di R. ibn al-Masari
(10 febbraio 2025)
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Sono un arabo palestinese, mussulmano «laico» (se così si può dire), nato nella capitale della Striscia di Gaza (Madīnat Ghazza) da una famiglia di piccoli commercianti, a sua volta discendente da nomadi beduini. Mi sono laureato in Scienze sociali all’Università di Tel Aviv e sono sposato con una biologa. In arabo, il mio nome masari vuol dire «denaro», ma io ne ho molto poco. Sono cittadino, quindi, di uno dei più piccoli Stati esistenti al mondo: uno staterello lungo circa 41 km (Los Angeles è lunga quasi il doppio), con una popolazione che a ottobre 2023 superava di poco i 2 milioni. Benché così piccolo, il mio Paese è tuttavia il prodotto geopolitico di una storia plurimillenaria di continue guerre e occupazioni.
Un po’ di storia
Cominciarono gli egizi verso la metà del secondo millennio e rimasero per alcuni secoli, finché arrivarono i filistei (da loro deriva il nome di noi palestinesi), seguìti dagli assiri, gli israeliti, due volte ancora gli egizi, i babilonesi, i persiani, i greci-macedoni, i seleucidi, i maccabei, gli asmonei, i romani, i bizantini, gli islamici, i crociati, gli ayyubidi (curdo-mussulmani), i mongoli, i mamelucchi, gli ottomani e i mandatari britannici (1920-1948). Alcune di queste occupazioni hanno fatto migliorare la vita del mio popolo; altre lo hanno impoverito e portato alla disperazione.
Alla fine del Mandato britannico, la Risoluzione 181 dell’Onu stabilì nel 1947 che anche Gaza avrebbe fatto parte del nuovo Stato palestinese: un secondo Stato che sarebbe dovuto nascere accanto a quello d’Israele. Israele accettò la proposta dei due Stati, ma i principali Stati arabi del Medio Oriente - Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq raccolti nella Lega araba(quindi senza l’Arabia Saudita e lo Yemen) - la respinsero e impedirono che nascesse lo Stato di Palestina. Questo perché esso avrebbe implicato il riconoscimento d’Israele e impedito le annessioni territoriali della regione palestinese che essi progettavano da tempo.
L’Egitto, in particolare, mirava a impadronirsi del territorio di Gaza, su basi puramente coloniali, senza alcuna giustificazione d’ordine geografico, storico o culturale... a meno che non si voglia richiamare la breve parentesi di occupazione tolemaica al tempo di Cleopatra VII, la celebre regina.
I 5 Stati arabi aggredirono il neonato Stato d’Israele nel 1948 - guerra subito condannata dall’Onu e, tra gli altri, dagli Usa e dall’Urss (che tramite la Cecoslovacchia aiutò militarmente Israele) - ma furono duramente sconfitti: fu la famigerata Nakba. E fu così che il mio Paese perse la grande occasione storica di diventare parte del nuovo Stato arabo-palestinese voluto dall’Onu. A nulla valse la nuova Risoluzione dell’Onu, la 194.
Nel 1949 Israele firmò armistizi separati con Egitto, Libano, Transgiordania (ormai Regno Hascemita di Giordania), Siria. E fu così che al mio Paese toccò in sorte d’essere occupato dall’Egitto.Ma nel 1967, al termine della Guerra dei sei giorni, il governo militare degli occupanti egiziani fu cacciato, solo per essere sostituito dall’occupazione israeliana, destinata a durare circa 27 anni.
Anche la prima occupazione israeliana ebbe termine e, nel 1994, il mio Paese finalmente divenne indipendente - per la prima volta nella sua storia plurimillenaria - grazie agli accordi di Oslo del 1993. Questi istituivano l’Autorità nazionale palestinese e stabilivano il ritiro degli occupanti israeliani dalla nostra terra. L’accordo fu rispettato con qualche difficoltà da ambo le parti, ma col tempo il ritiro degli israeliani divenne totale, cioè vennero smantellate anche le colonie abusive che erano state impiantate nel nostro territorio.
Purtroppo non fu fatto un referendum a favore dell’indipendenza e noi gazesi non fummo consultati sulla nascita del nostro nuovo Stato, ma era ovvio che saremmo stati tutti d’accordo su un tale meraviglioso evento storico. Finalmente liberi, autonomi e indipendenti: che emozione...
Un’indipendenza troppo breve
E invece l’autonomia - conquistata dopo più di tre millenni di sottomissione a occupanti stranierie e dopo tante tragedie - durò poco, anche se il primo governo della Gaza indipendente lo potemmo eleggere noi, nel 1996. Lo assegnammo al gruppo dirigente dell’Anp - vale a dire i rappresentanti della vecchia Organizzazione per la liberazione della Palestina (al Fatḥ) - raccolto intorno a Yasser Arafat (che, dopo la sua morte nel 2004, verrà sostituito da Abu Mazen).
Anche le elezioni presidenziali del 2005 furono vinte da al Fatḥ, che invece perse le successive elezioni politiche del 2006, a favore di un’organizzazione armata, nata nel 1987 come braccio operativo dei Fratelli mussulmani: Hamas. Questo gruppo sunnita e fondamentalista era avversario radicale dell’Olp, rifiutava la soluzione dei due Stati (quella che bene o male si era cominciato a mettere in pratica con l’indipendenza di Gaza, di alcune zone cisgiordane e di Gerusalemme est) e respingeva gli accordi di Oslo, che erano invece alla base della nostra conquistata indipendenza.
Nel suo Documento programmatico del 2017, al punto 20, si riproponeva l’idea della cacciata «dal fiume al mare» degli ebrei residenti in Israele, cioè il loro sterminio. Un proposito genocidache era già emerso con Amin al-Husseini, il gran Muftī di Gerusalemme, all’epoca in cui collaborava con le SS naziste e reclutava mussulmani per loro in Medio Oriente e in Bosnia. Le stesse idee, di «gettare a mare gli ebrei», erano state riprese poi da Ahmad al-Shukeiri, il primo presidente dell’Olp fino al 1967, quando fu sostituito da Arafat. Propositi disumani che la maggior parte, o perlomeno la parte migliore del mio popolo, respinge e che per fortuna non hanno alcuna possibilità di essere realizzati concretamente.
Nel 2007, dopo la vittoria elettorale di Hamas (dovuta soprattutto ai voti dei gazesi), il conflitto con l’Anp della Cisgiordania fu deciso dalle armi. Vi furono esecuzioni di militanti da entrambe le parti, ma non poteva che vincere Hamas, data la superiorità militare delle sue squadre addestrate al terrorismo e l’aiuto finanziario ricevuto dall’Iran.
La dittatura di Hamas
Hamas prese il controllo totale di Gaza e vi instaurò una dittatura islamica fondamentalista, impegnata soprattutto a organizzare la lotta contro Israele, intesa come sterminio degli ebrei israeliani.
Noi gazesi non avevamo avuto alcuna possibilità d’impedire lo scontro militare con l’Olp ed eravamo rimasti passivi di fronte a una guerra fratricida tra palestinesi. Né potevamo ancora immaginare quale immane tragedia stesse preparando per il nostro popolo la vittoria militare di Hamas.
Restammo passivi anche negli anni seguenti, mentre il nuovo governo del nostro piccolo Stato faceva uso delle sue ingenti risorse finanziarie (un bilancio di circa due miliardi dollari l’anno, provenienti dagli Stati arabi, dalla Ue, dagli organismi delle Nazioni Unite e soprattutto dall’Iran) per aumentare il proprio arsenale bellico, scavare i tunnel sotterranei e organizzare gli attentati e il lancio di missili contro Israele, invece di utilizzarli per migliorare la vita sociale dei gazesi. Molti osservatori hanno affermato che con quella massa di denaro si sarebbe potuto imprimere un grande sviluppo economico alla Striscia di Gaza e cambiare il destino del nostro popolo. Di questo grande crimine «economico» fu corresponsabile il governo di Netanyahu, che tramite il Qatar facilitò l’afflusso di denaro ad Hamas allo scopo di indebolire l’Anp cisgiordana e il regime di Abu Mazen.
Di questa follia, comunque, frutto di cecità politica, hanno parlato i giornali di tutto il mondo. E lo stesso governo d’Israele si è dovuto pentire amaramente: se bloccato in tempo, Hamas non avrebbe potuto compiere il pogrom antiebraico, con tutto ciò che ne è seguìto.
Il pogrom del 7 ottobre
Il 7 ottobre 2023 Hamas ha dichiarato guerra a Israele, uccidendo nel territorio israeliano in maniera atroce (con stupri, squartamenti e torture di ogni genere, incluso contro donne e bambini) circa 1.200 cittadini inermi e rapendo come ostaggi 254 civili.
L’immagine che è stata data al mondo esterno di noi mussulmani palestinesi, come barbari assassini, è orribile. Va però fatto sapere al mondo che a noi gazesi non appartenenti ad Hamas non è stata data la benché minima possibilità di intervenire o far sentire la nostra voce. La feroce iniziativa di Hamas non dev’essere attribuita all’intero popolo di Gaza: in una situazione democratica e non di dittatura militare forse l’avremmo impedita. Ma la speranza di una democrazia per il mondo palestinese - inclusa l’Anp cisgiordana - è ancora molto lontana dal realizzarsi.
Hamas ha dichiarato guerra a Israele, ben sapendo che era una guerra impossibile da vincere e che essa avrebbe provocato morte e distruzione nel nostro Paese. Era stato messo in bilancio che decine di migliaia di noi civili sarebbero morti, solo per poter conservare gli ostaggi. Tutto ciò senza avvisare noi gazesi, lasciati inermi davanti alla prevedibile rappresaglia israeliana. La quale è andata molto oltre le aspettative di Hamas (e forse dell’Iran suo burattinaio) e ha portato alla morte di decine di migliaia di gazesi, più della metà dei quali non appartenenti alle milizie fondamentaliste.
Per ostacolare la rappresaglia, Hamas ha usato cinicamente masse di civili di gazesi (anche donne e bambini) trasformando scuole, ospedali e altri centri di vita sociale in scudi umani contro i bombardamenti israeliani.
È ormai chiaro, però, che la decisione di sacrificare decine di migliaia di vite umane gazesi è stata presa da Hamas a nostra insaputa e non aveva niente a che vedere con gli interessi del nostro popolo. Lo scopo principale dell’azione, infatti, doveva essere, nell’immediato, d’interrompere la distensione tra Israele e l’Arabia Saudita; in prospettiva, di aiutare il progetto genocida antiebraico dell’Iran. Ma questo potrà realizzarsi solo il giorno in cui l’Iran disporrà delle armi nucleari e il regime dei mullah deciderà quasi certamente di autoimmolarsi pur di far scomparire Israele dalla faccia della Terra. Credo che nessuno dei gazesi militanti di Hamas si renda conto che il fanatismo dell’Iran porterà alla distruzione anche di Gaza, del mondo palestinese e forse scatenerà una guerra nucleare di più vaste dimensioni.
Netanyahu ha gravissime colpe per il massacro indiscriminato di civili gazesi, che non può essere giustificato dalla volontà di liberare gli ostaggi, a fronte del rifiuto di trattative da parte di Hamas - fin dall’inizio e lungo protratto - e soprattutto della passività degli organismi internazionali, ai quali va attribuita una grande responsatà per le stragi che hanno colpito il mio popolo. Resta il fatto, però, che Hamas non ha voluto deliberatamentebloccare i massacri del nostro popolo, facendo l’unica cosa che il governo israeliano chiedeva legittimamente: la liberazione degli ostaggi ancora vivi.
Di questa possibilità di fermare le stragi si è avuta la conferma indiscutibile con l’attuale tregua: è bastato promettere la liberazione di una trentina di ostaggi per ottenere la sospensione immediata delle operazioni militari. Se Hamas lo avesse fatto subito - o se addirittura non avesse preso ostaggi - oggi sarebbero ancora vivi decine di migliaia di palestinesi di Gaza, miei concittadini e confratelli mussulmani. Se volessi fare una graduatoria dei colpevoli per quanto è avvenuto a Gaza, metterei al primo posto Hamas/Iran, poi gli organismi internazionali (che in questa vicenda hanno perduto ogni residua credibilità) e infine il governo israeliano. Delle manifestazioni di sostegno ad Hamas e delle dichiarazioni antiebraiche in giro per il mondo (a partire dai campus statunitensi) non voglio nemmeno parlare.
La questione degli ostaggi
Tutto ciò mi porta a formulare un’ipotesi, forse cinica perché fondata sul computo delle vittime, in un contesto di totale inumanità: se Israele avesse deciso di sacrificare gli ostaggi - come aveva fatto in un lontano passato, quando rifiutava di trattare, come per es. alle Olimpiadi di Monaco nel 1972 - si sarebbero risparmiate alcune migliaia di vite umane?
Probabilmente sì. È terribile ammetterlo, ma - dopo aver verificato che Hamas non intendeva cedere gli ostaggi e che il mondo intero, a partire dalle Nazioni Unite, non intendeva muoversi per liberarli - decine di migliaia di vite umane sarebbero state risparmiate se Israele avesse rinunciato a salvare gli ostaggi e bombardato a fondo, fino a distruggere completamente i tunnel dei terroristi estesi per centinaia di chilometri.
Delle migliaia di soldati israeliani uccisi o feriti, quanti si sarebbero salvati? e degli oltre 40.000 gazesi uccisi, quante migliaia sarebbero sopravvissute?
Il quesito orrendo, ma imposto dall’azione di Hamas, è il seguente: sarebbe stato giusto sacrificare i circa 200 ostaggi (metà dei quali è stata comunque fatta morire in condizioni disumane) ed evitare così la morte di alcune centinaia di soldati israeliani e di alcune decine di migliaia di miei connazionali? Il ragionamento è cinico, ma quando si tratta di salvare vite umane si deve avere il coraggio di esaminare tutte le ipotesi possibili, senza ipocrisie.
Il governo di Netanyahu, però, non ha voluto o non ha potuto esaminare alternative per la liberazione degli ostaggi, perché premuto dai fanatici religiosi dell’estrema destra israeliana e dai famigliari degli ostaggi che hanno cominciato a manifestare fin dal primo giorno, come è umanamente comprensibile. Il risultato è sotto gli occhi di tutti e non richiede commenti.
Per il futuro sono molto preoccupato, sia perché noi gazesi continuiamo ad essere tiranneggiati da Hamas, sia perché il governo israeliano non dichiara ufficialmente che d’ora in avanti non accetterà più trattative per i sequestri di ostaggi. In assenza di una tale dichiarazione ufficiale, infatti, i sequestri riprenderanno su più ampia scala e diventeranno l’arma favorita dei tanti gruppi terroristici antiebraici. Ciò sarà favorito dal ritorno in attività di migliaia di militanti di Hamas e sarà alimentato dalla comprrensibile rabbia dei gazesi che hanno visto morire i loro famigliari e distruggere le loro abitazioni. Sembra incredibile, ma è interesse di noi gazesi che Israele dichiari di non accettare più di trattare sui rapimenti di ostaggi. Il prezzo che abbiamo pagato questa volta per l’azione di Hamas non dobbiamo più pagarlo.
Le macabre manifestazioni di gioia
A ogni liberazione di ostaggi viene organizzata da Hamas una manifestazione di giubilo popolare, con folle di individui festanti che inneggiano a questo vile e orrendo crimine. Ciò fa sì che l’immagine di noi gazesi, che viene fornita agli occhi del mondo, è quella di un popolo barbaro, disumano e ancora avvolto in ideologie feudali. Sembriamo peggio della plebe che nell’Antichità godeva alla vista dei martiri condotti in pasto alle belve,negli anfiteatri romani durante i circenses.
Senza contare che noi gazesi sembriamo gioire di un’impresa criminale che ha portato alla morte decine di migliaia di nostri connazionali. Non vedo rispetto per la memoria di coloro che sono morti sotto le bombe o durante gli esodi di massa. Invece di festeggiare dovremmo dichiararci in lutto a tempo indeterminato, coinvolgendo nel lutto tutto il mondo arabo palestinese. Questa sarebbe l’immagine umana di noi gazesi che dovremmo offrire al mondo e non quella di folle urlanti e feroci che si ammassano intorno a delle povere vittime, sopravvissute a oltre un anno di disumana prigionia.
È la regia di Hamas che organizza queste lugubri manifestazioni di giubilo, ma, ancora una volta, noi gazesi non abbiamo alcuna possibilità di impedirle. A protestare si verrebbe uccisi immediatamente. Da noi non è come in Israele dove, nonostante la guerra, si possono fare manifestazioni contro il governo anche tutti i giorni, e addirittura uno sciopero generale. Quando arriveremo anche noi arabi palestinesi a questo grado di maturità civile e democratica?
Per impedire questi orrendi crimini di Hamas, a noi abitanti di Gaza non è stata data alcuna possibilità di intervenire, sia per la totale assenza di democrazia nel nostro piccolo Stato, sia per reponsabilità degli organismi come Nazioni Unite, Croce Rossa, Amnesty International, Tribunale dell’Aia, Vaticano, Ong varie, e tutte quelle organizzazioni internazionali che non solo non hanno fatto nulla per costringere Hamas a liberaregli ostaggi, ma nemmeno hanno chiesto di poter incontrare i prigionieri rapitio, facendo appello al diritto umanitario. Chissà quante migliaia di gazesi sarebbero ancora vivi se tutti costoro (da António Guterres a papa Francesco) o solo alcuni di essi avessero fatto qualcosa per ottenere la liberazione degli ostaggi.
Quale futuro?
Ebbene, nonostante tutto ciò, si continua a non voler sentire la voce di noi gazesi riguardo al nostro futuro: se dobbiamo restare qui, in un paese distrutto e da ricostruire nei prossimi 15 anni (ma chissà quanti di più...), oppure cominciare altrove una nuova vita. È una scelta importante e quindi è un’altra ragione per la quale questa volta il nostro futuro dobbiamo deciderlo noi.
Se l’alternativa è tra 1) vivere in campi profughi, in un territorio devastato, inquinato dalle macerie, pieno di bombe inesplose, per giunta ancora tiranneggiati da Hamas e col pericolo di tornare ad essere massacrati ogni volta che vi saranno nuovi rapimenti di ostaggi; oppure 2) andare a vivere in un altro paese arabo, in villaggi civili, in case prefabbricate, con posti di lavoro e assistenza sociale assicurata, e senza più la dittatura del fondamentalismo islamico - ebbene, la scelta che noi gazesi dovremmo fare, e probabilmente faremmo, è quasi ovvia.
Ma, ripeto, questa dev’essere esclusivamente una scelta nostra, avendo chiare le alternative. Dovremmo poter discutere tra noi abitanti di Gaza, senza le minacce dei capi d Hamas (gli stessi che nei primi giorni tentarono di fermare l’esodo dei gazesi che fuggivano verso il sud, ordinando loro di restare a morire sotto le bombe) e senza condizionamenti da parte di osservatori esterni. Questi non hanno alcun titolo per intervenire nelle nostre vicende, ma non perdono l’occasione di dire qualcosa. E qui intendo riferirmi alla valanga di esclamazioni indignate con cui è stata accolta la proposta di Trump riguardo al trasferimento dei gazesi sopravvissuti in una parte del mondo più accogliente.
Trump è Trump ed è ovviamente libero di proporre ciò che vuole, anche se in genere non è attendibile e inoltre non traduce in pratica molte delle sue esternazioni. Ma è scandaloso il modo in cui è stata ridicolizzata la sua proposta per Gaza, per giunta deformandola a piacimento, senza affrontare una discussione seria al riguardo. Sembra incredibile, ma finora è stato l’unico leader politico ad essersi posto il problema concreto del nostro futuro, giusta o sbagliata che sia la soluzione proposta, realizzabile o irrealizzabile.
Che sarà di Gaza, se noi e la nuova generazione dovremo vivere in una terra devastata, ancora sotto la tirannia di Hamas (o comunque si chiamerà una qualche nuova sigla fondamentalista), in un regime di dittatura e di terrore? Agli indignati ciò non interessa: sono troppo innamorati della propria indignazione per potersi porre il problema concreto di cosa si può fare per far vivere finalmente in condizioni civili, democratiche e umanamente decenti i gazesi sopravvissuti.
Tutta l’indignazione che esplode ora, e che non vi è stata in precedenza per le stragi provocate a Gaza dall’azione di Hamas, appare come un’offesa ulteriore alla memoria delle decine di migliaia di vittime innocenti. Che tacciano una buona volta i benpensanti indignati - che nell’inferno della Gaza attuale non andrebbero a vivere nemmeno per un giorno - e lascino a noi gazesi il compito di esaminare collettivamente, con calma e lucidità, quale potrebbe essere il destino migliore per noi.
L’alibi dei «due Stati»
E che tacciano una volta per tutte i propagatori della «teoria dei due Stati». Questa è diventata ormai solo un alibi per salvarsi l’anima e non affrontare concretamente il futuro degli arabi palestinesi.
Nel 1947-48 ci fu l’ultima possibilità di creare un autentico Stato palestinese, ipoteticamente nella Transgiordania di allora. Israele disse di sì, la Lega araba disse di no e aggredì Israele. Da allora la teoria dei due Stati è diventata uno slogan vuoto, buono per mettersi a posto la coscienza, ma irrealistico: due Stati, entrambi confessionali e ostili tra loro, non porterebbero altro che a nuove guerre.
Guerre che saranno vinte sempre dagli israeliani, ma questa non è una buona ragione per alimentare il sorgere di nuovi conflitti in Medio Oriente. Soprattutto ora che tutti i principali Stati arabi hanno riconosciuto o si accingono a riconoscere Israele. Questa è una grande novità rispetto al 1948, al 1967, al 1973 ecc. L’unico bastione irriducibile, fautore del genocidio antiebraico, rimane l’Iran degli ayatollah. Di questo si deve tener conto, quando si parla del futuuro di Gaza. E forse si avvicina il giorno in cui vedremo finalmente una coalizione degli Stati arabi compreso Israele- divenuto nel frattempo Stato multietnico (formula più precisa che «multinazionale»), possibilmente laico e includente i palestinesi - impegnata a far crollare il regime teocratico dell’Iran. In ciò, la coalizione arabo-israeliana sarà aiutata dal fatto che la maggioranza del popolo iraniano è fortemente ostile a tale regime.
Ma la prova decisiva che dimostra l’ipocrisia di chi si nasconde dietro la teoria dei due Stati, sta nel fatto che nessuno ha il coraggio di dire concretamente dove dovrebbe sorgere un vero e proprio Stato palestinese, in quale luogo. E questo perché tale luogo non esiste, a meno che l’Arabia Saudita non acconsenta - come è improbabile - a cedere una parte del suo immenso e disabitato territorio. (Richiesta già fatta arrivare da Trump a Mohammad bin Salman, per i gazesi, e momentaneamente respinta al mittente.)
Tuttavia, se ancora si avevano dubbi sull’insensatezza della teoria dei due Stati, ciò che è avvenuto nello staterello di Gaza dovrebbe averli fugati del tutto: appena Israele si è ritirato completamente dal territorio gazese, un colpo di forza militare ne ha passato la guida ad Hamas. E il controllo di Gaza è servito ad Hamas per preparare l’aggressione militare, incurante dei prezzi che la popolazione avrebbe pagato, anzi includendo tali prezzi nella strategia politica. Una strategia disumana che ha finito col ritorcersi contro Hamas stesso che ha avuto perdite enormi (oltre 15.000 militanti morti) e non ha più il controllo totale del territorio. Può solo consolarsi di non essere ancora scomparso, come invece aveva promesso Netanyahu.
È facile profezia prevedere che Israele non accetterà mai più di ripetere l’errore fatto con Gaza. E per quanto paradossale ciò possa sembrare, i primi ad avvantaggiarsene saranno proprio i gazesi che in questi mesi di morte e distruzione avranno maledetto in cuor loro il giorno in cui Israele si è ritirato da Gaza e ha lasciato il campo libero ad Hamas: doveva essre l’inizio dell’indipendenza e invece si è trasformato nel massacro del nostro popolo e nelle distruzione del nostro Paese.
Conclusione provvisoria
Tutto ciò mi porta a ripetere e a concludere che d’ora in avanti dovremo fare di tutto per decidere noi gazesi il nostro destino. E questo ben sapendo che tenteranno di impedircelo le migliaia di ex prigionieri, militanti di Hamas, tornati in libertà e intenzionati ancora a uccidere ebrei (anche civili), palestinesi oppositori, gazesi informatori veri o presunti. Non si dimentichi, infatti, che la fucilazione in pubblico di alcuni «collaborazionisti» è stata la prima cosa fatta appena iniziata la tregua, per dare un segnale chiarissimo: Hamas continua ad avere il potere assoluto sui gazesi (anche se non più su Gaza) e verrà eliminato chiunque non obbedisca ciecamente.
In queste condizioni sarà ovviamente quasi impossibile per noi gazesi decidere del nostro futuro. Mentre l’assenza di canali di espressione democratica, anche minima, rischia di lasciare campo libero ai vari Trump, agli anti-Trump e più in generale agli indignati di professione (quelli, ripeto, innamorati soprattutto della propria indignazione).
Riuscirà il mio popolo a esprimersi finalmente in forma autonoma dopo circa tre millenni di sudditanza e oppressione?
Inshallah
روبرتو بن المساري
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