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Antonio Marchi |
Mauro Rostagno
nasce a Torino nel 1942, i suoi genitori sono dipendenti presso la Fiat. Prima
dell’esperienza universitaria viaggia molto: lavora in Germania, Inghilterra,
manifesta in Spagna contro il regime franchista, si reca in Francia, dove
subisce un provvedimento di espulsione. Tornato in Italia si trasferisce a
Trento; studente prodigio a 17, operaio a 18, psiuppino a 24, matricola di
sociologia a Trento a 26, movimentista nel ‘68, candidato alle elezioni per Dp
nel ‘76.
Dopo le annate di
dibattiti e manifestazioni studentesche, e dopo una serie di 30 e lode
conseguiti agli esami universitari, decide di far contenta la madre e
completare gli studi: nel 1973 si laurea in Sociologia, la sua tesi è
ispirata dal senso di giustizia sociale da perseguire mediante un radicale
sovvertimento della società e delle istituzioni, compresa la stessa università,
e viene discussa in un’aula affollatissima, in un clima singolare e surreale.
In quegli stessi anni
Mauro Rostagno fonda (assieme ad Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Guido
Viale, Marco Boato) Lotta Continua,
movimento politico votato all’ideologia comunista-libertaria. Una vita
complessa, e forse anche per questo le “piste” seguite dagli inquirenti per il
suo omicidio furono le più diverse e lontane: in carcere finì inizialmente la
compagna Chicca Roveri, madre di sua figlia Maddalena, quando si pensò a un
delitto maturato nell’ambito della comunità Saman, fondata dalla coppia e
dall’amico Francesco Cardella. Poi si pensò a un collegamento con il delitto
Calabresi, visto che Rostagno era stato con Adriano Sofri, Guido Viale, Marco
Boato, Giorgio Pietrostefani e Paolo Brogi tra i fondatori del movimento Lotta
Continua, nel 1969. E poi a un traffico d’armi, o di droga, o ai servizi
segreti.
Nel 1976, dopo lo
scioglimento di Lotta Continua, Mauro si fa promotore dell’apertura a Milano
del Macondo, un circolo
culturale in cui confluivano svariate attività di rilevanza artistica,
culturale e sociale, in assoluto uno dei primi centri sociali inaugurati in
Italia. Dopo l’esperienza del Macondo, nel 1980 Rostagno si reca in India a
Poona, con la compagna Chicca e la figlia Maddalena, per seguire il maestro
Bhagwan. Lì intraprende un percorso di crescita spirituale presso la comunità
degli “arancioni” di Osho. Mauro diventa Sanatano, che significa “eterna
beatudine”. Ma la comunità si trasferisce negli Stati Uniti, scelta non
apprezzata da Rostagno che a quel punto sceglie di andare in Sicilia e di
fondare, con l’aiuto di Francesco Cardella che gli mette a disposizione la sua
villa a Lenzi, vicino a Erice, una comunità per il recupero dei
tossicodipendenti.
“La nostra scelta prima
era cambiamo il mondo. Ora è diamo una vita a chi non ce l’ha”, confessa
Rostagno a un giornalista nel 1988. Il sociologo diventa terapeuta, con un
metodo tutto personale: “Prendiamo un cesto con quaranta mele marce e, nel
mezzo, infiliamo una mela buona. Le quaranta mele si trasformano in mele
buone”. Funzionava quasi sempre: “Il fascino è vedere che un uomo, da ultimo,
diventa primo”.
La comunità fondata in
provincia di Trapani assume il nome di Saman,
un luogo di aggregazione sorto con l’intento di divulgare gli insegnamenti
appresi in India, ma che col tempo verrà trasformato in un centro di
accoglienza e recupero di tossicodipendenti, tra i primi centri d’Italia,
ennesima straordinaria dimostrazione della sua capacità pionieristica di
rapportarsi con la contemporaneità.
In Sicilia
Rostagno non si accontenta di occuparsi dei tossicodipendenti e di aiutarli a
guarire. In Sicilia c’è anche un’altra grave malattia dalla quale guarire: la mafia, e l’apatia che se ne fa complice.
Rostagno ne denuncia giorno per giorno l’operato, le collusioni con le
amministrazioni locali, attraverso l’emittente televisiva Radio Tele Cine
(RTC). Di quegli anni - racconta successivamente Claudio Fava, che di delitti
di questo genere se ne intende dal momento che anche suo padre venne ucciso
perché dava fastidio alla mafia e la denunciava negli anni in cui se ne metteva
ancora in dubbio l’esistenza - rimangono le 22 cassette sequestrate dal giudice
Franco Messina.
“Ventidue cassette, -
scrive Fava - una radiografia impietosa della città: i bilanci segreti
dell’amministrazione comunale, gli intrallazzi delle cooperative socialiste sui
contributi della Regione, le allegre cerimonie d’una loggia massonica in cui si
ritrovavano, ogni sabato sera, mafiosi, banchieri e onorevoli. Su tutto
Rostagno planava con lingua arguta, con antica ironia. Sfotteva, sfidava.
Insegnava ai suoi ragazzi il mestiere della parola. Anche per questo l’hanno
ammazzato”.
I
suoi interventi in diretta televisiva hanno letteralmente fatto storia, alcuni stralci
sono visibili in internet e tutt’oggi sono visionatissimi dagli utenti della
rete. Ciò che Mauro Rostagno era riuscito a scoprire va ben oltre gli ambiti
territoriali e i riferimenti temporali nei quali ha vissuto, indagato e agito
all’epoca dei fatti, poiché si interseca con altri torbidi “casi irrisolti”
nostrani, come quelli riguardanti l’uccisione della giornalista Ilaria Alpi o la tragedia del Moby Prince. Per questo motivo il
ricordo di Rostagno non è scindibile dalla storia recente del nostro paese; e
per lo stesso motivo il ricordo di un uomo, audace e tenace come pochi,
andrebbe sempre mantenuto vivo e trasmesso alle future generazioni. Ancora
oggi, dopo ripetute indagini, ripetuti processi, ripetuti depistaggi, ripetuti
complottismi, ripetuta “ripetitività” puramente italiana non è stata pienamente
appurata la verità. Soltanto nel 2009, grazie all’impegno dell’Associazione
“ciao mauro” che ha raccolto 10.000 firme per la riapertura dell’indagini sul
delitto, è stato emesso un mandato di custodia cautelare in carcere nei
confronti del boss di “cosa nostra” Vincenzo Virga, ritenuto il principale
responsabile di questo barbaro delitto. Tante ipotesi, così diverse tra loro
forse anche perché la vita di Mauro Rostagno era stata una continua evoluzione,
con un unico filo conduttore, la ricerca onesta e appassionata della verità,
scrisse in uno dei tanti necrologi pubblicati subito dopo l’omicidio un ex
compagno di Lotta Continua, Luigi Manconi: “Rostagno è stato un uomo ‘di
movimento’ e ‘in movimento’, espressione di una generazione mobile e
movimentata che ha intrecciato, ostinatamente, la ricerca (e la tutela) delle
ragioni della propria esistenza alla ricerca (e alla tutela) delle ragioni
della esistenza altrui”. Una continua “ricerca di autenticità” che “si faceva
conflitto, rischio, messa in gioco”.
Il processo tuttora in
corso che mette sotto accusa il trapanese Vito Mazzara e il boss locale
Vincenzo Virga non è arrivato alla sua conclusione. Il 26 settembre del 1988
Mauro Rostagno viene ucciso in un efferato agguato architettato dai “poteri
forti”, ovvero da una rete di personaggi molto influenti, che collega mafia,
massoneria, P2, gladio, servizi segreti “deviati” ed esercito italiano. Proprio
questi intrecci sono stati portati alla luce da Rostagno, il quale non ha mai
avuto alcuna esitazione nel denunciare apertamente malaffari e soprusi, con
nomi e cognomi, dai microfoni di RTC, un’emittente locale siciliana, per la
quale Mauro collaborava in qualità di caporedattore del telegiornale.
Sono passati venticinque
anni dalla morte prima di arrivare al processo per pista mafiosa. «Sono già 55
le udienze nel processo, che è complicatissimo e di cui nessuno parla», spiega
il giornalista Lillo Venezia, che, in un convegno alla Camera del lavoro di
Catania, ha proposto la realizzazione di un centro di documentazione su Mauro
Rostagno e il processo in corso a Trapani.
Sociologo, politico,
giornalista: definire le tante anime di Mauro Rostagno, non è mai stato
semplice. Il convegno organizzato alla
Camera del lavoro di Catania, dal titolo Ciao
Mauro, non fa molta eccezione alla regola. “Forse, la definizione migliore
è questa: ‘Un comunista che lottava contro il padrone della Sicilia, la
mafia’”, spiega Lillo Venezia, giornalista, citando il collega Riccardo
Orioles. Una lotta per la quale ha perso la vita, anche se non c’è ancora una
verità processuale che dica perché Rostagno quel 26 settembre del 1988 fu
ucciso a Lenzi di Valderice, a poca distanza dalla Saman, la comunità che aveva
fondato a pochi chilometri da Trapani. «Il processo ha già avuto 55 udienze, è
molto complesso e nessuno ne scrive. O spesso lo fa usando provocazioni
giornalistiche», ricorda Venezia. Che propone la costituzione di un Centro di documentazione, che raccolga
innanzitutto gli atti del difficile processo in corso.
Per fare «memoria» di
quello che fu il personaggio Rostagno, che da Torino arrivò in Sicilia,
scegliendo «una dimensione locale,
dopo essere stato al centro degli avvenimenti del 68
in Italia», ricorda il professore di Storia
contemporanea Luciano Granozzi.
Per l’omicidio di
Rostagno, sono state negli anni fatte
varie ipotesi: ucciso dalla mafia, o per gli intrecci tra questa e la
massoneria e la politica di una Trapani che, afferma Graziella Porto,
direttrice del mensile Casablanca,
«era una città dove la mafia non esisteva». Negli anni la procura di Trapani ha
seguito due piste, che hanno avuto grande spazio sui giornali, a differenza del
processo attuale che segue la pista mafiosa. La prima rimanderebbe all’omicidio
Calabresi, seguendo un filo logico che parte dalla sua storia nella sinistra
extraparlamentare. La seconda rimanderebbe addirittura a una pista interna alla
sua comunità Saman. “L’esperienza di Rostagno diede grande valore alla
controinformazione e al giornalismo di inchiesta. Oggi purtroppo non possiamo
dimenticare che un giornalista come Marco Travaglio, considerato dai giovani un
maestro del genere, è tra i maggiori sostenitori della pista interna”, conclude
Granozzi.
“Molte leggende
metropolitane vengono portate avanti ancora sulla morte di Rostagno”, conferma
Paolo Brogi, giornalista anche lui in gioventù a Lotta Continua. Ma quelle che sono notizie e fatti realmente emersi
dal processo, non hanno avuto altrettanto successo sui media. “Il cadavere di
don Ciccio Messina Denaro, padre di Matteo che ordinò di uccidere Rostagno, fu
trovato nei terreni dei D’Alì – racconta Brogi – Qualche mese fa il ministro
della Giustizia Annamaria Cancelleri andò a Trapani a firmare un
protocollo antimafia proprio a braccetto con il senatore Antonio D’Alì. Se
avesse letto qualcosa del processo in corso non lo avrebbe fatto”, ricorda
Brogi. Che spende anche parole di stima nei confronti di Rino Giacalone, «l’unico
giornalista che segue con costanza il processo, che è stato costretto a
lasciare il suo posto nel quotidiano catanese e ora fa il collaboratore per il Fatto quotidiano”, conclude Brogi, senza
fare esplicitamente il nome del quotidiano
La Sicilia.
Per Nadia Furnari, dell’associazione antimafie Rita Atria, “se i giornalisti facessero il loro lavoro, se i
giornali facessero informazione, le parole di Rostagno citate avrebbero un
senso, per fare memoria”. E ricorda le
posizioni antimilitariste di Rostagno, in particolare sulla base Nato di
Sigonella, e come oggi non ci sia nulla di diverso con la lotta contro il Muos.
Per lo scrittore Ottavio Cappellani, invece, il fatto che non si parli del
processo Rostagno sui giornali è dovuto alle emergenze della cronaca su altri
fatti di mafia, “come la trattativa Stato-mafia”. Ma il motivo principale
sarebbe che “il processo Rostagno è un fallimento della magistratura che non si
può mostrare».
Processo
Mauro Rostagno
Non serve rintracciare
deposizioni, inseguire i segreti di Stato. La famosa trattativa tra mafia e
Stato, le connivenze e le connessioni tra servizi segreti deviati, mondo degli
affari, logge massoniche, cosa nostra e morti ammazzati fanno capolino
nell’aula bunker “Giovanni Falcone” di un tribunale per un processo stranamente
poco presente sulle cronache ma fondamentale. A Trapani, il processo che
dovrebbe rivelare la verità sui mandanti e gli assassini di Mauro Rostagno si è
aperto da poco tempo, ma si può dire che sia entrato già nel vivo. E disvela un
possibile intreccio di interessi dietro la morte del sociologo e giornalista,
siciliano d’adozione.
È già stato sentito il
questore Rino Germanà, scampato a un attentato mafioso, che da subito indicò la
mano di Cosa Nostra quando era di stanza a Trapani. Hanno deposto i carabinieri
e il dirigente della Digos Giovanni Pampillonia che batterono altre, forse
improbabili piste. È già salita sul banco dei testimoni la figlia Maddalena
Rostagno, avvilita dai depistaggi nel corso degli anni e dalle incursioni nella
vita privata della difesa. E pochi giorni orsono, in una lunga e intensa
deposizione, è intervenuta la compagna di una vita di Mauro, Chicca Roveri.
Fu la prima a giungere
sul posto quel 26 settembre 1988,
in una strada sterrata a due passi dalla comunità Saman
che Mauro cogestiva e che raggiungeva, come ogni giorno, dalla sede
dell’emittente locale RTC. In quella “trazzera” buia (perché la centralina
dell’Enel era stata manomessa, si scoprì in seguito), la macchina di Mauro
ostruiva il passaggio a 200 metri dalla sua destinazione: lui era lì, seduto e
immobile, il capo chino, un colpo alla spalla, uno alla testa. Un commando lo
aveva seguito con un’auto rubata mesi prima, bloccato, e crivellato di colpi. A
riferire a Chicca dell’agguato era stata Monica Serra, collaboratrice
di RTC, che si era salvata rannicchiandosi nell’auto dopo essere stata
spinta da Rostagno. “Mi sono appoggiata su di Mauro, l’ho accarezzato, gli ho
parlato. Gli ho sfilato via la fede che avevamo comprato pochi giorni prima, e
mi sono trovata con le mani sporche di sangue. Mi accorsi subito che era
morto.”
Chicca ha parlato con
lucidità, cercando di non tradirsi cedendo alle emozioni, dando una grande
lezione di dignità. Lei, che è stata accusata dell’omicidio del suo stesso
uomo, vittima del chiacchiericcio, il “curtigghio” manovrato ad hoc tra le vie
trapanesi nel metodo di demolizione dell’eroe antimafia Rostagno, cede solo
quando si lascia scappare che “le indagini in questi anni sono state gestite da
inetti o cretini oppure sono state depistate volontariamente.” E Chicca, a cui
lo Stato non ha mai chiesto perdono, quasi si rimangia quelle parole e chiede
lei scusa per quanto appena detto.
Mette un po’ tristezza
vedere così poca attenzione al processo Rostagno sulle colonne dei quotidiani
nazionali. Come detto, nell’aula Falcone riecheggiano nomi e fatti che
dovrebbero essere succulenti per qualunque giornalista: la punta di un iceberg
che potrebbe svelare molto. C’è la mafia di Vincenzo Virga, il capomafia
trapanese imputato come mandante, lo stesso a quanto pare tirato in ballo da
Marcello Dell’Utri quando deve minacciare l’imprenditore sportivo Garaffa. C’è
uno dei presunti killer oggi alla sbarra, Vito Mazzara, tanto fortunato da
vedersi revocare il 41 bis, pare perché identificato come “pezzo di storia”
della mafia trapanese e quindi da proteggere tramite gli amici nei piani alti:
“Se parla lui, qui è cuoio per tutti”, dicono i suoi compagni di malaffare. C’è
l’ombra lunga di Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, che
disse agli altri boss della provincia, nel lontano ’88: “Dobbiamo riflettere se
Rostagno fa più male da morto che da vivo”. C’è il giornalismo locale innovativo
e spiazzante di Mauro, le accuse dirette ai politici, i nomi e cognomi: Canino,
Pellegrino, Pizzo; la storia gli avrebbe dato ragione, con indagini, sentenze e
inchieste. Ci sono in prima linea, al banco del pubblico ministero, i pm
antimafia Gaetano Paci e Antonio Ingoia, sulle prima pagine per le inchieste
più importanti e scottanti degli ultimi anni.
C’è il nome ricorrente di
Mariano Agate, boss di Mazara del Vallo capace di gestire i suoi affari dal
carcere fino a poco tempo fa grazie a un efficace sistema di pizzini, che
disse: “Diteci a a quello con la barba di non raccontare minchiate”. Ci sono
perizie fatte con anni di ritardo, carabinieri che non ricordano e si
contraddicono, e ricostruendo la scena del delitto in aula chiedono alla difesa
“Ah, c’era anche un revolver?”. Ci sono Falcone e Borsellino, giudici non
ancora martiri, con cui Rostagno scambiava informazioni. Forse c’è il traffico
d’armi con la Somalia scoperto e filmato da Mauro: kalashnikov in cambio di
terreni delle tribù dove interrare rifiuti tossici, con il beneplacito della
politica italiana, dei servizi segreti. Lo stesso traffico probabilmente
scoperto da Ilaria Alpi e confermato da faccendieri e pentiti.
C’è il segreto di Stato
in cui inciampa la Digos quando indaga sulla pista di Kinisia dove forse
avvenivano quei traffici. C’è di mezzo l’ultima base di Gladio in Italia,
guidata dallo 007 partannese Vincenzo Li Causi, morto misteriosamente proprio
in Somalia pochi mesi prima della Alpi. Gladio doveva vegliare sulla minaccia libica
a fine anni ’80, ma produce solo un rapporto su presunte irregolarità nei conti
di Saman. C’era Francesco Cardella, cofondatore proprio di Saman, ex editore
porno, ex guru sannyasin, forse amico di Rostagno e certamente amico di Craxi,
indagato quando si batté la pista interna che coinvolse la Roveri, mai sentito
perché rifugiatosi in Sudamerica. Tra le sue mani sono passati yacht e Bentley,
miliardi di lire e testi di legge sulla gestione delle comunità per
tossicodipendenti. Ospite fisso ad
Arcore all’alba della nascita di Forza Italia (proprio come il già citato
Dell’Utri), Cardella (ex ambasciatore
del Nicaragua per i paesi arabi, con tanto di immunità diplomatica, ora morto).
C’è la loggia Iside 2,
substrato ambiguo del “circolo Scontrino” dove mafiosi, imprenditori, politici,
uomini delle istituzioni trapanesi tiravano le fila della città e non solo. E
ci sono pezzi del passato di Mauro Rostagno tirati in ballo per giustificare
altre piste, altre distrazioni. C’è la testimonianza di Renato Curcio alla
Digos (fondatore delle Brigate Rosse e ancora prima collega universitario e
amico di Mauro) che manca agli atti, stando alla difesa. C’è Lotta Continua,
con le tensioni all’indomani delle dichiarazioni del pentito Leonardo Marino,
con Rostagno che vuole parlare per dire la sua e probabilmente scagionare gli
amici e compagni di lotta Sofri, Bompressi e Petrostefani. Mauro verrà ucciso
prima di riuscire a presentarsi in tribunale, e l’avvocato della famiglia
Calabresi, Ligotti, anni dopo metterà in scena un gioco di prestigio, mentre a
Trapani si indagava, dicendo “Rostagno non è stato ucciso dalla Lupara”.
“Stanno uccidendo Rostagno una seconda volta”, disse in quell’occasione l’amico
Marco Boato.
C’è tanto, nella vita di
Mauro Rostagno e soprattutto in questi 25 anni di false partenze, false piste,
false parole, falsi amici. Forse c’è troppo. Forse i colleghi giornalisti
stanno perdendo di vista un caso che, seguito con la dovuta attenzione,
potrebbe essere punto di riferimento anche per la società civile in cerca di
risposte. Parlando di Mauro spesso ci si limita a inseguire certe storie,
sfiorando il torbido sui giornali locali, finendo persino con il riciclare
pezzi vecchi di 15 anni, come visto di recente su I Quaderni dell’Ora (nuovo mensile che riporta il nome dello
storico quotidiano palermitano) che ripubblica un estratto del già discusso Rostagno: un delitto tra amici degli
altrimenti attenti Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo. E su quelle stesse
pagine, si scrive che la pista mafiosa “piace”, oltre che ai vari Cardella o ex
esponenti di Lottra Continua, a Chicca Roveri. La morte dell’uomo che si ama, e
amato da tanti come Mauro, non piace a nessuno, indipendentemente dalla mano
che preme il grilletto o da quella che porge l’arma. A noi piace invece la
dignità e la serietà di Chicca, e piacerà l’impegno dei giornalisti che
vorranno seguire questo pezzetto di Storia apparentemente piccolo. Sperando che
siano in tanti.
Dal
Trentino alla Sicilia in bicicletta per ricordare Mauro Rostagno
Mercoledì 11 settembre
partirò in bicicletta da Trento per un viaggio di andata e ritorno che mi
porterà a Trapani: migliaia di chilometri per ricordare l’impegno e la storia
personale di Mauro Rostagno, il compagno, l’amico, il fratello ucciso dalla
mafia 25 anni fa.
Ritorno a percorrere le
strade percorse in bicicletta e interrotte nel 2008 in Calabria da un
furto galeotto. Ritorno a Trapani come promesso perché ancora vivo di passioni
e amori. Ho sempre pensato che andare nei luoghi consumati dal tempo, dimenticati
dalla storia, riporta in vita i morti e apre le nostre menti all’impegno e alla
responsabilità. Mauro Rostagno è stato ammazzato a soli 46 anni, assassinato
per il suo impegno civile e per la sua sensibilità politica nei confronti
dell’uomo e dell’umanità. Cantore di un’idea immacolata della giustizia e della
libertà, trascinatore disincantato di idee e di convivenza, paladino dei
diritti calpestati, merita di più di quello che la vita gli ha dato... Per
questo il mio riconoscimento e il gesto mesto di un pellegrinaggio. Scrisse
Pasolini poco prima di essere massacrato: “se un poeta non fa paura è meglio
che sparisca per sempre”. Già. Quando lo ammazzarono nel 1975 non ammazzarono
soltanto un poeta, esattamente come quando ammazzarono Mauro Rostagno. Volevano
distruggere,con loro, il pensiero che un poeta, uno scrittore, un uomo, può
diventare pericoloso per il sistema. Il tempo trascorso non potrà mai
cancellarne quelle gesta generose.
Per questo il
viaggio. A ritroso nel tempo, percorrendo quello spazio geografico - terreno di
lotte, sofferenze, conquiste sociali e civili - con il mezzo più ecologico e
pacifico che ci sia: la bicicletta.
Lo faccio partendo dalla storica facoltà di Sociologia di Trento. L’11
settembre, 40° anniversario del golpe cileno del massacratore fascista Pinochet
e 12°dall’attentato alle Torri di Manhattan, presenziando alla laurea su Mauro
Rostagno di uno studente di Palermo (Domenico, compagno e amico facente parte
del collettivo dell’auletta “Mauro Rostagno” di Sociologia).
Centro di documentazione «Mauro Rostagno» a
Trento
Il Centro è nato
dalla volontà di documentare e studiare i movimenti politici e sociali degli
anni Sessanta-Settanta. La sua istituzione ha tratto alimento in un certo senso
da due specifici avvenimenti accaduti nel 1988: dapprima l’incontro, presso la
facoltà di Sociologia a Trento, di ex studenti che avevano partecipato, presso
la stessa facoltà, al movimento del ’68, e successivamente, pochi mesi dopo,
l’uccisione per mano della mafia di Mauro Rostagno, uno dei dirigenti di quel
movimento.
Fu proprio in
quest’ultimo frangente che fu deciso di dedicare proprio a Mauro Rostagno il
centro, allora in fase di costituzione presso il Museo. Vi confluirono
inizialmente l’archivio della rivista Uomo
Città Territorio e parte di quello di Lotta
Continua a Trento, cui seguirono i materiali di diversi dirigenti
studenteschi, associazioni, movimenti e partiti politici. Il centro è
arricchito da una biblioteca (prefisso di segnatura Cdr) ed emeroteca di
settore.
La sua attività
si esplica nella promozione di momenti di incontro, nella produzione di
filmati, nel riordino e inventariazione dei fondi archivistici raccolti.
(Trento, 5 settembre 2013)
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