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mercoledì 18 dicembre 2013

"TEMPI NUOVI" e oltre..., di Miguel Martinez

La lettera e l'articolo di Miguel mi hanno dato una sensazione complessa: c'è, soprattutto nell'articolo, tutta la tragicità del presente espressa con un'angolazione molto particolare, direi umanista. Sembrerebbe talmente tragico e ineludibile questo presente da rendere impensabile un qualsiasi futuro appena vivibile per i non-Privanti, cioè per tutti noi "comuni mortali". Pure, soprattutto nella lettera, aleggia una sorta di curiosa speranza, che non so se possa essere seriamente riconducibile al ricominciare dalle Comunità, come dice Miguel. Forse c'è, sospesa sul nuovo nulla che si presenta, la speranza che davvero l'utopia positiva dell'amore - inteso come leva potenziale a positivo dei cambiamenti interiori ed esteriori che soli potrebbero far risalire la china - possa essere il tramite verso un futuro ancora vivibile, soprattutto per la parte sempre più sofferente della nostra umanità, individuale e collettiva. In conclusione, una lettura che può suscitare molte riflessioni, su piani diversi. 
Antonella Marazzi


Caro Roberto, 
se ha senso quello che ti scrivo adesso, pubblica pure...
Sei tra le molte persone verso cui mi sento in colpa in questo periodo.  Intanto, provo verso di te una colpa di assenza, di silenzio, di mancate risposte, pur nella profonda affinità delle diverse vie che abbiamo percorso nella vita.
E' facile parlare a nome di Dio, della Classe Operaia o della Nazione, ma alla fine, possiamo parlare, ciascuno di noi, solo a nome nostro... e quindi qui vedrai tante volte il pronome, "io", che spero sia più un io di modestia che un io di vanto.


Vedi, ho fatto un po' di conti, ho messo insieme:
 - il fatto che non sono più un ragazzino
 - il fatto che non sono un miliardario
 - il fatto che non sono un genio
e ho deciso di concentrare quel pochissimo che mi rimane, dopo un bilancio del genere, in questo piccolo mondo dove, per quanto ci sia concesso, conosco tutti e ci resto male per i loro destini; e sognerei che insieme potessimo vivere in modo più bello - non dico "migliore", che è termine ambiguo e inflazionato.
Il bello non dipende dalle fantasie politiche, ma dalla bellezza potenziale di ognuna di queste persone. Il bello non sta quindi nella nostra mente, ma nell'essere di tutti noi, umani, gatti, boschi o monumenti.Non c'è sogno che non si accompagni a un viso reale e anche a una debolezza reale: nessun popolo, solo questa e quella e quell'altra faccia, tutte un po' buffe e assurde e transitorie. Dal simpatico presidente di quei brutti ceffi che sono i nostri Bianchi, a D. che è scappata bambina dal Kosovo quando sugli zingari ci sparavano, e che vive in una stanza con dieci parenti...
Questo mondo finisce, più o meno, all'angolo di Piazza Santo Spirito da una parte, e in fondo al Pignone dall'altra, perché a piedi non ce la faccio tutti i giorni a percorrere più di tanto.
Dio solo sa quanto questo piccolo mondo faccia parte di un altro, immensamente più vasto, le cui sorti vengono decise nei grattacieli di Chissadove, e quindi è indispensabile capire il complesso dell'immensa ruspa che ci sta schiacciando tutti... però non riesco più a mettere un punto a una frase, senza prima essermi chiesto, "e quindi qui che facciamo, a che ora e coinvolgendo esattamente chi?"  Che teorizzare sul daffarsi è facile, ma a volte bisogna ragionare un po' anche come gli imprenditori, che saranno dei grandissimi stronzi, ma il mondo che conosciamo lo hanno fatto.Noi siamo quello che siamo, grazie alle mille esperienze vissute, o meglio alle poche esperienze capite.
E quindi non mi voglio mettere alla gogna più di tanto, però ho alle spalle un eccesso enorme, una sbornia, di certezze su cose di cui sapevo in realtà poco.
Oggi ero a casa di Vanessa, che passa la notte a lavorare in una pizzeria sull'altra sponda dell'Arno, vive in uno di quei fondi bui senza finestre, che si illuminano solo di elettricità, di cui ce ne sono tante poco dopo l'ultimo Tabernacolo prima della porta di San Frediano.
E ascolto e scopro che viene dalla Costa Rica, che è sociologa e sa scolpire il marmo... e allora l'utopia è semplicemente questo, di trovare un modo perché Vanessa possa fare qualcosa che sia bello per lei e per noi.
Utopia è un guardare persone, luoghi, alberi, animali, in potenza.
O forse, l'utopia ci potrà essere solo nel giorno in cui le nostre menti usciranno dall'ossessione con tutto ciò che neghiamo, per passare a un senso intenso di tutto ciò che amiamo.
Miguel




TEMPI NUOVI

L’altro giorno, incrocio un corteo di lavoratori della Pirelli di Figline Valdarno.
Dal palco, un sindacalista spiega che la Pirelli sta per vendere la fabbrica alla ditta belga Bekaert. Ora, continua, in Italia le tasse sono più alte e la manodopera costa di più che altrove. E quindi la Bekaert intende acquistare la fabbrica, meraviglie del libero mercato, al semplice scopo di chiuderla. “Ma noi non lo permetteremo!“, conclude.
Verrebbe da chiedersi, esattamente come faranno a impedirglielo? Scioperando contro il nuovo datore di lavoro, che non aspetta altro? Camminando avanti e indietro con le bandiere per le strade di Firenze? Combattendo per abolire le tasse e contemporaneamente ridurre i propri stipendi fino a rendere l’Italia capitalisticamente appetibile?
Noi non possiamo mai essere certi del futuro, ma a occhio e croce, il destino degli operai di Figline Valdarno direi che è segnato. Sappiamo anche che ben pochi di loro si potranno riciclare come creativi nel settore dell’alta moda o come informatici in grado di competere con Silicon Valley o Bangalore.
Questa storia è un dettaglio, ma va inquadrata in un contesto di forze convergenti, che è quasi inutile elencare.
Cose diversissime, in apparenza -  il tramonto del mondo del libro che cambia l’intera struttura dell’intelletto umano, la sostituzione della politica con le decisioni delle grandi istituzioni finanziarie, l’automazione che rende superflua la maggioranza della specie umana, la generale interconnessione in un unico flusso virtuale che comprende ricchezze, controllo e immaginario; e poi la fine per biologia di sintesi di ciò che finora abbiamo chiamato “essere umano”…
Sono tutte cose che conosciamo, ma che restano in qualche modo alla periferia della nostra visione. Anche perché nessun essere umano è lontanamente in grado di intuire come funzionino realmente tutte queste forze, tutte in rapida accelerazione, e tutte interagenti l’una con l’altra. Nascono facilmente confuse esagerazioni, della cui natura spesso penosa approfittiamo per dirci, no, è tutto in ordine, era solo un pazzo che alzava la voce!
Non abbiamo la minima idea di come andrà a finire; ma sappiamo che in questo momento, enon nel futuro, sta volgendo a termine un complesso di vita che potremmo definire nel sequente modo:
Io studio, in buona parte per imparare a fare un lavoro per qualcun altro.
Questo qualcun altro ha bisogno di me perché guadagna vendendo le cose che faccio con il mio lavoro.
Prestando il mio lavoro, guadagno abbastanza soldi da avere un tetto, mangiare e mettere su famiglia: tutte cose che richiedono un minimo di pianificazione e hanno a che fare con un’idea di lunga durata.
E anche per pagare le tasse con cui un ente in sé immaginario, una pura astrazione – lo Stato – mi assicura salute, sicurezza, scuola e pensione, e almeno in teoria esegue i miei voleri, espressi attraverso i miei rappresentanti politici.
Se ragioniamo in termini di complesso di vita, e non solo di questo o di quel particolare problema, capiremo immediatamente quale sia il limite di tutte le soluzioni contraddittorie che vengono proposte per “uscire dalla crisi“:
abbandonare l’Euro, rafforzare l’Europa; importare più manodopera, cacciare gli immigrati; tagliare sulla spesa pubblica o fare i keynesiani per rilanciare l’economia; ridurre le tasse o aumentarle; investire di più sulla scuola per tutti oppure sulla formazione di esperti designer di orologi d’oro per ricchi cinesi; combattere l’inquinamento o rafforzare l’industria automobilistica… tanto per citare alcune delle tante idee disperate che si sentono in giro (tutte comunque riassumibili nel concetto, “ecco ciò che io vorrei che lo Stato facesse...”).
In realtà, se non c’è una soluzione, forse non c’è nemmeno un problema: c’è un evento storico.
E l’evento storico è l’agonia dell’intero complesso di vita, strutturato sui poli del Cittadino, del Lavoro e dello Stato.
Questo dato di fatto è talmente enorme e pauroso, che – almeno in Europa e soprattutto in Italia – le persone pensanti tendono a cercare rifugio in discorsi che hanno quasi sempre tre caratteristiche: sono rivolti al passato, sono idealistici e sono paralleli, tutti termini che adopero qui in un senso un po’ particolare.
Rivolti al passato, perché tutti i riferimenti, sia per indicare ciò che va demonizzato, sia per indicare ciò che va esaltato, si trovano in storie di cui abbiamo perso completamente il senso. Che si tratti della cristianità, del nazismo, dello stato liberale e/o sociale o del comunismo, ogni argomentare sul passato – che pure è un tema affascinante – nasconde false piste su come agire nel presente.
Idealistici, perché si ritiene che basti affermare un’idea, un principio, un “valore” (termine tra i peggiori), che da una parte, fa sentire migliore degli altri chi la sostiene; dall’altra sottintende il potere magico delle idee di far sì che il mondo si adegui ai nostri pensieri. “Io sono favorevole, io condanno, io esigo, io credo…” Un’espressione verbale che ha all’incirca la stessa efficacia del tifoso che il giorno dopo, al bar, spiega come lui avrebbe vinto la partita.
Paralleli, perché i media ci presentano campi di discussione molto ristretti e spesso del tutto irrilevanti, entro i quali  possiamo liberamente portare acqua infinita al mulino di discorsi di cui ognuno è già convinto in partenza, e che vanno avanti come due rette parallele che non si incontreranno mai.
Tipiche le discussioni accese, ad esempio, a proposito di stupide battute pronunciate da politici impotenti; ma anche tutto il dibattito sui “valori della famiglia” con annessi e connessi, dove le due parti recitano il ruolo dei “valori vecchi contro i valori nuovi”.
Dalla fine di un complesso di vita, deriva un elemento molto concreto: lo svuotamento dello Stato dal basso verso l’alto.
Poiché lo Stato è un costrutto della fantasia umana (non diversamente dai colori che sulla cartina ne segnano gli invisibili confini), mi permetto di parlare delle sue diverse declinazioni tutte insieme.
In apparenza, lo Stato non solo ancora esiste, ma alla testa assume forme sempre più totalizzanti: andiamo sempre più verso la costruzione di un unico massiccio dispositivo, cui si è scelto di dare il nome di “Europa”.[1]
Sotto questo unico dispositivo, altri reggono più o meno bene.
Pensiamo, in Italia, al dispositivo militare; oppure all’immenso sistema TAV, cioè il geniale meccanismo inventato dopo Tangentopoli per permettere alla Fiat, alle grandi cooperative dette “rosse” e alla mafia di continuare ad arricchirsi con i soldi pubblici.
Dove emerge invece in modo evidente la dissoluzione dello Stato è in basso: ogni giorno, quando ci guardiamo attorno, vediamo un altro pezzo che scompare. Che sia il consultorio di quartiere venduto per fare velocemente quattrini, il vigile che non controlla più, il custode o le saponette che mancano nella scuola, la ludoteca che perde un operatore, l’autobus che non passa più…
Tra qualche mese, gli anziani che si recavano all’ASL a due passi da qui dovranno prendere due autobus per recarsi all’altro capo della città, perché il presidio chiude (il Comune dice che è colpa della Regione, tiè).
Sono storie che tutti conosciamo, avvengono lentamente, ciascuna da sola sembra evitabile, attribuibile quindi a un errore o a una debolezza. Ma se un giorno riuscissimo a metterle tutte insieme, vedremmo che se lo Stato negli ultimi anni si è ridotto in alto – poniamo, tanto per sparare qualche cifra del tutto inventata – del 10%, in basso si è ormai ridotto del 50%. E a quel punto capiremo che si tratta di storia, non di questo o quell’assessore.
In questo vuoto, si inseriscono due attori, che possiamo chiamare molto superficialmente ilPrivante e la Comunità Attiva.
Il Privante (meglio noto come “il privato”, con un curioso contorcimento semantico) raramente sostituisce le funzioni dello Stato, salvo in qualche caso come gli asili nido.
Di solito occupa gli spazi dello Stato per nuovi fini, come le caserme in dismissione che le finanziarie stanno acquistando per fare grandi alberghi qui a Firenze; o più semplicemente, come i marciapiedi che i ristoratori riempiono sempre di più con i loro tavolini, approfittando anche del fatto che la squadra dei vigili che la notte dovrebbe vegliare sulle loro irregolarità è stata praticamente sciolta.
Infatti, anche in quel settore della vita che amano chiamare “economia”, succede come con lo Stato: in alto ci sarà pure un po’ di “crisi”, ma i soldi continuano a girare in quantità che superano la possibilità di consumo degli stessi ricchi. E quindi non mancano i clienti per i grandi alberghi, i ristoranti o le Ferrari. Casomai, nella stessa città, sono i non ricchi la cui sopravvivenza viene minacciata direttamente.
Il Privante, come dice il nome, priva: esclude gli altri cioè da quelli che in passato erano in qualche maniera spazi sociali.
Viceversa, ovunque in Italia emergono quelle che possiamo chiamare le Comunità Attive, innumerevoli associazioni e soprattutto comitati che nascono ogni giorno. E’ un termine oggettivo, senza giudizi politici o morali: comprende tanto il gruppo di volontariato che va in un campo Rom, quanto gli abitanti che si uniscono per chiedere la chiusura dello stesso campo.[2]
Mettere sullo stesso piano entrambe le Comunità Attive – i cattocomunisti che alimentano i delinquenti zingari, oppure i razzisti padani che vogliono cacciare chi è diverso – è un bel modo di risvegliare quei discorsi paralleli di cui si parlava prima.
Eppure ci sono punti in comune tra le due Comunità. Entrambe suppliscono alla scomparsa dello Stato – o perché portano solidarietà o perché cercano maggiore sicurezza -, si organizzano da sé e al di fuori delle istituzioni e lavorano in quello che viene chiamato con disprezzo il “proprio orticello“.
Se guardiamo una simile realtà usando solo il metodo del Discorso Parallelo, corriamo il rischio di buttare in moralismo un fenomeno storico, e quindi di non coglierne la portata.
Se io dico, “si dovrebbero impedire queste ronde padane”, o viceversa, “si dovrebbero mandare via questi zingari ladri”, adopero in entrambi i casi un pronome impersonale. Ora, i pronomi impersonali mascherano qualcosa che vogliamo nascondere, innanzitutto a noi stessi. Per si, intendiamo probabilmente lo Stato, a meno che non intendiamo il dio Zeus.
Ora potrebbe essere giusto che lo Stato mandi la polizia per cacciare questi o quegli altri. Non c’è nulla di male a chiedere allo Stato di fare qualcosa. Ma ragionando così, perdiamo di vista il quadro generale: cioè che lo svuotamento dello Stato è inevitabile, ed è inevitabile che quel vuoto venga riempito da altri attori.
Le Comunità in questi anni sono diventati un elemento molto importante in Italia. Credo che ciò spieghi in buona parte lo straordinario risultato ottenuto da Beppe Grillo alle elezioni, una cosa che forse sfugge ai grandi media che trascurano le mille realtà locali di questo paese.
Preciso subito di non aver votato per Grillo e di non avere alcuna fiducia in lui.
Ma è un fatto che il successo di Grillo, che non ha precedenti nella storia italiana, è stato costruito totalmente al di fuori e contro i media, grazie a migliaia e migliaia di singole persone, che quasi sempre riflettevano le confuse e varie esigenze dei comitati che ovunque combattevano per cause non rappresentate dalle istituzioni, dalla lotta contro gli inceneritori a quella contro il TAV.
Le Comunità, e le milioni di persone che in tanti posti erano personalmente in contatto con loro, si sono sentite talmente libere dal rispetto dovuto alle istituzioni e ai partiti da scegliere qualcosa di totalmente innovativo nel panorama politico italiano. Insomma, il successo di Grillo ci dà qualche misura dell’effetto che la crescita delle Comunità ha avuto, e lo cito solo come indicatore statistico.
A questo punto, un riassunto di quelli che ritengo siano dati di fatto, che dobbiamo tener presente ancora prima di decidere cosa fare concretamente.
C’è una convergenza di forze travolgenti, che sta cambiando in maniera irriconoscibile il mondo.
Questa convergenza sta già portando alla crisi lenta ma irreversibile del triangolo Cittadino, Lavoro, Stato, e quindi alla fine di tutto il complesso di vita in cui siamo cresciuti e che forma il nostro modo di vedere le cose.
Proprio perché la crisi è convergente, non possiamo sperare in una “soluzione”.
Si fa benissimo a resistere dove si può – a chiedere un metro in meno di un tunnel in Val di Susa e un bidello in più nella scuola elementare. Semplicemente, non illudiamoci che l’argine terrà.
Questa crisi implica in particolare lo svuotamento, a partire dal basso, dello Stato.
Che viene lentamente sostituito da due tipi di attori, il Privante e la Comunità Attiva.
Chiaramente, il Privante ha immensi vantaggi. Non solo ha più soldi; soprattutto, i soldi permettono di costruire rapporti contrattuali a lungo termine, molto più solidi deirapporti affettivi su cui si fonda la Comunità. I medievisti mi perdoneranno l’uso di un termine inappropriato, se dico che è più facile che il futuro sia quindi “neofeudale” che comunitario.
Però, poiché le mie finanze mi impediscono di far parte del Privante, mi interesso alla Comunità.
La Comunità rappresenta ciò che le persone più attive di un determinato luogo ritengono importante e su cui sperano di poter concretamente incidere, e quindi può avere mille aspetti contraddittori, anche se quello prevalente sarà naturalmente la difesa contro il Privante.[4]
Fin qui ci sono quelli che considero i fatti, o una parte degli infiniti fatti della vita. E’ evidente che ho tirato via con l’accetta e semplificato oltremodo. E l’ho fatto focalizzando sempre sul piccolo punto del pianeta in cui mi trovo e posso agire, che è facile fare i santi con le corone di spine degli altri.
E’ legittimo avere in antipatia i fatti, o sognare un ritorno al passato; ma è sicuramente anche inutile, e la vita è breve.
Se questi sono – più o meno – i fatti; e se indietro non si torna, ogni tentativo di cambiare i fatti o di tornare indietro è destinato al fallimento. Non permette quindi scelta, e non c’è dunque libertà.
Le cose cambiano se mi pongo un altro tipo di domanda: in che modo posso fare qualcosa lì dove mi trovo, oggi, con le persone e le storie che ci sono realmente?
Qui c’è lo spazio della libertà, in cui le nostre scelte possono contare qualcosa.

Nota:
[1] Non intendo con questo partecipare al piccolo coro “antieuropeo”. Dire che l’insieme della burocrazia europea e delle decisioni di enti bancarie pone fine alla democrazia nel continente, non significa ritenere che le decisioni prese da burocrati e da banchieri siano peggiori di quelle che prenderebbero i politici delle varie nazioni.
[2] E’ un esempio volutamente semplificato, sarebbe stato più corretto fare un confronto tra un comitato “di sinistra” che occupa case sfitte e uno “di destra” che se la prende con i Rom. Infatti, il gruppo di volontari nel campo Rom probabilmente nasce prima del comitato contro i Rom, ha una struttura più organizzata e collabora di più con le istituzioni.
[3] Per correttezza, metterei tra le Comunità persino le ronde padane, ma nella realtà  quasi tutti i raggruppamenti che conosco io nascono per difendere un bene pubblico contro qualche forma di speculazione. Oppure sono come quel comitato, mantenuto da commercianti benestanti, che in una via del centro a Firenze, supplisce all’assenza dello Stato battendosi per cose semplici e concrete.
P.S. Noterete uno stile un po’ insolito, forse, in questo scritto, assai più astratto di ciò che normalmente scrivo. Il lettore più accorto vi coglierà una sorta di omaggio a tutto ciò che Costanzo Preve mi ha insegnato, assieme al grandissimo divario tra le sue e le mie conclusioni.

Fonte: http://kelebeklerblog.com/2013/12/06/tempi-nuovi/ (6 dic. 2013)

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