di Roberto Massari e Michele Nobile
Una cosa d’altri tempi: A scrive una lettera a B. B risponde facendo notare gli errori di A. A si rende conto che B ha ragione e passa sulle sue posizioni. Ma decide anche di rendere pubblico lo scambio di idee, visto che contiene ben due autocritiche (in realtà una e mezza). Ve lo immaginate se facessero o facessimo tutti così? (r.m.)
Caro Michele,
dopo la nostra chiacchierata telefonica riguardo all’incontro di Dubai, mi sono andato a documentare un po’ meglio sullo stato della produzione di energia elettrica da nucleare nel mondo.
Tale produzione cresce molto (ma non tanto come sarebbe necessario) e si amplia molto anche il numero dei paesi che in un modo o in un altro vi fanno ricorso. In https://it.wikipedia.org/wiki/Energia_nucleare_nel_mondo c’è una bella cartina a colori che chiarisce visivamente la situazione. A parte l’intera Africa e una fetta occidentale dell’America latina, quasi tutto il mondo sta usando o progettando di usare il nucleare. In nero sono invece raffigurate l’Italia, la Germania, l’Austria, la Danimarca e l’Irlanda che il nucleare lo hanno abbandonato per scelta politica e in qualche caso referendaria.
Inutile dire che prima o poi anche questi paesi dovranno tornare al nucleare per ovvie ragioni economiche, di concorrenza ecc. E nell’attesa che l’umanità trovi altre fonti non fossili produttrici di energia (a parte le rinnovabili già in uso), questa rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra.
Quindi contrariamente a posizioni del passato che ho condiviso con la ex estrema sinistra, io spero ormai da qualche tempo che la produzione nucleare cresca rapidamente, si estenga anche ai Paesi poveri, e ovviamente abbia caratteristiche sempre più sicure in modo che non si ripetano i tre disastri (quello degli Usa 1979, dell’Ucraina sovietica 1986 e del Giappone 2011). Per il futuro si parla di fusione invece che di fissione, ma purtroppo non ho la competenza scientifica per capire veramente di cosa si tratti, ma capisco abbastanza che gli impianti di nuova generazione offrono garanzie di sicurezza sempre maggiori.
A fronte della grande diffusione di centrali nucleari funzionanti da decenni nel mondo (Usa, Francia, Russia, Cina ecc.) direi che il bilancio del passato (quei tre soli disastri) è tutto sommato accettabile visto che le previsioni per il 2050 sono che circa 21 milioni di persone dovranno morire in conseguenza del cambio climatico. Quante esplosioni delle centrali nucleari previste a Dubai per il 2050 (dove si è parlato di triplicare la produzione) equivalgono in vittime a questi 21 milioni?
Domanda scema.
Ma se nessuna delle centinaia di centrali in funzione o previste dovesse subire disastri?
Domanda un po’ meno scema, anche perché si combina col mio inguaribile ottimismo nei confronti del progresso scientifico. E qui tu ed io possiamo risparmiarci tutte le fesserie scritte nel passato, non da noi ma da altri, sulla presunta scienza «borghese» distinta da quella «proletaria»: pazzie marxologiche che qualcuno non mancherà di ripetere.
Il fatto che in misura crescente ci si libererà dalla dipendenza petrolifera - quindi dal ricatto di paesi megaproduttori come la Russia e alcuni Paesi arabi (Venezuela a parte perché politicamente non tocca l'Italia) - avrà delle forti conseguenze politiche, comprese quelle cui accennavi tu.
Ed è qui che la mia mente si è imbarcata in un altro tipo di ragionamento che mi fa piacere comunicare a te e, per ora, a pochissimi altri.
Ed ecco l’altro ragionamento.
Noi della ex estrema sinistra italiana le battaglie le abbiamo perse praticamente tutte. Ciò non ha mai avuto una grande importanza perché la società dello spettacolo esige solo che l’estrema sinistra conduca le battaglie, ma che le vinca o le perda le è indifferente. E del resto le carriere politiche degli esponenti della ex estrema sinistra si sono costruite tutte sulle battaglie condotte a perdere, e mai su delle vittorie. Qualcuno ci prova ancora.
Ma è vero che le abbiamo perse proprio tutte?
No. La nuova generazione contestatrice e antisistemica nacque proprio con una vittoria, la prima e l’ultima veramente sua: abolimmo nel 1968 la legge 2314 del ministro della Pubblica istruzione Luigi Gui. Quella fu l’unica vittoria «nostra», fatta cioè dall’estrema sinistra (all’epoca non ancora corrotta e veramente di massa). I risultati di quella vittoria, però, non si videro mai e la scuola è diventata il mercimonio «aziendalistico» che sappiamo: simbolicamente vincemmo, ma materialmente perdemmo anche nel nostro mondo specifico, cioè la scuola e l’università.
In tempi più recenti abbiamo vinto il referendum sull’acqua (non da soli), ma la cosa non ha cambiato veramente nulla. La «vendita» privata dell’acqua continua ad essere quasi come prima. Ed io, forte di quel referendum vinto, dopo aver rifiutato di pagare la ditta Talete per ben 11 anni, alla fine mi sono dovuto arrendere quando mi hanno tagliato l’acqua, e ho dovuto pagare tutti gli arretrati (ma senza interessi e quindi un po’ ci ho anche guadagnato…)
La terza vittoria che mi viene in mente è quella del movimento contro la centrale nucleare di Montalto di Castro che è poi confluita nella vittoria al referendum del 1987 per la fine dell’energia nucleare in Italia.
Ebbene, delle tre «nostre» vittorie, questa è stata l’unica effettiva, reale. Di centrali nucleare non se ne sono più costruite e si sono spente quelle in funzione.
Perché solo questa vittoria è stata risparmiata dall’avversario? E poi, concretamente, chi era l’avversario?
Queste non sono domande sceme, perché prima o poi (spero prima che poi) in Italia si porrà nuovamente il bisogno di tornare al nucleare, come del resto fanno allegramente e da decenni nostri vicini importanti (come la Francia) e meno importanti (come la Slovenia; la Svizzera non ho capito bene come si stia muovendo). Sorgerà quindi un possente movimento di massa intenzionato a impedire che ciò accada, diretto da persone che sapranno benissimo di dover perdere, ma comunque faranno la loro carriera: gli Ermete Realacci e i Chicco Testa del futuro.
Probabilmente ci sarà una saldatura con gli eredi degli attuali sostenitori del traffico degli esseri umani, della distruzione di Israele e della sconfitta dell’Ucraina, oltre ai vari no Vax, no Tav, no Ponte, no Mose (a quando «no Tax»?), no a questo e no a quell’altro. Probabilmente perderanno, ma a me farebbe piacere sapere perché è stata rispettata la precedente vittoria.
Il no al nucleare ci ha rafforzati nella nostra dipendenza dalla Russia e dai Paesi arabi. C’era forse lo zampino di qualcuno di questi dietro quella vittoria? Me lo chiedo, consapevole di peccare di dietrologia e complottismo. Ma i conti non mi tornano.
La domanda non è scema perché c’è stato il grande precedente di Enrico Mattei, fondatore e capo dell’Eni, ucciso a ottobre 1962 proprio perché stava cercando di rendere l'Italia indipendente dal controllo petrolifero delle Sette Sorelle. Delle quali, all’epoca, la Russia non faceva parte.
Insomma, per strani meandri della mente, la mia riflessione sull’incontro di Dubai mi ha portato a ripensare sulla natura di questa vittoria contro il nucleare, la «nostra» unica vera vittoria (movimentista dapprima, referendaria poi) che la ex sinistra ha nel proprio paniere.
Quando questa decisione - che ormai considero retrograda e dannosa per l’ambiente - dovrà essere rivista, sorgeranno forze oscure intenzionate a difenderla, strumentalizzando i prevedibili movimenti locali. E avranno buon gioco perché sulle prime nessuna città italiana vorrà avere una centrale nucleare nelle proprie vicinanze, nell’ingenua convinzione che se esplodessero le centrali francesi o slovene (e nel futuro forse nuovamente svizzere) la loro città non sarebbe raggiunta dalla nube radioattiva.
Shalom
Roberto
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Caro Roberto,
pensavo anch’io da tempo all’eventuale ricorso all’energia nucleare come misura per affrontare la crisi climatica globale in corso. Il motivo, giusto per indicare approssimativamente il tempo a disposizione, è che stando a una stima del 2022 ci restano solo nove anni e un ammontare massimo di emissioni di 380 miliardi di tonnellate di CO2 per avere un 50% di probabilità di evitare che il pianeta raggiunga la temperatura di 1,5°C. I tempi sono dunque strettissimi, ma sventuratamente esistono ottimi motivi per ritenere che saranno superati.
Quando giustamente protestavamo contro il nucleare civile - oltre che militare - e la costruzione di nuove centrali, non esisteva ancora la conoscenza scientifica del problema del riscaldamento globale. Anzi, ricordo che si parlava della possibilità del raffreddamento globale del pianeta. Il contesto è quindi completamente diverso da quello degli anni ’70; perfino ai tempi del referendum italiano che portò alla chiusura delle centrali, era il 1987, la questione non aveva ancora la rilevanza che avrebbe avuto di lì a pochi anni. Allora il problema era la sicurezza e il dramma di Čornobyl.
In questo nuovo contesto occorre considerare tutti i modi possibili per ridurre tutte le emissioni di gas serra causate dall’attività umana - in particolare di CO2 - e tra questi anche l’utilizzo della produzione d’energia elettrica in impianti nucleari. Insomma, il nucleare civile non si deve più considerare un tabù. Su questo concordiamo.
Tuttavia, io intendo l’utilizzo dell’energia nucleare come misura parziale e temporanea in vista di una ristrutturazione complessiva della società che sia ecologicamente compatibile. Qui la parola decisiva è «parziale», a cui potrei anche premettere un «assai». Questa è una posizione diversa da quella che hai espresso nella lettera, circa il fatto che l’energia nucleare «rimane la principale misura che può rallentare significativamente il riscaldamento della terra». Non è così, questo entusiasmo è eccessivo; il nucleare è al più una delle opzioni da considerare insieme ad altre. Si può cambiare idea a fronte del fatto nuovo del riscaldamento globale, considerare l’opportunità del ricorso anche al nucleare, rompere un tabù – un tempo legittimo – ma è altro dal dire che la via principale sia il nucleare.
Non dico questo per via dei problemi di sicurezza già noti, che pure non sono poca cosa: sicurezza degli impianti; rischio di proliferazione delle armi nucleari; rischio che impianti nucleari siano attaccati durante una guerra; rischio che terroristi si impossessino di materiale nucleare; difficilissimo problema dello smaltimento delle scorie nucleari in siti sicuri per centinaia di migliaia di anni.
Sorvolo su cambiamenti socio-economici e mi riferisco proprio alla questione specifica della riduzione delle emissioni di gas serra, a quanto il mezzo – nucleare - sia adeguato al fine, l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale.
Innanzitutto, bisogna dire che l’impiego del nucleare dovrebbe essere simultaneamente sostitutivo delle fonti d’energia fossile nel quadro della riduzione del consumo totale di energia. Il rischio, altrimenti, è che si avvalori la logica di chi vuole ridurre il consumo delle fonti fossili solo dopo il rilancio del nucleare.
In secondo luogo, occorre considerare i tempi di costruzione delle stesse centrali nucleari. Nelle condizioni tecnico-scientifiche e finanziarie migliori, che sono quelle dei Paesi a capitalismo avanzato e della Cina e della Russia, che hanno già esperienza e conoscenze nel settore, la costruzione di una centrale nucleare richiede minimo almeno cinque anni, più spesso sette-otto e anche più. Ciò senza contare tempi di progettazione e approvazione dei progetti. Considerando anche questi ultimi, l’eventuale effetto positivo dell’ampia diffusione della produzione d’elettricità mediante impianti nucleari deve collocarsi verso i vent’anni. Troppo. Dalla progettazione all’operatività, i tempi di grossi impianti solari o a vento sono fra i due e i cinque anni.
In terzo luogo, in quale rapporto si trovano ora le fonti di energia rinnovabili e la produzione nucleare? E in che misura dovrebbe aumentare la produzione di energia elettrica nucleare come alternativa alle fonti fossili? Nucleare ed energie rinnovabili sono in questo momento allo stesso livello: il 10% e qualcosa della produzione di elettricità. Una frazione maggiore va alla produzione idroelettrica e il resto - 60% ca. - a fonti fossili. In realtà non c’è una tendenza generale alla crescita della fonte nucleare: è in Cina che si trova almeno la metà delle nuove centrali costruite nell’ultimo ventennio. Dunque, difficile immaginare che il nucleare possa coprire in tempo utile una parte significativa di quel 60% e passa delle fonti fossili.
In quarto luogo, occorre considerare il costo relativo di produzione delle diverse fonti. Nel corso dei decenni, il costo delle rinnovabili è caduto tantissimo, il costo del nucleare è aumentato: per unità di produzione d’energia è almeno da tre a cinque volte quello delle fonti rinnovabili. Il nucleare è una opzione da Paesi industrializzati e ricchi, in grado di sovvenzionare la costruzione di centrali, certo non per quelli sottosviluppati.
In quinto luogo, il problema non è solo e forse neanche principalmente quello della trasformazione della produzione d’energia ma dell’utilizzo della stessa. Alla produzione di elettricità va circa un quarto delle fonti di energia primaria (delle fonti non ancora trasformate in energia elettrica), il resto va ai trasporti, usi industriali e domestici. È in questi ultimi campi che si potrebbe agire più rapidamente per ridurre il consumo totale di energia, che resta l’obiettivo fondamentale. Pensa ai trasporti pubblici, alla riduzione dei trasporti aerei (che scandalosamente possono costare meno del treno), ai pannelli solari per abitazioni, all’isolamento termico ecc.
In sesto luogo, mi risulta che le emissioni totali di CO2 dell’intera filiera di un impianto nucleare, dall’estrazione di uranio alla sistemazione del combustibile nucleare esaurito, siano di poco inferiori a quelle di una centrale a gas. Queste emissioni sono molto superiori a quelle risultanti da fonti rinnovabili. Inoltre, tutti gli impianti con combustibili fossili e a uranio producono calore (e vapore acqueo); quelli solari lo sottraggono.
In sintesi: volendo progettare la transizione a una società sostenibile il nucleare non deve essere escluso a priori, ma la sua utilità è da verificare in base a situazioni concrete, alle alternative disponibili, ai costi-opportunità. In nessun caso questo deve essere inteso come via principale o alternativa a fonti di energia rinnovabili, alla riduzione del trasporto su gomma e aereo, alla riduzione dei consumi energetici in tutti i modi possibili. Le rinnovabili possono conseguire effetti più rapidamente e a minor costo del nucleare, e senza gli altri problemi associati all’uranio e al plutonio, viceversa con effetti di riduzione delle esternalità negative. Non esiste una soluzione tecnica, ma una molteplicità di soluzioni in tanti campi.
Il che rimanda a cambiamenti nella produzione e nel consumo, uso del suolo e deforestazione che in definitiva sono l’obiettivo da conseguire.
Michele