di Michele Nobile
«E se tutti gli altri accettavano la menzogna che il Partito imponeva - se tutti i documenti ripetevano la stessa narrazione -, allora la menzogna entrava nella storia e diventava verità. “Chi controlla il passato,” recitava lo slogan del Partito, “controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato.” Eppure il passato, benché per sua natura alterabile, non era mai stato alterato. Qualunque cosa fosse vera adesso era vera da sempre e per sempre. Era molto semplice. Era necessaria solo una infinita serie di vittorie sulla memoria. “Controllo della realtà,” lo chiamavano: in parlanuovo, “bipensare”».
George Orwell, 1984.
Putin e la retorica nazional-imperiale della Grande guerra patriottica 1941-5
Per giustificare l’aggressione al popolo d’Ucraina, Putin ha delineato un quadro storico e ideale di «scontro di civiltà» che in Russia ha radici profonde. Innanzitutto, ha utilizzato una sorta di presupposto «teologico» d’antica data, che fonda l’identità nazionalista-imperiale russa: l’idea che, come la santa Trinità, la nazionalità russa sarebbe una nella sua natura e trina nelle sue persone che, in questo caso, sarebbero quelle dei grandi-russi, dei piccoli-russi (gli ucraini) e dei russi bianchi (i bielorussi). Tuttavia, nella realtà storica questo ha sempre significato la subordinazione di piccoli-russi e russi bianchi alla signoria grande-russa e l’assimilazione alla cultura russa. Sicché si può dire che, in pratica, essendo il «Padre» grande-russo la superiore verità delle altre «persone» trinitarie, la concezione «cristologica» della nazionalità russa è più vicina all’eresia dell’arianesimo che al credo niceno-costantinopolitano.
La mistica idea «teologica» della nazionalità russa è un presupposto necessario ma tuttavia non sufficiente a legittimare la guerra all’Ucraina. A questo scopo Putin utilizza l’eredità ideologica e psicologica staliniana e post-staliniana circa la Grande guerra patriottica (in russo: Великая отечественная война) contro l’invasore durante la Seconda guerra mondiale, tedesco ancor prima che nazista.
Il richiamo alla Grande guerra patriottica è esplicito negli obiettivi di guerra dichiarati dal Presidente russo nel febbraio 2022. In effetti, il riferimento all’invasione subita nel 1941 costituisce la motivazione dell’aggressione su vasta scala (dopo quella iniziata nel 2014) all’Ucraina nel 2022: si tratta di un attacco preventivo per conseguire gli obiettivi della smilitarizzazione e della «denazificazione» dell’Ucraina, uno Stato in cui «i neonazisti di oggi che hanno preso il potere», gli eredi delle «bande dei nazionalisti ucraini, i complici di Hitler, che uccisero persone indifese durante la Grande Guerra Patriottica», costituiscono un pericolo esistenziale per la Russia.
Inoltre questi obiettivi bellici, che potremmo definire locali, sono da Putin posti in un contesto più ampio: innanzitutto di polemica contro «i principali Paesi della Nato [che], al fine di raggiungere i propri obiettivi, sostengono in tutto i nazionalisti estremisti e i neonazisti in Ucraina» e hanno voluto l’espansione della Nato in Europa orientale, addirittura colonizzando i «territori a noi adiacenti, nei nostri stessi territori storici», così minacciando «l’esistenza stessa del nostro Stato, la sua sovranità». La polemica si completa con l’affermazione che «i risultati della Seconda guerra mondiale, così come i sacrifici fatti dal nostro popolo sull’altare della vittoria sul nazismo, sono sacri»1. In questi passaggi Putin implicitamente rievoca anche l’accusa sovietica a Francia e Regno Unito di non aver voluto allearsi con l’Unione Sovietica nel 1939 e di aver invece inteso spingere Hitler ad attaccare l’URSS, argomento portato come giustificazione del Patto di non-aggressione fra Hitler-Stalin dell’agosto 1939, in effetti il detonatore dell’esplosione della Seconda guerra mondiale.
Al tempo dell’Unione Sovietica, la celebrazione della vittoria sull’invasore tedesco saldava la legittimazione interna del potere del Partito unico alla fondazione del dominio sovietico nell’Europa centrale ed orientale e, quindi, allo status di grande potenza mondiale dell’Unione Sovietica, consacrato dal seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Mentre la rivoluzione del 1917 arretrava gloriosamente nel passato remoto, nel dopoguerra crebbe progressivamente l’importanza della mitografia e della ritualità commemorativa della Grande guerra patriottica, con apogeo nei decenni tra il 1964 e il 1982, quando al potere era Leonid Brežnjev2. Specialmente quando declinata come lotta per l’esistenza nazionale e guerra in difesa della civiltà contro la barbarie, del socialismo sovietico come forma più alta di umanismo, era fondamento attuale ed efficace, in quanto più ampiamente vissuto e condivisibile, della legittimità interna ed internazionale del potere della burocrazia sovietica e dei partiti comunisti dei Paesi satelliti. La mitografia della Grande guerra patriottica era per l’imperialismo sovietico l’equivalente funzionale di quel che negli Stati Uniti del XIX secolo si diceva il «Destino manifesto» - la missione civilizzatrice dell’espansione continentale - e di quel che divenne la dottrina Monroe (il cui significato originario era tutt’altro3): la pretesa di una legittima sfera d’influenza nel Mediterraneo americano, tra il bacino caraibico e l’America centrale, considerato come il «cortile di casa» degli Stati Uniti. L’Ucraina è la parte più importante del «cortile di casa» dell’imperialismo russo.
Tuttavia, esiste una basilare differenza politico-ideologica tra l’imperialismo sovietico e il nuovo imperialismo russo, coerente con le differenti matrici sociali, in un caso basate sull’integrale statalizzazione dell’economia, nell’altro sul capitalismo oligarchico. La dottrina Brežnjev della sovranità limitata dei Paesi dell’Europa centrale-orientale (in realtà già operante prima di Brežnjev) presupponeva i risultati geopolitici della Seconda guerra mondiale ma fondava la pretesa d’intervento armato sovietico nei membri Paesi del Patto di Varsavia e del Comecon sulla difesa della «democrazia popolare» dalle (presunte) forze della controrivoluzione (per l’invasione dell’Ungheria nel 1956), o sul contrasto delle deviazioni dalle (presunte) «leggi generali dello sviluppo socialista» - cioè dalla riforma del sistema, sgradita a Mosca – che, così sostenevano, avrebbero portato a restaurare il capitalismo (per l’invasione della Cecoslovacchia nel 1968)4.
Dopo il crollo dello pseudosocialismo sovietico e della sua religione di Stato marxista-leninista, per giustificare l’interventismo negli affari interni dei nuovi Stati ex-sovietici la nuova Russia del capitalismo oligarchico non può più ricorrere ad argomenti che, in qualche modo, possano dirsi universalisti e orientati verso il futuro, come le suddette deviazioni dalle «leggi generali dello sviluppo socialista». Al contrario, le risorse da valorizzare sono quelle etnico-culturali evocative della passata grandezza statale, militare e geopolitica degli imperi russo e sovietico: del cosiddetto «mondo russo», coincidente con le aree della colonizzazione russa e della russofonia, a suo tempo imposta ai popoli colonizzati; della pretesa speciale missione geopolitica della civiltà della Russia, a cavallo tra Europa ed Asia; della mistica «trinitaria» della nazionalità russa, che nega l’indipendenza delle nazionalità bielorussa e ucraina.
Emozioni, miti e riti della Grande guerra patriottica sono ancora oggi l’ancoramento più forte per definire un senso generale dell’esistenza individuale e di un’identità russa, tuttavia nella sua versione più nazionalista ed etnico-culturale, svuotata di contenuto sociale e universale, che nella tradizione sovietica era la dimostrazione della superiorità del socialismo e del leninismo, respinto da Putin come causa delle tendenze nazionaliste che portarono alla disgregazione dell’Unione Sovietica. Combinando la legittimazione dei «sacri risultati» geopolitici della Grande guerra patriottica mediante il sangue versato nella guerra contro l’invasore (nazista ma anche germanico e «occidentale») con la mistica «trinitaria» della nazionalità, il risultato è un pasticcio ideologico tra simbologia militarista sovietica e qualcosa che ricorda il motto nazista Blut und Boden. E, benché durante la Seconda guerra mondiale gli ucraini abbiano versato più sangue (das Blut) dei russi, è un pasticcio che si presta alla giustificazione della riconquista delle presunte «terre ancestrali» (der Boden) della Russiae che può riscuotere consenso tanto tra i nostalgici dello zarismo e tra i fascistoidi quanto tra gli antiamericanisti nostalgici dell’Unione Sovietica di Stalin e Brežnjev.
Fanatici e imbecilli a parte, il fatto veramente importante è che la Grande guerra patriottica e i suoi «sacri risultati» sono ora il fondamento ideologico del tentativo di ricostruire una identità nazionale russa di tipo imperiale, di un «centrismo conservatore»5 di massa che si è fatto progressivamente più ambizioso e aggressivo, ideologicamente reazionario e politicamente repressivo, il campo ideologico in cui si fondono politica interna e internazionale, legittimazione interna del potere dell’odierna oligarchia statale ed economica russa e interessi espansionistici dell’imperialismo russo.
Il modo in cui Putin ha formulato i suoi obiettivi di guerra non è mera retorica. Va preso molto sul serio perché ha conseguenze molto concrete per la condotta della guerra, per definire le condizioni della pace dal punto di vista russo, per la politica interna della Federazione Russa.