziosi scrigni di un’Italia secolare, passaggio obbligato della via dei devoti pellegrini (la via Francigena) nel cammino verso Roma e poi Siena: che splendore! Siena è talmente piena, zeppa di turisti provenienti da tutto il mondo che devo scendere dalla bicicletta e proseguire a piedi per un caffè, nella più bella piazza d’Italia.
Proseguo sempre lungo la Cassia. Prima di Poggibonsi comincia a piovere ma non posso non concedermi una visita alla rocca di Staggia (piccolo borgo medioevale tra Monteriggioni e Poggibonsi), dove ho modo di parlare con la custode del luogo e dei luoghi e dei tempi remoti (si calcola prima del 1000) di queste costruzioni fortificate, nidi protetti per uomini in fuga alla ricerca di luoghi sicuri per vivere.  
Mercoledì 16. E’ piovuto abbondantemente tutta la notte e le strade sono fradice. Aspetto a partire che faccia capolino il sole pallido di questo inizio d’autunno. Empoli è a 60 km e Limite sull’Arno poco dopo.
Uno scherzo dopo la sgroppata del giorno prima. A Marcignana (periferia di Empoli) trovo Silvia, donna di casa ancora giovane e bella, che si diletta in teologia alla ricerca di una via spirituale per trovare equilibrio e serenità nella vita…mi aspetta a pranzo in compagnia dei figli.
Il pomeriggio facciamo visita a Giuseppina, amica di entrambi, vecchia di età ma sempre vigile e attiva, ricorda con gioia i bei anni trascorsi in compagnia del fratello Pierangelo.
Lascio la piacevole compagnia e vado a Limite sull’Arno da Renzo (ex prete operaio in pensione) che non sta in “grazia di dio” ma che resiste alla tentazione dell’infermità.
Lo trovo in compagnia del cane bassotto (vera novità della casa) e del suo gatto beatamente straiato a fare le “fusa” pomeridiane. Si accorge della mia presenza perché armeggio per aprire il cancello. “Caro compagno Toni, che piacere rivederti…”. Passiamo il pomeriggio assieme. Più tardi arriva il “ciclone” Nicoletta che risveglia l’ambiente e i sensi. Ci accordiamo per una serata in un ristorante fuori dai luoghi comuni, in collina, a Montelupo.
Giovedì 17. Parto presto. Verso Vinci una nebbia, che si taglia con il coltello, non mi lascerà fino a Pistoia.
Scollino il S.Baronto avvolto in una fitta nebbia. Il sole non riesce a bucarla e nella discesa verso Pistoia patisco il freddo. L’asfalto è ancora ricoperto da scritte inneggianti i ciclisti italiani che hanno partecipato al mondiale fiorentino di fine settembre. A Pistoia, prima della salita per Porretta Terme, finalmente il sole. E’ con piacere che mi svesto. Il calore del sole e la salita mi rigenerano. Purtroppo la strada è trafficata come non mai. I “bisonti” della strada sembra abbiano oggi preferito “questa” alla più comoda autostrada (il costo del pedaggio comincia a incidere sui bilanci mi dicono…). Certamente per me è una fatica in più perché oltre alla salita devo sopportare il vento contro per quella massiccia invasione.
La strada (detta Porrettana) è lunga per Bologna e quando arrivo ne avrei abbastanza. Pensando all’ora ancora buona e al giorno dopo, decido di fare un’ulteriore sforzo fino a Ferrara dove trovo alloggio al S.Romano (coincidenza con il nome di mio padre).
Ho occasione in serata di visitare Ferrara come non l’ho mai fatto, nonostante abbia partecipato a tre maratone. E’ veramente degna di essere considerata dall’Unesco “città protetta”.
Venerdì 18. La situazione meteorologica da bel tempo, ma fuori non sembra. Una nebbia m’impedisce quasi la visuale sui cartelli stradali per Rovigo. Tutt’intorno terra buona che aspetta giorni migliori.
Pedalo quasi alla cieca fino ad Adria e poi Cavarzere e Piove di Sacco. Solo sulla riviera del Brenta, verso Dolo, un pallido sole riesce a disperdere la nebbia e a rendere bello questo fine viaggio. La riviera è un paesaggio da favola di acqua e case affrescate. Questo grosso canale che si chiama “Brenta”, nasce in Trentino dal lago di Caldonazzo, e ha lungo le sue rive il meglio delle ville venete, capolavori d’arte e spettacolo paesaggistico. Accompagnano il turista barconi equipaggiati a piccanti ristoranti. Strà, Dolo, Mira e Mestre-porto Marghera, dove mi aspettano i fratelli (Nadia, Settimo e Bruno), venutomi incontro da Villorba, Silvano (costruttore di biciclette e presidente della società ciclistica Favaro Veneto). Il pomeriggio si riparte per Treviso e Villorba lungo il fiume Sile fuori dai rumori e dai pericoli del traffico, immersi nel silenzio del fiume e della natura.
Dopo 4.500 km è musica per le mie orecchie.

Nella diffusione e/o ripubblicazione di questo articolo si prega di citare la fonte: www.utopiarossa.blogspot.com

RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.