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domenica 16 febbraio 2025

STATI UNITI, RUSSIA E UCRAINA DA BIDEN A TRUMP

di Michele Nobile


ITALIANO - ENGLISH


Dall’appeasement all’incoerenza, all’idiotismo negoziale


- 1. Zelens’kyj: «Sinceramente, hanno tutti paura»

- 2. Marzo 2014-febbraio 2022: l’appeasement verso la Russia

- 3. Biden, febbraio 2022: la non-strategia delle «devastanti» sanzioni economiche

- 4. L’escalation di Putin e l’alibi delle «linee rosse»

- 5. Stati Uniti e alleati europei: una strategia incoerente 

- 6. The art of the deal e l’Ucraina


1. Zelens’kyj: «Sinceramente, hanno tutti paura»

Nel pomeriggio del 25 febbraio 2022, quando non solo a Mosca e Pietrobur, ma anche nelle capitali europee e a Washington si riteneva imminente l’occupazione di Kyiv e i russi alimentavano la falsa voce della fuga di Zelens’kyj all’estero, il Presidente ucraino comparve davanti al Palazzo presidenziale, insieme al Primo ministro e ad altri alti esponenti politici, per dire semplicemente: my vsi tut, siamo tutti qui. Lo stesso giorno Zelens’kyj ribadì il concetto in un più lungo messaggio che informava il popolo ucraino della situazione: «Secondo le nostre informazioni, il nemico mi ha contrassegnato come obiettivo numero uno. La mia famiglia è l’obiettivo numero due. Vogliono distruggere politicamente l’Ucraina [Вони хочуть знищити Україну політично] distruggendo il Capo dello Stato» ma, continuava, sono qui, ho tenuto dozzine di telefonate internazionali, la mia famiglia e i miei bambini sono in Ucraina. E poi: 


«Oggi ho chiesto ai ventisette leader europei se l’Ucraina entrerà nella NATO. L’ho chiesto direttamente. Tutti hanno paura. Non rispondono. (...) ho sentito alcune cose. Innanzitutto ci sostengono. E sono grato a ogni Stato che aiuta concretamente l’Ucraina, non solo a parole. Ma c’è una seconda cosa: siamo lasciati soli nella difesa del nostro Stato. Chi è pronto a combattere con noi? Sinceramente non ne vedo nessuno. Chi è pronto a garantire all’Ucraina l’adesione alla NATO? Sinceramente, hanno tutti paura [Чесно, всі бояться]». 

Noi non abbiamo paura di niente. Non abbiamo paura di difendere il nostro Stato. Non abbiamo paura della Russia. Non abbiamo paura di parlare con la Russia. Non abbiamo paura di dire tutto sulle garanzie di sicurezza per il nostro Stato. Non abbiamo paura di parlare di status neutrale. Ora non siamo nella NATO. Ma la cosa principale è: quali garanzie di sicurezza avremo? E specificatamente, quali Paesi le daranno? Dobbiamo parlare di come porre fine a questa invasione. Dobbiamo parlare di un cessate il fuoco»1

Ho voluto fare questa citazione non tanto perché rende la drammaticità del momento ma perché, rileggendola a distanza di quasi tre anni, sono rimasto impressionato dal fatto che, dal primo giorno dell’invasione, Zelens’kyj poneva problemi che hanno attraversato tutta la durata della guerra e sono ora decisivi, perché molto influenzeranno tempi, modi e contenuti del possibile negoziato di cui si torna a parlare. 

Innanzitutto, fin dall’inizio un importantissimo obiettivo tattico del regime russo è stato eliminazione di Zelens’kyj, fisica o per delegittimazione politica. Non per caso, il punto è stato nuovamente ribadito con forza da Putin nel dicembre 2024, per via dell’aspettativa per lui positiva suscitata dall’elezione di Trump. Putin sostiene la menzogna che, secondo la Costituzione ucraina, la continuità della presidenza Zelens’kyj sia illegale e quindi pretende che un negoziato possa esserci solo dopo nuove elezioni presidenziali. È buffo che questa richiesta venga da qualcuno che è al potere da un buon quarto di secolo anche grazie a brogli elettorali e all’eliminazione dei concorrenti come Aleksej Naval’nyj, morto in carcere, molto probabilmente assassinato. La pretesa è di un’ipocrisia sconfinata anche perché viene da chi, avendo voluto l’annessione alla Russia del 18% del territorio ucraino e dei suoi abitanti - «piccoli russi» secondo l’ideologia imperiale russa - rende impossibile l’elezione di un nuovo Presidente ucraino che sia scelto dall’intero elettorato nazionale. Putin ha però ottime ragioni per volere l’eliminazione di Zelens’kyj: perché agli occhi dell’opinione pubblica mondiale ha benissimo incarnato l’identità nazionale e la volontà di resistenza dell’Ucraina, tanto che il suo modo di comunicare merita d’essere studiato; e poi perché può sperare che una campagna elettorale offra opportunità alla Russia di destabilizzare la politica interna ucraina. Anche più importante è che Putin intende ridurre al minimo la voce dell’Ucraina in un eventuale negoziato: dal suo punto di vista l’ideale è scavalcare del tutto Zelens’kyj per trattare il destino del Paese direttamente con Trump, così come ai tempi del colonialismo le grandi potenze trattavano la spartizione di territori e popoli, un bell’esempio di cosa possa significare multipolarità in versione russa. Per quanto il Presidente americano sia intenzionato a incontrare il collega ed amico russo, il tentativo di decidere alle spalle e sulla pelle degli ucraini difficilmente riuscirà. 

«Vogliono distruggere politicamente l’Ucraina»: cioè negarne l’indipendenza e, addirittura, l’identità come nazionalità distinta da quella russa. L’obiettivo di guerra del Presidente russo è sempre stato e rimane questo, rispetto al quale sono strumentali le altre sue rivendicazioni, come la neutralità e l’annessione dei territori che l’imperialismo russo definisce Nuova Russia. 

Al contrario di quanto pensano i creduloni (o gli ignoranti) e di quel che proclamano i fintopacifisti che gongolano ad ogni avanzata russa, Putin non ha mai inteso negoziare seriamente una pace che non equivalga alla resa politica dell’Ucraina. Il negoziato russo-ucraino del marzo-aprile 2022 non fallì perché un intervento «occidentale» avrebbe impedito di concludere un trattato su cui le parti concordavano. Chi si prende il disturbo di leggere le bozze di trattato di pace discusse dai rappresentanti russi ed ucraini - tre bozze, analizzate in un mio prossimo articolo - si renderà conto che ad essere in gioco non era affatto lo status neutrale dell’Ucraina, non solo perché il suo ingresso nella Nato era una mera aspirazione unilaterale, da molti anni respinta dalla Nato e di assai dubbia realizzazione in futuro. Zelens’kyj aveva dichiarato subito la disponibilità a rinunciare a quell’aspirazione - «non abbiamo paura di parlare di status neutrale» - e questo era il primo e non controverso punto di tutte le bozze di trattato. Se le trattative tra febbraio e metà aprile 2022 non portarono a nulla fu perché le pretese dei russi andavano ben oltre lo status neutrale e non-allineato dell’Ucraina su cui, ripeto, c’era accordo. I rappresentanti di Putin ponevano un insieme di condizioni politiche, militari e territoriali che, di fatto, avrebbero negato l’indipendenza politica e l’integrità territoriale dell’Ucraina. A Putin non interessava affatto né interessa ora un’Ucraina neutrale come l’Austria e la Svizzera, o come lo sono state la Finlandia e la Svezia. L’obiettivo dell’invasione era e rimane l’assimilazione totale dell’Ucraina nella sfera d’influenza russa e, in prospettiva, la sua forzata russificazione; in subordine, Putin punta ad annetterne quanto più possibile e a lasciarsi dietro un Paese devastato e debole, possibile preda di un’altra «operazione speciale». Che dopo tanti decenni di neutralità Finlandia e Svezia abbiano aderito alla Nato dovrebbe fare intendere come i Paesi vicini alla Federazione Russa percepiscano l’ampiezza e la pericolosità delle ambizioni imperiali del dittatore russo.  

Con l’annessione alla Federazione russa degli oblast ucraini di Donec’k e Luhans’k, Cherson e Zaporižžja, in aggiunta alla Crimea già invasa e annessa nel 2014, Putin si è volontariamente privato della carta più forte per contrattare con il governo ucraino una soluzione di compromesso al conflitto. In nessuna circostanza gli ucraini possono riconoscere l’annessione di quasi il 20% del loro territorio, con i relativi concittadini, alla Federazione Russa. Per cui, se i russi non si ritirano dai territori occupati è concepibile un armistizio di tipo coreano, ma non una pace duratura. Quanto alle presunte aperture di Putin al cessate il fuoco e al negoziato con il governo ucraino, queste sono una finzione parte della strategia bellica russa il cui scopo è semplicemente generare dubbi e confusione nella scena politica degli Stati che sostengono la resistenza ucraina2

In terzo luogo, ed è di questo che qui specialmente mi occupo, la frase pronunciata da Zelens’kyj riferita ai Paesi amici: «sinceramente, hanno tutti paura», non ha mai cessato d’essere vera e costituisce il più grave problema strategico per la condotta bellica dell’Ucraina e per i tempi e i contenuti di un trattato che ponga fine alla guerra. Di quella frase si sente l’eco a metà gennaio 2025, nell’intervista di Zelens’kyj a un giornale polacco in cui ha ringraziato Biden dell’aiuto dato ma ha anche dichiarato che «chiedevamo armi e sanzioni. Ma l’America disse che “prenderemo provvedimenti, solo se succede qualcosa”. Credo che questa sia stata una posizione debole»; e aggiunse che «non ho mai capito del tutto e non capirò mai» perché non siano stati forniti all’Ucraina più sistemi di difesa antiaerea Patriot, necessari per proteggere la popolazione.

 

2. Marzo 2014-febbraio 2022: l’appeasement verso la Russia

Partiamo da una considerazione retrospettiva: la guerra di Putin all’indipendenza dell’Ucraina non è iniziata nel febbraio 2022 ma ben otto anni prima, con l’invasione della Crimea il 23 febbraio 2014 e la seguente annessione; con la promozione dell’insurrezione dei secessionisti filo-russi degli oblast di Donec’k e Luhans’k in marzo; e con l’aperto intervento militare per salvare le sedicenti repubbliche popolari secessioniste, nel corso dell’estate di quell’anno. Fu soltanto in luglio che l’Unione Europea decise sanzioni economiche nei confronti della Russia: e per questo ci volle l’abbattimento da parte dei secessionisti del volo MH17 di Malaysia airlines partito da Amsterdam, 298 morti, la maggior parte olandesi; soltanto il 5 settembre la Francia annullò l’invio alla Russia della prima di due navi portaelicotteri d’assalto anfibio classe Mistral. Negli anni seguenti, mentre si tentava la soluzione diplomatica - gli accordi di Minsk del 2014 e 2015, anni nei quali si registrò il 90% dei morti nel conflitto - gli oblast ucraini venivano gradualmente annessi di fatto alla Federazione Russa. Gli accordi di Minsk erano morti e putrefatti molto prima dell’invasione totale del 2022. Sponsorizzati dai governi di Francia e Germania, questi accordi erano minati in partenza dal fatto d’assumere la Russia non per la sua reale posizione di parte in conflitto con l’Ucraina ma come una delle potenze mediatrici. Erano una forma di appeasement nei confronti di Putin, al punto che il cosiddetto «processo di pace» interessava esclusivamente gli oblast orientali ma escludeva la Crimea, occupata dalla Russia ma considerata una causa persa. Questa linea di appeasement non pare disgiunta da interessi economici e dalle pressioni di grandi società come Shell ed ENI: altrimenti, il gasdotto Nord stream 2 non sarebbe stato costruito dopo l’aggressione russa nel 2014, né sarebbero state tranquillamente allargate le linee del Caspian Pipeline Consortium, che esporta la maggior parte del petrolio del petrolio del Kazakistan ma è controllato da società russe, con partecipazioni azionarie anche di Chevron, Exxon, ENI.

Se le ambizioni imperiali di Putin fossero state comprese, pur non iniziando il processo d’integrazione nella Nato - del resto impossibile proprio a causa del conflitto con i separatisti e la Russia - e pur continuando a cercare una soluzione diplomatica, sarebbe stato comunque possibile rifornire e modernizzare l’arsenale a disposizione delle forze armate dell’Ucraina in funzione deterrente verso ulteriori azioni aggressive russe. Invece, fino al 2017, in Ucraina giunsero soltanto aiuti militari non letali (protezioni individuali, sistemi di comunicazione, visori notturni) e, anche allora, vennero concesse dagli Stati Uniti soltanto alcune decine di lanciatori per missili anticarro, una decisione politicamente simbolica ma militarmente irrilevante, riconducibile al deterioramento delle relazioni fra le due potenze in conseguenza dell’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.

Per quanto riguarda la difesa dell’Ucraina, non è mai stata neanche tentata una politica di deterrenza nei confronti della Russia. Questo perché, fin dalla dissoluzione dell’Urss, malgrado tensioni e polemiche, per motivi politici e per interessi economici, Stati Uniti, Germania, Francia, Italia e via elencando hanno sempre dato importanza di gran lunga maggiore alle relazioni con la Russia che all’Ucraina e, in particolare, al rafforzamento delle sue capacità difensive, nonostante fosse già stata parzialmente invasa, così involontariamente creando alcune condizioni che hanno reso possibile l’invasione totale del 2022. 

Almeno dall’invasione parziale dell’Ucraina nel 2014 si è spesso scritto di una nuova guerra fredda fra il cosiddetto Occidente e la Russia. L’espressione guerra fredda è però usata in modo superficiale, come se potesse adeguatamente caratterizzare l’intero periodo fra il 1948 e la fine dell’Unione Sovietica. Ritengo più corretta la periodizzazione proposta da Fred Halliday: prima guerra fredda (1946-1953), seguita dalla lunga fase dell’antagonismo oscillatorio (1953-1969) caratterizzata da negoziati e ripetuti tentativi di ridurre le tensioni tra le due parti, ognuno dei quali però fallì a causa di eventi in parte al di fuori del controllo dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti, che necessariamente si trovarono in contrapposizione negoziati sulla Germania, l’Austria, la Corea, il Vietnam; primo vertice sovietico-americano a Ginevra nel 1955, idea della coesistenza pacifica, accordo per la sospensione di tutti gli esperimenti nucleari nel 1963, ma anche forti tensioni: l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, le crisi di Berlino nel 1961 e dei missili sovietici a Cuba nel 1962, coinvolgimento statunitense in Vietnam, invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia nel 1968). Il decennio successivo fu quello della distensione fra le due potenze, cui seguì la seconda guerra fredda (conclusasi di fatto con il vertice di Reykjavík tra Gorbachev e Reagan nell’ottobre 1986)3. Ebbene, fino all’invasione dell’Ucraina nel 2022, le relazioni fra Russia e Stati Uniti e loro alleati somigliano nel complesso molto più alla fase dell’antagonismo oscillatorio che alla prima o seconda guerra fredda. Se poi si restringe l’inquadratura alla sola Ucraina, le potenze «occidentali» hanno praticato nei confronti del revisionismo espansionista del regime di Putin una sorta di fallimentare appeasement. Con la precisazione che l’appeasement storico, quello di Chamberlain e Daladier (questi al seguito del primo) nei confronti di Hitler non era una politica esclusivamente distensiva. Aveva una anche una componente di deterrenza: ad esempio, i francesi costruirono la linea Maginot, gli inglesi potenziarono l’aviazione e resero operativa la radio direction finding (i primi radar), sviluppi determinanti per vincere la Battaglia d’Inghilterra, ma la deterrenza fu del tutto subordinata alla distensione; Stalin invece si accordò con Hitler per spartirsi la Polonia e definire le sfere d’influenza4


3. Biden, febbraio 2022: la non-strategia delle «devastanti» sanzioni economiche

A riguardo dell’Ucraina, nella politica degli Stati Uniti e degli alleati, fino al 2022 mancò qualcosa che soltanto somigliasse alla deterrenza o a una strategia volta a negare all’imperialismo russo la possibilità di una vittoria militare. Tuttavia, almeno fino ad ora, non c’è stata un’altra Monaco 1938, un equivalente della conferenza fra Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier che portò all’annessione della regione cecoslovacca dei Sudeti al Terzo. 

Chiarito questo, qual è stata la strategia degli Stati che dal 2022 sostengono la resistenza ucraina all’invasione russa? È stata adeguata alla situazione politico-militare e alla realizzazione degli obiettivi difensivi dell’Ucraina? La risposta non ha solo valore retrospettivo. È una necessità preliminare per individuare gli scogli sui quali può naufragare la linea dell’amministrazione Trump e i problemi che si pongono ai Paesi europei.  

Nella formulazione della strategia sono cruciali la corretta valutazione della situazione politica, delle capacità militari presenti e del potenziale bellico mobilitabile, in uomini e risorse economiche, sia propri che del nemico e dei suoi alleati, in modo da coordinare l’obiettivo politico e i modi e i mezzi dell’azione militare con cui piegare la volontà dell’avversario. Il «fattore morale» è fondamentale e spesso riserva grandi sorprese. Ad esempio, all’inizio del 2022 la strategia russa fallì perché del tutto errata era la valutazione del quadro politico dell’Ucraina e della determinazione a resistere all’aggressione, sia al livello più alto del governo e degli apparati statali che della volontà popolare. Da questa errata valutazione della identità nazionale e politica dell’Ucraina scaturirono errori nella concezione delle operazioni su ampia scala e quindi le sconfitte tattiche (a partire dall’occupazione dell’aeroporto di Hostomel), che portarono all’esaurimento dell’offensiva e al fallimento del primo e decisivo obiettivo strategico: l’occupazione di Kyiv e la decapitazione politica dell’Ucraina. Valutazione politicamente sbagliata che non era solo dei russi: era ampiamente condivisa dai governi degli Stati membri della Nato, al punto che nei primi giorni dell’invasione questi consideravano inutile inviare armi all’Ucraina, assumendo che, al più, i resistenti si sarebbero dati a una sorta di guerriglia. In un primo momento gli Stati Uniti misero il veto al trasferimento di Mig-29 sovietici dalla Polonia in Ucraina. Questo è il primo tipo d’errore strategico riscontrabile nella storia del conflitto: la grande sopravvalutazione delle capacità militari russe e la sottovalutazione delle capacità militari ucraine. Con questo errore hanno dovuto poi fare i conti non solo a Mosca ma anche a Washington e nelle capitali europee. 

Nella conferenza stampa del 24 febbraio 2022 sull’invasione russa dell’Ucraina, Biden affermò che «Sebbene abbiamo fornito oltre 650 milioni di dollari in assistenza difensiva all’Ucraina solo quest’anno, l’anno scorso, lasciatemi dire di nuovo: le nostre forze non sono e non saranno impegnate nel conflitto con la Russia in Ucraina. Le nostre forze non andranno in Europa per combattere in Ucraina, ma per difendere i nostri alleati della NATO e rassicurare quegli alleati»; e poi: «Come ho detto chiaramente, gli Stati Uniti difenderanno ogni centimetro del territorio NATO con tutta la forza della potenza americana», territorio di cui l’Ucraina non era, non è e non farà parte ancora nel futuro prossimo5. Il Presidente si dilungò sull’unità e sul rafforzamento della Nato ma, come risulta chiarissimo dalle risposte ai giornalisti, per quanto riguarda la difesa dell’Ucraina in quel momento la sua posizione si riduceva a nuove, estese e «devastanti» sanzioni economiche nei confronti del regime russo, che avrebbero dovuto ricondurre Putin alla ragione; l’enfasi del discorso era tutta posta sulla determinazione che gli Stati Uniti e la Nato non sarebbero entrati in guerra con la Russia. 

Il blocco economico può essere parte importante e alla lunga decisiva di un conflitto che si prolunga nel tempo, ma soltanto se integrale e attuato attraverso la coercizione militare. Le sanzioni economiche da sole, invece, non costituiscono una strategia militare e non hanno effetto immediato sul campo di battaglia, tanto più se si tratta di una guerra convenzionale fra forze regolari e se fra le parti in conflitto esiste una forte differenza di potenziale militare e industriale. Se il piano d’invasione russo fosse riuscito nel suo intento, dopo un periodo di forte indignazione, ferma condanna e «devastanti» sanzioni economiche, Stati Uniti e alleati europei sarebbero tornati all’appeasement: è su questo che Putin contava, che si arrendessero al fatto compiuto della conquista del resto dell’Ucraina, come già con la Crimea. 

La storia ha invece seguito un corso diverso da quello voluto da Putin e temuto dai governi europei e degli Stati Uniti. All’inizio del 2022 l’Ucraina infranse la strategia iniziale di Putin con le sue sole forze, disponendo allora quasi esclusivamente d’armamento sovietico degli anni Ottanta del secolo scorso e di mezzi di recente produzione nazionale. Armi d’importazione più moderne - come i sistemi portatili anticarro Javelin e i droni turchi Bayraktar - furono e sono tatticamente importanti ma non decisivi quanto l’artiglieria, i missili, i mezzi corazzati e l’aviazione di cui era allora dotato l’esercito ucraino; circa il 90% delle vittime della guerra risultano dal fuoco d’artiglieria (lanciarazzi inclusi). 

Negando alla forza d’invasione russa di vincere una breve guerra di movimento, tra febbraio e fine marzo 2022 il popolo d’Ucraina ha già conquistato il primo dei suoi obiettivi bellici: il mantenimento della sua indipendenza politica nei territori liberati all’invasore e, quindi, della capacità di continuare a resistere all’obiettivo di Putin di ridurre l’Ucraina alla condizione di Stato-vassallo. Non avendo voluto aiutare l’Ucraina a costruire una forte capacità deterrente dopo l’aggressione russa del 2014, di fronte al dato di fatto del fallimento di quella che nel 2022 avrebbe dovuto essere una guerra lampo, i governi detti occidentali sono stati costretti ad andare ben oltre le sanzioni economiche e diplomatiche e a fornire armi alla resistenza ucraina

E quindi il tono di Biden cambiò: «l’obiettivo dell’America è chiaro: vogliamo vedere un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana e prospera, con i mezzi per scoraggiare e difendersi da ulteriori aggressioni»6

Qui sono indicati gli obiettivi di guerra e, al momento di questa affermazione, era già da tempo iniziato l’afflusso in Ucraina di armi anticarro, di difesa aerea, d’obici semoventi e munizioni. Tuttavia, con questa constatazione non si esaurisce affatto la questione. Ritorno ai quesiti: visti tempi, quantità, qualità e limiti d’uso delle armi fornite, nell’applicazione concreta, l’aiuto militare è stato coerente con le altisonanti dichiarazioni di solidarietà con l’Ucraina? E quindi, qual è la strategia che spiega l’insieme totale delle decisioni e non-decisioni a riguardo del sostegno militare? 


4. L’escalation di Putin e l’alibi delle sue «linee rosse» 

Il fattore morale è decisivo ma contano anche i mezzi per concretizzarlo, motivo per cui considerare attentamente tempi, quantità e qualità degli aiuti militari all’Ucraina è importante per una valutazione complessiva dell’atteggiamento strategico degli Stati Uniti e degli alleati nei confronti della guerra russo-ucraina. Come è noto, le decisioni e non-decisioni circa questi aiuti sono state fortemente influenzate dalla volontà politica di rispettare numerose «linee rosse» poste dai russi, al fine presunto di prevenire l’escalation del conflitto. Ecco un elenco sommario di «linee rosse», che dai russi sono state formulate in diversi modi: divieti, all’inizio dell’aggressione, di istituire una no flying-zone (linea non superata) e di fornire all’Ucraina armi, munizioni e aerei Mig-29 (marzo 2022, queste linee furono oltrepassate, ma gli obici M777 da 155 mm. iniziarono ad arrivare in Ucraina nell’aprile 2022, 54 sui primi 90 previsti); divieti di fornire missili (giugno 2022), carrarmati sovietici (agosto 2022), armi dalla Germania (settembre 2022): «linee rosse» oltrepassate ma le loro date sono indicative del ritardo nel fornire mezzi da subito necessari e disponibili; divieto di fornire missili a lungo raggio (settembre 2022, linea superata a maggio 2023); divieto di fornire sistemi antiaerei Patriot (novembre 2022, linea superata nell’aprile 2023); divieto di fornire carrarmati «occidentali» (gennaio 2023, i primi corazzati Leopard arrivarono nel febbraio 2023 e a settembre i primi 31 carri armati statunitensi M1A1 Abrams); divieto di fornire caccia multiruolo F16 (maggio 2023, oltrepassato nel luglio 2024); divieto d’attaccare il territorio russo con missili HIMARS e Storm shadow (giugno 2023, oltrepassato nel giugno 2024); divieto d’attaccare truppe russe con sistemi ATACMS (settembre 2023, superato il mese successivo, ma nella versione con gittata più corta) e di colpire il territorio russo con missili a lungo raggio (settembre 2023, oltrepassato nel novembre 2024 ma limitatamente ad aree di confine). 

I fatti dicono che Putin non condivide affatto la «delicata» preoccupazione dei governi detti occidentali per l’escalation. Al contrario, il dittatore russo ha attuato un’escalation secondo modi e tempi di sua scelta: invasione di uno Stato sovrano, bombardamento delle sue città e infrastrutture civili, esecuzione e tortura di civili nei territori ucraini occupati, distruzione di città e villaggi, blocco dei porti e delle esportazioni alimentari dell’Ucraina al resto del mondo, determinazione di enormi disastri ambientali, deportazione di bambini, annessione di territori. In tutto ciò utilizzando l’intero arsenale a sua disposizione tranne le bombe nucleari e sperimentando nuove armi e missili, con aria da guappo vantandone la presunta «invincibilità». 

Si dirà che l’escalation potrebbe risalire tutti i gradini, dal convenzionale fino all’utilizzo dell’arma atomica, con conseguenze che potrebbero essere terrificanti. In effetti la minaccia nucleare è periodicamente evocata dal regime russo, una ragione aggiuntiva perché spiriti umanitari e veri pacifisti manifestino il ritiro delle truppe d’invasione russe dal territorio ucraino - causa d’un conflitto come non se ne vedevano dalla Seconda guerra mondiale - e riempiano le strade pretendendo il disarmo nucleare. Anche perché nulla può dare impulso alla proliferazione degli arsenali nucleari come uno Stato che sventola la Bomba durante la guerra contro uno Stato non-nucleare. In questo caso, però, il timore dell’escalation fino al nucleare non ha alcun fondamento.

L’escalation nucleare ha la sua logica nel timore che un attacco di sorpresa con armi nucleari possa neutralizzare il proprio deterrente nucleare. Oppure, perché l’attacco convenzionale nemico ha talmente disorganizzato la rete di comando e controllo dell’apparato militare e politico da far venir meno una precisa consapevolezza della situazione: in tal caso, si potrebbe decidere d’usare l’arma nucleare come estrema risorsa, «ora o mai più». Oppure, perché la qualità degli obiettivi colpiti, con munizioni convenzionali o nucleari tattiche, è tale da costituire un concreto pericolo per l’esistenza del regime politico. 

Tutto questo è comunque un ragionamento del tutto ipotetico, utile solo a smascherare una tattica propagandistica russa. Il nocciolo della questione è che il rischio di un’incidente o di una escalation che superi la soglia dell’arma nucleare è possibile in un conflitto diretto fra potenze nucleari, che non è affatto il caso della guerra russo-ucraina. L’Ucraina cedette alla Russia l’ampio arsenale nucleare di cui disponeva trent’anni fa, ottenendo in cambio la garanzia che ne sarebbe stata rispettata l’indipendenza, con il Memorandum di Budapest: fatto comprensibilmente ora considerato dagli ucraini un grosso errore. Il punto è tornato in una recente intervista di Zelens’kyj: «allora facciamolo: restituiteci le armi nucleari, forniteci potenti sistemi missilistici, aiutateci a finanziare un esercito di un milione di persone e schierate i vostri contingenti nelle regioni del nostro Paese dove abbiamo bisogno della massima stabilità affinché le persone possano vivere in pace»7. Quanto agli Stati Uniti (e alla Nato), immediatamente ed esplicitamente hanno escluso la brinkmanship, la minaccia dell’escalation fino al rischio nucleare: è il significato della massima cura di Biden nel sottolineare di non essere in guerra con la Russia, chiaro segnale rassicurante di certo rinforzato da comunicazioni riservate fra le due potenze. 

Senza alcun dubbio Putin e il vertice politico e militare russo sanno che è proprio facendo uso d’armi di distruzione di massa contro l’Ucraina che il loro regime correrebbe un rischio estremo, senza precedenti. Tale gesto avrebbe per la Russia immediate ed enormi conseguenze avverse sulla scena diplomatica ed economica mondiale: la Cina e l’India sarebbero costrette a passare da una benevola ma controllata collaborazione a una stretta neutralità; rotto il tabù dal precedente russo, l’Iran avrebbe da temere un attacco massiccio, non escludendo l’arma nucleare, contro il proprio programma atomico. Non si deve dimenticare che, pur prescindendo da una risposta della stessa specie - che l’Ucraina non può e gli Stati Uniti non intendono rendere -, il potenziale militare mobilitabile dall’industria dei Paesi della Nato è di diversi ordini di grandezza superiore a quello russo.  

In definitiva Putin non ha alcuna necessità d’usare l’arma nucleare contro l’Ucraina: per il suo fine è sufficiente l’armamento convenzionale, anche a causa dei limiti all’aiuto militare che i sostenitori della resistenza ucraina hanno imposto a sé stessi. Le «mosse» russe circa la dottrina d’uso e la dislocazione di armi nucleari in Bielorussia sono parte integrante della guerra psicologica nei confronti dell’opinione pubblica internazionale e un modo per dare argomenti ai partiti fintopacifisti che simpatizzano per il regime di Putin, gli stessi che fin dal primo giorno di guerra si sono dichiarati contrari all’aiuto militare alla resistenza ucraina e che, con o senza escalation, simpatizzano con gli obiettivi dell’aggressore. 

Il timore dell’escalation è la razionalizzazione di qualcosa d’altro. 


5. Stati Uniti e alleati europei: una strategia incoerente 

L’erogazione degli aiuti militari all’Ucraina è stata dettata dall’intento di infliggere al regime russo un costo economico, non solo con le sanzioni ma anche mediante l’attrito delle sue forze militari sul campo di battaglia. È una strategia che non punta all’annientamento della forza nemica (come nel caso di Israele contro Hamas) ma al suo logoramento, fino a portare l’avversario a concludere che i costi effettivi della guerra superano i benefici potenziali o che l’obiettivo politico massimo non possa essere conseguito e che sia preferibile negoziare o ritirarsi. Una guerra convenzionale fra Stati modernamente armati e politicamente determinati non può risolversi rapidamente; a maggior ragione, dato lo squilibrio iniziale di forze che solo in parte rimediabile dall’aiuto esterno, il logoramento delle forze d’invasione era e rimane la strategia d’obbligo per l’Ucraina. Le questioni cruciali sono: come è stata applicata questa strategia? Quanto hanno inciso le decisioni e non-decisioni circa gli aiuti militari degli Stati Uniti e di altri Paesi? E come calcola Putin il rapporto fra costi e benefici?   

Quando non si tratta di esercitare una mera pressione politica ma di vincere una guerra, il danno economico non ha affatto un valore autonomo: è soltanto un mezzo finalizzato ai risultati sul campo di battaglia perché, per quanto dal lato dell’Ucraina questa guerra non assuma la sua forma assoluta - la distruzione della forza nemica -, nulla può sostituirsi alla decisione delle armi. Questo implica che le forze ucraine siano in grado di sostenere la difesa attiva delle proprie linee, rintuzzando gli attacchi russi, cedendo spazio quando necessario ma anche contrattaccando e colpendo in profondità le linee logistiche, i centri di comando, le basi militari gli impianti industriali russi. Il che non equivale a una guerra di posizione, perché le gli ucraini dovrebbero puntare anche ad acquisire un obiettivo che innalzi di molto la loro forza negoziale a fronte di Putin, non necessariamente con una singola operazione. Ad esempio, isolando la Crimea, che per i russi è della massima rilevanza strategica, tagliando il ponte terrestre fra la penisola e il territorio ucraino occupato e rendendo inutilizzabile il ponte sullo stretto di Kerč’ che collega la Crimea direttamente al territorio della Federazione Russa. Si noti che qui non si dice di respingere le truppe d’invasione oltre i confini internazionali del 1991, ribaditi nel Memorandum di Budapest firmato dalla Federazione Russa, ma di quel che ragionevolmente sarebbe stato senz’altro possibile e che è ancora concepibile. A certe condizioni, s’intende. Perché questo fosse possibile ed efficace il danno economico al regime russo, le forze armate ucraine avrebbero dovuto disporre nel momento opportuno - non dopo mesi o un anno - di personale e di armamenti in quantità e qualità adeguate a realizzare una posizione di superiorità almeno su parte del lungo fronte. Mancando queste condizioni, come accaduto negli ultimi mesi del 2024, nel frattempo Putin ha avuto modo di mobilitare ulteriormente il proprio potenziale bellico di uomini e mezzi e di riprendere l’iniziativa offensiva. 

Gli aiuti militari «occidentali» sono stati indispensabili per la liberazione di buona parte del territorio conquistato dagli invasori e le «linee rosse» poste dai russi sono state quasi tutte progressivamente superate. Tuttavia, considerando la sfasatura fra i tempi della decisione politica di superare ciascuna «linea rossa» e quelli delle necessità militari e delle opportunità più efficaci d’impiego delle armi sul campo di battaglia, la quantità di certi sistemi effettivamente forniti e le restrizioni poste al loro raggio d’azione, una prima considerazione è che le decisioni e non-decisioni dei governi «occidentali» hanno limitato la capacità difensiva dell’Ucraina e danneggiato la possibilità delle sue forze armate di mantenere l’iniziativa e di conseguire un vantaggio strategico tale da renderla più forte in un eventuale negoziato politico. Era inevitabile che le decisioni «occidentali» fossero scandite dai tempi della politica interna dei diversi Paesi più che da quelli più serrati della guerra, ma fino a un certo punto. Si è manifesta la deliberata volontà di non fornire tutto quel che sarebbe stato necessario al successo della resistenza ucraina. Il timore dei governi «occidentali» per l’escalation ha agevolato l’escalation reale della Russia.

Si può dunque dire che, rispetto al fine della liberazione dell’Ucraina - o agli obiettivi indicati da Biden di un’Ucraina democratica, indipendente, sovrana - la strategia politico-militare degli Stati Uniti e degli alleati europei è stata indecisa e incoerente nell’applicazione

Oppure si può dire che gli Stati Uniti e i Paesi della Nato non attribuiscono a questa guerra lo stesso valore che riveste per l’Ucraina, da cui consegue una diversa idea dell’intensità che il conflitto deve assumere, forse con la non casuale eccezione della Polonia e degli Stati baltici, Paesi che più di altri hanno sofferto la dominazione zarista e poi sovietica e più di altri hanno da temere dall’espansionismo di Putin. Cosa questo significhi è noto da tempo: arrivare a una specie di pareggio: resistere non fino alla vittoria ma fino al momento in cui entrambi i belligeranti si convincono di non poter vincere la guerra e quindi si decidono alla soluzione diplomatica. È In questa prospettiva che è logico non fornire all’Ucraina tutto ciò di cui avrebbe bisogno e che da un esercito NATO sarebbe considerato indispensabile. Quest’idea così «sportiva» ha già fatto naufragio: ha indebolito l’Ucraina, prolungato il conflitto e, fatto ancor più grave, ha dimostrato di non tener conto della peculiarità del «calcolo» di Putin. La guerra non è una partita di calcio in le regole sono ben definite e condivise, per cui è chiaro cosa sia un pareggio e questo è accettato da entrambe le squadre. Meno che mai può essere così «sportiva» una guerra in cui sia in gioco l’indipendenza statale e l’identità nazionale, come è per l’Ucraina: letteralmente un essere o non essere. 

Per la Russia, invece, non sono in discussione né l’indipendenza né l’identità; sono però in discussione i tentativi di Putin di costruire un’identità nazional-imperiale che legittimi il suo potere interno e il progetto di una sfera d’influenza esclusiva eurasiatica. Il problema fondamentale e irrisolvibile della strategia basata sul costo inflitto al regime di Putin è che il calcolo dei costi e dei benefici del dittatore russo non segue gli stessi criteri degli statisti «occidentali». È un fatto empiricamente dimostrato dalla spregiudicatezza con cui sono stati mandati al massacro tanti soldati russi (in effetti, in gran parte non-russi etnici), al punto da generare la rivolta del Gruppo Wagner (con l’arruolamento dei detenuti diventato autentica carne da macello), e poi nordcoreani; e anche dall’impennata della spesa militare della Federazione Russa, nonostante le sanzioni economiche, palesemente non abbastanza efficaci. Putin non è interessato a un successo parziale, come l’accettazione di fatto delle illegali annessioni degli oblast ucraini occupati dalla forza d’invasione. Per costringere il dittatore russo a negoziare seriamente gli Stati Uniti e gli alleati avrebbero dovuto sostenere la resistenza ucraina con la massima determinazione e coerenza, senza lesinare quantità e qualità di mezzi necessari a infliggere alle truppe d’invasione una nuova sconfitta, parziale ma netta come nella seconda metà del 2022, almeno dimostrando a Putin l’impossibilità di conseguire il suo obiettivo massimo. Tuttavia così non è stato e quindi Putin continua a puntare sulla sottomissione politica dell’intera Ucraina. Per quanto misera sia la prestazione operativa dell’esercito della sedicente superpotenza russa e per quanto, alla lunga, la guerra e le sanzioni possano avere un grave impatto economico e sociale (non fosse altro per la scelta fra fini alternativi di risorsa che già scarseggia: o manodopera industriale o carne da macello), Putin sa che per ora il tempo è dalla sua parte: si stima un anno ancora. Il tempo a disposizione di Putin diventa tanto più lungo quanto più gli aiuti internazionali all’Ucraina stagnano o si riducono. 


6. The art of the deal e l’Ucraina

Nell’articolo ho svolto soltanto una valutazione retrospettiva, che permette alcune osservazioni preliminari sul futuro. 

Il Presidente americano ha già messo in dubbio la continuità e l’importanza degli aiuti militari all’Ucraina; ha già concesso a Putin i territori ucraini occupati e il non-ingresso dell’Ucraina nella Nato. Ha impegnato la vita di milioni di ucraini sotto dominio russo ma ha scavalcato il governo dell’Ucraina; ha voluto trattare direttamente con Putin, come desiderato dal dittatore russo e implicitamente avallandone la narrazione circa l’irrilevanza dell’Ucraina, ma ha ignorato gli alleati europei, che per giunta impegnerà in una guerra commerciale. Il presunto maestro degli affari ha già concesso alla controparte ciò di cui aveva bisogno, ancor prima di iniziare una trattativa! Negli stessi Stati Uniti si parla di resa e tradimento. Nella storia della politica internazionale sono tanti gli errori e gli orrori, ma nel suo inizio la politica estera dell’amministrazione Trump è riuscita a realizzare ad una altezza mai vista una straordinaria combinazione di deficienza nella comprensione del disegno della controparte («con me non ci sarebbe stata la guerra»), di sconfinata presunzione («con me la guerra finirà in 24 ore») e di vero e proprio idiotismo negoziale. Per quanto vanti la sua art of the deal e alimenti l’immagine di macho, l’Ucraina è il caso più importante in cui Trump dimostrerà la propria miseria politica sulla scena mondiale.

Chiacchierando con Trump il Presidente russo guadagnerà altro tempo: così le forze d’invasione potranno continuare la devastazione dell’Ucraina ed estendere l’occupazione, mentre il morale della popolazione ucraina sarà depresso non solo dagli effetti della guerra di Putin ma anche dall’«affarismo» del Presidente americano. Il grande «affare» a cui pare puntare Trump è il congelamento del conflitto ma scoprirà che, nel migliore dei casi, questo può essere solo temporaneo. Scoprirà anche che l’unico trattato di pace che Putin può accettare è quello che lasci l’Ucraina priva di difese, senza serie garanzie internazionali di sicurezza, mutilata nel territorio, con milioni di suoi cittadini sottoposti a uno spietato regime poliziesco nei territori occupati, esposta all’influenza corruttrice dell’oligarchia economica e politica della Russia. 

Per cui Trump si troverà di fronte a un dilemma. Potrà essere complice di Putin nell’estorcere all’Ucraina una pace da banditi, di fronte alla quale la ritirata dall’Afghanistan è fatto geopolitico trascurabile (del resto era già stata decisa da lui). Una pseudopace del genere non sarebbe solo assai fragile e non solo aprirebbe la strada per altre iniziative aggressive di Putin: danneggerebbe enormemente l’autorevolezza politica e la credibilità e militare degli Stati Uniti sia nei confronti degli amici che dei nemici, col risultato di minare la fiducia e la disponibilità a collaborare degli alleati e di rendere più sicuri e forti avversari come la Corea del nord, l’Iran e la Cina. 

Oppure Trump dovrà tornare alla linea di Biden, ma in una situazione deteriorata, non solo sul campo di battaglia dell’Ucraina. In questa «partita» il pareggio non esiste. 


Note

1 Traduzione dall’inglese, controllata sul testo ucraino da: Address by the President to Ukrainians at the end of the first day of Russia’s attacks, 25 febbraio 2022, https://www.president.gov.ua/en/news/zvernennya-prezidenta-do-ukrayinciv-naprikinci-pershogo-dnya-73149; su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=m649vHHx00c&t=150s)

2 Michele Nobile, «Perché non è possibile la pace con Putin», 2 dicembre 2024, http://utopiarossa.blogspot.com.

3 Fred Halliday, The making of the Second Cold War, Verso, Londra 1989; Michele Nobile, Imperialismo. Il volto reale della globalizzazione, Massari editore, Bolsena 2006, pp. 170-80 e «La Russia come imperialismo aggressivo. Un confronto col Terzo Reich e l’unione Sovietica 1939-40», 14 gennaio 2024, http://utopiarossa.blogspot

4 Michele Nobile, Invasioni russe. Polonia 1939-Ucraina 2022, Massari editore, Bolsena 2022. 

5 Joseph R. Biden, “Remarks by President Biden on Russia’s unprovoked and unjustified attack on Ukraine” (speech, Washington, DC, 24 febbraio 2022), https://www.whitehouse.gov/briefingroom/speeches-remarks/2022/02/24/remarks-by-president-biden-on-russias-unprovoked-andunjustified-attack-on-ukraine/.)

6 Joseph Biden, «What America will and will not do in Ukraine», New York Times, 31 maggio 2022.  

7 Intervista con Piers Morgan, 4 febbraio 2025, https://www.youtube.com/watch?v=tCJRwlH948E; sintesi in Julia Struck, «“Putin is murderer and terrorist”: five takeaways from Zelensky’s interview with Morgan», Kyiv post, 5 febbraio 2025.   



ENGLISH


UNITED STATES, RUSSIA, AND UKRAINE: FROM BIDEN TO TRUMP 

by Michele Nobile  


From Appeasement to Incoherence to Negotiation Idiocy  


- 1. Zelens’kyj: "Honestly, they are all afraid"  

- 2. March 2014–February 2022: Appeasement Toward Russia  

- 3. Biden, February 2022: The Non-Strategy of "Devastating" Economic Sanctions  

- 4. Putin’s Escalation and the Alibi of "Red Lines"  

- 5. The United States and European Allies: An Incoherent Strategy  

- 6. The Art of the Deal and Ukraine  


1. Zelens’kyj: "Honestly, they are all afraid"  


On the afternoon of February 25, 2022, when not only in Moscow and Saint Petersburg but also in European capitals and Washington the occupation of Kyiv was considered imminent, and the Russians were spreading the false rumor that Zelens’kyj had fled abroad, the Ukrainian President appeared in front of the Presidential Palace alongside the Prime Minister and other high-ranking political figures to simply say: *my vsi tut*, we are all here. That same day, Zelens’kyj reiterated the concept in a longer message informing the Ukrainian people about the situation:  


*"According to our information, the enemy has marked me as target number one. My family is target number two. They want to destroy Ukraine politically [Вони хочуть знищити Україну політично] by eliminating the Head of State,"* he continued, *"but I am here, I have had dozens of international calls, my family and my children are in Ukraine."*  


And then:  

*"Today I asked the twenty-seven European leaders if Ukraine will join NATO. I asked directly. They are all afraid. They do not answer. (...) I have heard some things. First of all, they support us. And I am grateful to every state that concretely helps Ukraine, not just with words. But there is a second thing: we are left alone in defending our state. Who is ready to fight with us? Honestly, I see no one. Who is ready to guarantee Ukraine NATO membership? Honestly, they are all afraid [Чесно, всі бояться]."*  


*"We are not afraid of anything. We are not afraid to defend our state. We are not afraid of Russia. We are not afraid to talk to Russia. We are not afraid to say everything about the security guarantees for our state. We are not afraid to talk about neutral status. We are not in NATO now. But the main thing is: what security guarantees will we have? And specifically, which countries will provide them? We must talk about how to end this invasion. We must talk about a ceasefire."*  


I wanted to include this quotation not only because it captures the drama of the moment but because, reading it again nearly three years later, I was struck by the fact that from the very first day of the invasion, Zelens’kyj raised issues that have persisted throughout the war and are now decisive, as they will greatly influence the timing, manner, and content of the possible negotiations that are once again being discussed.  


First and foremost, from the outset, a crucial tactical objective of the Russian regime has been the elimination of Zelens’kyj, either physically or through political delegitimization. It is no coincidence that this point was strongly reiterated by Putin in December 2024, due to his positive expectations following Trump’s election. Putin perpetuates the lie that, according to the Ukrainian Constitution, Zelens’kyj’s presidency is illegal and therefore insists that negotiations can only take place after new presidential elections. It is ironic that such a demand comes from someone who has been in power for a quarter of a century, thanks in part to electoral fraud and the elimination of opponents such as Aleksei Naval’nyj, who died in prison, most likely assassinated. The demand is boundlessly hypocritical, especially coming from someone who, having sought the annexation of 18% of Ukrainian territory and its inhabitants—"Little Russians," according to Russian imperial ideology—makes it impossible for a new Ukrainian President to be elected by the entire national electorate.  


Putin, however, has strong reasons for wanting Zelens’kyj’s removal: in the eyes of the global public, he has perfectly embodied Ukraine’s national identity and resistance, to the extent that his communication style deserves study. Moreover, Putin may hope that an electoral campaign would provide opportunities for Russia to destabilize Ukraine’s internal politics. More importantly, Putin seeks to minimize Ukraine’s voice in any potential negotiations: from his perspective, the ideal scenario is to bypass Zelens’kyj entirely and negotiate Ukraine’s fate directly with Trump, just as colonial powers once negotiated the partition of territories and peoples—a telling example of what Russian-style multipolarity might mean. While the American President may be inclined to meet his Russian counterpart and friend, the attempt to decide Ukraine’s fate behind its back is unlikely to succeed.  


*"They want to destroy Ukraine politically."* That is, they want to deny its independence and even its identity as a nationality distinct from Russia. This has always been and remains the primary war objective of the Russian President, with other demands—such as neutrality and territorial annexations justified by Russian imperialist ideology—serving as mere instruments to this end.  


Contrary to what the gullible (or ignorant) believe, and to what pseudo-pacifists who rejoice at every Russian advance proclaim, Putin has never seriously intended to negotiate a peace that does not amount to Ukraine’s political surrender. The Russian-Ukrainian negotiations of March-April 2022 did not fail because "Western" intervention prevented a treaty from being concluded. Anyone who takes the trouble to read the drafts of the peace treaty discussed by Russian and Ukrainian representatives—three drafts, which I analyze in an upcoming article—will realize that Ukraine’s neutral status was never truly at stake, not least because its NATO membership was a unilateral aspiration long rejected by NATO and highly unlikely to materialize in the future. Zelens’kyj had immediately declared his willingness to abandon that aspiration—*"we are not afraid to talk about neutral status"*—and this was the first and uncontested point of all treaty drafts. The February-April 2022 negotiations failed because Russian demands went far beyond Ukraine’s neutral and non-aligned status, which, again, had already been agreed upon. Putin’s representatives set forth a series of political, military, and territorial conditions that, in effect, would have negated Ukraine’s political independence and territorial integrity.  


Putin never cared about, nor does he now care about, a neutral Ukraine akin to Austria or Switzerland, or as Finland and Sweden once were. The goal of the invasion has always been and remains the total assimilation of Ukraine into Russia’s sphere of influence and, in the long run, its forced Russification. Failing that, Putin aims to annex as much of it as possible and leave behind a devastated, weakened country, vulnerable to another "special operation." The fact that, after decades of neutrality, Finland and Sweden joined NATO should make clear how Russia’s neighbors perceive the scale and danger of the Russian dictator’s imperial ambitions.  


By annexing the Ukrainian oblasts of Donetsk, Luhansk, Kherson, and Zaporizhzhia to the Russian Federation—in addition to Crimea, which was invaded and annexed in 2014—Putin has voluntarily forfeited his strongest bargaining chip for negotiating a compromise solution with the Ukrainian government. Under no circumstances can Ukrainians recognize the annexation of nearly 20% of their territory and fellow citizens to the Russian Federation. Therefore, if the Russians do not withdraw from the occupied territories, a Korean-style armistice may be conceivable, but not a lasting peace. As for Putin’s alleged openness to a ceasefire and negotiations with the Ukrainian government, these are mere ploys in Russia’s war strategy, aimed solely at sowing doubt and confusion in the political landscape of the states supporting Ukraine’s resistance.  


Finally, and this is the key issue here, Zelens’kyj’s statement regarding friendly countries—*"honestly, they are all afraid"*—has never ceased to be true and represents the most serious strategic problem for Ukraine’s war effort and for the timing and content of any treaty to end the war. The echo of this statement can be heard in mid-January 2025, in Zelens’kyj’s interview with a Polish newspaper in which he thanked Biden for the aid provided but also stated: *"We asked for weapons and sanctions. But America said, ‘We will take action only if something happens.’ I believe this was a weak position."* He further added: *"I never fully understood, and I never will,"* why more Patriot air defense systems, necessary to protect the population, were not provided to Ukraine.


2. March 2014 – February 2022: Appeasement Toward Russia  


Let’s start with a retrospective consideration: Putin’s war against Ukraine’s independence did not begin in February 2022 but eight years earlier, with the invasion of Crimea on February 23, 2014, and its subsequent annexation; with the promotion of the insurgency of pro-Russian separatists in the Donetsk and Luhansk oblasts in March; and with the open military intervention to support the so-called secessionist people's republics during the summer of that year. It was only in July that the European Union decided to impose economic sanctions against Russia—and it took the downing of Malaysia Airlines Flight MH17 by the separatists, killing 298 people, most of whom were Dutch. It was not until September 5 that France canceled the delivery to Russia of the first of two Mistral-class amphibious assault helicopter carriers.  


In the following years, while diplomatic solutions were being attempted—the Minsk agreements of 2014 and 2015, during which 90% of the conflict’s casualties occurred—Ukrainian oblasts were gradually de facto annexed to the Russian Federation. The Minsk agreements were dead and decayed long before the full-scale invasion of 2022. Sponsored by the governments of France and Germany, these agreements were flawed from the outset as they did not acknowledge Russia’s actual role as a party in conflict with Ukraine but rather treated it as one of the mediating powers. They were a form of appeasement toward Putin, to the extent that the so-called "peace process" focused exclusively on the eastern oblasts while excluding Crimea, occupied by Russia but considered a lost cause.  


This policy of appeasement does not seem unrelated to economic interests and the pressures of major corporations such as Shell and ENI: otherwise, the Nord Stream 2 pipeline would not have been built after Russia’s aggression in 2014, nor would the Caspian Pipeline Consortium lines—exporting most of Kazakhstan’s oil but controlled by Russian companies with equity stakes also held by Chevron, Exxon, and ENI—have been quietly expanded.  


Had Putin’s imperial ambitions been understood, even without initiating the NATO integration process—which was impossible precisely due to the conflict with the separatists and Russia—and while still pursuing a diplomatic solution, it would have been possible to supply and modernize Ukraine’s armed forces as a deterrent against further Russian aggression. Instead, until 2017, Ukraine received only non-lethal military aid (personal protective equipment, communication systems, night vision devices), and even then, the United States provided only a few dozen launchers for anti-tank missiles— a politically symbolic but militarily insignificant decision, primarily linked to the deterioration of U.S.-Russia relations following Russian interference in the 2016 U.S. presidential elections.  


As for Ukraine’s defense, no deterrence policy against Russia was ever even attempted. This is because, since the dissolution of the USSR, despite tensions and disputes, for political and economic reasons, the United States, Germany, France, Italy, and others have always prioritized relations with Russia over Ukraine, particularly over strengthening its defensive capabilities—even though it had already been partially invaded—thus unintentionally creating conditions that facilitated the full-scale invasion of 2022.  


Since at least the partial invasion of Ukraine in 2014, there has often been talk of a new Cold War between the so-called West and Russia. However, the term "Cold War" is used superficially, as if it could adequately characterize the entire period from 1948 to the end of the Soviet Union. The periodization proposed by Fred Halliday seems more accurate: the first Cold War (1946–1953), followed by the long phase of oscillatory antagonism (1953–1969), characterized by negotiations and repeated attempts to reduce tensions between the two sides—each of which failed due to events partly beyond the control of the Soviet Union and the United States, which inevitably found themselves in opposition (negotiations on Germany, Austria, Korea, Vietnam; the first U.S.-Soviet summit in Geneva in 1955; the idea of peaceful coexistence; the 1963 agreement to suspend all nuclear tests), but also significant tensions (the Soviet invasion of Hungary in 1956, the Berlin crises in 1961, the Cuban Missile Crisis in 1962, U.S. involvement in Vietnam, the Warsaw Pact invasion of Czechoslovakia in 1968). The following decade was one of détente between the two powers, followed by the second Cold War (which effectively ended with the Reykjavik summit between Gorbachev and Reagan in October 1986).  


Until the 2022 invasion of Ukraine, relations between Russia, the United States, and their allies resembled the phase of oscillatory antagonism much more than the first or second Cold War. If we narrow the focus to Ukraine alone, the "Western" powers pursued a form of failed appeasement toward Putin's expansionist revisionism. However, historical appeasement—the one practiced by Chamberlain and Daladier (the latter following the former) toward Hitler—was not solely a policy of conciliation. It also had a deterrent component: for example, the French built the Maginot Line, the British strengthened their air force and made radio direction finding (early radar) operational—developments crucial to winning the Battle of Britain. However, deterrence was entirely subordinated to conciliation. Stalin, on the other hand, reached an agreement with Hitler to divide Poland and define spheres of influence.


3. Biden, February 2022: The Non-Strategy of "Devastating" Economic Sanctions 


Regarding Ukraine, until 2022, U.S. and allied policy lacked anything resembling deterrence or a strategy aimed at denying Russian imperialism the possibility of a military victory. However, at least so far, there has been no repeat of Munich 1938—no equivalent of the conference between Hitler, Mussolini, Chamberlain, and Daladier that led to the annexation of the Sudetenland to the Third Reich.  


With this clarified, what has been the strategy of the states that, since 2022, have supported Ukraine's resistance to the Russian invasion? Has it been adequate to the political-military situation and to achieving Ukraine’s defensive objectives? The answer is not just of retrospective value. It is a necessary prerequisite for identifying the obstacles on which the Trump administration’s policy might falter and the problems facing European countries.  


In formulating a strategy, it is crucial to correctly assess the political situation, existing military capabilities, and the war potential that can be mobilized in terms of manpower and economic resources—both one's own and those of the enemy and its allies. This ensures coordination between political objectives and the methods and means of military action aimed at breaking the adversary’s will. The "moral factor" is fundamental and often yields major surprises. For example, at the beginning of 2022, Russia’s strategy failed because its assessment of Ukraine’s political landscape and determination to resist aggression was entirely erroneous—both at the highest levels of government and state apparatus and in terms of popular will. This misjudgment of Ukraine's national and political identity led to errors in large-scale operational planning, resulting in tactical defeats (starting with the occupation of Hostomel airport), which in turn caused the offensive to stall and the first, decisive strategic objective to fail: the occupation of Kyiv and the political decapitation of Ukraine.  


This politically flawed assessment was not limited to the Russians; it was widely shared by NATO governments, to the extent that, in the early days of the invasion, they deemed it pointless to send weapons to Ukraine, assuming that at best, the resistance would devolve into a form of guerrilla warfare. Initially, the United States even vetoed the transfer of Soviet-era MiG-29s from Poland to Ukraine. This represents the first type of strategic error observed in the history of the conflict: the significant overestimation of Russian military capabilities and the underestimation of Ukrainian military capabilities. This miscalculation had consequences not only in Moscow but also in Washington and European capitals.  


In his February 24, 2022, press conference on Russia’s invasion of Ukraine, Biden stated:  


*"Although we have provided over $650 million in defensive assistance to Ukraine just this year, last year, let me say it again: our forces are not and will not be engaged in the conflict with Russia in Ukraine. Our forces are not going to Europe to fight in Ukraine, but to defend our NATO allies and reassure those allies."*  


He further emphasized:  


*"As I have made clear, the United States will defend every inch of NATO territory with the full force of American power,"*  


—territory that Ukraine was not, is not, and will not be part of in the near future.  


The President elaborated on NATO’s unity and strengthening, but as is evident from his responses to journalists, his position on Ukraine’s defense at that moment was limited to new, extensive, and "devastating" economic sanctions against the Russian regime, which were supposed to bring Putin to his senses. The emphasis of the speech was entirely on the firm stance that the United States and NATO would not go to war with Russia.  


An economic blockade can be an important and ultimately decisive component of a prolonged conflict, but only if it is comprehensive and enforced through military coercion. Economic sanctions alone, however, do not constitute a military strategy and have no immediate effect on the battlefield—especially in a conventional war between regular forces, where there is a significant disparity in military and industrial potential between the warring parties. If the Russian invasion plan had succeeded, after an initial period of outrage, firm condemnation, and "devastating" economic sanctions, the United States and its European allies would have returned to a policy of appeasement. This was precisely what Putin was counting on—that they would resign themselves to the fait accompli of the conquest of the rest of Ukraine, just as they had with Crimea.  


History, however, took a different course than Putin had intended and Western governments had feared. In early 2022, Ukraine thwarted Putin’s initial strategy with its own forces, relying almost entirely on Soviet-era weaponry from the 1980s and domestically produced equipment. More modern imported weapons—such as Javelin anti-tank systems and Turkish Bayraktar drones—were tactically important but not as decisive as artillery, missiles, armored vehicles, and aviation, which then constituted the backbone of Ukraine’s military. About 90% of the war’s casualties result from artillery fire (including rocket launchers).  


By preventing the Russian invasion force from securing a swift victory in a short war of maneuver, between February and the end of March 2022, the Ukrainian people had already achieved their first war objective: maintaining political independence in the territories liberated from the invader and, consequently, retaining the capacity to continue resisting Putin’s goal of reducing Ukraine to the status of a vassal state.  


Having failed to help Ukraine build a strong deterrent capability after the Russian aggression in 2014, Western governments, faced with the reality of the failure of what was supposed to be a blitzkrieg in 2022, were forced to go well beyond economic and diplomatic sanctions and to provide weapons to the Ukrainian resistance.  


Thus, Biden’s tone shifted:  


*"America’s goal is clear: We want to see a democratic, independent, sovereign, and prosperous Ukraine with the means to deter and defend itself against further aggression."*  


Here, the war objectives are stated, and by the time of this declaration, the flow of anti-tank weapons, air defense systems, self-propelled howitzers, and ammunition into Ukraine had long since begun. However, this observation does not fully settle the issue.  


Returning to the key questions: Given the timing, quantity, quality, and limitations on the use of the weapons supplied, has military aid been consistent with the lofty declarations of solidarity with Ukraine? And therefore, what is the overarching strategy that explains the sum total of decisions and non-decisions regarding military support?


4. Putin’s Escalation and the Alibi of His “Red Lines”


The moral factor is crucial, but so are the means to materialize it. This is why carefully considering the timing, quantity, and quality of military aid to Ukraine is important for an overall assessment of the strategic stance of the United States and its allies regarding the Russia-Ukraine war. As is well known, decisions and non-decisions regarding this aid have been strongly influenced by the political will to respect numerous “red lines” set by Russia, allegedly to prevent the escalation of the conflict. Here is a brief list of “red lines” that Russia formulated in various ways: bans, at the beginning of the aggression, on establishing a no-fly zone (a line that was not crossed) and on supplying Ukraine with weapons, ammunition, and MiG-29 aircraft (March 2022—these lines were crossed, but the first 54 of the 90 planned M777 155mm howitzers only began arriving in Ukraine in April 2022); bans on supplying missiles (June 2022), Soviet tanks (August 2022), weapons from Germany (September 2022)—“red lines” that were crossed, but the dates indicate delays in providing immediately necessary and available equipment; a ban on supplying long-range missiles (September 2022, crossed in May 2023); a ban on providing Patriot air defense systems (November 2022, crossed in April 2023); a ban on supplying “Western” tanks (January 2023—the first Leopard tanks arrived in February 2023, and in September, the first 31 U.S. M1A1 Abrams tanks); a ban on providing F-16 multirole fighters (May 2023, crossed in July 2024); a ban on attacking Russian territory with HIMARS and Storm Shadow missiles (June 2023, crossed in June 2024); a ban on attacking Russian troops with ATACMS systems (September 2023, crossed the following month, but in a shorter-range version) and on striking Russian territory with long-range missiles (September 2023, crossed in November 2024 but limited to border areas).


The facts show that Putin does not share the “delicate” concern of Western governments about escalation. On the contrary, the Russian dictator has escalated the conflict at his own chosen pace and method: invading a sovereign state, bombing its cities and civilian infrastructure, executing and torturing civilians in occupied Ukrainian territories, destroying towns and villages, blocking ports and Ukraine’s food exports to the rest of the world, causing massive environmental disasters, deporting children, and annexing territories. In all this, he has used his entire arsenal except for nuclear bombs, testing new weapons and missiles while boasting about their alleged “invincibility.”


Some might argue that escalation could climb all the way up from conventional warfare to the use of nuclear weapons, with potentially terrifying consequences. Indeed, the Russian regime periodically evokes the nuclear threat—an additional reason for humanitarian spirits and true pacifists to call for the withdrawal of Russian invasion troops from Ukrainian territory, the root cause of a conflict unlike any seen since World War II, and to take to the streets demanding nuclear disarmament. After all, nothing could encourage the proliferation of nuclear arsenals more than a state brandishing the Bomb during a war against a non-nuclear state. However, in this case, the fear of escalation to nuclear warfare has no foundation.


Nuclear escalation follows a specific logic: the fear that a surprise nuclear attack could neutralize one’s own nuclear deterrent. Alternatively, it could occur because an enemy’s conventional attack has so severely disrupted the military and political command and control network that a clear understanding of the situation is lost, leading to a desperate “now or never” decision to use nuclear weapons. Or, it could happen because the quality of the targets struck—whether with conventional or tactical nuclear munitions—poses a real threat to the regime’s existence.


However, all of this remains purely hypothetical, serving only to expose a Russian propaganda tactic. The core issue is that the risk of an incident or escalation exceeding the nuclear threshold is possible in a direct conflict between nuclear powers, which is not at all the case in the Russia-Ukraine war. Ukraine handed over the vast nuclear arsenal it possessed thirty years ago to Russia in exchange for a guarantee of its independence, formalized in the Budapest Memorandum—a decision understandably now considered a major mistake by Ukrainians. Zelensky recently revisited this point in an interview: “Then let’s do it: return our nuclear weapons, provide us with powerful missile systems, help us fund an army of a million people, and deploy your contingents in the regions of our country where we need maximum stability so that people can live in peace.”


As for the United States (and NATO), they have immediately and explicitly ruled out brinkmanship—the threat of escalation up to the nuclear threshold. This is evident from Biden’s insistence on emphasizing that the U.S. is not at war with Russia, a clear reassuring signal likely reinforced by private communications between the two powers.


Without a doubt, Putin and the Russian political and military leadership know that it is precisely by using weapons of mass destruction against Ukraine that their regime would face an unprecedented and extreme risk. Such an act would have immediate and enormous adverse diplomatic and economic consequences for Russia on the global stage: China and India would be forced to shift from a controlled but cooperative stance to strict neutrality; with the taboo broken by a Russian precedent, Iran would fear a massive attack—including a possible nuclear strike—against its atomic program. It must not be forgotten that, regardless of a response in kind—which Ukraine cannot and the United States does not intend to initiate—the military potential that NATO countries’ industries can mobilize is several orders of magnitude greater than Russia’s.


Ultimately, Putin has no real need to use nuclear weapons against Ukraine. Conventional weaponry is sufficient for his aims, especially due to the self-imposed limitations on military aid by Ukraine’s supporters. Russian moves regarding the doctrine of nuclear use and the deployment of nuclear weapons in Belarus are an integral part of psychological warfare aimed at the international public and a means to provide arguments for pseudo-pacifist parties that sympathize with Putin’s regime—the same parties that, from the very first day of war, opposed military aid to the Ukrainian resistance and, with or without escalation, share the aggressor’s goals.


The fear of escalation is merely a rationalization of something else.


5. The United States and European Allies: An Incoherent Strategy


The provision of military aid to Ukraine has been driven by the intent to impose an economic cost on the Russian regime—not only through sanctions but also by wearing down its military forces on the battlefield. This strategy does not aim at the total annihilation of the enemy’s forces (as in Israel’s case against Hamas) but at their attrition, forcing the adversary to conclude that the actual costs of the war outweigh its potential benefits or that its ultimate political goal is unattainable, making negotiation or withdrawal preferable. A conventional war between modern, well-armed, and politically determined states cannot be resolved quickly; even more so given the initial imbalance of forces, which can only be partially mitigated by external support. Therefore, the attrition of the invading forces was and remains the necessary strategy for Ukraine. 


The crucial questions are: How has this strategy been applied? To what extent have the decisions and non-decisions regarding military aid by the United States and other countries affected it? And how does Putin calculate the cost-benefit ratio?  


When it comes to winning a war rather than merely exerting political pressure, economic damage alone has no independent value—it is only a means to achieve battlefield results. For Ukraine, even though this war does not take its absolute form (the total destruction of the enemy force), nothing can replace the decision of arms. This implies that Ukrainian forces must be able to actively defend their lines, repelling Russian attacks, giving up territory when necessary but also counterattacking and striking deep into Russian logistical lines, command centers, military bases, and industrial facilities. This does not equate to a static war of position because Ukraine should also aim to achieve a military objective that significantly strengthens its negotiating position against Putin—not necessarily through a single operation. For example, isolating Crimea, which is of utmost strategic importance to Russia, by cutting the land bridge between the peninsula and occupied Ukrainian territory and rendering the Kerch Strait bridge connecting Crimea to Russia inoperable. 


It should be noted that this does not mean pushing the invading forces beyond Ukraine’s internationally recognized 1991 borders, reaffirmed in the Budapest Memorandum signed by the Russian Federation, but rather achieving what was certainly possible and remains conceivable—under certain conditions. For this to be possible and effective, economic damage to the Russian regime would have needed to be accompanied by the timely availability— not months or a year later—of sufficient personnel and weaponry to establish at least localized superiority along parts of the extensive front line. Since these conditions were lacking, as seen in the final months of 2024, Putin had the opportunity to further mobilize his military potential in terms of both manpower and equipment and to regain the offensive initiative. 


Western military aid was indispensable for liberating much of the territory initially seized by the invaders, and Russia’s so-called "red lines" were progressively crossed. However, considering the delays between the political decisions to surpass each "red line" and the actual military needs on the battlefield, along with the quantity of certain weapons systems supplied and the restrictions on their operational use, one conclusion is clear: the decisions and non-decisions of Western governments have limited Ukraine’s defensive capability and hindered its ability to maintain the initiative and secure a strategic advantage that would have strengthened its position in potential political negotiations. 


It was inevitable that Western decisions would be dictated more by the internal political timelines of individual countries than by the more pressing demands of war—but only to a certain extent. There was a deliberate unwillingness to provide everything necessary for the success of Ukraine’s resistance. The fear of escalation among Western governments ultimately facilitated Russia’s actual escalation. 


Thus, regarding the goal of Ukraine’s liberation—or Biden’s stated objectives of a democratic, independent, and sovereign Ukraine—the political-military strategy of the United States and European allies has been indecisive and inconsistent in its implementation. 


Alternatively, one might argue that the United States and NATO countries do not place the same strategic value on this war as Ukraine does, leading to different assessments of how intense the conflict should be—perhaps with the notable exception of Poland and the Baltic states, which have suffered under Tsarist and later Soviet rule and have more to fear from Putin’s expansionism. 


The implications of this approach have been clear for some time: to reach a kind of stalemate—not resisting until victory but until both warring parties are convinced they cannot win and are thus pushed toward a diplomatic solution. In this context, it makes sense not to provide Ukraine with everything it needs—supplies that any NATO army would consider indispensable. 


This "sporting" approach has already failed: it has weakened Ukraine, prolonged the conflict, and—more importantly—failed to account for the unique nature of Putin’s strategic calculations. War is not a football match with well-defined and mutually agreed-upon rules where a draw is clear and acceptable to both teams. Least of all can it be "sporting" when national independence and identity are at stake, as they are for Ukraine—a literal question of to be or not to be. 


For Russia, however, neither independence nor identity is at risk. What is at stake are Putin’s attempts to construct a national-imperial identity to legitimize his rule and establish an exclusive Eurasian sphere of influence. 


The fundamental and unresolved flaw in the strategy of imposing costs on Putin’s regime is that the Russian dictator does not calculate costs and benefits by the same criteria as Western leaders. This is empirically demonstrated by the reckless willingness to send countless Russian soldiers to their deaths (most of whom are not ethnically Russian), to the point of provoking the Wagner Group’s rebellion, the mass recruitment of prisoners as cannon fodder, and now North Korean fighters. It is also evident in Russia’s soaring military expenditures despite economic sanctions, which have proven insufficiently effective. 


Putin is not interested in a partial success, such as the de facto acceptance of the illegal annexation of occupied Ukrainian oblasts. To force the Russian dictator into serious negotiations, the United States and its allies should have supported Ukraine’s resistance with maximum determination and consistency, sparing no effort in providing the quantity and quality of means necessary to inflict another clear defeat on the invading forces—if not as decisive as in the second half of 2022, at least proving to Putin that achieving his ultimate goal is impossible. However, this has not been the case, which is why Putin continues to pursue the total political subjugation of Ukraine. 


Despite the Russian military’s dismal operational performance and the long-term economic and social impact of war and sanctions—exacerbated by the stark choice between using scarce resources for industrial labor or cannon fodder—Putin knows that, for now, time is on his side. Estimates suggest he has about another year. 


The time available to Putin grows longer the more international aid to Ukraine stagnates or decreases.  


6. The Art of the Deal and Ukraine  

In this article, I have only conducted a retrospective assessment, which allows for some preliminary observations about the future.  

The American President has already questioned the continuity and importance of military aid to Ukraine; he has already conceded to Putin the occupied Ukrainian territories and Ukraine’s non-admission to NATO. He has jeopardized the lives of millions of Ukrainians under Russian rule while bypassing the Ukrainian government; he has sought to negotiate directly with Putin, as the Russian dictator desired, implicitly endorsing his narrative about Ukraine’s irrelevance, while ignoring European allies—whom he will, moreover, engage in a trade war. The supposed master of deal-making has already granted the opposing side what it needed before even starting negotiations! Even within the United States, there is talk of surrender and betrayal.  

History is full of errors and horrors in international politics, but at its outset, the foreign policy of the Trump administration has reached an unprecedented height in combining an astonishing lack of understanding of the opponent's objectives ("With me, there would have been no war"), boundless arrogance ("With me, the war will end in 24 hours"), and sheer negotiating idiocy. Despite boasting about his *Art of the Deal* and cultivating his macho image, Ukraine is the most significant case in which Trump will reveal his political insignificance on the world stage.  

By chatting with Trump, the Russian President will gain even more time: the invading forces will be able to continue devastating Ukraine and expanding their occupation, while the morale of the Ukrainian population will be depressed not only by Putin’s war but also by the "business-oriented" approach of the American President. The great "deal" Trump seems to be aiming for is freezing the conflict, but he will soon discover that, at best, this can only be temporary. He will also realize that the only peace treaty Putin can accept is one that leaves Ukraine defenseless, without serious international security guarantees, territorially mutilated, with millions of its citizens subjected to a ruthless police regime in the occupied territories, and exposed to the corrupting influence of Russia's political and economic oligarchy.  

Thus, Trump will face a dilemma. He could become Putin’s accomplice in coercing Ukraine into a gangster-like peace deal, compared to which the withdrawal from Afghanistan—already decided by him—is a negligible geopolitical event. Such a pseudo-peace would not only be highly fragile but would also pave the way for further aggressive moves by Putin, severely damaging the political authority and military credibility of the United States, both among its friends and its enemies. The result would be diminished trust and willingness to cooperate from allies, while adversaries such as North Korea, Iran, and China would feel more secure and emboldened.  

Alternatively, Trump will have to return to Biden’s approach—but in a worsened situation, not just on Ukraine’s battlefield. In this “game,” a draw does not exist.  


Notes 

1. Translated from English, verified against the Ukrainian text: *Address by the President to Ukrainians at the end of the first day of Russia’s attacks*, February 25, 2022, [https://www.president.gov.ua/en/news/zvernennya-prezidenta-do-ukrayinciv-naprikinci-pershogo-dnya-73149](https://www.president.gov.ua/en/news/zvernennya-prezidenta-do-ukrayinciv-naprikinci-pershogo-dnya-73149); on YouTube: [https://www.youtube.com/watch?v=m649vHHx00c&t=150s](https://www.youtube.com/watch?v=m649vHHx00c&t=150s).  

2. Michele Nobile, *Perché non è possibile la pace con Putin*, December 2, 2024, [http://utopiarossa.blogspot.com](http://utopiarossa.blogspot.com).  

3. Fred Halliday, *The Making of the Second Cold War*, Verso, London 1989; Michele Nobile, *Imperialismo. Il volto reale della globalizzazione*, Massari editore, Bolsena 2006, pp. 170-80, and *La Russia come imperialismo aggressivo. Un confronto col Terzo Reich e l’Unione Sovietica 1939-40*, January 14, 2024, [http://utopiarossa.blogspot](http://utopiarossa.blogspot).  

4. Michele Nobile, *Invasioni russe. Polonia 1939-Ucraina 2022*, Massari editore, Bolsena 2022.  

5. Joseph R. Biden, *Remarks by President Biden on Russia’s unprovoked and unjustified attack on Ukraine* (speech, Washington, DC, February 24, 2022), [https://www.whitehouse.gov/briefingroom/speeches-remarks/2022/02/24/remarks-by-president-biden-on-russias-unprovoked-andunjustified-attack-on-ukraine/](https://www.whitehouse.gov/briefingroom/speeches-remarks/2022/02/24/remarks-by-president-biden-on-russias-unprovoked-andunjustified-attack-on-ukraine/).  

6. Joseph Biden, *What America Will and Will Not Do in Ukraine*, *New York Times*, May 31, 2022.  

7. Interview with Piers Morgan, February 4, 2025, [https://www.youtube.com/watch?v=tCJRwlH948E](https://www.youtube.com/watch?v=tCJRwlH948E); summary in Julia Struck, *“Putin is murderer and terrorist”: five takeaways from Zelensky’s interview with Morgan*, *Kyiv Post*, February 5, 2025.



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RED UTOPIA ROJA – Principles / Principios / Princìpi / Principes / Princípios

a) The end does not justify the means, but the means which we use must reflect the essence of the end.

b) Support for the struggle of all peoples against imperialism and/or for their self determination, independently of their political leaderships.

c) For the autonomy and total independence from the political projects of capitalism.

d) The unity of the workers of the world - intellectual and physical workers, without ideological discrimination of any kind (apart from the basics of anti-capitalism, anti-imperialism and of socialism).

e) Fight against political bureaucracies, for direct and councils democracy.

f) Save all life on the Planet, save humanity.

g) For a Red Utopist, cultural work and artistic creation in particular, represent the noblest revolutionary attempt to fight against fear and death. Each creation is an act of love for life, and at the same time a proposal for humanization.

* * *

a) El fin no justifica los medios, y en los medios que empleamos debe estar reflejada la esencia del fin.

b) Apoyo a las luchas de todos los pueblos contra el imperialismo y/o por su autodeterminación, independientemente de sus direcciones políticas.

c) Por la autonomía y la independencia total respecto a los proyectos políticos del capitalismo.

d) Unidad del mundo del trabajo intelectual y físico, sin discriminaciones ideológicas de ningún tipo, fuera de la identidad “anticapitalista, antiimperialista y por el socialismo”.

e) Lucha contra las burocracias políticas, por la democracia directa y consejista.

f) Salvar la vida sobre la Tierra, salvar a la humanidad.

g) Para un Utopista Rojo el trabajo cultural y la creación artística en particular son el más noble intento revolucionario de lucha contra los miedos y la muerte. Toda creación es un acto de amor a la vida, por lo mismo es una propuesta de humanización.

* * *

a) Il fine non giustifica i mezzi, ma nei mezzi che impieghiamo dev’essere riflessa l’essenza del fine.

b) Sostegno alle lotte di tutti i popoli contro l’imperialismo e/o per la loro autodeterminazione, indipendentemente dalle loro direzioni politiche.

c) Per l’autonomia e l’indipendenza totale dai progetti politici del capitalismo.

d) Unità del mondo del lavoro mentale e materiale, senza discriminazioni ideologiche di alcun tipo (a parte le «basi anticapitaliste, antimperialiste e per il socialismo».

e) Lotta contro le burocrazie politiche, per la democrazia diretta e consigliare.

f) Salvare la vita sulla Terra, salvare l’umanità.

g) Per un Utopista Rosso il lavoro culturale e la creazione artistica in particolare rappresentano il più nobile tentativo rivoluzionario per lottare contro le paure e la morte. Ogni creazione è un atto d’amore per la vita, e allo stesso tempo una proposta di umanizzazione.

* * *

a) La fin ne justifie pas les moyens, et dans les moyens que nous utilisons doit apparaître l'essence de la fin projetée.

b) Appui aux luttes de tous les peuples menées contre l'impérialisme et/ou pour leur autodétermination, indépendamment de leurs directions politiques.

c) Pour l'autonomie et la totale indépendance par rapport aux projets politiques du capitalisme.

d) Unité du monde du travail intellectuel et manuel, sans discriminations idéologiques d'aucun type, en dehors de l'identité "anticapitaliste, anti-impérialiste et pour le socialisme".

e) Lutte contre les bureaucraties politiques, et pour la démocratie directe et conseilliste.

f) Sauver la vie sur Terre, sauver l'Humanité.

g) Pour un Utopiste Rouge, le travail culturel, et plus particulièrement la création artistique, représentent la plus noble tentative révolutionnaire pour lutter contre la peur et contre la mort. Toute création est un acte d'amour pour la vie, et en même temps une proposition d'humanisation.

* * *

a) O fim não justifica os médios, e os médios utilizados devem reflectir a essência do fim.

b) Apoio às lutas de todos os povos contra o imperialismo e/ou pela auto-determinação, independentemente das direcções políticas deles.

c) Pela autonomia e a independência respeito total para com os projectos políticos do capitalismo.

d) Unidade do mundo do trabalho intelectual e físico, sem discriminações ideológicas de nenhum tipo, fora da identidade “anti-capitalista, anti-imperialista e pelo socialismo”.

e) Luta contra as burocracias políticas, pela democracia directa e dos conselhos.

f) Salvar a vida na Terra, salvar a humanidade.

g) Para um Utopista Vermelho o trabalho cultural e a criação artística em particular representam os mais nobres tentativos revolucionários por lutar contra os medos e a morte. Cada criação é um ato de amor para com a vida e, no mesmo tempo, uma proposta de humanização.