La lettera e l'articolo di
Miguel mi hanno dato una sensazione complessa: c'è, soprattutto nell'articolo,
tutta la tragicità del presente espressa con un'angolazione molto particolare,
direi umanista. Sembrerebbe talmente tragico e ineludibile questo presente da
rendere impensabile un qualsiasi futuro appena vivibile per i non-Privanti, cioè
per tutti noi "comuni mortali". Pure, soprattutto nella lettera, aleggia una
sorta di curiosa speranza, che non so se possa essere seriamente riconducibile
al ricominciare dalle Comunità, come dice Miguel. Forse c'è, sospesa sul nuovo
nulla che si presenta, la speranza che davvero l'utopia positiva dell'amore -
inteso come leva potenziale a positivo dei cambiamenti interiori ed esteriori
che soli potrebbero far risalire la china - possa essere il tramite verso un
futuro ancora vivibile, soprattutto per la parte sempre più sofferente della
nostra umanità, individuale e collettiva. In conclusione, una lettura che può
suscitare molte riflessioni, su piani diversi.
Antonella Marazzi
Caro Roberto,
se ha senso quello che ti scrivo adesso, pubblica
pure...
Sei tra le molte persone verso cui mi sento in colpa in questo
periodo. Intanto, provo verso di te una colpa di assenza, di silenzio, di
mancate risposte, pur nella profonda affinità delle diverse vie che abbiamo
percorso nella vita.
E' facile parlare a nome di Dio, della Classe Operaia o
della Nazione, ma alla fine, possiamo parlare, ciascuno di noi, solo a nome
nostro... e quindi qui vedrai tante volte il pronome, "io", che spero sia più un
io di modestia che un io di vanto.
Vedi, ho fatto un po' di
conti, ho messo insieme:
- il fatto che non sono più un ragazzino
- il
fatto che non sono un miliardario
- il fatto che non sono un genio
e ho
deciso di concentrare quel pochissimo che mi rimane, dopo un bilancio del
genere, in questo piccolo mondo dove, per quanto ci sia concesso, conosco tutti
e ci resto male per i loro destini; e sognerei che insieme potessimo vivere in
modo più bello - non dico "migliore", che è termine ambiguo e inflazionato.
Il bello non dipende dalle fantasie politiche, ma dalla bellezza potenziale
di ognuna di queste persone. Il bello non sta quindi nella nostra mente, ma
nell'essere di tutti noi, umani, gatti, boschi o monumenti.Non c'è sogno
che non si accompagni a un viso reale e anche a una debolezza reale: nessun
popolo, solo questa e quella e quell'altra faccia, tutte un po' buffe e
assurde e transitorie. Dal simpatico presidente di quei brutti ceffi che sono i
nostri Bianchi, a D. che è scappata bambina dal Kosovo quando sugli zingari ci
sparavano, e che vive in una stanza con dieci parenti...
Questo mondo
finisce, più o meno, all'angolo di Piazza Santo Spirito da una parte, e in fondo
al Pignone dall'altra, perché a piedi non ce la faccio tutti i giorni a
percorrere più di tanto.
Dio solo sa quanto questo piccolo mondo faccia
parte di un altro, immensamente più vasto, le cui sorti vengono decise nei
grattacieli di Chissadove, e quindi è indispensabile capire il complesso
dell'immensa ruspa che ci sta schiacciando tutti... però non riesco più a
mettere un punto a una frase, senza prima essermi chiesto, "e quindi qui che
facciamo, a che ora e coinvolgendo esattamente chi?" Che teorizzare sul
daffarsi è facile, ma a volte bisogna ragionare un po' anche come gli
imprenditori, che saranno dei grandissimi stronzi, ma il mondo che conosciamo lo
hanno fatto.Noi siamo quello che siamo, grazie alle mille esperienze
vissute, o meglio alle poche esperienze capite.
E quindi non mi
voglio mettere alla gogna più di tanto, però ho alle spalle un eccesso enorme,
una sbornia, di certezze su cose di cui sapevo in realtà poco.
Oggi ero a
casa di Vanessa, che passa la notte a lavorare in una pizzeria sull'altra sponda
dell'Arno, vive in uno di quei fondi bui senza finestre, che si illuminano solo
di elettricità, di cui ce ne sono tante poco dopo l'ultimo Tabernacolo prima
della porta di San Frediano.
E ascolto e scopro che viene dalla Costa Rica,
che è sociologa e sa scolpire il marmo... e allora l'utopia è
semplicemente questo, di trovare un modo perché Vanessa possa fare qualcosa che
sia bello per lei e per noi.
Utopia è un guardare persone, luoghi, alberi,
animali, in potenza.
O forse, l'utopia ci potrà essere solo nel giorno
in cui le nostre menti usciranno dall'ossessione con tutto ciò che
neghiamo, per passare a un senso intenso di tutto ciò che
amiamo.
Miguel
TEMPI NUOVI
L’altro giorno,
incrocio un corteo di lavoratori della Pirelli di Figline Valdarno.
Dal palco, un sindacalista spiega che
la Pirelli sta per vendere la fabbrica alla ditta belga Bekaert. Ora, continua,
in Italia le tasse sono più alte e la manodopera costa di più che altrove. E
quindi la Bekaert intende acquistare la fabbrica, meraviglie del libero mercato, al semplice scopo di chiuderla. “Ma noi non lo permetteremo!“, conclude.
Verrebbe da chiedersi, esattamente
come faranno a impedirglielo? Scioperando contro il nuovo datore di
lavoro, che non aspetta altro? Camminando avanti e indietro con le bandiere per
le strade di Firenze? Combattendo per abolire le tasse e contemporaneamente
ridurre i propri stipendi fino a rendere l’Italia capitalisticamente appetibile?
Noi non possiamo mai essere certi del
futuro, ma a occhio e croce, il destino degli operai di Figline Valdarno direi
che è segnato. Sappiamo anche che ben pochi di loro si potranno riciclare come
creativi nel settore dell’alta moda o come informatici in grado di competere
con Silicon Valley o Bangalore.
Questa storia è un dettaglio, ma va
inquadrata in un contesto di forze convergenti, che è quasi inutile elencare.
Cose diversissime, in apparenza
- il tramonto del mondo del libro che
cambia l’intera struttura dell’intelletto umano, la sostituzione della politica
con le decisioni delle grandi istituzioni finanziarie, l’automazione che rende
superflua la maggioranza della specie umana, la generale interconnessione in un
unico flusso virtuale che comprende ricchezze, controllo e immaginario; e poi
la fine per biologia di sintesi di ciò che finora abbiamo chiamato
“essere umano”…
Sono tutte cose che conosciamo, ma
che restano in qualche modo alla periferia della nostra visione. Anche perché
nessun essere umano è lontanamente in grado di intuire come funzionino
realmente tutte queste forze, tutte in rapida accelerazione, e tutte
interagenti l’una con l’altra. Nascono facilmente confuse esagerazioni, della
cui natura spesso penosa approfittiamo per dirci, no, è
tutto in ordine, era solo un pazzo che alzava la voce!
Non abbiamo la minima idea di come
andrà a finire; ma sappiamo che in questo momento, enon nel
futuro, sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel sequente
modo:
Io studio, in buona parte per
imparare a fare un lavoro per qualcun altro.
Questo qualcun
altro ha bisogno di
me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro.
Prestando il mio lavoro, guadagno
abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia: tutte cose
che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga
durata.
E anche per pagare le tasse con cui
un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato –
mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i
miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici.
Se ragioniamo in termini di complesso
di vita, e non solo di questo o di quel particolare problema,
capiremo immediatamente quale sia il limite di tutte le soluzioni
contraddittorie che vengono proposte per “uscire
dalla crisi“:
abbandonare l’Euro, rafforzare
l’Europa; importare più manodopera, cacciare gli immigrati; tagliare sulla
spesa pubblica o fare i keynesiani per rilanciare l’economia; ridurre le tasse
o aumentarle; investire di più sulla scuola per tutti oppure
sulla formazione di esperti designer di orologi d’oro per ricchi cinesi;
combattere l’inquinamento o rafforzare l’industria automobilistica… tanto per
citare alcune delle tante idee disperate che si sentono in giro (tutte comunque
riassumibili nel concetto, “ecco ciò
che io vorrei che lo Stato facesse...”).
In realtà, se non c’è una soluzione, forse non
c’è nemmeno un problema: c’è un evento storico.
E l’evento storico è l’agonia
dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato.
Questo dato di fatto è talmente
enorme e pauroso, che – almeno in Europa e soprattutto in Italia – le persone
pensanti tendono a cercare rifugio in discorsi che hanno quasi sempre tre
caratteristiche: sono rivolti al passato, sono idealistici e sono paralleli,
tutti termini che adopero qui in un senso un po’ particolare.
Rivolti al passato, perché tutti i riferimenti, sia per
indicare ciò che va demonizzato, sia per indicare ciò che va esaltato, si
trovano in storie di cui abbiamo perso completamente il senso.
Che si tratti della cristianità, del nazismo, dello stato liberale e/o sociale
o del comunismo, ogni argomentare sul passato – che pure è un tema affascinante
– nasconde false piste su come agire nel presente.
Idealistici, perché si ritiene che basti
affermare un’idea, un
principio, un “valore” (termine tra i peggiori), che da una parte, fa sentire
migliore degli altri chi la sostiene; dall’altra sottintende il potere magico
delle idee di far sì che il mondo si adegui ai nostri pensieri. “Io sono favorevole, io condanno, io esigo, io credo…”
Un’espressione verbale che ha all’incirca la stessa efficacia del tifoso che il
giorno dopo, al bar, spiega come lui avrebbe vinto la partita.
Paralleli, perché i media ci presentano campi
di discussione molto ristretti e spesso del tutto irrilevanti, entro i
quali possiamo liberamente portare acqua infinita al mulino di discorsi
di cui ognuno è già convinto in partenza, e che vanno avanti come due rette
parallele che non si incontreranno mai.
Tipiche le discussioni accese, ad
esempio, a proposito di stupide battute pronunciate da politici impotenti; ma
anche tutto il dibattito sui “valori della famiglia” con annessi e connessi,
dove le due parti recitano il ruolo dei “valori vecchi contro i valori nuovi”.
Dalla fine di un complesso di vita,
deriva un elemento molto concreto: lo svuotamento dello Stato dal basso verso l’alto.
Poiché lo Stato è un costrutto della
fantasia umana (non diversamente dai colori che sulla cartina ne segnano gli
invisibili confini), mi permetto di parlare delle sue diverse declinazioni
tutte insieme.
In apparenza, lo Stato non solo
ancora esiste, ma alla testa assume
forme sempre più totalizzanti: andiamo sempre più verso la costruzione di un
unico massiccio dispositivo, cui si è scelto di dare il nome di “Europa”.[1]
Sotto questo unico dispositivo, altri
reggono più o meno bene.
Pensiamo, in Italia, al dispositivo
militare; oppure all’immenso sistema TAV, cioè il geniale meccanismo inventato
dopo Tangentopoli per permettere alla Fiat, alle grandi cooperative dette
“rosse” e alla mafia di continuare ad arricchirsi con i soldi pubblici.
Dove emerge invece in modo evidente
la dissoluzione dello Stato è in basso: ogni giorno, quando ci guardiamo
attorno, vediamo un altro pezzo che scompare. Che sia il consultorio di
quartiere venduto per fare velocemente quattrini, il vigile che non controlla
più, il custode o le saponette che mancano nella scuola, la ludoteca che perde
un operatore, l’autobus che non passa più…
Tra qualche mese, gli anziani che si
recavano all’ASL a due passi da qui dovranno prendere due autobus per recarsi
all’altro capo della città, perché il presidio chiude (il Comune dice che è
colpa della Regione, tiè).
Sono storie che tutti conosciamo,
avvengono lentamente, ciascuna da sola sembra evitabile, attribuibile
quindi a un errore o a una debolezza. Ma se un giorno riuscissimo a metterle
tutte insieme, vedremmo che se lo Stato negli ultimi anni si è ridotto in alto – poniamo, tanto per sparare qualche
cifra del tutto inventata – del 10%, in basso si
è ormai ridotto del 50%. E a quel punto capiremo che si tratta di storia, non di questo o quell’assessore.
In questo vuoto, si inseriscono due
attori, che possiamo chiamare molto superficialmente ilPrivante e
la Comunità Attiva.
Il Privante (meglio noto come “il
privato”, con un curioso contorcimento semantico) raramente sostituisce le
funzioni dello Stato, salvo in qualche caso come gli asili nido.
Di solito occupa gli spazi dello Stato per nuovi fini, come le
caserme in dismissione che le finanziarie stanno acquistando per fare grandi
alberghi qui a Firenze; o più semplicemente, come i marciapiedi che i
ristoratori riempiono sempre di più con i loro tavolini, approfittando anche
del fatto che la squadra dei vigili che la notte dovrebbe vegliare sulle loro
irregolarità è stata praticamente sciolta.
Infatti, anche in quel settore della
vita che amano chiamare “economia”, succede come con lo Stato: in alto ci sarà
pure un po’ di “crisi”, ma i soldi continuano a girare in quantità che superano
la possibilità di consumo degli stessi ricchi. E quindi non mancano i clienti
per i grandi alberghi, i ristoranti o le Ferrari. Casomai, nella stessa città,
sono i non ricchi la
cui sopravvivenza viene minacciata direttamente.
Il Privante, come dice il nome, priva:
esclude gli altri cioè da quelli che in passato erano in qualche maniera spazi
sociali.
Viceversa, ovunque in Italia emergono
quelle che possiamo chiamare le Comunità Attive, innumerevoli
associazioni e soprattutto comitati che nascono ogni giorno. E’ un termine oggettivo, senza giudizi politici o morali:
comprende tanto il gruppo di volontariato che va in un campo Rom, quanto gli
abitanti che si uniscono per chiedere la chiusura dello stesso campo.[2]
Mettere sullo stesso piano entrambe
le Comunità Attive – i cattocomunisti che alimentano i delinquenti zingari,
oppure i razzisti padani che vogliono cacciare chi è diverso – è un bel modo di risvegliare quei
discorsi paralleli di cui si parlava prima.
Eppure ci sono punti in comune tra le
due Comunità. Entrambe suppliscono alla scomparsa dello Stato – o perché
portano solidarietà o perché cercano maggiore sicurezza -, si organizzano da sé
e al di fuori delle istituzioni e lavorano in quello che viene chiamato con
disprezzo il “proprio orticello“.
Se guardiamo una simile realtà usando
solo il metodo del Discorso Parallelo, corriamo il rischio di buttare in
moralismo un fenomeno storico, e quindi di non coglierne la portata.
Se io dico, “si dovrebbero
impedire queste ronde padane”, o viceversa, “si dovrebbero
mandare via questi zingari ladri”, adopero in entrambi i casi un pronome
impersonale. Ora, i pronomi impersonali mascherano qualcosa che vogliamo
nascondere, innanzitutto a noi stessi. Per si, intendiamo probabilmente lo Stato, a meno
che non intendiamo il dio Zeus.
Ora potrebbe essere giusto che lo
Stato mandi la polizia per cacciare questi o quegli altri. Non c’è nulla di
male a chiedere allo Stato di fare qualcosa. Ma ragionando così, perdiamo di
vista il quadro generale: cioè che lo svuotamento dello Stato è inevitabile, ed
è inevitabile che quel vuoto venga riempito da altri attori.
Le Comunità in questi anni sono
diventati un elemento molto importante in Italia. Credo che ciò spieghi in
buona parte lo straordinario risultato ottenuto da Beppe Grillo alle
elezioni, una cosa che forse sfugge ai grandi media che trascurano le mille
realtà locali di questo paese.
Preciso subito di non aver votato per
Grillo e di non avere alcuna fiducia in lui.
Ma è un fatto che il successo di
Grillo, che non ha precedenti nella storia italiana, è stato costruito
totalmente al di fuori e contro i media, grazie a migliaia e
migliaia di singole persone, che quasi sempre riflettevano le confuse e varie esigenze dei comitati che ovunque combattevano per cause non
rappresentate dalle istituzioni, dalla lotta contro gli inceneritori a quella
contro il TAV.
Le Comunità, e le milioni di persone
che in tanti posti erano personalmente in contatto con loro, si sono sentite
talmente libere dal rispetto dovuto alle istituzioni e ai partiti da scegliere
qualcosa di totalmente innovativo nel panorama politico italiano. Insomma, il
successo di Grillo ci dà qualche misura dell’effetto che la crescita delle Comunità
ha avuto, e lo cito solo come indicatore statistico.
A questo punto, un riassunto di
quelli che ritengo siano dati di fatto, che dobbiamo tener presente ancora
prima di decidere cosa fare concretamente.
C’è una convergenza di forze travolgenti, che sta
cambiando in maniera irriconoscibile il mondo.
Questa convergenza sta già portando
alla crisi lenta ma irreversibile del triangolo Cittadino, Lavoro, Stato, e quindi alla
fine di tutto il complesso di vita in cui siamo cresciuti e che forma il nostro
modo di vedere le cose.
Proprio perché la crisi è
convergente, non possiamo sperare in una “soluzione”.
Si fa benissimo a resistere dove si
può – a chiedere un metro in meno di un tunnel in Val di Susa e un bidello in
più nella scuola elementare. Semplicemente, non illudiamoci che l’argine terrà.
Questa crisi implica in particolare
lo svuotamento, a partire dal basso, dello Stato.
Che viene lentamente sostituito da
due tipi di attori, il Privante e la Comunità Attiva.
Chiaramente, il Privante ha immensi
vantaggi. Non solo ha più soldi; soprattutto, i soldi permettono di
costruire rapporti contrattuali a lungo termine, molto più
solidi deirapporti affettivi su cui si fonda la Comunità. I
medievisti mi perdoneranno l’uso di un termine inappropriato, se dico che è più
facile che il futuro sia quindi “neofeudale” che comunitario.
Però, poiché le mie finanze mi
impediscono di far parte del Privante, mi interesso alla Comunità.
La Comunità rappresenta ciò che le persone più attive di un determinato luogo ritengono
importante e su cui sperano di poter concretamente incidere,
e quindi può avere mille aspetti contraddittori, anche se quello prevalente
sarà naturalmente la difesa contro il Privante.[4]
Fin qui ci sono quelli che considero
i fatti, o una parte degli infiniti fatti della vita. E’ evidente che ho tirato
via con l’accetta e semplificato oltremodo. E l’ho fatto focalizzando sempre
sul piccolo punto del pianeta in cui mi trovo e posso agire, che è facile fare
i santi con le corone di spine degli altri.
E’ legittimo avere in antipatia i
fatti, o sognare un ritorno al passato; ma è sicuramente anche inutile, e la
vita è breve.
Se questi sono – più o meno – i
fatti; e se indietro non si torna, ogni tentativo di cambiare i fatti o di
tornare indietro è destinato al fallimento. Non permette quindi scelta, e non
c’è dunque libertà.
Le cose cambiano se mi pongo un altro
tipo di domanda: in che modo posso fare qualcosa lì dove mi trovo, oggi, con le
persone e le storie che ci sono realmente?
Qui c’è lo spazio della libertà, in cui le nostre scelte
possono contare qualcosa.
Nota:
[1] Non intendo con questo
partecipare al piccolo coro “antieuropeo”. Dire che l’insieme della burocrazia
europea e delle decisioni di enti bancarie pone fine alla democrazia nel
continente, non significa ritenere che le decisioni prese da burocrati e da
banchieri siano peggiori di quelle che prenderebbero i politici delle varie
nazioni.
[2] E’ un esempio volutamente
semplificato, sarebbe stato più corretto fare un confronto tra un comitato “di
sinistra” che occupa case sfitte e uno “di destra” che se la prende con i Rom.
Infatti, il gruppo di volontari nel campo Rom probabilmente nasce prima del
comitato contro i Rom, ha una struttura più organizzata e collabora di più con
le istituzioni.
[3] Per correttezza, metterei tra le
Comunità persino le ronde padane, ma nella realtà quasi tutti i
raggruppamenti che conosco io nascono per difendere un bene pubblico contro
qualche forma di speculazione. Oppure sono come quel comitato, mantenuto da
commercianti benestanti, che in una via del centro a Firenze, supplisce
all’assenza dello Stato battendosi per cose semplici e concrete.
P.S. Noterete uno stile un po’ insolito,
forse, in questo scritto, assai più astratto di ciò che normalmente scrivo. Il
lettore più accorto vi coglierà una sorta di omaggio a tutto ciò che Costanzo Preve mi
ha insegnato, assieme al grandissimo divario tra le sue e le mie conclusioni.
Fonte:
http://kelebeklerblog.com/2013/12/06/tempi-nuovi/ (6 dic. 2013)
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